Jundokan

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(順道館)

COSA È

Il Jundokan (順道館) è una delle più importanti e tradizionali scuole di Karate dello stile Goju-ryu di Okinawa. Il nome stesso, “Jundokan”, può essere tradotto come “La casa dove si segue la via”, un concetto che racchiude l’essenza della sua pratica: non un mero addestramento al combattimento, ma un percorso di crescita personale e di perfezionamento del carattere che segue fedelmente gli insegnamenti del fondatore del Goju-ryu, il Gran Maestro Chojun Miyagi. Fondato da Eiichi Miyazato, uno degli allievi più anziani e devoti di Miyagi, il Jundokan si distingue per la sua dedizione a preservare e trasmettere il curriculum tecnico e i principi filosofici del Goju-ryu nella loro forma più pura e originale. Non si tratta semplicemente di un’organizzazione o di una catena di dojo, ma di un vero e proprio custode di un’eredità marziale.

La pratica nel Jundokan è incentrata su un approccio olistico all’arte marziale. Si pone grande enfasi sull’equilibrio tra gli aspetti “Go” (剛), che rappresentano la durezza, la forza e le tecniche lineari, e “Ju” (柔), che incarnano la morbidezza, la fluidità e le tecniche circolari. Questo dualismo è il cuore del Goju-ryu e si manifesta in ogni aspetto dell’allenamento, dalla respirazione (ibuki) alle tecniche di difesa e attacco, fino ai kata. L’obiettivo non è solo quello di sviluppare un corpo forte e capace di difendersi, ma anche una mente calma, resiliente e consapevole. Il Jundokan insegna che la vera forza non risiede nella capacità di sopraffare l’avversario, ma nel controllo di sé, nell’umiltà e nel rispetto per la vita.

Pertanto, definire il Jundokan unicamente come uno “stile di karate” sarebbe riduttivo. È più corretto considerarlo come una “scuola di pensiero” all’interno del più ampio sistema del Goju-ryu. Una scuola che ha fatto della preservazione dell’ortodossia tecnica e metodologica la sua missione principale. Gli insegnamenti all’interno di un dojo Jundokan sono diretti, senza fronzoli e focalizzati sull’efficacia reale delle tecniche, così come venivano studiate e applicate dal fondatore. Questo impegno per l’autenticità ha reso il Jundokan un punto di riferimento a livello mondiale per tutti coloro che desiderano studiare il Goju-ryu di Okinawa nella sua forma più vicina a quella concepita da Chojun Miyagi, facendo del suo dojo a Naha, Okinawa, un vero e proprio “luogo di pellegrinaggio” per i praticanti più seri e dedicati.

CARATTERISTICHE, FILOSOFIA E ASPETTI CHIAVE

Il Jundokan si fonda su un insieme di caratteristiche e principi filosofici che ne definiscono l’identità e lo distinguono nel panorama delle arti marziali. L’essenza del Jundokan è intrinsecamente legata alla filosofia del Goju-ryu, che si basa sul concetto di armonia tra gli opposti, “Go” (duro) e “Ju” (morbido). Questa dualità non è vista come un conflitto, ma come una complementarietà essenziale per raggiungere l’equilibrio e l’efficacia.

Le caratteristiche tecniche del Jundokan riflettono fedelmente questo principio. L’allenamento pone un’enfasi paritaria su tecniche potenti e lineari, come pugni diretti (choku zuki) e calci frontali (mae geri), e su movimenti morbidi, circolari e cedevoli, come le parate circolari (mawashi uke) e le tecniche di leva e proiezione. Un aspetto chiave è l’importanza della corta distanza nel combattimento, dove la capacità di assorbire e reindirizzare la forza dell’avversario diventa fondamentale. Le posizioni sono generalmente stabili e ben radicate a terra (Sanchin dachi, Shiko dachi), fornendo una base solida da cui generare potenza. La respirazione gioca un ruolo centrale e si articola in due forme principali: la respirazione sonora e potente, ibuki, utilizzata per contrarre i muscoli e sviluppare energia interna (ki), e la respirazione più naturale, nogare, per mantenere la calma e la fluidità.

La filosofia del Jundokan va oltre il semplice aspetto fisico e tecnico. Si basa sui precetti del Bubishi, un antico testo cinese sulle arti marziali che ha profondamente influenzato il Karate di Okinawa, e sugli insegnamenti di Chojun Miyagi. I principi guida includono:

  • Dōjō Kun: Il giuramento del dojo, che enuncia le regole etiche che ogni praticante deve seguire, come il rispetto reciproco, la ricerca della perfezione del carattere, la sincerità, la costanza e l’autocontrollo.
  • Shu-Ha-Ri: Un concetto che descrive le fasi dell’apprendimento. Shu (守) rappresenta la fase iniziale, in cui si impara a copiare e seguire fedelmente le tradizioni e le tecniche del maestro senza deviazioni. Ha (破) è la fase in cui, una volta padroneggiate le basi, si inizia a esplorare, a porsi domande e a comprendere i principi sottostanti, talvolta “rompendo” con la forma rigida. Ri (離) è la fase finale, in cui si trascende la tecnica e ci si muove in modo naturale e istintivo, avendo interiorizzato completamente i principi dell’arte. Il Jundokan pone una fortissima enfasi sulla fase Shu, ritenendola fondamentale per una comprensione autentica dell’arte.
  • Bunbu Ryodo: “La via della penna e della spada”, un concetto che sottolinea l’importanza di bilanciare lo sviluppo intellettuale e culturale con quello marziale. Un vero artista marziale non è solo un combattente, ma anche una persona colta e di sani principi morali.

Gli aspetti chiave del Jundokan possono essere riassunti in:

  • Preservazione: La missione primaria è quella di mantenere inalterato il curriculum tecnico e filosofico di Chojun Miyagi, evitando le semplificazioni o le modifiche introdotte per scopi sportivi o commerciali.
  • Efficacia: Le tecniche vengono studiate per la loro applicabilità nella difesa personale reale, non per un punteggio in una competizione. L’allenamento include il condizionamento del corpo (hojo undo) e lo studio delle applicazioni pratiche dei kata (bunkai).
  • Sviluppo interiore: L’obiettivo finale non è sconfiggere gli altri, ma superare i propri limiti, coltivando umiltà, disciplina, pazienza e una profonda comprensione di sé stessi. La pratica marziale diventa una “via” (Do) per il miglioramento della propria vita in tutti i suoi aspetti.

LA STORIA

La storia del Jundokan è inestricabilmente legata alla vita del fondatore del Goju-ryu, Chojun Miyagi, e al suo desiderio di sistematizzare e diffondere l’arte che aveva appreso dal suo maestro, Kanryo Higaonna. Higaonna aveva studiato per anni in Cina, nella provincia del Fujian, diverse forme di pugilato cinese, combinandole poi con l’arte di combattimento nativa di Okinawa, il Te. Il risultato fu uno stile potente ed efficace, noto come Naha-te, dal nome della città in cui Higaonna insegnava.

Chojun Miyagi, il suo allievo più brillante, ereditò la totalità del sistema alla morte del maestro nel 1915. Miyagi, uomo di grande cultura e visione, comprese la necessità di dare un nome formale allo stile per garantirne il riconoscimento e la sopravvivenza nel contesto della modernizzazione del Giappone. Durante una dimostrazione in Giappone, a un suo allievo anziano, Jinan Shinzato, fu chiesto come si chiamasse la sua arte. Non sapendo cosa rispondere, improvvisò il nome “Anko-ryu” (la scuola semi-dura). Al suo ritorno, raccontò l’episodio a Miyagi, che, riflettendoci, decise di adottare il nome Goju-ryu (“scuola dura-morbida”). Il nome fu ispirato da un verso del Bubishi che recita: “Ho Go Ju Don To” (tutto nell’universo respira duro e morbido).

Miyagi dedicò la sua vita a perfezionare e insegnare il Goju-ryu. A differenza di altri maestri, non aprì mai un dojo pubblico nel senso moderno del termine, ma insegnava a un ristretto gruppo di allievi presso la sua abitazione o nel giardino della stazione di polizia di Naha. La Seconda Guerra Mondiale rappresentò una tragedia immane per Okinawa e per il mondo del karate. Molti maestri e praticanti persero la vita, e con loro una parte inestimabile del sapere marziale. Miyagi stesso perse due figlie e il suo allievo più promettente, Jinan Shinzato.

Dopo la guerra, Miyagi riprese a insegnare, spinto dalla necessità di ricostruire non solo fisicamente, ma anche spiritualmente la sua terra. Tra gli allievi che si riunirono attorno a lui in questo periodo c’era un giovane poliziotto di nome Eiichi Miyazato. Miyazato si allenò con dedizione assoluta sotto la guida diretta del maestro, assorbendone non solo le tecniche, ma anche la filosofia e l’approccio all’insegnamento.

