Jissen Karate – SV

Tabella dei Contenuti

(実戦空手)

COSA È

Il Jissen Karate (実戦空手), la cui traduzione letterale dal giapponese è “Karate da combattimento reale” o “Karate pratico”, non rappresenta un singolo stile codificato, quanto piuttosto una vasta e influente corrente filosofica e tecnica all’interno del mondo del karate. Questo approccio si distingue nettamente dalle forme più tradizionali o sportive per la sua enfasi sulla preparazione al combattimento reale, non coreografato e a contatto pieno. L’obiettivo primario del Jissen Karate è quello di sviluppare l’efficacia, la resistenza e lo spirito del praticante attraverso un allenamento rigoroso che simula, per quanto possibile in sicurezza, le condizioni di uno scontro reale. Il principio cardine è la ricerca della “verità” nel combattimento, eliminando quelle tecniche o quelle pratiche che, sebbene esteticamente pregevoli o tradizionali, risulterebbero inefficaci in una situazione di autodifesa non cooperativa.

Il cuore pulsante del Jissen Karate è il kumite a contatto pieno (full contact). A differenza del karate sportivo dove i colpi sono controllati o fermati prima di raggiungere il bersaglio (point system) o limitati a contatti leggeri, nel Jissen i colpi vengono portati con forza e intenzione reali al corpo e alle gambe dell’avversario. Questa caratteristica fondamentale impone un tipo di preparazione fisica e mentale completamente diversa. I praticanti devono condizionare il proprio corpo a sopportare l’impatto dei colpi, sviluppando una “corazza” muscolare e una resilienza al dolore fuori dal comune. Allo stesso tempo, devono affinare il coraggio, la determinazione e la capacità di mantenere la lucidità sotto pressione, qualità indispensabili quando si affronta un avversario determinato a colpire.

Sebbene il Kyokushinkai, fondato dal leggendario Maestro Masutatsu “Mas” Oyama, sia universalmente riconosciuto come il capostipite e l’esemplare più famoso di questo approccio, il termine Jissen Karate abbraccia oggi una moltitudine di stili e organizzazioni che da esso sono derivati o che ne condividono la filosofia. Stili come l’Ashihara Karate, l’Enshin Karate, lo Shidokan e il Seidokaikan (fondatore del torneo K-1) sono tutti figli della stessa matrice ideologica: testare e validare le proprie abilità in un contesto di combattimento il più realistico possibile. Ognuno di questi stili ha poi introdotto proprie peculiarità tecniche e tattiche, come l’uso del Sabaki (gestione del movimento e degli angoli per sbilanciare l’avversario) nell’Ashihara e nell’Enshin, ma tutti rimangono fedeli al nucleo del combattimento a contatto pieno. In sintesi, definire il Jissen Karate significa parlare di un karate “onesto”, forgiato nel sudore, nel dolore e nel rispetto reciproco, dove la prova ultima dell’abilità non è una medaglia vinta con un punto, ma la capacità di “restare in piedi” e superare le proprie paure.

CARATTERISTICHE, FILOSOFIA E ASPETTI CHIAVE

La filosofia del Jissen Karate è un amalgama complesso di disciplina marziale, sviluppo personale e pragmatismo combattivo, che si può riassumere nel concetto di “verità marziale”. Non si tratta semplicemente di imparare a combattere, ma di intraprendere un percorso di auto-miglioramento attraverso le sfide estreme poste dall’allenamento a contatto pieno. Al centro di questa filosofia si trova il principio del “Osu no Seishin” (押忍の精神), spesso abbreviato semplicemente in “Osu!”. Questa esclamazione, onnipresente nei dojo di Jissen Karate, incarna un mondo di significati: pazienza, determinazione, perseveranza, rispetto e coraggio. Significa spingersi oltre i propri limiti, sopportare la fatica e il dolore senza lamentarsi, e mostrare rispetto per il maestro, i compagni e l’arte stessa. È un impegno a non arrendersi mai, né sul tatami né nella vita.

Un altro pilastro fondamentale è la ricerca dell’efficacia reale. Il Jissen Karate rigetta l’idea di una pratica marziale puramente estetica o teorica. Ogni tecnica, ogni movimento, ogni strategia viene costantemente testata e validata attraverso l’esperienza diretta del kumite. Se una tecnica non funziona sotto la pressione di un avversario non collaborativo e determinato, viene scartata o modificata. Questo approccio pragmatico si riflette nelle regole del combattimento: tipicamente, sono permessi pugni al corpo (ma non al viso, per preservare l’integrità dei praticanti e permettere allenamenti intensi senza l’uso di guantoni che altererebbero la tecnica), calci a tutte le altezze (gambe, corpo e testa) e ginocchiate. Questa crudezza apparente ha uno scopo profondo: insegnare a gestire la paura, a proteggere le aree vitali e a sviluppare una strategia basata su potenza, tempismo e resistenza.

Il condizionamento fisico e mentale è un aspetto chiave che distingue il Jissen Karate. I praticanti si sottopongono a esercizi estenuanti per rafforzare il corpo: flessioni, addominali, squat vengono eseguiti in numero elevatissimo. Si praticano esercizi specifici per desensibilizzare le tibie e condizionare gli addominali e i pettorali a incassare i colpi. Questo processo, noto come Hojo Undo in senso lato, non ha solo uno scopo fisico. Forgia la mente, insegna a superare il dolore e costruisce una fiducia in sé stessi che deriva non dall’arroganza, ma dalla consapevolezza delle proprie reali capacità e della propria resilienza. La filosofia ultima è quella del “Budo Karate”, ovvero un karate che non è solo uno sport o un metodo di autodifesa, ma una “Via” marziale. L’obiettivo non è sconfiggere gli altri, ma sconfiggere le proprie debolezze: la paura, l’insicurezza, l’ego. La famosa frase di Mas Oyama, “Il fine ultimo del Karate non risiede nella vittoria o nella sconfitta, ma nella perfezione del carattere dei suoi praticanti”, riassume perfettamente l’essenza di questa disciplina.

LA STORIA

La storia del Jissen Karate è intrinsecamente legata alla vita del suo pioniere, Masutatsu Oyama, e alla nascita del suo stile, il Kyokushinkai, a metà del XX secolo. Per comprendere la genesi di questo approccio rivoluzionario, è necessario guardare al contesto del karate del dopoguerra in Giappone. Il karate, importato da Okinawa e popolarizzato da maestri come Gichin Funakoshi, si stava diffondendo nelle università e nel grande pubblico, ma spesso in una forma che privilegiava il kata (forme) e il kumite predeterminato o sportivo, con colpi rigorosamente controllati. Molti artisti marziali, temprati dalle durezze della guerra e alla ricerca di un’efficacia pratica, sentivano che questa enfasi sul controllo stava “annacquando” la vera essenza del combattimento. Tra questi, un giovane e talentuoso coreano naturalizzato giapponese, Masutatsu Oyama, era il più insoddisfatto.

Oyama aveva studiato diversi stili di karate, tra cui lo Shotokan sotto Funakoshi e il Goju-ryu sotto So Nei Chu, oltre ad altre arti marziali. Egli arrivò alla conclusione che senza testare le tecniche in condizioni di pieno contatto, il karate rischiava di diventare una danza inefficace. Questa convinzione lo portò a un percorso di allenamento solitario e brutale. Si ritirò per mesi sulle montagne, allenandosi per ore ogni giorno, colpendo alberi per condizionare le mani, meditando sotto cascate gelide e sviluppando una forza e una tecnica spaventose. Questo periodo di isolamento fu fondamentale per forgiare non solo il suo corpo, ma soprattutto la sua filosofia marziale: il karate doveva essere reale, potente e incontrovertibile nella sua efficacia.