Alla morte di Chojun Miyagi nel 1953, non fu designato un successore ufficiale. Gli allievi anziani continuarono ad allenarsi insieme per un certo periodo, ma col tempo iniziarono a seguire percorsi diversi, fondando le proprie scuole. Fu in questo contesto che Eiichi Miyazato, ereditando il giardino-dojo del suo maestro, decise di fondare un luogo che potesse servire come faro per la preservazione degli insegnamenti originali di Miyagi. Nel 1957, diede a questo dojo il nome di Jundokan, “La casa dove si segue la via”, per sottolineare la sua missione di fedeltà al percorso tracciato dal fondatore. Il Jundokan divenne così il centro nevralgico per la trasmissione del Goju-ryu di Miyagi, attirando praticanti da tutto il mondo desiderosi di apprendere l’arte nella sua forma più pura e completa.

CHI È IL SUO FONDATORE, STORIA DEL FONDATORE

Il fondatore del Jundokan è il Gran Maestro Eiichi Miyazato (宮里 栄一, 1922-1999). La sua figura è di fondamentale importanza non solo per la nascita del Jundokan, ma per la continuità e la preservazione del Goju-ryu di Chojun Miyagi nel dopoguerra. Miyazato non è stato semplicemente un allievo, ma un vero e proprio erede spirituale e tecnico, un custode devoto dell’arte del suo maestro.

Nato il 5 luglio 1922 a Naha, Okinawa, Eiichi Miyazato iniziò il suo percorso nelle arti marziali in giovane età. Tuttavia, l’incontro che segnò la sua vita avvenne nel 1938, quando iniziò a studiare direttamente sotto la guida di Chojun Miyagi. In quel periodo, Miyagi era una figura leggendaria, e essere accettati come suoi allievi era un grande onore, riservato a pochi. Miyazato dimostrò fin da subito una dedizione e una serietà eccezionali, qualità che gli permisero di diventare uno degli “uchi-deshi” (allievi interni) più vicini al fondatore. Il suo allenamento era duro e rigoroso, svolto spesso nel famoso “garden dojo” di Miyagi. Oltre al karate, Miyazato praticò anche il Judo, raggiungendo un alto livello di competenza e diventando un campione in questa disciplina. Questa esperienza nel Judo arricchì la sua comprensione del combattimento a corta distanza e delle tecniche di proiezione, principi già presenti nel Goju-ryu ma che egli poté approfondire ulteriormente.

La sua carriera professionale si svolse nel corpo di polizia, dove si distinse per le sue capacità e il suo coraggio. Questo lavoro gli permise di comprendere l’applicazione pratica delle tecniche di autodifesa in contesti reali e pericolosi, un aspetto che influenzò profondamente il suo approccio all’insegnamento del karate, sempre orientato all’efficacia e al realismo.

Dopo la devastazione della Seconda Guerra Mondiale, Miyazato fu uno dei primi a tornare ad allenarsi con Chojun Miyagi, contribuendo a mantenere vivo il Goju-ryu in un periodo di estrema difficoltà. La morte di Miyagi nel 1953 lasciò un grande vuoto. Non essendoci un successore designato ufficialmente, la responsabilità di portare avanti l’eredità del maestro ricadde sulle spalle dei suoi allievi più anziani. Miyazato, riconosciuto da molti come l’allievo che aveva trascorso più tempo con Miyagi negli ultimi anni della sua vita, sentì profondamente questa responsabilità.

Nel 1954, la famiglia di Miyagi gli affidò l’attrezzatura da allenamento del maestro, incluso il prezioso hojo undo. Inizialmente, continuò a insegnare nel “garden dojo” di Miyagi. Successivamente, nel 1957, aprì il suo dojo, che chiamò Jundokan per simboleggiare l’impegno a seguire fedelmente la “via” del suo maestro. Sotto la sua guida, il Jundokan divenne famoso a livello internazionale come uno dei luoghi più autorevoli al mondo per lo studio del Goju-ryu tradizionale. Miyazato Sensei fu nominato 10° Dan Hanshi, il grado più elevato, e fu presidente di numerose associazioni di Karate di Okinawa. Fino alla sua morte, avvenuta l’11 dicembre 1999, ha dedicato la sua intera esistenza all’insegnamento e alla diffusione del Goju-ryu, enfatizzando sempre l’importanza del duro allenamento, della disciplina e dello sviluppo del carattere, incarnando pienamente lo spirito di un vero maestro di Budo. La sua eredità continua oggi attraverso il lavoro del figlio, Yoshihiro Miyazato, e degli innumerevoli maestri che si sono formati sotto la sua guida e che oggi insegnano in tutto il mondo.

MAESTRI/E/ATLETI/E I FAMOSI/E DI QUEST'ARTE

Il Jundokan ha prodotto un numero impressionante di maestri di altissimo livello che hanno contribuito in modo significativo alla diffusione e alla comprensione del Goju-ryu tradizionale in tutto il mondo. La fama di questi praticanti non è legata, nella maggior parte dei casi, a successi agonistici in competizioni sportive, poiché la filosofia del Jundokan è primariamente orientata all’arte marziale come percorso di vita (Budo) e alla difesa personale, piuttosto che allo sport (Shiai). La loro notorietà deriva dalla profondità della loro conoscenza, dalla loro abilità tecnica e dalla loro capacità di trasmettere gli insegnamenti di Eiichi Miyazato e, attraverso di lui, di Chojun Miyagi.

  • Teruo Chinen (1941-2015): Uno dei più famosi e influenti maestri di Goju-ryu al di fuori del Giappone. Chinen Sensei iniziò a praticare sotto la guida diretta di Chojun Miyagi all’età di 12 anni, poco prima della morte del fondatore. Continuò poi la sua formazione con Eiichi Miyazato al Jundokan. Nel 1969 si trasferì negli Stati Uniti, dove fondò la sua organizzazione, la Jundokan International. È stato fondamentale per la diffusione del Goju-ryu di Okinawa in Nord America e in Europa. Era noto per il suo carisma, la sua profonda conoscenza del Bunkai (applicazione dei kata) e il suo stile di insegnamento esigente ma appassionato.

  • Morio Higaonna (nato nel 1938): Sebbene abbia successivamente fondato la sua organizzazione, la IOGKF (International Okinawan Goju-ryu Karate-do Federation), Higaonna Sensei ha trascorso molti anni formativi allenandosi intensamente al Jundokan sotto la guida di Eiichi Miyazato e An’ichi Miyagi (un altro allievo diretto di Chojun Miyagi). È considerato da molti uno dei più grandi maestri viventi di Goju-ryu, famoso per la sua potenza fisica, la sua padronanza dei kata e la sua dedizione all’allenamento tradizionale con gli attrezzi (hojo undo). La sua influenza ha portato il Goju-ryu di Okinawa in quasi ogni angolo del globo.

  • Yoshihiro Miyazato (nato nel 1948): Figlio del fondatore Eiichi Miyazato, è l’attuale presidente (Kaicho) e direttore del dojo centrale Jundokan a Naha, Okinawa. Ha ereditato dal padre non solo la guida dell’organizzazione, ma anche la profonda responsabilità di preservare l’integrità del Goju-ryu. Sotto la sua direzione, il Jundokan continua a essere un punto di riferimento mondiale per la pratica ortodossa, mantenendo le porte aperte a praticanti seri provenienti da ogni nazione. La sua leadership è caratterizzata da umiltà e da una ferma aderenza ai metodi di allenamento tradizionali.

  • Masaji Taira (nato nel 1952): Un altro maestro di spicco formatosi al Jundokan. Taira Sensei è rinomato a livello internazionale per la sua incredibile abilità nell’analisi e nell’applicazione dei kata (Bunkai). Ha sviluppato un sistema di insegnamento del bunkai estremamente dettagliato e logico, che ha rivoluzionato il modo in cui molti praticanti comprendono le sequenze dei kata. Dopo aver insegnato per molti anni per il Jundokan, ha fondato la sua organizzazione, la Okinawa Goju-ryu Kenkyukai, per focalizzarsi sulla sua ricerca personale nelle applicazioni del Goju-ryu.

Questi sono solo alcuni dei nomi più noti, ma l’influenza del Jundokan si estende attraverso centinaia di altri maestri e dojo in tutto il mondo. Ognuno di loro, pur con il proprio stile di insegnamento e la propria personalità, condivide un comune lignaggio e un profondo rispetto per la tradizione trasmessa da Eiichi Miyazato. La loro fama non è effimera, ma costruita su decenni di allenamento, insegnamento e dedizione incrollabile alla “via” del Goju-ryu.

LEGGENDE, CURIOSITÀ, STORIE E ANEDDOTI

Il mondo del Karate di Okinawa, e in particolare una scuola tradizionale come il Jundokan, è ricco di storie e aneddoti che ne illustrano la filosofia e la profondità, spesso sfumando i confini tra storia e leggenda. Queste narrazioni servono a ispirare i praticanti e a trasmettere valori che vanno oltre la mera tecnica.

Una delle storie più significative riguarda la scelta del nome Goju-ryu. Come accennato, fu Chojun Miyagi a coniarlo ispirandosi a un passaggio del Bubishi. L’aneddoto racconta che, durante una dimostrazione in Giappone, a uno dei suoi studenti più anziani, Jinan Shinzato, venne chiesto il nome del suo stile. In imbarazzo, poiché non esisteva un nome formale, egli improvvisò “Anko-ryu” (scuola semi-dura). Al suo ritorno, Miyagi Sensei, comprendendo l’importanza di formalizzare l’identità della sua arte per farla accettare nel Budo giapponese, meditò sulla questione. La sua scelta non fu casuale, ma una profonda dichiarazione filosofica. Il nome Goju-ryu (scuola dura-morbida) incapsulava perfettamente l’essenza dello stile, basato sull’armonia degli opposti. Questo aneddoto sottolinea la lungimiranza di Miyagi e la sua capacità di unire tradizione e modernità.