Al suo ritorno alla civiltà, Oyama iniziò a testare le sue teorie. Divenne famoso per le sue sfide (spesso contro rappresentanti di altre scuole di arti marziali) e per le sue incredibili dimostrazioni di potenza, come rompere corna ai tori o impilare tegole. Nel 1953, aprì il suo primo dojo a Tokyo, chiamandolo “Oyama Dojo”. Qui, l’allenamento era noto per la sua estrema durezza. Il kumite era intenso e a contatto pieno, e molti allievi abbandonavano. Coloro che rimanevano, tuttavia, diventavano combattenti formidabili. Questo approccio diretto e senza compromessi iniziò ad attrarre praticanti da tutto il mondo. Nel 1964, la sua organizzazione fu ufficialmente battezzata Kyokushinkai, che significa “Associazione della Verità Ultima”. Il primo torneo “All Japan Full Contact Karate Championship” si tenne nel 1969, un evento rivoluzionario che cementò le regole del knockdown karate e diede il via a un’era di competizioni basate sull’efficacia reale, influenzando non solo il mondo del karate ma anche la nascita di futuri sport da combattimento come il kickboxing. La storia del Jissen Karate è, in essenza, la storia di questa ribellione contro la formalità a favore della funzionalità.

CHI È IL SUO FONDATORE, STORIA DEL FONDATORE

Il fondatore e la figura titanica dietro il concetto di Jissen Karate è Masutatsu “Mas” Oyama (大山 倍達), nato con il nome di Choi Yeong-eui in Corea nel 1923, durante il periodo dell’occupazione giapponese. La sua vita è una saga di dedizione estrema, forza quasi sovrumana e una ricerca incessante della “Via” marziale. Fin da giovane mostrò un interesse per il combattimento, iniziando a studiare le arti marziali cinesi in Manciuria. Trasferitosi in Giappone nel 1938 con l’ambizione di diventare un pilota, la sua vita prese una piega diversa. Si iscrisse all’università e continuò la sua pratica marziale, studiando judo e karate. Fu allievo di Gichin Funakoshi, il padre del karate moderno (Shotokan), e successivamente si dedicò al Goju-ryu sotto la guida del maestro coreano come lui, So Nei Chu, che ebbe un’influenza profonda sul suo sviluppo spirituale e tecnico.

Il punto di svolta nella vita di Oyama avvenne dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il Giappone era un paese sconfitto e demoralizzato, e Oyama stesso attraversò un periodo di crisi e di scontri violenti. Fu il suo maestro So Nei Chu a consigliargli di ritirarsi dal mondo per temprare il corpo e lo spirito. Seguendo questo consiglio, Oyama si imbarcò in un leggendario periodo di isolamento ascetico sul Monte Minobu e successivamente sul Monte Kiyosumi. Per oltre 18 mesi, visse in una baracca, seguendo un regime di allenamento disumano: 12 ore al giorno, sette giorni su sette. Correva, sollevava pesi improvvisati, meditava sotto cascate gelide e, soprattutto, praticava kihon e kata migliaia di volte, usando gli alberi come makiwara per colpire. Si rasò un sopracciglio per non essere tentato di tornare alla civiltà. Questo periodo forgiò non solo la sua incredibile abilità fisica, ma anche la sua filosofia del Budo Karate, basata sull’autodisciplina e sul superamento dei propri limiti.

Tornato dal suo esilio montano, Oyama era un uomo trasformato, dotato di una potenza e di una determinazione terrificanti. Per dimostrare la validità del suo karate, iniziò a viaggiare in Giappone e all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, accettando ogni tipo di sfida. Combatté contro pugili, lottatori e altri artisti marziali, rimanendo imbattuto. Divenne celebre per le sue dimostrazioni di tameshiwari (tecniche di rottura), in cui spaccava pietre, pile di tegole o blocchi di ghiaccio a mani nude. L’apice di questa fama fu raggiunto con le sue controverse esibizioni di combattimento contro tori, durante le quali, secondo i racconti, riuscì a rompere le corna o addirittura a uccidere gli animali con un singolo colpo di shuto (colpo a mano a taglio). Sebbene oggi tali gesti siano visti con un’ottica diversa, all’epoca cementarono la sua immagine di “Mano di Dio”. Nel 1953 aprì il suo primo dojo, che divenne il nucleo del futuro Kyokushinkai. Mas Oyama dedicò il resto della sua vita a diffondere il suo stile in tutto il mondo, scrivendo libri e formando generazioni di maestri. Morì di cancro ai polmoni nel 1994, lasciando un’eredità immensa e controversa, quella di un uomo che ha cambiato per sempre il volto del karate, riportandolo alle sue radici più crude e realistiche.

MAESTRI/E/ATLETI/E I FAMOSI/E DI QUEST'ARTE

Il mondo del Jissen Karate, e in particolare del Kyokushin, ha prodotto un pantheon di maestri e atleti le cui gesta e il cui talento hanno ispirato milioni di praticanti in tutto il mondo. Questi individui non sono solo campioni, ma incarnazioni viventi della filosofia del “Budo Karate”, avendo dimostrato una combinazione eccezionale di tecnica, potenza, resistenza e spirito indomito. Subito dopo il fondatore Masutatsu Oyama, una delle prime figure leggendarie è Shigeru Oyama (nessuna parentela con Mas Oyama), uno dei primi e più importanti allievi del fondatore, famoso per essere stato uno dei pochi a completare il temibile Hyakunin Kumite (combattimento contro 100 avversari) e per aver diffuso il Kyokushin negli Stati Uniti, fondando successivamente la sua “World Oyama Karate”. Altro nome storico è Tadashi Nakamura, altro allievo diretto di Oyama, che dopo aver contribuito a stabilire il Kyokushin in America, ha fondato il suo stile, il Seido Juku, che unisce la durezza del Jissen a un forte accento sullo sviluppo spirituale e l’inclusività.

Nel campo agonistico, i campionati mondiali open di Kyokushin (che si tengono ogni quattro anni e sono considerati le “Olimpiadi del Karate”) hanno incoronato atleti che sono diventati vere e proprie leggende. Makoto Nakamura è stato il primo uomo a vincere il torneo per due volte consecutive (1979, 1983), dimostrando un dominio tecnico e strategico impressionante. Negli anni ’90, l’era d’oro del Jissen Karate ha visto emergere combattenti iconici. Il brasiliano Francisco “Chiquinho” Filho è diventato una star mondiale, famoso per i suoi calci devastanti e per essere stato il primo non-giapponese a completare lo Hyakunin Kumite nel 1995, prima di vincere il mondiale nel 1999. Insieme a lui, un altro brasiliano, Glaube Feitosa, era temuto per il suo “calcio brasiliano”, un calcio circolare discendente tanto imprevedibile quanto potente.

Tuttavia, forse l’atleta più celebre e amato a livello globale è stato lo svizzero Andy Hug. Con un background nel Kyokushin, dove divenne il primo finalista non-giapponese al mondiale del 1991, Andy portò il Jissen Karate sul ring del K-1, il più prestigioso torneo di kickboxing. Il suo stile spettacolare, caratterizzato da un incredibile repertorio di calci, tra cui il suo famoso kakato geri (calcio a scure), e il suo spirito guerriero gli valsero il soprannome di “Samurai dagli occhi blu”. La sua prematura scomparsa nel 2000 ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo degli sport da combattimento. Altri nomi che risuonano nella storia sono Kenji Midori, un combattente di peso leggero che, contro ogni pronostico, vinse il mondiale open del 1991 grazie a una velocità e una tecnica sopraffine, e Hajime Kazumi, considerato da molti uno dei tecnici più puri e completi, quattro volte campione del Giappone e più volte finalista mondiale. Questi uomini, insieme a molti altri, hanno trasformato il Jissen Karate da un’arte marziale di nicchia a un fenomeno globale.