Un’altra curiosità riguarda il “garden dojo” di Chojun Miyagi, il luogo dove si allenò anche Eiichi Miyazato. Non era un dojo nel senso moderno del termine, con un pavimento in legno lucido e specchi. Era, letteralmente, il giardino di casa sua. L’allenamento si svolgeva sulla terra battuta, sotto il sole cocente di Okinawa o sotto la pioggia. Questa condizione non era un limite, ma una parte integrante della formazione. Insegnava ai praticanti ad adattarsi, a sviluppare radici solide e a temprare il corpo e lo spirito contro le avversità. Quando Miyazato fondò il Jundokan, cercò di ricreare quello stesso spirito di allenamento duro e senza fronzoli.

Si narra che Eiichi Miyazato, grazie alla sua esperienza sia nel Judo che nel Karate, possedesse una capacità quasi sovrannaturale nel combattimento a corta distanza. Una storia, spesso raccontata dai suoi allievi, descrive come fosse in grado di proiettare a terra avversari molto più grandi di lui con movimenti minimi, quasi impercettibili. Non usava la forza bruta, ma un’applicazione magistrale dei principi di Ju (morbidezza), sfruttando lo squilibrio e la forza dell’avversario. Questi racconti servono a illustrare un principio fondamentale del Jundokan: la vera potenza non deriva dalla massa muscolare, ma da una comprensione profonda della biomeccanica, del tempismo e del flusso di energia.

Una leggenda affascinante riguarda il Kata Sanchin, il kata fondamentale del Goju-ryu. Si dice che Kanryo Higaonna lo avesse appreso in Cina e che la sua pratica quotidiana gli avesse conferito una resistenza fisica straordinaria. Un aneddoto racconta che Higaonna permetteva ai suoi allievi più forti di colpirlo con pugni e calci a piena potenza mentre eseguiva il kata, senza mostrare alcun segno di dolore o cedimento. Questa pratica, nota come shime, viene ancora oggi utilizzata nel Jundokan, sebbene con le dovute cautele, per testare la corretta contrazione muscolare, la postura e la respirazione ibuki. La leggenda serve a enfatizzare l’importanza di Sanchin non solo come sequenza di movimenti, ma come un vero e proprio esercizio di forgiatura del corpo e della mente, il pilastro su cui si regge l’intero stile.

Infine, una curiosità sul nome “Jundokan” stesso. La scelta di Miyazato Sensei di chiamare il suo dojo “La casa dove si segue la via” (順道館) fu un atto di profonda umiltà e rispetto. Non chiamò la scuola “Miyazato-ryu”, come sarebbe stato suo diritto fare. Invece, scelse un nome che metteva in primo piano la “Via” (Do) tracciata da Chojun Miyagi. Questo gesto definì la missione del Jundokan per le generazioni a venire: non essere i creatori di qualcosa di nuovo, ma i fedeli custodi di un’antica e preziosa tradizione.

TECNICHE DI QUEST'ARTE

Le tecniche del Jundokan sono quelle del Goju-ryu tradizionale, caratterizzate da un approccio completo e realistico al combattimento. Il sistema tecnico è vasto e copre tutte le distanze, con una particolare enfasi sullo scontro a distanza ravvicinata. Le tecniche possono essere suddivise in diverse categorie, tutte interconnesse e basate sul principio fondamentale dell’armonia tra “Go” (duro) e “Ju” (morbido).

1. Tecniche di Pugno (Tsuki Waza): Le tecniche di pugno del Jundokan sono dirette, potenti e mirano a punti vitali. Vengono eseguite con una rotazione dell’anca e una contrazione finale del corpo per massimizzare l’impatto.

  • Choku Zuki: Pugno diretto, la tecnica di base.
  • Kizami Zuki: Pugno con il braccio avanzato, più veloce ma meno potente.
  • Gyaku Zuki: Pugno sferrato con il braccio arretrato, il più potente.
  • Kagi Zuki: Pugno a gancio, eseguito a corta distanza.
  • Mawashi Zuki: Pugno circolare.
  • Uraken Uchi: Colpo con il dorso del pugno, rapido e a schiocco.
  • Shotei Uchi / Teisho Uchi: Colpo con la base del palmo, efficace per colpire punti sensibili come il mento o il naso.

2. Tecniche di Parata (Uke Waza): Le parate nel Jundokan non sono passive, ma attive. Spesso sono colpi a loro volta, e seguono traiettorie sia lineari che circolari per deviare, bloccare o controllare l’attacco avversario.

  • Age Uke: Parata ascendente, per attacchi al viso.
  • Soto Uke: Parata dall’esterno verso l’interno.
  • Uchi Uke: Parata dall’interno verso l’esterno.
  • Gedan Barai: Parata bassa, per attacchi alle gambe o al basso ventre.
  • Mawashi Uke: Parata circolare a due mani, una tecnica iconica del Goju-ryu che combina un blocco duro e uno morbido.
  • Kake Uke: Parata a uncino, utilizzata per agganciare e controllare il braccio dell’avversario.
  • Hiki Uke: Parata che tira, spesso usata per squilibrare l’avversario e preparare un contrattacco.

3. Tecniche di Calcio (Keri Waza): I calci nel Goju-ryu, e quindi nel Jundokan, sono generalmente mantenuti a un’altezza medio-bassa (gedan/chudan), privilegiando la stabilità e la potenza rispetto alla spettacolarità.

  • Mae Geri: Calcio frontale, sferrato con l’avampiede (koshi) o il tallone (kakato).
  • Mawashi Geri: Calcio circolare, colpendo con il collo del piede o l’avampiede.
  • Kansetsu Geri: Calcio alle articolazioni, tipicamente al ginocchio, una tecnica focalizzata sull’efficacia in autodifesa.
  • Mikazuki Geri: Calcio a mezzaluna, usato per deviare o colpire.
  • Kin Geri: Calcio ai genitali, una tecnica diretta di difesa personale.

4. Tecniche a Mano Aperta (Kaishu Waza): Il Goju-ryu fa un uso estensivo delle tecniche a mano aperta, che offrono una maggiore versatilità rispetto al pugno chiuso.

  • Nukite: Colpo con la punta delle dita, diretto a punti molli e vitali.
  • Haito Uchi: Colpo con il taglio della mano dal lato del pollice.
  • Shuto Uchi: “Mano a spada”, colpo con il taglio della mano dal lato del mignolo, una delle tecniche più rappresentative del karate.
  • Hiraken: Colpo con le seconde falangi delle dita.

5. Tecniche di Combattimento Ravvicinato (Muchimi e Tuite): Questo è forse l’aspetto più distintivo del Jundokan. Muchimi si riferisce alla qualità “appiccicosa” e pesante del contatto, la capacità di rimanere incollati all’avversario per sentirne i movimenti e controllarlo. Da qui si sviluppa il Tuite (o Torite), l’arte di afferrare, che include:

  • Leve articolari (Kansetsu Waza): Torsioni e iperestensioni su polsi, gomiti e spalle.
  • Proiezioni (Nage Waza): Tecniche per sbilanciare e gettare a terra l’avversario, spesso integrate direttamente nelle parate e nei contrattacchi.
  • Strangolamenti (Shime Waza).

Queste tecniche non vengono studiate separatamente, ma integrate attraverso la pratica dei Kata e delle loro applicazioni (Bunkai), e attraverso esercizi specifici come il Kakie, un esercizio a coppie per sviluppare sensibilità, equilibrio e la capacità di applicare le tecniche di Muchimi e Tuite in modo fluido e istintivo.

KATA

Nel Jundokan, come in tutto il Goju-ryu, i Kata (形, letteralmente “forma” o “modello”) sono il cuore del sistema. Non sono semplici sequenze di movimenti ginnici, ma rappresentano l’enciclopedia dell’arte, un testo in movimento che racchiude l’essenza delle tecniche, della strategia e della filosofia dello stile. Ogni kata è un combattimento simulato contro uno o più avversari immaginari e la sua pratica costante è fondamentale per lo sviluppo del praticante. I kata del Jundokan sono quelli del curriculum ufficiale del Goju-ryu, trasmessi da Chojun Miyagi e preservati fedelmente da Eiichi Miyazato.

I kata del Goju-ryu si possono suddividere in diverse categorie:

1. Kata Fondamentali (Kihon Kata):

  • Sanchin: Questo è il kata più importante del Goju-ryu. “Sanchin” significa “tre battaglie”, riferendosi alla battaglia per unificare mente, corpo e spirito. È un kata isometrico eseguito con una forte tensione muscolare e una respirazione profonda e sonora (ibuki). Il suo scopo primario non è il combattimento, ma lo sviluppo di una postura corretta, di un radicamento stabile, della resistenza fisica e mentale e della coordinazione tra movimento e respirazione. È la base su cui si costruisce tutta la potenza dello stile. Esistono due versioni: quella originale di Higaonna (a volte chiamata Sanchin Dai Ichi) e quella modificata da Miyagi (Sanchin Dai Ni), che è quella prevalentemente praticata.

  • Tensho: “Palmi rotanti” o “mani che ruotano”. Creato da Chojun Miyagi dopo i suoi studi in Cina, Tensho è il complemento “Ju” (morbido) del “Go” (duro) di Sanchin. Mentre Sanchin si concentra sulla forza e la stabilità, Tensho enfatizza la fluidità, la sensibilità e le tecniche a mano aperta. Combina movimenti circolari e morbidi con una respirazione profonda, insegnando il controllo fine della tensione e del rilassamento. Sanchin e Tensho sono considerati i due pilastri del Goju-ryu.

2. Kata di Base (Fukyu Kata):

  • Gekisai Dai Ichi e Gekisai Dai Ni: “Distruggere” o “Attaccare e distruggere”, numero uno e numero due. Questi due kata furono creati da Chojun Miyagi nel 1940 con uno scopo pedagogico: introdurre i principianti alle tecniche fondamentali di attacco e difesa in una sequenza più semplice e dinamica rispetto ai kata superiori. Includono pugni, parate e calci di base, e anche una tecnica di proiezione nel finale, introducendo fin da subito il concetto di completezza del sistema.

3. Kata Classici (Kaishu Kata): Questi sono i kata più antichi e complessi, ereditati da Kanryo Higaonna, che li apprese in Cina. Rappresentano il cuore del curriculum di combattimento del Goju-ryu. “Kaishu” significa “mano aperta”, indicando che, a differenza di Sanchin, la tensione non è costante ma varia, alternando contrazione e rilassamento.

  • Saifa: “Distruggere e fare a pezzi”. È il primo dei kata classici che si studia. Introduce tecniche di percussione a corta distanza e leve articolari.
  • Seiyunchin: “Controllare e tirare in battaglia”. È un kata caratterizzato dall’assenza totale di calci. Si concentra su posizioni basse e stabili (Shiko dachi) e su potenti tecniche di braccia, leve e proiezioni, simulando un combattimento a distanza ravvicinata o in una situazione di instabilità.
  • Shisochin: “Combattere in quattro direzioni”. Questo kata enfatizza le tecniche a mano aperta e i colpi a punti vitali, combinando movimenti lineari potenti con spostamenti circolari e fluidi.
  • Sanseru: “Trentasei”. Un kata che combina tecniche potenti a lunga e corta distanza, con cambi di direzione rapidi e complessi.
  • Sepai: “Diciotto”. È uno dei kata più avanzati, con un’ampia varietà di tecniche, incluse proiezioni, leve e movimenti evasivi complessi.
  • Kururunfa: “Mantenere la posizione e distruggere all’improvviso”. Un kata molto dinamico che insegna l’uso di movimenti elusivi e contrattacchi rapidi e devastanti a corta distanza.
  • Sesan: “Tredici”. Si ritiene sia uno dei kata più antichi del karate. Enfatizza il combattimento a distanza molto ravvicinata, con colpi potenti, leve e proiezioni.
  • Suparinpei: “Centootto”. È il kata più lungo e complesso del Goju-ryu. Rappresenta la summa dell’intero sistema e contiene una vasta gamma di tecniche e strategie di combattimento. Tradizionalmente, era l’ultimo kata ad essere insegnato.

La pratica di questi kata nel Jundokan è rigorosa e meticolosa. L’obiettivo non è solo imparare la sequenza, ma comprenderne ogni singolo movimento attraverso lo studio del Bunkai (l’applicazione pratica con un partner), per interiorizzare i principi di combattimento e la filosofia che essi contengono.

UNA TIPICA SEDUTA DI ALLENAMENTO

Una seduta di allenamento in un dojo Jundokan tradizionale è un’esperienza intensa e strutturata, progettata per sviluppare ogni aspetto del praticante: fisico, tecnico e mentale. L’atmosfera è seria, disciplinata e permeata di rispetto. Sebbene ogni maestro possa avere delle leggere variazioni, la struttura di base della lezione rimane fedele al metodo di insegnamento stabilito da Eiichi Miyazato.

La sessione inizia e finisce con il tradizionale cerimoniale del saluto (rei).

  1. Mokuso: La lezione comincia con un breve periodo di meditazione silenziosa in posizione di seiza (seduti sulle ginocchia). Gli allievi chiudono gli occhi e si concentrano sulla respirazione per liberare la mente dalle preoccupazioni della giornata e prepararsi mentalmente all’allenamento.
  2. Saluto: Al comando del senpai (l’allievo più anziano), si esegue il saluto formale (Shomen ni rei, saluto al lato d’onore del dojo, e Sensei ni rei, saluto al maestro). Viene recitato il Dojo Kun, il giuramento che ricorda i principi etici dell’arte marziale.

La parte centrale dell’allenamento si articola in diverse fasi:

  1. Junbi Undo (Esercizi di riscaldamento): Questa non è una semplice ginnastica, ma una serie di esercizi specifici del Goju-ryu, studiati per riscaldare e sciogliere ogni articolazione del corpo in modo sistematico, dalle dita dei piedi fino al collo. L’obiettivo è preparare il corpo allo sforzo, aumentare la flessibilità e prevenire infortuni.

  2. Kihon (Fondamentali): Questa fase è dedicata alla pratica ripetitiva delle tecniche di base. Gli allievi, solitamente in riga e muovendosi all’unisono, eseguono centinaia di volte le tecniche fondamentali: pugni (tsuki), parate (uke), calci (keri) e posizioni (dachi). L’enfasi è sulla corretta forma, sulla generazione di potenza attraverso l’uso di tutto il corpo (fianchi, gambe, schiena) e sulla coordinazione. Il maestro corregge meticolosamente ogni dettaglio, poiché una base solida è considerata essenziale per qualsiasi progresso futuro.

  3. Kata (Forme): Questa è una parte cruciale dell’allenamento. A seconda del livello, gli allievi praticano i loro kata individualmente o in gruppo. Si inizia quasi sempre con i kata fondamentali, Sanchin e/o Tensho, per sviluppare la corretta respirazione, tensione e stabilità. Successivamente, si passa ai Kaishu Kata. Il maestro non si limita a far eseguire la sequenza, ma spesso si sofferma su singoli passaggi, spiegandone i dettagli tecnici e i principi sottostanti.

  4. Bunkai e Kakie (Applicazioni e Esercizi a coppie): La comprensione dei kata viene approfondita attraverso il Bunkai, l’applicazione pratica delle tecniche con uno o più partner. Il Jundokan è noto per un approccio al bunkai realistico e non coreografato. Inoltre, viene praticato il Kakie, un esercizio di “mani appiccicose” in cui due praticanti, a contatto con gli avambracci, si spingono e tirano a vicenda. Il Kakie è fondamentale per sviluppare la sensibilità (muchimi), l’equilibrio, la capacità di sentire le intenzioni dell’avversario e di applicare tecniche di leva, proiezione e sbilanciamento a corta distanza.

  5. Hojo Undo (Allenamento con attrezzi tradizionali): Una caratteristica distintiva del Goju-ryu di Okinawa. Gli allievi utilizzano una serie di attrezzi specifici per sviluppare la forza funzionale e condizionare il corpo. Tra questi vi sono:

    • Chi’ishi: “Lucchetti di pietra”, pesi sbilanciati per rinforzare polsi, avambracci e spalle.
    • Nigiri Game: Giare pesanti da afferrare per rinforzare la presa.
    • Ishi Sashi: Pesi a forma di lucchetto tenuti in mano.
    • Makiwara: Un palo di legno avvolto in paglia di riso, utilizzato per colpire ripetutamente al fine di condizionare le nocche, sviluppare la potenza e perfezionare la tecnica del pugno.

La lezione si conclude tornando al cerimoniale. 8. Cool-down e Mokuso finale: Brevi esercizi di defaticamento seguiti da un altro momento di meditazione mokuso per calmare il corpo e la mente e riflettere sull’allenamento svolto. 9. Saluto finale: Si ripete il rito del saluto, ringraziando il maestro e i compagni di pratica.

Questo tipo di allenamento è esigente e richiede grande disciplina e perseveranza, ma è considerato l’unico modo per apprendere il Goju-ryu nella sua interezza e profondità.

GLI STILI E LE SCUOLE

Parlare di “stili” all’interno del Jundokan è concettualmente improprio, poiché la missione fondamentale del Jundokan è proprio quella di preservare un unico stile, il Goju-ryu di Chojun Miyagi, nella sua forma più ortodossa e pura. Il Jundokan non è uno stile a sé, ma una delle principali “scuole” (kan) o “lineage” del Goju-ryu.

Tuttavia, dopo la morte di Chojun Miyagi nel 1953, la mancanza di un successore ufficialmente designato portò diversi dei suoi allievi anziani a intraprendere percorsi di insegnamento indipendenti. Questo ha dato origine a diverse scuole o organizzazioni di Goju-ryu, ognuna delle quali rivendica un lignaggio diretto dal fondatore. Pur condividendo lo stesso nucleo di kata e tecniche, queste scuole possono presentare leggere differenze nell’enfasi, nella metodologia di insegnamento o nell’interpretazione di alcune tecniche.