LEGGENDE, CURIOSITÀ, STORIE E ANEDDOTI

Il Jissen Karate, e in particolare la vita del suo fondatore Mas Oyama, è avvolto da un’aura di leggenda, un tessuto di storie e aneddoti che ne hanno alimentato il mito e ispirato generazioni di praticanti. Queste narrazioni, sospese tra realtà documentata e folklore marziale, sono parte integrante della cultura di questa disciplina e ne illustrano i valori fondamentali di forza, coraggio e perseveranza estrema. La leggenda più famosa e controversa è senza dubbio quella dei combattimenti di Oyama contro i tori. Si narra che Oyama abbia affrontato 52 tori nel corso della sua vita, uccidendone tre sul colpo e rompendo le corna a mani nude agli altri 49. Esistono filmati e fotografie che documentano alcuni di questi eventi, mostrando Oyama evitare la carica della bestia per poi colpirla con un potente shuto uchi (colpo con il taglio della mano) alla base del corno. Sebbene i critici abbiano messo in dubbio le circostanze (sostenendo che gli animali fossero già indeboliti o non nel pieno del vigore), l’impatto mediatico di queste imprese fu enorme e servì a cementare l’immagine di Oyama come la “Mano di Dio” (Godhand), un uomo la cui potenza trascendeva i limiti umani.

Un altro pilastro della mitologia del Jissen Karate è la prova definitiva di resistenza e spirito: lo Hyakunin Kumite (百人組手), il combattimento contro 100 uomini. Questa prova, ideata da Oyama per testare i limiti ultimi di un karateka, consiste nell’affrontare, uno dopo l’altro, 100 avversari in combattimenti di kumite a contatto pieno della durata di circa due minuti ciascuno. Per superare la prova, il candidato deve vincere almeno il 50% degli incontri e non essere messo KO. Oyama stesso completò la prova per tre giorni consecutivi. Nel corso della storia, solo una ventina di persone sono riuscite a portare a termine questa sfida disumana, che richiede non solo una preparazione fisica impeccabile ma, soprattutto, una forza mentale e una volontà di ferro capaci di superare il dolore, la fatica e la disperazione. Nomi come Steve Arneil, Shigeru Oyama e Francisco Filho sono entrati nella leggenda per aver superato questa prova.

Ci sono anche numerosi aneddoti che illustrano la durezza dell’allenamento e la filosofia del “non arrendersi”. Si racconta che durante i primi campi di allenamento estivi, gli allievi dovessero eseguire migliaia di ripetizioni di tecniche di base fino al completo sfinimento. Un aneddoto popolare riguarda un allievo che, durante un esercizio di pugni, si lamentò con Oyama del dolore alle nocche, ormai sanguinanti. Oyama, senza scomporsi, gli avrebbe mostrato le proprie mani, deformate da anni di allenamento estremo, dicendo semplicemente: “Se non vuoi che facciano male, allenati finché non smettono di fare male”. Un’altra curiosità riguarda l’origine del famoso logo del Kyokushin, il Kanku. Questo simbolo deriva dal kata “Kanku Dai”, in cui le mani si alzano al cielo per scrutare l’universo. I punti rappresentano le dita (la ricerca della tecnica), le sezioni più spesse i polsi (la potenza), e il cerchio centrale l’infinito (la profondità spirituale), simboleggiando la continuità e la circolarità del percorso marziale.

TECNICHE DI QUEST'ARTE

Le tecniche del Jissen Karate sono il riflesso diretto della sua filosofia: pragmatismo, potenza e efficacia. Il repertorio tecnico, o kihon, è volutamente essenziale e privo di fronzoli, concentrandosi su un numero relativamente limitato di movimenti che vengono però allenati fino alla perfezione e con la massima potenza. L’obiettivo non è la varietà, ma la capacità di eseguire poche tecniche fondamentali in modo devastante. Le tecniche possono essere suddivise in tre categorie principali: tecniche di pugno (tsuki waza), tecniche di calcio (keri waza) e tecniche di parata (uke waza).

Nelle tecniche di pugno, la caratteristica distintiva del Jissen Karate (in particolare nelle competizioni di Kyokushin) è il divieto di colpire il viso o la testa con le mani. Questa regola, nata per permettere combattimenti a piena potenza senza l’uso di guantoni (che altererebbero la natura del karate) e per ridurre il rischio di infortuni gravi, ha profondamente influenzato lo sviluppo tecnico. I pugni sono diretti quasi esclusivamente al tronco dell’avversario. Il pugno fondamentale è il seiken chudan tsuki, un pugno diretto al plesso solare, allo stomaco o alle costole, sferrato con una rotazione completa dell’anca e la forza di tutto il corpo. Altre varianti includono lo shita tsuki (pugno al corpo dal basso verso l’alto, simile a un uppercut) e il kagi tsuki (pugno a gancio). L’allenamento prevede innumerevoli ripetizioni di questi pugni, spesso eseguiti in posizioni basse e stabili come il sanchin dachi per massimizzare la generazione di potenza.

Il repertorio dei calci, al contrario, è estremamente ricco e versatile, poiché i calci sono permessi a tutti i livelli: gambe, corpo e testa. I calci rappresentano l’arma principale per il KO. Il calcio più emblematico e temuto è senza dubbio il gedan mawashi geri, il calcio circolare basso diretto alla coscia dell’avversario. Sferrato ripetutamente, questo calcio non solo provoca un dolore lancinante, ma può letteralmente distruggere la capacità di movimento dell’avversario, portando alla vittoria per KO tecnico. A livello del tronco (chudan), il mawashi geri (circolare) e il mae geri (frontale) sono usati per togliere il fiato e infliggere danni interni. Infine, i calci alla testa (jodan) sono le tecniche da KO per eccellenza: il jodan mawashi geri (circolare alla testa), l’imprevedibile ushiro mawashi geri (circolare all’indietro) e lo spettacolare kakato geri (calcio a scure) sono tra le armi più letali nell’arsenale di un combattente di Jissen. Molto importanti sono anche le ginocchiate (hiza geri), efficacissime nel combattimento a corta distanza.

Le tecniche di parata (uke) sono semplici e robuste. A differenza di stili più “morbidi”, dove l’energia dell’attacco viene deviata, nel Jissen Karate le parate sono spesso “dure”, veri e propri colpi contro gli arti dell’avversario, con l’intento di danneggiarli e scoraggiare ulteriori attacchi. Esempi sono il gedan barai (parata bassa), il soto uke (parata dall’esterno verso l’interno) e l’uchi uke (dall’interno verso l’esterno). Tuttavia, negli stili più evoluti come Ashihara e Enshin, la parata è spesso combinata con uno spostamento del corpo (tai sabaki) per uscire dalla linea di attacco e creare un angolo favorevole per il contrattacco, un concetto noto come Sabaki.

KATA

Nonostante la sua enfasi sul combattimento a contatto pieno, il Jissen Karate, e in particolare il suo capostipite Kyokushin, non ha mai abbandonato la pratica dei kata (形). Mas Oyama, pur criticando un approccio al karate basato esclusivamente sui kata, li considerava una componente essenziale e insostituibile dell’allenamento. Nella sua visione, il karate è come una frase: il kihon (tecniche di base) rappresenta le lettere dell’alfabeto, il kata rappresenta le parole e le frasi (la grammatica), e il kumite (combattimento) è la conversazione fluente. Senza una solida conoscenza della grammatica, la conversazione sarebbe povera e inefficace. I kata nel Jissen Karate, quindi, non sono danze coreografate, ma un’enciclopedia dinamica di tecniche, principi di movimento, gestione della respirazione e strategie di combattimento, forgiate e tramandate attraverso le generazioni.

I kata del Kyokushin derivano principalmente da due grandi scuole di Okinawa: lo Shotokan, da cui Oyama ha attinto per i kata più lineari e potenti, e il Goju-ryu, che ha fornito i kata più circolari, basati sulla respirazione e sul combattimento a corta distanza. Oyama ha poi modificato e adattato questi kata per allinearli alla sua filosofia di potenza e realismo. I kata si dividono generalmente in due gruppi. I “Kata del Nord”, di origine Shotokan, come la serie Pinan (rinominata da “Heian”) e Kanku Dai, sono caratterizzati da movimenti lunghi, posizioni basse e potenti e un’enfasi sulla distanza di combattimento lunga e media. I “Kata del Sud”, di origine Goju-ryu, come Sanchin e Tensho, sono eseguiti con movimenti più corti, contrazioni muscolari intense e una respirazione addominale profonda e sonora (ibuki).

Il kata Sanchin è forse il più importante per il condizionamento. Non è un kata di combattimento nel senso convenzionale, ma un esercizio isotonico in movimento, una forma di “meditazione dinamica” che insegna a coordinare la tensione muscolare, la stabilità posturale e la respirazione per generare e sopportare una potenza enorme. Durante l’esecuzione, è comune che il maestro colpisca il praticante per testarne la stabilità e la contrazione muscolare. Il suo complemento è Tensho, che significa “mani rotanti”. Mentre Sanchin è “duro”, Tensho è la sua controparte “morbida”, che insegna fluidità, sensibilità e il controllo del centro, con movimenti circolari e tecniche a mano aperta. Altri kata fondamentali includono Gekisai Dai e Gekisai Sho, concepiti per essere i primi veri kata di combattimento, e kata avanzati come Seienchin, Garyu (l’unico kata creato interamente da Oyama, il cui nome significa “Drago Sdraiato”, un soprannome di Oyama stesso) e Sushiho, il più lungo e complesso. La pratica dei kata nel Jissen Karate sviluppa equilibrio, coordinazione, ritmo, controllo della respirazione e, soprattutto, la concentrazione mentale necessaria per eseguire tecniche complesse sotto stress, qualità che vengono poi trasferite direttamente nel caos del kumite.

UNA TIPICA SEDUTA DI ALLENAMENTO

Una tipica seduta di allenamento nel Jissen Karate è un’esperienza intensa e strutturata, progettata per spingere i praticanti ai loro limiti fisici e mentali, forgiando al contempo tecnica, resistenza e spirito. Sebbene ogni dojo e ogni maestro possano avere le proprie specificità, la struttura generale segue un canovaccio collaudato che unisce disciplina formale e sforzo fisico estremo. La lezione inizia e finisce sempre con il rito del saluto (rei). Gli allievi si dispongono in ordine di grado di fronte al maestro (Sensei) o al più anziano (Sempai), si inginocchiano in seiza e, dopo un momento di meditazione silenziosa (mokuso), recitano il Dojo Kun (i precetti del dojo) e si scambiano i saluti formali. Questo rituale serve a sgombrare la mente, a mostrare rispetto e a creare la giusta atmosfera di concentrazione e serietà.

La fase successiva è il riscaldamento (junbi undo), che nel Jissen Karate è tutt’altro che leggero. Dura solitamente 20-30 minuti e consiste in una serie di esercizi cardio (corsa, saltelli), stretching dinamico e, soprattutto, un gran numero di esercizi di potenziamento fisico: centinaia di flessioni (ude tate), addominali (fukkin) e squat (joge benkei). Questa fase non solo prepara il corpo all’allenamento, ma serve anche a costruire la resistenza e la forza di volontà necessarie per la disciplina. Segue il cuore tecnico della lezione, il Kihon Geiko (allenamento delle tecniche fondamentali). In file ordinate, i praticanti eseguono ripetutamente pugni, parate e calci sul posto, sotto l’occhio attento del maestro che corregge la forma, la potenza e il kime (il focus dell’energia). Le ripetizioni sono numerose, spesso al limite della sopportazione, con l’obiettivo di rendere le tecniche istintive, quasi un riflesso condizionato.

Dopo il kihon statico, si passa all’Ido Geiko (allenamento delle tecniche in movimento). I praticanti attraversano il dojo eseguendo combinazioni di tecniche, muovendosi in diverse posizioni (dachi). Questa fase migliora la coordinazione, l’equilibrio e la capacità di generare potenza in movimento, simulando le dinamiche di un combattimento. A questo punto, a seconda del programma della giornata, la lezione può concentrarsi sulla pratica dei Kata o sul Kumite (combattimento). Le sessioni di kumite possono variare: dal combattimento leggero e tecnico per provare le strategie, fino a sessioni intense di jissen kumite (combattimento reale) a contatto pieno, dove i praticanti si affrontano con vigore. Spesso si organizzano round multipli contro avversari sempre freschi per simulare la fatica di un torneo o di una situazione di difesa personale prolungata. La lezione si conclude con una fase di defaticamento (cool down), stretching e un nuovo rituale di saluto in seiza, che riporta la calma e sancisce la fine di un duro lavoro, rafforzando il senso di cameratismo e rispetto reciproco tra i praticanti.

GLI STILI E LE SCUOLE

Il Jissen Karate, pur avendo nel Kyokushinkai di Mas Oyama la sua radice comune, è un albero con molteplici rami. Dopo la morte di Oyama nel 1994, la sua organizzazione internazionale (IKO – International Karate Organization) si è frammentata in diverse fazioni, ciascuna guidata da uno dei suoi allievi più anziani, dando vita a una diaspora che, se da un lato ha generato conflitti interni, dall’altro ha favorito una notevole evoluzione e diversificazione del karate a contatto pieno. Oltre a queste scissioni, già prima della morte del fondatore, alcuni dei suoi allievi più brillanti avevano intrapreso percorsi autonomi, fondando nuovi stili che, pur mantenendo il nucleo del combattimento full contact, introducevano concetti tecnici e strategici innovativi.

Il Kyokushinkai rimane il tronco principale. Le maggiori organizzazioni che oggi si rifanno direttamente all’insegnamento di Oyama sono la IKO (guidata da Shokei Matsui, spesso chiamata IKO1 o “Ichigeki”) e la WKO (World Karate Organization, guidata da Kenji Midori), nota anche come Shinkyokushinkai. Entrambe mantengono il curriculum tecnico e le regole di competizione tradizionali del Kyokushin, focalizzate su potenza, resistenza e condizionamento. Le differenze tra loro sono principalmente di natura politica e organizzativa, anche se alcuni osservatori notano sottili differenze nell’enfasi data ad alcuni aspetti tecnici.

Uno degli stili derivati più influenti è l’Ashihara Karate, fondato da Hideyuki Ashihara alla fine degli anni ’70. Ashihara, un brillante allievo di Oyama, sviluppò un concetto rivoluzionario che chiamò Sabaki. Il Sabaki non è una tecnica, ma un principio strategico che insegna a usare il movimento del corpo per uscire dalla linea di attacco dell’avversario, posizionandosi in un “punto cieco” da cui è possibile contrattaccare con la massima efficacia. Invece di opporre forza a forza, l’Ashihara Karate enfatizza il controllo della distanza e degli angoli per sbilanciare e dominare l’avversario. Questo stile include anche proiezioni e leve derivate dal judo, rendendolo estremamente pratico per l’autodifesa.

Dall’Ashihara Karate è nato un altro stile di grande successo, l’Enshin Karate, fondato da Joko Ninomiya, un altro ex campione di Kyokushin e allievo di Ashihara. L’Enshin (che significa “cuore del cerchio”) ha ulteriormente raffinato il principio del Sabaki, creando un sistema di combattimento fluido e circolare. Il “Sabaki Method” dell’Enshin è un sistema codificato di parate e spostamenti simultanei che permette al praticante di riposizionarsi costantemente in una posizione di vantaggio. Le competizioni di Enshin, note come “Sabaki Challenge”, permettono, oltre ai colpi, anche proiezioni e prese per un tempo limitato, rendendole estremamente dinamiche.