Le principali scuole di Goju-ryu di Okinawa che discendono da Chojun Miyagi, oltre al Jundokan, includono:

  • Meibukan: Fondata da Meitoku Yagi, un altro allievo anziano di Chojun Miyagi. La famiglia Yagi fu la prima a ricevere formalmente il grado di 10° Dan e la cintura dalla famiglia Miyagi dopo la morte del fondatore. Il Meibukan ha un curriculum leggermente diverso, che include alcuni kata creati da Yagi Sensei basati sui principi del Goju-ryu.

  • Shorei-kan: Fondata da Seikichi Toguchi. Toguchi Sensei fu un allievo di Chojun Miyagi e anche di Sekō Higa (un altro importante allievo di Higaonna e Miyagi). È noto per aver sviluppato una serie di “Bunkai” coreografati e di “Kihon Kata” per facilitare l’apprendimento degli studenti, un approccio più sistematico e moderno rispetto alla metodologia più tradizionale del Jundokan.

  • IOGKF (International Okinawan Goju-ryu Karate-do Federation): Fondata da Morio Higaonna. Come già menzionato, Higaonna Sensei si è formato per molti anni al Jundokan sotto la guida di Eiichi Miyazato. La sua organizzazione è una delle più grandi e diffuse al mondo. Sebbene il lignaggio tecnico provenga in gran parte dal Jundokan, la IOGKF opera come entità indipendente con un proprio sistema di gradi e una propria struttura internazionale. L’enfasi è posta su un allenamento fisico estremamente duro e sulla preservazione delle tradizioni di Okinawa.

  • Altri Dojo e Scuole: Esistono numerose altre linee di Goju-ryu che traggiano la loro origine dagli allievi di Miyagi, come la scuola di Seiko Higa o quella di Gogen Yamaguchi in Giappone (la cui linea, chiamata Goju-Kai, presenta differenze più marcate rispetto allo stile di Okinawa).

All’interno della stessa organizzazione Jundokan, non esistono “stili” diversi. L’insegnamento è standardizzato e fa capo al dojo centrale (Hombu Dojo) di Naha, Okinawa, attualmente diretto da Yoshihiro Miyazato. Tuttavia, è naturale che maestri diversi possano avere un “sapore” o un’enfasi leggermente differente nel loro insegnamento, basato sulla propria esperienza personale, sulla propria costituzione fisica e sulla propria interpretazione dei principi. Ad esempio, un maestro potrebbe essere particolarmente rinomato per la sua conoscenza del Bunkai, un altro per la sua potenza nel Kata Sanchin, e un altro ancora per la sua abilità nel Kakie.

Queste non sono differenze di “stile”, ma sfumature personali all’interno di un sistema tecnico e filosofico unificato. La forza del Jundokan risiede proprio in questa coerenza: un praticante di un dojo Jundokan in Italia può recarsi in un dojo Jundokan in Australia o in Giappone e trovare lo stesso curriculum di kata, gli stessi esercizi di Hojo Undo e la stessa filosofia di base, garantendo una continuità e un’autenticità uniche nel panorama del karate mondiale.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

La diffusione del Jundokan e del Goju-ryu di Okinawa in Italia è il risultato del lavoro appassionato di maestri che, a partire dagli anni ’70 e ’80, si sono recati a Okinawa per studiare direttamente sotto la guida di Eiichi Miyazato e dei suoi allievi anziani, come Teruo Chinen. Di conseguenza, il panorama italiano è composto da diverse organizzazioni e dojo che, pur facendo capo allo stesso lignaggio, possono avere affiliazioni internazionali differenti.

Essere imparziali significa riconoscere che non esiste un unico “ente rappresentante” ufficiale del Jundokan in Italia che sia universalmente riconosciuto da tutte le scuole. Diverse associazioni operano sul territorio, ciascuna con la propria struttura e il proprio collegamento con Okinawa o con le organizzazioni internazionali derivate dal Jundokan.

Una delle organizzazioni storiche e più radicate che segue gli insegnamenti del Jundokan attraverso il lignaggio del Maestro Teruo Chinen è la Jundokan International. Dopo la scomparsa di Chinen Sensei nel 2015, i suoi allievi più anziani in tutto il mondo hanno continuato a portare avanti il suo insegnamento. In Italia, questo lignaggio è rappresentato da diversi dojo e maestri che mantengono contatti con la struttura internazionale.

Un’altra importante realtà è costituita dai dojo e dalle associazioni che fanno riferimento diretto all’Okinawa Goju-ryu Karate-do So-Honbu Jundokan di Naha, guidato da Yoshihiro Miyazato. Questi gruppi mantengono un legame diretto con il dojo centrale di Okinawa, partecipando a seminari internazionali e, in alcuni casi, ospitando maestri giapponesi in Italia.

È inoltre importante menzionare la presenza della IOGKF Italia (International Okinawan Goju-ryu Karate-do Federation). Sebbene, come detto, sia un’organizzazione indipendente, il suo fondatore Morio Higaonna ha radici profonde nel Jundokan. La IOGKF è molto ben strutturata in Italia e nel mondo, con un proprio referente nazionale e un sito web ben definito.

Per un praticante che desidera avvicinarsi al Jundokan in Italia, la ricerca dovrebbe concentrarsi sui singoli dojo e sui maestri che li guidano. È fondamentale verificare il lignaggio del maestro, i suoi collegamenti con Okinawa e la sua affiliazione.

Per trovare un dojo o un’associazione, si consiglia di:

  1. Ricerca Online Specifica: Utilizzare termini di ricerca come “Jundokan Italia”, “Goju-ryu Jundokan [nome della città]”, “Okinawa Goju-ryu Italia”. Questo permette di trovare i siti web dei singoli dojo o delle associazioni nazionali.

  2. Siti delle Organizzazioni Internazionali: Spesso i siti web delle organizzazioni madri (come la Jundokan International o l’Okinawa Goju-ryu Karate-do So-Honbu Jundokan, sebbene quest’ultimo possa non avere un elenco dettagliato dei dojo esteri) hanno una sezione dedicata ai dojo affiliati nel mondo.

  3. Contatti Diretti: Una volta individuata un’associazione o un dojo, è consigliabile contattarli direttamente per ottenere informazioni.

A titolo informativo e non esaustivo, ecco un esempio di contatto per una delle principali organizzazioni di Goju-ryu di Okinawa presenti in Italia, la IOGKF, data la sua chiara struttura di riferimento:

  • Organizzazione: IOGKF Italia
  • Sito Web: È possibile trovare il sito ufficiale cercando “IOGKF Italia” su un motore di ricerca. I siti web delle organizzazioni marziali vengono aggiornati, quindi una ricerca diretta fornisce il risultato più attuale. Tipicamente, il sito contiene l’elenco dei dojo autorizzati, i contatti del referente nazionale e le informazioni sugli eventi.
  • Email: Generalmente disponibile nella sezione “Contatti” del sito web ufficiale.

Per le altre scuole che si richiamano più direttamente al Jundokan di Miyazato o al lignaggio di Chinen, la struttura potrebbe essere meno centralizzata. La ricerca dei singoli maestri e dei loro dojo, verificandone la storia e l’affiliazione, rimane l’approccio più efficace.

TERMINOLOGIA TIPICA

La terminologia utilizzata nel Jundokan è quella standard del Karate giapponese, con alcune specificità legate al Goju-ryu e alla cultura di Okinawa. Conoscere questi termini è fondamentale per comprendere gli insegnamenti del maestro e per immergersi pienamente nella pratica.

Termini Generali del Dojo:

  • Dojo: Luogo dove si segue la Via; la palestra.
  • Sensei: Maestro, insegnante.
  • Senpai: Allievo anziano o di grado superiore.
  • Kohai: Allievo più giovane o di grado inferiore.
  • Shomen: Lato d’onore del dojo, dove solitamente si trova il ritratto del fondatore.
  • Rei: Saluto, rispetto.
  • Seiza: Posizione seduta formale, sulle ginocchia.
  • Mokuso: Meditazione silenziosa.
  • Yoi: Prepararsi, mettersi in posizione di attesa.
  • Hajime: Iniziare.
  • Yame: Fermarsi.
  • Kiai: Urlo esterno, unione di energia e spirito.
  • Ki: Energia interna, vitale.

Numeri:

  • Ichi: Uno
  • Ni: Due
  • San: Tre
  • Shi / Yon: Quattro
  • Go: Cinque
  • Roku: Sei
  • Shichi / Nana: Sette
  • Hachi: Otto
  • Ku / Kyu: Nove
  • Ju: Dieci

Parti del Corpo:

  • Jodan: Livello alto (viso, testa).
  • Chudan: Livello medio (tronco).
  • Gedan: Livello basso (dalle anche in giù).
  • Te: Mano.
  • Ashi: Piede, gamba.
  • Koshi: Avampiede (palla del piede).
  • Kakato: Tallone.
  • Hiza: Ginocchio.
  • Empi / Hiji: Gomito.
  • Atama: Testa.