Altri stili importanti includono lo Shidokan Karate, fondato da Yoshiji Soeno (soprannominato “la Tigre del Kyokushin”), che combina il karate a contatto pieno con elementi di Muay Thai (uso dei gomiti e clinch) e proiezioni, e il Seidokaikan, fondato da Kazuyoshi Ishii, che ha guadagnato fama mondiale per aver creato il celebre torneo K-1, unendo i migliori striker di diverse discipline (karate, kickboxing, kung fu) sotto un unico regolamento, rivoluzionando per sempre il mondo degli sport da combattimento.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

Il Jissen Karate in Italia, come nel resto del mondo, si presenta come un panorama variegato e frammentato, composto da numerose scuole e organizzazioni che fanno capo ai diversi stili e alle varie federazioni internazionali nate dalla matrice comune del Kyokushin. Non esiste un singolo ente rappresentativo nazionale per il “Jissen Karate” come categoria, ma piuttosto diverse rappresentanze nazionali per ogni stile specifico (Kyokushin, Ashihara, Enshin, etc.) e per le diverse federazioni internazionali (IKO, WKO, KWF, IKF, etc.). È fondamentale, per chiunque sia interessato, comprendere questa struttura per orientarsi. L’approccio deve essere imparziale, riconoscendo la legittimità e il valore delle diverse scuole presenti sul territorio.

Per quanto riguarda il Kyokushinkai, lo stile più diffuso, in Italia operano dojo affiliati a praticamente tutte le principali organizzazioni mondiali. Trovare la rappresentanza ufficiale può essere complesso a causa delle continue evoluzioni del panorama internazionale. In generale, le scuole italiane sono collegate a:

  • IKO (International Karate Organization) Kyokushinkaikan: Guidata a livello mondiale da Kancho Shokei Matsui. Le scuole italiane affiliate a questa organizzazione sono solitamente riconoscibili dal logo “Ichigeki”.
  • WKO (World Karate Organization) Shinkyokushinkai: Guidata a livello mondiale da Kancho Kenji Midori. Questa organizzazione è molto attiva in Europa e ha una presenza consolidata anche in Italia.
  • KWF (Kyokushin World Federation): Una grande federazione europea con una forte presenza globale e diverse scuole affiliate in Italia.
  • IKF (International Karate Federation) Kyokushin: Un’altra importante federazione con dojo rappresentativi sul territorio nazionale.
  • Altre sigle minori o scuole indipendenti.

Anche stili derivati come l’Ashihara Karate e l’Enshin Karate hanno i loro rappresentanti in Italia. Sebbene siano meno diffusi del Kyokushin, esistono dojo dedicati che seguono fedelmente il curriculum tecnico e la filosofia del Sabaki. Trovare queste scuole richiede spesso una ricerca più mirata.

Per individuare le palestre e i contatti specifici, il metodo più efficace è utilizzare i siti web delle organizzazioni mondiali o europee, che spesso dispongono di una sezione “dojo locator” o “branch chiefs” per trovare i referenti nazionali. A titolo puramente informativo e non esaustivo, ecco alcuni esempi di come un utente potrebbe cercare:

  • Per il Kyokushin (WKO Shinkyokushinkai): Si può visitare il sito della European Karate Organization (EKO) o della WKO stessa e cercare la sezione dedicata all’Italia. Il referente italiano per la WKO Shinkyokushinkai è lo Shihan Casto Dedola.

    • Sito di riferimento europeo: www.wko.or.jp (sezione Europa)
    • Email di contatto generale per l’Europa potrebbe trovarsi sui siti ufficiali.
  • Per l’Ashihara Karate: La ricerca può partire dal sito della NIKO (New International Karate Organization – Ashihara Kaikan).

    • Sito mondiale: www.ashihara-karate.net
    • Contatti italiani si trovano nella sezione Branch/Dojo.
  • Per l’Enshin Karate: Il sito mondiale dell’Enshin Karate, guidato da Kancho Joko Ninomiya, ha una sezione per trovare i dojo nel mondo.

    • Sito mondiale: www.enshin.com

È importante sottolineare che la situazione è fluida. Maestri e scuole possono cambiare affiliazione. Pertanto, la ricerca diretta online tramite motori di ricerca utilizzando termini come “Kyokushin Karate Italia [nome della città]”, “Ashihara Karate [nome della città]” o contattando direttamente le sedi centrali europee o mondiali rimane la strategia più affidabile e aggiornata per trovare il dojo più vicino e l’organizzazione di riferimento.

TERMINOLOGIA TIPICA

Il Jissen Karate, come tutte le arti marziali giapponesi, utilizza una terminologia specifica in lingua giapponese che è parte integrante della pratica e della cultura del dojo. Conoscere questi termini è essenziale per comprendere gli ordini del maestro, la descrizione delle tecniche e la filosofia della disciplina. Di seguito è riportato un glossario dei termini più comuni, suddivisi per categoria.

Termini Generali e del Dojo:

  • Karate (空手): Mano vuota.
  • Jissen (実戦): Combattimento reale, battaglia vera.
  • Dojo (道場): Luogo dove si segue la Via (luogo di pratica).
  • Sensei (先生): Maestro, insegnante.
  • Shihan (師範): Maestro esperto, titolo per i gradi più alti (solitamente dal 5° Dan in su).
  • Sempai (先輩): Allievo più anziano o di grado superiore.
  • Kohai (後輩): Allievo più giovane o di grado inferiore.
  • Osu (押忍): Saluto e affermazione che implica pazienza, determinazione e perseveranza.
  • Rei (礼): Saluto, inchino.
  • Seiza (正座): Posizione inginocchiata formale.
  • Mokuso (黙想): Meditazione (generalmente all’inizio e alla fine della lezione).
  • Dojo Kun (道場訓): Giuramento del dojo.
  • Kihon (基本): Tecniche fondamentali.
  • Kata (型): Forma, sequenza di tecniche.
  • Kumite (組手): Combattimento.
  • Tameshiwari (試割り): Tecniche di rottura (tavole, mattoni).

Comandi e Numeri:

  • Hajime (始め): Iniziare.
  • Yame (止め): Fermarsi.
  • Mawatte (回って): Girarsi.
  • Yoi (用意): Prepararsi.
  • Kamaete (構えて): Mettersi in guardia.
  • Ichi (一): Uno
  • Ni (二): Due
  • San (三): Tre
  • Shi / Yon (四): Quattro
  • Go (五): Cinque
  • Roku (六): Sei
  • Shichi / Nana (七): Sette
  • Hachi (八): Otto
  • Ku / Kyu (九): Nove
  • Ju (十): Dieci

Livelli e Direzioni:

  • Jodan (上段): Livello alto (testa, collo).
  • Chudan (中段): Livello medio (tronco).
  • Gedan (下段): Livello basso (dalle gambe in giù).
  • Migi (右): Destra.
  • Hidari (左): Sinistra.

Tecniche (Waza – 技):

  • Tsuki (突き): Pugno.
  • Seiken (正拳): Pugno fondamentale (con le prime due nocche).
  • Geri / Keri (蹴り): Calcio.
  • Mae Geri (前蹴り): Calcio frontale.
  • Mawashi Geri (回し蹴り): Calcio circolare.
  • Gedan Mawashi Geri (下段回し蹴り): Calcio circolare basso (alla coscia).
  • Yoko Geri (横蹴り): Calcio laterale.
  • Ushiro Geri (後ろ蹴り): Calcio all’indietro.
  • Hiza Geri (膝蹴り): Ginocchiata.
  • Uke (受け): Parata.
  • Gedan Barai (下段払い): Parata bassa.
  • Shuto Uchi (手刀打ち): Colpo con il taglio della mano.
  • Sabaki (捌き): Movimento del corpo per schivare e contrattaccare.

Posizioni (Dachi – 立ち):

  • Sanchin Dachi (三戦立ち): Posizione della clessidra (tipica del Goju-ryu).
  • Zenkutsu Dachi (前屈立ち): Posizione avanzata.
  • Kiba Dachi (騎馬立ち): Posizione del cavaliere.