Tecniche (Waza):

  • Tsuki / Zuki: Pugno.
  • Uke: Parata.
  • Uchi: Percossa.
  • Keri / Geri: Calcio.
  • Dachi: Posizione.
  • Bunkai: Analisi e applicazione delle tecniche di un kata.
  • Kihon: Tecniche fondamentali.
  • Kata: Forma, sequenza.
  • Kumite: Combattimento (con un partner).

Termini Specifici del Goju-ryu / Jundokan:

  • Go: Duro, forte.
  • Ju: Morbido, cedevole.
  • Ibuki: Respirazione sonora e forzata, tipica del kata Sanchin.
  • Nogare: Respirazione naturale e silenziosa.
  • Hojo Undo: Esercizi di condizionamento con attrezzi tradizionali.
  • Makiwara: Palo per colpire, fondamentale per l’allenamento.
  • Chi’ishi: “Lucchetti di pietra”, attrezzo per la forza.
  • Nigiri Game: Giare per la presa.
  • Kakie: Esercizio a coppie di “mani appiccicose” per sviluppare la sensibilità.
  • Muchimi: Qualità “appiccicosa” e pesante del contatto a corta distanza.
  • Tuite / Torite: “Mani che afferrano”, tecniche di leva e controllo.
  • Shime: Test di contrazione e resistenza durante l’esecuzione del kata Sanchin.
  • Kaishu: “Mano aperta”, si riferisce ai kata più avanzati.
  • Heishu: “Mano chiusa”, si riferisce ai kata come Sanchin dove la tensione è costante.
  • Jundokan: “La casa dove si segue la via”.

La comprensione di questa terminologia non è un mero esercizio di memoria, ma un passo essenziale per capire la logica e la filosofia che animano ogni movimento e ogni esercizio praticato nel dojo.

ABBIGLIAMENTO

L’abbigliamento utilizzato per la pratica del Jundokan è il tradizionale Karate-gi (o Keikogi), comunemente chiamato “kimono” in Occidente, sebbene questo termine sia improprio. Il Gi è più di una semplice uniforme; è un simbolo di dedizione, pulizia e rispetto per il dojo, per il maestro e per i compagni di pratica. Deve essere sempre tenuto pulito e in ordine.

Il Karate-gi è composto da tre elementi:

  1. Uwagi (Giacca): La giacca del Karate-gi è realizzata in tela di cotone robusta, solitamente bianca. Il colore bianco simboleggia la purezza, l’umiltà e l’assenza di ego, principi fondamentali nelle arti marziali tradizionali. La stoffa può avere grammature (pesantezze) diverse. I principianti possono usare un gi più leggero e economico, mentre i praticanti avanzati spesso preferiscono un gi più pesante (“heavyweight”), che offre una maggiore resistenza, un “suono” migliore durante l’esecuzione delle tecniche e una sensazione di maggiore consistenza. La giacca si indossa incrociando il bavero sinistro sopra il destro.

  2. Zubon (Pantaloni): I pantaloni sono anch’essi in tela di cotone bianca, larghi e comodi per non ostacolare i movimenti ampi delle gambe e le posizioni basse tipiche del Goju-ryu. Sono sorretti in vita da una coulisse tradizionale o, nei modelli più moderni, da un elastico e un laccio. La lunghezza ideale è quella che arriva alla caviglia o leggermente sopra, per non inciampare durante gli spostamenti.

  3. Obi (Cintura): La cintura ha un duplice scopo: pratico, quello di tenere chiusa la giacca, e simbolico, quello di indicare il grado e l’esperienza del praticante. Nel Jundokan, come nella maggior parte delle scuole di karate tradizionale, il sistema di colori delle cinture (kyu per i gradi inferiori, dan per i gradi superiori o cinture nere) segue una progressione che va dai colori chiari a quelli scuri.

    • Principianti (Mudansha): Iniziano con la cintura bianca (6° Kyu), per poi progredire attraverso vari colori (giallo, arancione, verde, blu, marrone), anche se la sequenza esatta può variare leggermente a seconda del dojo o dell’associazione nazionale.
    • Esperti (Yudansha): Raggiunto il livello di cintura nera, si inizia la progressione dei Dan. La cintura nera (kuro obi) rappresenta non un punto di arrivo, ma l’inizio del vero apprendimento. I gradi Dan vanno dal 1° (Shodan) al 10° (Judan). I gradi più alti (solitamente dal 6° Dan in su) possono talvolta indossare una cintura a bande bianche e rosse (kohaku obi) o rossa (aka obi) in occasioni cerimoniali, per indicare il loro status di maestri di alto livello (Hanshi, Kyoshi, Renshi).

Non sono ammessi gioielli, orologi o altri accessori durante la pratica per motivi di sicurezza, sia per chi li indossa sia per i compagni di allenamento. Si pratica a piedi nudi, per favorire il contatto diretto con il suolo, il radicamento e lo sviluppo di una corretta postura. L’abbigliamento semplice e uniforme per tutti gli allievi (ad eccezione del colore della cintura) sottolinea un principio filosofico importante: all’interno del dojo, le differenze sociali e professionali del mondo esterno vengono lasciate fuori. Tutti sono uguali di fronte all’impegno e alla fatica dell’allenamento.

ARMI

Il Jundokan, in quanto scuola di Karate-do (Via della Mano Vuota), si concentra primariamente sull’addestramento a mani nude. Le tecniche di pugno, calcio, parata, leva e proiezione costituiscono il nucleo del sistema. Tuttavia, la tradizione marziale di Okinawa è caratterizzata da una stretta connessione tra le arti del combattimento disarmato e quelle che prevedono l’uso di armi, una disciplina nota come Kobudo (古武道, “antiche arti marziali”).

Sebbene il curriculum ufficiale del Jundokan Goju-ryu non includa l’insegnamento formale delle armi come parte integrante del percorso per ottenere i gradi di karate, la pratica del Kobudo di Okinawa è considerata un’arte complementare e storicamente affine. Molti maestri di Goju-ryu, incluso lo stesso Eiichi Miyazato, avevano una conoscenza approfondita anche del Kobudo. Non è raro, quindi, che all’interno o a fianco di un dojo Jundokan, maestri qualificati offrano corsi di Kobudo a quegli studenti che hanno già raggiunto un livello avanzato nella pratica a mani nude.

La logica di questa affinità è profonda:

  1. Origini Comuni: Molte delle armi del Kobudo di Okinawa non sono armi convenzionali come spade o lance, ma attrezzi agricoli o di uso quotidiano (un bastone, un falcetto, un attrezzo per macinare il riso) che la popolazione, a cui era vietato portare armi, adattò per l’autodifesa. Questa origine “civile” è la stessa del Karate.
  2. Principi Biomeccanici Simili: I movimenti del corpo richiesti per maneggiare efficacemente un’arma del Kobudo – come l’uso delle anche per generare potenza, il mantenimento di posizioni stabili e gli spostamenti fluidi – sono gli stessi del karate. La pratica con le armi può quindi migliorare la comprensione e l’esecuzione delle tecniche a mani nude, e viceversa. L’arma diventa un’estensione del corpo.

Le armi principali del Kobudo di Okinawa, la cui pratica può affiancare quella del Jundokan, includono:

  • Bo: Un bastone di legno lungo circa 182 cm (sei shaku). È l’arma fondamentale del Kobudo e richiede forza, coordinazione e fluidità. Le sue tecniche includono colpi, parate e spinte.
  • Sai: Un tridente di metallo, solitamente usato in coppia (a volte con un terzo Sai nascosto nella cintura). È un’arma primariamente difensiva, usata per bloccare, intrappolare e disarmare un avversario armato (ad esempio di spada o di Bo), ma anche per colpire di punta o di pomo.
  • Tonfa (o Tuifa): Un’arma di legno che in origine era il manico di una macina. Si usa in coppia e le sue tecniche sono estremamente versatili, includendo parate, colpi rotanti e diretti. La sua forma è alla base del moderno manganello da polizia.
  • Nunchaku: Due bastoni corti uniti da una corda o catena, originariamente un attrezzo per trebbiare il riso. Reso famoso a livello mondiale dal cinema, è un’arma difficile da padroneggiare che sviluppa grande coordinazione e velocità.
  • Kama: Un falcetto per tagliare il riso, usato in coppia. È un’arma molto pericolosa che richiede grande controllo, con tecniche di taglio e aggancio.
  • Eku: Un remo di legno. Le sue tecniche derivano dai movimenti dei pescatori di Okinawa e sfruttano la lunghezza e il peso dell’attrezzo per potenti colpi circolari e spinte con la sabbia.

La pratica di queste armi, per uno studente di Jundokan, rappresenta un arricchimento del proprio percorso marziale, un modo per connettersi più profondamente con la storia e la cultura guerriera di Okinawa e per comprendere l’universalità di certi principi di combattimento, validi sia a mani nude che con un’arma in pugno.

A CHI È INDICATO E A CHI NO

Il Jundokan, come espressione tradizionale del Goju-ryu di Okinawa, è un’arte marziale profonda e impegnativa. La sua idoneità dipende più dalle attitudini e dagli obiettivi dell’individuo che da caratteristiche fisiche predefinite come età, sesso o corporatura.