ABBIGLIAMENTO

L’abbigliamento utilizzato nel Jissen Karate è il tradizionale karategi (空手着), comunemente chiamato “gi”. Tuttavia, anche in questo aspetto apparentemente semplice, si riflettono la filosofia e le specificità di questa disciplina. Il karategi del Jissen Karate, in particolare quello in stile Kyokushin, presenta alcune differenze rispetto a quelli usati in altri stili di karate più tradizionali o sportivi. La prima caratteristica evidente è il materiale e il taglio. Il gi è tipicamente realizzato in tela di cotone bianca non sbiancata o leggermente avorio, più pesante e resistente rispetto ai leggeri karategi da kumite sportivo. Questa robustezza è una necessità pratica: deve resistere alle prese, agli strattoni e alle sollecitazioni intense del combattimento a contatto pieno e dell’allenamento rigoroso. Il taglio è generalmente più ampio e confortevole per non limitare i movimenti ampi dei calci e le posizioni basse.

Una distinzione visiva immediata è la lunghezza delle maniche della giacca (uwagi). Tradizionalmente, le maniche del karategi Kyokushin e degli stili derivati sono tagliate a tre quarti, lasciando scoperto l’avambraccio. Ci sono diverse interpretazioni per questa usanza. La spiegazione più pratica è che maniche più corte evitano di impigliarsi durante il combattimento a distanza ravvicinata e le prese, e facilitano l’applicazione di tecniche di controllo sui polsi. Un’altra interpretazione, più filosofica, suggerisce che mostrare gli avambracci, condizionati e resi forti da innumerevoli parate e allenamenti, sia un simbolo della dedizione e della potenza del praticante.

Sul petto sinistro del karategi è quasi sempre presente l’emblema (mon) dello stile o della scuola di appartenenza. Nel Kyokushin, l’emblema più famoso è il Kanku (観空), il simbolo stilizzato che rappresenta la “visione del cielo”, racchiuso in un cerchio. Sulla manica o sulla giacca può essere presente anche una calligrafia (kanji) che recita il nome dello stile, ad esempio “Kyokushinkai”. I pantaloni (zubon) sono ampi e robusti, tenuti in vita da una coulisse tradizionale. Il karategi deve essere sempre tenuto pulito e in ordine, come segno di rispetto per il dojo, il maestro e sé stessi.

Il sistema di graduazione è rappresentato dal colore della cintura (obi – 帯). Come in molte arti marziali, si progredisce da cinture colorate (kyu) fino alla cintura nera (dan). Il sistema di colori del Kyokushin è stato adottato da molti altri stili Jissen e segue un ordine specifico che simboleggia il percorso di crescita dell’allievo: bianca, arancione, blu, gialla, verde, marrone e infine nera. Ogni colore ha un significato simbolico legato alla maturazione del praticante, dalla purezza iniziale (bianco) fino alla terra fertile pronta a dare nuovi frutti (marrone). La cintura nera, a sua volta, ha dieci livelli (dan), spesso indicati da delle piccole strisce dorate cucite sulla cintura. La cintura non è solo un indicatore di grado, ma un simbolo dell’impegno e degli anni di sudore versati sul tatami.

ARMI

Il Jissen Karate, il cui nome stesso significa “mano vuota”, è per sua natura e definizione un’arte marziale non armata. La sua filosofia, la sua metodologia di allenamento e le sue finalità sono interamente concentrate sullo sviluppo del corpo umano come arma primaria ed esclusiva. L’intero sistema si fonda sull’idea di forgiare pugni, mani, piedi, gomiti e ginocchia affinché diventino strumenti di difesa e attacco tanto efficaci quanto un’arma vera e propria. L’enfasi è posta sul condizionamento fisico estremo, sul tameshiwari (tecniche di rottura) e sul combattimento a contatto pieno proprio per testare e validare l’efficacia di questo approccio a mani nude. In questo contesto, l’introduzione di armi tradizionali durante la pratica quotidiana o nelle competizioni sarebbe una contraddizione in termini, snaturando l’essenza stessa della disciplina.

Detto questo, non si può affermare in modo assoluto che non esista alcun contatto tra il mondo del Jissen Karate e quello delle armi tradizionali di Okinawa, noto come Kobudo (古武道). Il fondatore, Masutatsu Oyama, aveva una conoscenza profonda e completa delle arti marziali, e questo includeva certamente una comprensione delle armi del Kobudo come il Bo (bastone lungo), i Sai (tridenti metallici), i Tonfa (manici di macina) e i Nunchaku. In alcuni dojo di Kyokushin o di stili derivati, specialmente quelli guidati da maestri con un interesse personale per il Kobudo, è possibile che vengano organizzati corsi o seminari specifici sull’uso di queste armi. Tuttavia, questa pratica è considerata complementare, un’aggiunta al curriculum principale, e non una parte integrante e obbligatoria del sistema Jissen.

La pratica del Kobudo, quando presente, viene vista come un modo per migliorare ulteriormente alcuni attributi del karateka a mani nude. Ad esempio, maneggiare un Bo aiuta a comprendere le linee di forza, la gestione della distanza (maai) e la generazione di potenza attraverso tutto il corpo. I Tonfa migliorano la meccanica delle parate e la coordinazione braccio-corpo. I Nunchaku sviluppano la fluidità, la velocità e la coordinazione fine. In questo senso, lo studio delle armi non è finalizzato all’uso dell’arma in sé, quanto al trasferimento dei principi appresi al combattimento a mani nude. È importante sottolineare che questa è l’eccezione, non la regola. La stragrande maggioranza dei praticanti di Jissen Karate in tutto il mondo non praticherà mai formalmente l’uso delle armi all’interno del proprio curriculum. Il loro percorso è interamente dedicato al principio primo del karate-do: la perfezione del sé attraverso la disciplina della mano vuota.

A CHI È INDICATO E A CHI NO

Il Jissen Karate è una disciplina tanto affascinante quanto esigente, e la sua pratica non è universalmente adatta a chiunque. Comprendere a chi si rivolge e chi, invece, potrebbe trovare più beneficio in altre arti marziali è fondamentale per un approccio onesto e consapevole.

A CHI È INDICATO:

  1. Individui alla ricerca di un’arte marziale pragmatica e realistica: Coloro che sono interessati all’efficacia in un contesto di autodifesa e desiderano testare le proprie abilità in un ambiente di combattimento a pieno contatto troveranno nel Jissen Karate una risposta diretta e senza compromessi. È per chi vuole “sentire” il karate sulla propria pelle.

  2. Persone con una forte determinazione e disciplina: L’allenamento è duro, ripetitivo e fisicamente estenuante. È indicato per chi ha una grande forza di volontà, per chi non si arrende di fronte alla fatica e al dolore, e per chi cerca una disciplina che forgi il carattere attraverso la perseveranza. Il motto “Osu no Seishin” deve risuonare con la propria mentalità.

  3. Chi desidera un condizionamento fisico totale: Il Jissen Karate sviluppa forza, resistenza cardiovascolare, flessibilità e, soprattutto, una notevole capacità di incassare i colpi. È un allenamento completo che costruisce un corpo forte e resiliente. È ideale per chi cerca una sfida fisica estrema che vada oltre il semplice fitness.

  4. Adulti in buona salute fisica: Sebbene esistano corsi per tutte le età, la pratica nella sua pienezza è più adatta ad adolescenti e adulti che non abbiano preesistenti condizioni mediche che possano essere aggravate dal contatto fisico intenso.

  5. Chi cerca di sviluppare la fiducia in sé stesso e la forza mentale: Superare la paura del contatto, imparare a gestire il dolore e affrontare avversari in combattimento sono esperienze che costruiscono un’enorme autostima e una calma interiore. È un percorso per sconfiggere le proprie insicurezze attraverso prove tangibili.

A CHI NON È INDICATO (O RICHIEDE CAUTELE):

  1. Chi cerca un’arte marziale puramente “morbida” o spirituale: Se l’interesse è rivolto esclusivamente agli aspetti meditativi, alla fluidità del movimento senza contatto (come nel Tai Chi) o a pratiche non competitive, il Jissen Karate potrebbe risultare eccessivamente rude e aggressivo.

  2. Persone che non tollerano il dolore o il contatto fisico: Il dolore è una componente inevitabile dell’allenamento. Subire e infliggere colpi (in un ambiente controllato e rispettoso) è la norma. Chi ha una bassa soglia del dolore o un’avversione al contatto fisico intenso dovrebbe orientarsi verso altri stili di karate (es. Shotokan, Wado-ryu) o altre discipline.

  3. Individui alla ricerca di tecniche di autodifesa complesse e immediate: Il Jissen Karate richiede anni per essere padroneggiato. Sebbene efficace, non è una “soluzione rapida”. Discipline come il Krav Maga potrebbero essere più indicate per chi cerca un sistema di autodifesa da apprendere in tempi più brevi.

  4. Chi ha problemi articolari, alla schiena o condizioni cardiache preesistenti: L’allenamento è ad alto impatto. Le torsioni potenti, i calci e l’assorbimento dei colpi possono aggravare seriamente problemi alla colonna vertebrale, alle ginocchia, alle anche o altre condizioni mediche. Un consulto medico è assolutamente obbligatorio prima di iniziare.

  5. Chi è interessato principalmente alle competizioni sportive con protezioni complete e tecniche di pugno al viso: Le regole tipiche del Jissen Karate (knockdown) non prevedono pugni al viso né l’uso di guantoni e caschi (se non in categorie giovanili o amatoriali). Chi preferisce il modello della kickboxing o del karate sportivo WKF troverà queste regole limitanti.

CONSIDERAZIONI PER LA SICUREZZA

Affrontare la pratica del Jissen Karate richiede un approccio maturo e consapevole riguardo alla sicurezza. Sebbene l’obiettivo sia simulare un combattimento reale, la pratica avviene all’interno di un dojo dove la salute e il benessere dei praticanti rimangono la priorità assoluta. La sicurezza non è affidata al caso, ma è il risultato di una combinazione di regole precise, una metodologia di allenamento progressiva, e una cultura del rispetto reciproco. La prima e più importante misura di sicurezza è la guida di un Sensei (maestro) qualificato ed esperto. Un buon maestro sa come condurre un allenamento progressivo, insegnando agli allievi come condizionare il proprio corpo gradualmente per sopportare l’impatto. Introdurrà il kumite a contatto pieno solo quando l’allievo avrà acquisito le basi tecniche, il controllo e la resistenza necessari. Un dojo serio non getterà mai un principiante in un combattimento intenso.

Una delle regole di sicurezza più importanti, intrinseca allo stile Kyokushin e a molti derivati, è il divieto di portare pugni, colpi a mano aperta e gomitate al viso o alla testa. Questa singola regola riduce drasticamente il rischio di commozioni cerebrali, danni agli occhi e fratture facciali, che sono tra gli infortuni più gravi negli sport da combattimento. Permette ai praticanti di scambiare colpi al corpo con piena potenza senza il timore di un danno cerebrale permanente, eliminando anche la necessità dei guantoni, che secondo la filosofia Jissen altererebbero la “purezza” delle tecniche di pugno. I calci alla testa sono permessi, ma richiedono un livello di abilità e controllo tale che il rischio è gestito attraverso l’allenamento.

Il condizionamento progressivo (Hojo Undo) è un altro pilastro della sicurezza. I praticanti non iniziano a colpire e a essere colpiti a piena potenza dal primo giorno. Per mesi, e a volte anni, si dedicano a esercizi per rafforzare i muscoli addominali, pettorali e delle gambe. Eseguono esercizi per desensibilizzare le tibie, gli avambracci e altre aree del corpo. Questo “indurimento” non è un atto di masochismo, ma una misura di sicurezza attiva: un corpo condizionato è un corpo meno suscettibile a infortuni come fratture delle costole, strappi muscolari o danni da impatto. È una corazza naturale che viene costruita lentamente nel tempo.

Durante il kumite, il controllo e il rispetto sono fondamentali. Sebbene il contatto sia pieno, l’obiettivo non è infortunare il compagno di allenamento. I praticanti più esperti imparano a dosare la potenza in base al livello dell’avversario. C’è un’enorme differenza tra un combattimento in un torneo mondiale e lo sparring in dojo. Nel dojo, lo scopo è l’apprendimento reciproco. Se un compagno è in difficoltà o si fa male, il combattimento si interrompe immediatamente. Infine, l’uso di protezioni è comune e incoraggiato, specialmente per i principianti, le donne e nelle categorie giovanili. Conchiglia (per gli uomini), paratibie, e a volte corpetti e caschi (per i bambini) sono strumenti importanti per ridurre il rischio di infortuni durante le fasi di apprendimento. La sicurezza nel Jissen Karate non deriva dall’evitare il contatto, ma dal prepararsi ad esso in modo intelligente, graduale e rispettoso.

CONTROINDICAZIONI

Il Jissen Karate, data la sua natura fisicamente esigente e ad alto impatto, presenta una serie di controindicazioni assolute e relative che devono essere attentamente valutate prima di intraprendere questa disciplina. Ignorare queste avvertenze può portare a un peggioramento di condizioni preesistenti o a gravi infortuni. È imperativo consultare il proprio medico curante e, se necessario, uno specialista (come un ortopedico o un cardiologo) per ottenere un certificato di idoneità sportiva agonistica, anche se non si ha intenzione di competere.

Controindicazioni Assolute (la pratica è fortemente sconsigliata):

  1. Patologie Cardiache Gravi: Individui con cardiomiopatie, aritmie non controllate, ipertensione grave o una storia recente di infarto o interventi cardiochirurgici non dovrebbero praticare il Jissen Karate. Lo sforzo cardiovascolare intenso e gli impatti al torace rappresentano un rischio inaccettabile.

  2. Patologie Neurologiche: Condizioni come l’epilessia non controllata, aneurismi cerebrali, o una storia di gravi traumi cranici con postumi possono essere esacerbate dai colpi (anche se indiretti) e dallo sforzo fisico. Il rischio di una commozione cerebrale, sebbene ridotto dal divieto di pugni al volto, esiste comunque con i calci alla testa.

  3. Problemi Scheletrici e Articolari Gravi: Osteoporosi severa, ernie del disco acute o sintomatiche, instabilità articolare cronica (es. lussazioni ricorrenti della spalla), o gravi forme di artrite reumatoide o artrosi rendono la pratica estremamente rischiosa. I colpi, le torsioni e le cadute possono causare fratture o danni irreparabili.

  4. Disturbi della Coagulazione: Persone affette da emofilia o che assumono farmaci anticoagulanti potenti sono a elevato rischio di emorragie interne o ematomi estesi anche a seguito di traumi considerati lievi per un individuo sano.

  5. Gravidanza: La pratica è assolutamente controindicata durante la gravidanza a causa del rischio di impatti diretti all’addome e dello sforzo fisico intenso.

Controindicazioni Relative (la pratica richiede estrema cautela e il parere favorevole di uno specialista):

  1. Problemi Articolari Cronici di Lieve o Media Entità: Chi soffre di problemi alle ginocchia (es. meniscopatie, condropatie), alle anche o alla schiena (es. protrusioni discali) deve valutare con un ortopedico se la pratica sia sostenibile. Potrebbe essere necessario modificare l’allenamento, evitando certi movimenti o limitando l’intensità del kumite.

  2. Problemi alla Vista: Patologie come il distacco di retina o un glaucoma avanzato possono essere aggravate dagli aumenti di pressione causati dallo sforzo e dai potenziali impatti alla testa.

  3. Età Molto Giovane o Avanzata: Sebbene esistano corsi per bambini, è fondamentale che l’allenamento sia ludico e focalizzato sulla tecnica, senza contatto pieno e intenso fino all’adolescenza. Per le persone in età avanzata, il rischio di fratture e la capacità di recupero devono essere attentamente considerati, privilegiando la pratica dei kata e del kihon rispetto al kumite.