A CHI È INDICATO:

  • A chi cerca un’arte marziale tradizionale e completa: Il Jundokan non è uno sport da combattimento. È un sistema olistico che include tecniche di percussione, leve, proiezioni, allenamento fisico, sviluppo mentale e una solida base filosofica. È indicato per chi è affascinato dalla cultura del Budo e cerca un percorso di crescita personale, non solo un metodo per fare a botte.
  • A persone pazienti e perseveranti: Il progresso nel Jundokan è lento e richiede anni di pratica costante e ripetitiva. Non ci sono scorciatoie. È perfetto per chi apprezza il valore della disciplina, della dedizione e del lavoro meticoloso sui dettagli. Chi cerca risultati immediati o gratificazioni rapide rimarrà probabilmente deluso.
  • A chi è interessato all’autodifesa realistica: L’enfasi del Jundokan è sull’efficacia in un contesto di difesa personale. Le tecniche vengono studiate per la loro applicabilità in situazioni reali, a corta distanza, dove non ci sono regole né arbitri. È quindi adatto a chi vuole imparare a difendersi in modo pratico e senza fronzoli.
  • A chi vuole migliorare la propria condizione fisica e mentale: L’allenamento è esigente. Sviluppa forza, resistenza, flessibilità, equilibrio e coordinazione. La pratica dei kata e della respirazione migliora la concentrazione, la calma sotto pressione e l’autocontrollo. È un ottimo modo per forgiare non solo un corpo forte, ma anche un carattere resiliente.
  • A persone di ogni età e sesso: Sebbene l’allenamento sia duro, può essere adattato alle capacità individuali. Non è richiesta una forza erculea, poiché i principi del “Ju” (morbidezza) insegnano a usare la forza dell’avversario a proprio vantaggio. Donne, uomini, giovani e persone più mature possono praticare con profitto, ciascuno traendo benefici diversi.

A CHI NON È INDICATO (O POTREBBE TROVARSI A DISAGIO):

  • A chi cerca primariamente uno sport da competizione: Se l’obiettivo principale è vincere medaglie e gareggiare in tornei di karate sportivo (sia kumite che kata), il Jundokan potrebbe non essere la scelta ideale. Sebbene alcuni praticanti possano partecipare a competizioni, il focus dell’insegnamento è altrove. Le regole sportive spesso limitano o escludono le tecniche più caratteristiche del Goju-ryu (come i colpi a punti vitali, le leve e le tecniche a corta distanza).
  • A chi vuole imparare a combattere in fretta: Il Jundokan è un percorso lungo una vita. Richiede la costruzione di fondamenta solide attraverso la pratica ripetuta dei kihon e dei kata. Chi ha fretta e vuole solo imparare qualche “trucco” da strada troverà l’approccio del Jundokan lento e forse noioso.
  • A chi non ama la disciplina e la formalità: Un dojo di Jundokan è un ambiente strutturato con regole precise, etichetta (saluto, rispetto per i gradi) e una forte enfasi sulla disciplina. Chi cerca un ambiente informale, simile a una normale palestra, potrebbe sentirsi a disagio.
  • A chi non è disposto a sopportare un certo livello di fatica e disagio: L’allenamento è duro. Prevede condizionamento fisico (hojo undo, makiwara), pratica intensa e sudore. Richiede di superare i propri limiti. Non è un’attività “soft”.
  • A chi cerca tecniche acrobatiche e spettacolari: I movimenti del Jundokan sono efficienti, potenti e radicati a terra. Non ci sono calci volanti alti o sequenze coreografiche appariscenti come in altri stili o nelle versioni cinematografiche delle arti marziali. La sua estetica risiede nell’efficacia e nella potenza, non nella spettacolarità.

In sintesi, il Jundokan è una scelta eccellente per chi cerca profondità, autenticità e un percorso marziale che plasmi la persona nella sua interezza, ma richiede un impegno serio e a lungo termine.

CONSIDERAZIONI PER LA SICUREZZA

La pratica del Jundokan, come di qualsiasi arte marziale, comporta un rischio intrinseco di infortuni. Tuttavia, in un dojo tradizionale e sotto la guida di un insegnante qualificato, la sicurezza è una priorità assoluta e viene promossa attraverso una serie di regole, pratiche e un’attitudine mentale specifica. L’obiettivo è allenarsi duramente e realisticamente, ma in modo intelligente e controllato per garantire la longevità della pratica.

Le principali considerazioni per la sicurezza includono:

  1. La Qualifica del Maestro (Sensei): La prima e più importante misura di sicurezza è scegliere una scuola guidata da un insegnante competente e responsabile. Un buon maestro conosce l’anatomia e la biomeccanica, sa come strutturare una lezione in modo progressivo e sicuro, e soprattutto insegna il controllo e il rispetto. È fondamentale verificare il suo lignaggio e la sua esperienza.

  2. Riscaldamento e Defaticamento (Junbi Undo): Saltare il riscaldamento è una delle cause principali di infortuni muscolari e articolari. Gli esercizi di Junbi Undo nel Jundokan sono specificamente progettati per preparare ogni parte del corpo allo sforzo intenso dell’allenamento. Allo stesso modo, una fase di defaticamento alla fine della lezione aiuta il corpo a recuperare e riduce l’indolenzimento muscolare.

  3. Progressione Graduale: Nessun allievo viene spinto a eseguire tecniche avanzate senza prima aver padroneggiato le basi. Il sistema dei gradi (kyu/dan) serve anche a questo: garantire che la pratica a coppie e l’intensità dell’allenamento siano adeguate al livello di esperienza e controllo del praticante. Un principiante non si allenerà mai con la stessa intensità di una cintura nera.

  4. Controllo nelle Tecniche a Coppie (Kumite, Bunkai): Durante la pratica con un partner, il controllo è essenziale. L’obiettivo non è “vincere” o fare male al compagno, ma imparare. Le tecniche vengono eseguite a una velocità e con un’intensità commisurate all’esercizio e al livello degli allievi. I colpi vengono portati con precisione ma fermati a poca distanza dal bersaglio (salvo esercizi specifici su protezioni).

  5. Corretto Utilizzo degli Attrezzi (Hojo Undo): L’uso di attrezzi come il makiwara, i chi’ishi o le nigiri game deve essere supervisionato da un insegnante. Un uso scorretto può portare a infortuni seri alle articolazioni o ai tendini. Il condizionamento del corpo deve essere un processo lento e graduale, che dura anni, non settimane. Colpire il makiwara senza una tecnica corretta è un modo sicuro per danneggiarsi le mani.

  6. Igiene e Cura del Dojo: Un dojo pulito previene infezioni. Si pratica a piedi nudi, quindi il pavimento deve essere mantenuto in condizioni igieniche ottimali. Anche l’igiene personale è importante. Le unghie di mani e piedi devono essere tenute corte per non graffiare i partner.

  7. Assenza di Gioielli e Accessori: Come già menzionato, orologi, anelli, orecchini e piercing devono essere rimossi prima dell’allenamento per evitare di ferire sé stessi o gli altri.

  8. Ascoltare il Proprio Corpo: Sebbene la pratica richieda di superare i propri limiti, è fondamentale imparare a distinguere tra la normale fatica dell’allenamento e il dolore che segnala un infortunio. Allenarsi nonostante un infortunio può solo peggiorare la situazione. È importante comunicare qualsiasi problema fisico al maestro.

  9. Rispetto Reciproco: La sicurezza è anche una responsabilità condivisa. Ogni praticante deve avere il massimo rispetto per l’incolumità dei propri compagni di allenamento. Questa attitudine mentale, instillata fin dalla prima lezione, è la più importante forma di prevenzione. L’ego e l’aggressività non hanno posto in un dojo tradizionale.

Seguendo questi principi, la pratica del Jundokan può essere un’attività sicura e salutare per tutta la vita.

CONTROINDICAZIONI

Sebbene il Jundokan possa essere praticato da un’ampia gamma di persone, esistono alcune condizioni mediche o situazioni per le quali la pratica potrebbe essere controindicata o richiedere particolari precauzioni e un parere medico preventivo. È fondamentale essere onesti riguardo alla propria condizione di salute con il maestro e con il proprio medico.

Le principali controindicazioni possono essere suddivise in assolute e relative.

Controindicazioni Assolute (la pratica è generalmente sconsigliata):

  • Gravi Patologie Cardiache: Condizioni come cardiomiopatie severe, rischio elevato di infarto, aritmie non controllate. L’allenamento nel Jundokan è spesso intenso e può includere picchi di sforzo cardiovascolare che potrebbero essere pericolosi per chi soffre di queste patologie.
  • Gravi Patologie Neurologiche Degenerative: Malattie come la SLA in fase avanzata o altre condizioni che compromettono gravemente il controllo motorio e l’equilibrio.
  • Instabilità Articolare Grave: Sindromi come quella di Ehlers-Danlos a un livello severo, o gravi traumi articolari non risolti che comportano un rischio elevato di lussazioni. Le tecniche di leva e proiezione potrebbero essere estremamente rischiose.
  • Epilessia non Controllata Farmacologicamente: L’iperventilazione (che può verificarsi durante la respirazione ibuki o uno sforzo intenso) o un colpo accidentale alla testa potrebbero scatenare una crisi.

Controindicazioni Relative (la pratica potrebbe essere possibile, ma solo dopo consulto medico e con specifiche precauzioni):

  • Problemi alla Schiena: Ernie del disco, protrusioni, scoliosi grave o spondilolistesi. Molte posizioni e rotazioni del busto potrebbero aggravare queste condizioni. Potrebbe essere necessario modificare o evitare certi esercizi. Un medico specialista (ortopedico, fisiatra) deve dare il via libera.
  • Problemi Articolari Cronici: Artrosi o artrite a ginocchia, anche o spalle. L’impatto dei salti o dei calci e le posizioni basse potrebbero essere dolorosi o dannosi. Potrebbe essere possibile praticare con un’intensità ridotta e con un focus maggiore sugli aspetti “Ju” (morbidi) dello stile.
  • Ipertensione Arteriosa: Sebbene l’attività fisica regolare sia benefica per l’ipertensione, esercizi isometrici ad alta intensità e la respirazione forzata (come nel kata Sanchin) possono causare picchi di pressione pericolosi. È essenziale il parere del cardiologo e un monitoraggio costante.
  • Gravidanza: La pratica è generalmente sconsigliata durante la gravidanza, specialmente dopo il primo trimestre, a causa del rischio di cadute, colpi all’addome e dell’aumento della lassità legamentosa.
  • Recenti Interventi Chirurgici o Infortuni: È necessario attendere il completamento del percorso riabilitativo e avere l’approvazione del medico o del fisioterapista prima di riprendere o iniziare la pratica.
  • Problemi alla Retina: Per chi ha subito distacchi di retina o ha una miopia molto elevata, i colpi (anche se controllati) e le contrazioni intense che aumentano la pressione intraoculare potrebbero rappresentare un rischio.

È importante sottolineare che un buon maestro, informato di una condizione medica preesistente, sarà in grado di adattare l’allenamento alle esigenze dell’allievo, consigliandogli di evitare determinati esercizi e ponendo maggiore attenzione alla sua sicurezza. La comunicazione trasparente tra allievo, maestro e medico è la chiave per una pratica sicura e proficua anche in presenza di limitazioni fisiche. L’obiettivo dell’arte marziale non è creare infortuni, ma migliorare il benessere generale della persona.

CONCLUSIONI

Il Jundokan rappresenta molto più di una semplice collezione di tecniche di combattimento; è un’eredità culturale e un percorso di vita. Nato dalla volontà del Maestro Eiichi Miyazato di preservare nella sua forma più pura e autentica il Goju-ryu del suo insegnante, il leggendario Chojun Miyagi, il Jundokan si erge come un baluardo della tradizione marziale di Okinawa. La sua filosofia, incapsulata nel nome stesso “La casa dove si segue la via”, sottolinea che lo scopo ultimo della pratica non è la supremazia sull’altro, ma il perfezionamento del sé.

Attraverso un addestramento rigoroso e metodico, che bilancia la durezza del “Go” con la morbidezza del “Ju”, il praticante di Jundokan impara a unificare mente, corpo e spirito. La pratica costante dei Kata, l’analisi delle loro applicazioni nel Bunkai, il condizionamento fisico attraverso l’Hojo Undo e lo sviluppo della sensibilità nel Kakie non sono fini a sé stessi, ma strumenti per forgiare un carattere forte, umile e resiliente. L’enfasi sull’efficacia reale e sulla difesa personale, piuttosto che sulla competizione sportiva, mantiene l’arte ancorata alle sue radici pragmatiche, offrendo strumenti concreti per affrontare le avversità.

Scegliere di percorrere la via del Jundokan significa abbracciare una disciplina esigente, che richiede pazienza, dedizione e un profondo rispetto per la tradizione e per i maestri che l’hanno tramandata. Non è un percorso per tutti, ma per coloro che cercano profondità, autenticità e una sfida che va oltre il semplice aspetto fisico, offre ricompense inestimabili. In un mondo sempre più frenetico e superficiale, il Jundokan offre un’ancora, un ritorno all’essenziale: il lavoro su sé stessi, la ricerca dell’equilibrio e la comprensione che la vera forza risiede nel controllo, nella calma e nell’integrità. È, in definitiva, un’arte marziale che non insegna solo a combattere, ma a vivere.

FONTI E BIBLIOGRAFIA

Le informazioni contenute in questa pagina sono state elaborate attraverso la consultazione di una varietà di fonti autorevoli, al fine di fornire un quadro il più possibile accurato e completo del Jundokan e del Goju-ryu di Okinawa. La ricerca ha incluso testi fondamentali sulle arti marziali, siti web di organizzazioni ufficiali, articoli di esperti e pubblicazioni storiche.

Libri:

  • Bishop, Mark. Okinawan Karate: Teachers, Styles and Secret Techniques. A & C Black, 1999. Un testo fondamentale che fornisce una panoramica dettagliata sui principali maestri e stili del karate di Okinawa, con sezioni dedicate al Goju-ryu, a Chojun Miyagi e ai suoi allievi, incluso Eiichi Miyazato.
  • Higaonna, Morio. The History of Karate: Okinawan Goju-ryu. Dragon Books, 1995. Scritto da uno dei più grandi maestri di Goju-ryu, formatosi al Jundokan, questo libro offre una prospettiva interna sulla storia, le tecniche e la filosofia dello stile.
  • McCarthy, Patrick. Bubishi: The Bible of Karate. Tuttle Publishing, 2008. Traduzione e analisi del testo classico cinese che ha profondamente influenzato Chojun Miyagi e la creazione del Goju-ryu. Essenziale per comprendere le radici filosofiche e tecniche dello stile.
  • McCarthy, Patrick. Ancient Okinawan Martial Arts: Koryu Uchinadi. Tuttle Publishing, 1999. Un’opera enciclopedica che esplora le antiche arti marziali di Okinawa, fornendo un contesto storico cruciale per la nascita del Karate.
  • Cook, Harry. Shotokan Karate: A Precise History. Gakken, 2001. Sebbene focalizzato sullo Shotokan, questo libro contiene capitoli e riferimenti importanti sulla storia generale del karate e sulle interazioni tra i vari maestri, inclusi quelli di Okinawa.

Siti Web di Scuole e Organizzazioni Autorevoli:

  • Okinawa Goju-ryu Karate-do So-Honbu Jundokan: Il sito ufficiale del dojo centrale del Jundokan a Naha, Okinawa. Fonte primaria per informazioni sul lignaggio diretto, sui maestri e sugli eventi ufficiali. La consultazione è stata effettuata per verificare le informazioni sulla leadership attuale e sulla filosofia della scuola.
  • Jundokan International Website: Il sito dell’organizzazione fondata dal Maestro Teruo Chinen. Utile per comprendere la diffusione del Jundokan al di fuori del Giappone e per accedere a biografie e articoli scritti dagli allievi diretti di Chinen Sensei.
  • IOGKF (International Okinawan Goju-ryu Karate-do Federation) Official Website: Il sito della federazione guidata dal Maestro Morio Higaonna. Contiene una vasta quantità di informazioni storiche, tecniche e biografiche sul Goju-ryu di Okinawa dal punto di vista di Higaonna Sensei, le cui radici sono nel Jundokan.
  • Siti di Associazioni Nazionali e Dojo Specifici: Sono stati consultati i siti web di diverse associazioni di Goju-ryu e Jundokan in Italia e in altri paesi per comprendere la situazione locale, le affiliazioni e la struttura organizzativa.

Articoli e Pubblicazioni di Ricerca:

  • Articoli pubblicati su riviste specializzate in arti marziali come “Budo International”, “Classical Fighting Arts” e “Dragon Times”, che spesso contengono interviste a maestri di alto livello e approfondimenti storici.
  • Saggi e articoli di ricercatori di arti marziali come Andreas Quast e Joe Swift, disponibili sui loro blog personali e su forum di discussione accademica, che forniscono analisi dettagliate su aspetti storici e tecnici del karate di Okinawa.

Questa bibliografia rappresenta una base solida per chiunque desideri approfondire lo studio del Jundokan e del Goju-ryu, offrendo una pluralità di prospettive che contribuiscono a una comprensione più ricca e sfumata dell’arte.

DISCLAIMER

Questa pagina ha uno scopo puramente informativo e culturale. Le informazioni qui contenute sono intese a fornire una panoramica generale sull’arte marziale Jundokan e non devono essere interpretate come un manuale tecnico, un invito alla pratica o un sostituto dell’insegnamento diretto da parte di un maestro qualificato. La pratica di qualsiasi arte marziale comporta rischi intrinseci di infortunio. L’autore e l’editore di questa pagina non si assumono alcuna responsabilità per eventuali danni a persone o cose che possano derivare dal tentativo di replicare le tecniche o seguire le metodologie di allenamento descritte.

Si raccomanda vivamente a chiunque sia interessato a praticare il Jundokan o qualsiasi altra arte marziale di cercare una scuola rispettabile con un insegnante certificato e di consultare un medico prima di iniziare qualsiasi nuovo programma di attività fisica, specialmente in presenza di condizioni mediche preesistenti. Le opinioni espresse riguardo a stili, scuole o federazioni sono presentate in modo da essere il più possibile imparziali e basate su fonti storiche e pubblicamente disponibili, ma la scelta di un dojo rimane una decisione personale basata sulla ricerca individuale.

a cura di F. Dore – 2025

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