  4. Obesità Grave: L’alto impatto degli esercizi può mettere a dura prova le articolazioni portanti. È consigliabile iniziare un percorso di ricondizionamento fisico e perdita di peso prima di affrontare gli aspetti più intensi della disciplina.

In conclusione, la salute del praticante è il bene più prezioso. Un approccio onesto alle proprie condizioni fisiche è il primo passo per un percorso marziale lungo, sano e proficuo.

CONCLUSIONI

Il Jissen Karate, o “Karate del combattimento reale”, è molto più di un semplice insieme di tecniche di autodifesa o di uno sport da combattimento. È una filosofia di vita, una “Via” marziale (Budo) che utilizza la sfida estrema del combattimento a contatto pieno come crogiolo per forgiare il carattere e superare i propri limiti. Nato dalla visione rivoluzionaria di Masutatsu Oyama, questo approccio ha riportato il karate alla sua essenza più pragmatica e onesta, rigettando la formalità fine a sé stessa in favore di un’efficacia testata e provata. L’allenamento, noto per la sua durezza quasi proverbiale, non è un esercizio di violenza, ma uno strumento di auto-scoperta. Attraverso la ripetizione instancabile del kihon, l’eleganza marziale dei kata e la prova del fuoco del kumite, il praticante impara a confrontarsi con le proprie paure, a gestire il dolore e a sviluppare una resilienza che trascende il tatami del dojo per applicarsi alle sfide della vita quotidiana.

La sua diffusione globale e la sua successiva frammentazione in stili innovativi come l’Ashihara e l’Enshin Karate testimoniano la vitalità di questa idea. Il principio del Sabaki, che insegna a usare l’intelligenza tattica e il movimento per superare la forza bruta, rappresenta una magnifica evoluzione del concetto originale, dimostrando che il Jissen non è un sistema statico, ma un’entità in continuo sviluppo. La sua eredità è visibile non solo nelle migliaia di dojo sparsi per il mondo, ma anche nell’influenza profonda che ha avuto sulla nascita e l’evoluzione di sport da combattimento moderni come la kickboxing e le MMA.

Tuttavia, il percorso del Jissen Karate non è per tutti. Richiede un impegno totale, una notevole forza di volontà e la disponibilità ad affrontare fatica e dolore. È una disciplina che esige umiltà, rispetto e una costante messa in discussione di sé stessi. Per coloro che sono disposti ad accettare la sfida, il Jissen Karate offre ricompense inestimabili: un corpo forte e sano, una mente lucida e calma sotto pressione, una profonda fiducia nelle proprie capacità e, soprattutto, la perfezione del carattere, che, come insegnava Oyama, rimane il fine ultimo di questa straordinaria arte marziale.

FONTI E BIBLIOGRAFIA

Le informazioni contenute in questa pagina sono state elaborate attraverso la consultazione e la sintesi di diverse fonti autorevoli nel campo delle arti marziali e del Jissen Karate. La ricerca è stata condotta per fornire una panoramica completa, accurata e imparziale, attingendo a testi fondamentali, siti web di organizzazioni ufficiali e materiale documentale. Di seguito è riportata una bibliografia dettagliata delle principali fonti utilizzate.

Libri:

  • Oyama, Masutatsu. “What is Karate?” (1958) e “This is Karate” (1965). Japan Publications Trading. Questi testi, scritti dal fondatore stesso, sono la fonte primaria per comprendere la tecnica, la filosofia e la visione originale del Kyokushin Karate. Illustrano le tecniche di base, i kata e i principi del combattimento a contatto pieno.
  • Oyama, Masutatsu. “The Kyokushin Way: Mas. Oyama’s Karate Philosophy” (1979). Japan Publications. Un’opera fondamentale per approfondire gli aspetti spirituali e filosofici della disciplina, incluso il concetto di “Budo Karate” e il significato di “Osu no Seishin”.
  • Lowe, Bobby. “Mas Oyama’s Karate as Practiced in Japan” (1987). Arco Pub. Scritto da uno dei primi e più noti allievi non giapponesi di Oyama, offre una prospettiva interna sull’allenamento nel dojo originale e sulla cultura del Kyokushin.
  • Ashihara, Hideyuki. “Fighting Karate” (1985). Kodansha International. Il libro fondamentale scritto dal fondatore dell’Ashihara Karate, dove viene spiegato in dettaglio, con numerose illustrazioni, il rivoluzionario concetto di Sabaki.
  • Ninomiya, Joko & Ed Zorensky. “Sabaki Method: Karate in the Inner Circle” (2000). Frog Books. Il testo di riferimento per l’Enshin Karate, scritto dal suo fondatore, che illustra l’evoluzione del Sabaki e la sua applicazione nel combattimento.

Siti Web di Organizzazioni Ufficiali:

  • IKO Kyokushinkaikan (World Headquarters): www.kyokushinkaikan.org
    • Sito di riferimento per una delle più grandi organizzazioni mondiali di Kyokushin, per informazioni su storia, tecniche, eventi e dojo affiliati.
  • WKO Shinkyokushinkai (World Karate Organization): www.wko.or.jp
    • Sito ufficiale dell’organizzazione Shinkyokushinkai, utile per approfondire la storia post-Oyama, i profili dei campioni e la rete globale di dojo.
  • NIKO – Ashihara Karate Kaikan (New International Karate Organization): www.ashihara-karate.net
    • Fonte primaria per informazioni ufficiali sull’Ashihara Karate, il suo curriculum tecnico e la localizzazione delle scuole nel mondo.
  • Enshin Karate (World Headquarters): www.enshin.com
    • Sito ufficiale dell’Enshin Karate, con spiegazioni dettagliate sul Sabaki Method, biografia del fondatore Joko Ninomiya e informazioni sui tornei Sabaki Challenge.

Articoli e Risorse Digitali:

  • Articoli e profili di atleti e maestri pubblicati su riviste specializzate di arti marziali (es. Black Belt Magazine, Budo International).
  • Documentari e filmati storici, inclusi quelli relativi ai Campionati Mondiali di Kyokushin e alle dimostrazioni di Masutatsu Oyama, disponibili su piattaforme come YouTube, che forniscono un contesto visivo insostituibile.
  • Forum di discussione e community online di praticanti di Jissen Karate, utili per comprendere la cultura contemporanea e le diverse interpretazioni della disciplina.

Questa bibliografia rappresenta la base su cui è stato costruito il testo, con l’obiettivo di garantire che le informazioni siano radicate nelle fonti più dirette e rispettate all’interno della comunità del Jissen Karate.

DISCLAIMER

Le informazioni presentate in questa pagina sono fornite a scopo puramente culturale, informativo ed educativo. Non intendono in alcun modo sostituire la guida, l’insegnamento e la supervisione diretta di un maestro qualificato di arti marziali. La pratica del Jissen Karate, come di qualsiasi altra arte marziale o sport da combattimento a contatto pieno, comporta rischi intrinseci di infortuni, anche gravi.

L’autore e il fornitore di queste informazioni declinano ogni responsabilità per eventuali danni a persone o cose che possano derivare da un uso improprio o non supervisionato delle tecniche e dei metodi di allenamento qui descritti. Si sconsiglia vivamente di tentare di replicare tecniche di combattimento, esercizi di condizionamento o altre pratiche senza la presenza e l’approvazione di un istruttore certificato in un ambiente sicuro e controllato come un dojo.

Prima di iniziare la pratica del Jissen Karate o di qualsiasi attività fisica intensa, è fondamentale consultare un medico per una valutazione completa del proprio stato di salute e per ottenere un certificato di idoneità alla pratica sportiva. Le informazioni relative alle controindicazioni non sono esaustive e non sostituiscono un parere medico professionale.

a cura di F. Dore – 2025

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