Tabella dei Contenuti
COSA E'
Oltre la Giostra, la Radice Guerriera
Per definire compiutamente cosa siano Sa Sartiglia e le altre abilità equestri sarde, è imperativo compiere un’operazione di scavo archeologico-culturale. Bisogna guardare oltre l’immagine, pur magnifica, della festa pubblica, della giostra colorata e del rito spettacolare. È necessario spogliare l’evento dalla sua veste folkloristica contemporanea per raggiungerne il nucleo, il cuore pulsante che batte al ritmo degli zoccoli e delle armi. In questo nucleo non troviamo uno sport o un passatempo, ma un fossile vivente dell’arte militare equestre europea, una disciplina marziale la cui pratica e finalità originarie erano la preparazione alla battaglia e la sopravvivenza del guerriero.
Quest’arte, quindi, non è la Sartiglia. La Sartiglia ne è la sua cattedrale, la sua manifestazione più solenne e ritualizzata. L’arte in sé è un sapere del corpo e della mente, un complesso di tecniche e principi che governano il combattimento a cavallo, sopravvissuto al tempo trasformandosi da necessità bellica a patrimonio identitario. È l’eredità diretta di un’epoca in cui la cavalleria rappresentava la forza d’urto degli eserciti e la maestria del singolo cavaliere poteva determinare l’esito di uno scontro. Definirla significa, dunque, riscoprire il valore marziale dell’uomo a cavallo.
L’Eredità della Cavalleria: Un Sapere di Combattimento
Il fondamento di quest’arte risiede nelle risposte pratiche a domande eminentemente militari. Cosa doveva saper fare un cavaliere medievale o rinascimentale per essere efficace in guerra? Doveva, innanzitutto, diventare un tutt’uno con il proprio cavallo, guidandolo non solo con le redini, ma con la pressione delle gambe, con lo spostamento del peso, liberando una o entrambe le mani per impugnare la lancia, la spada, lo scudo o, in seguito, le prime armi da fuoco. Doveva possedere un equilibrio inscalfibile per non essere disarcionato nell’impatto di una carica o nella mischia. Doveva avere una percezione dello spazio e del tempo affinatissima per colpire un nemico in movimento e, contemporaneamente, schivare i colpi avversari.
Le abilità che oggi ammiriamo nelle piazze sarde sono la traduzione diretta di questi imperativi bellici. La Corsa alla Stella non è altro che la sublimazione dell’addestramento alla “lancia arrestata”, la tecnica di cavalleria per eccellenza, in cui il cavaliere caricava tenendo la lancia ferma sotto il braccio per massimizzare la potenza dell’impatto. Il bersaglio, la stella, simboleggia un punto vitale dell’armatura nemica: la fessura della celata, il punto di giunzione tra elmo e gorgera. Infilzarla al galoppo è la prova di aver assimilato i principi di mira, coordinazione e gestione della potenza in velocità.
Allo stesso modo, le Pariglie, le acrobazie di gruppo, non sono un mero esercizio di virtuosismo. Esse rappresentano l’estrema evoluzione dell’addestramento della cavalleria leggera e delle unità d’assalto. In battaglia, la capacità di muoversi in perfetta sincronia, di fidarsi ciecamente dei propri compagni, di mantenere la formazione anche nelle manovre più audaci e rischiose, era la chiave per non trasformare una carica in un caos suicida. Le piramidi umane, gli scambi di cavallo, le posizioni ardite sono la dimostrazione di un livello di fiducia, affiatamento e abilità collettiva che aveva una precisa e letale applicazione militare.
Non uno Sport, ma una Disciplina dell’Essere
Comprendere la natura marziale di quest’arte significa anche distinguerla nettamente dal concetto moderno di “sport”. Nello sport si compete per un punteggio, una medaglia, un record. Qui, la competizione è prima di tutto con sé stessi e con i propri limiti. Il premio non è materiale, ma è l’onore, il rispetto della comunità e la consapevolezza di aver eseguito un gesto perfetto, di aver incarnato, per un istante, l’archetipo del cavaliere.
Si tratta di una disciplina nel senso più classico e profondo del termine: un percorso di formazione che non modella solo il corpo, ma forgia il carattere. Richiede coraggio, non solo per affrontare la velocità e il rischio fisico, ma anche la pressione psicologica del rito e del giudizio dei pari. Richiede umiltà, perché il cavallo, essere senziente e potente, va compreso, rispettato e curato, non semplicemente dominato. Richiede pazienza, perché la simbiosi perfetta tra cavaliere e destriero è frutto di anni di dedizione quotidiana.
Quest’arte non insegna solo “come cavalcare”, ma “come essere” un cavaliere. È una filosofia pratica che si esprime nell’azione, dove il controllo delle proprie emozioni, la lucidità sotto sforzo e la capacità decisionale istantanea sono tanto importanti quanto la forza fisica e la tecnica. È una via per la maestria di sé attraverso la maestria del movimento equestre.
Il Binomio Indissolubile: Il Cavaliere e il suo Destriero
Al centro assoluto di questa disciplina marziale vi è il binomio cavaliere-cavallo. Non si tratta di un atleta che usa un attrezzo, ma di due esseri viventi che si fondono in un’unica entità combattente, un moderno centauro. L’arte risiede nella qualità di questa fusione. Il cavallo non è un semplice mezzo di trasporto, ma un partner sensibile, intelligente e coraggioso, la cui collaborazione è essenziale per il successo di ogni azione.
Il linguaggio tra i due non è fatto di comandi brutali, ma di una comunicazione sottile e quasi impercettibile. Il cavaliere impara a “sentire” il cavallo: ne interpreta la tensione muscolare, il respiro, le intenzioni. A sua volta, comunica con minimi spostamenti di peso, con la pressione di un polpaccio, con una leggera tensione delle redini. Questa comunicazione profonda è ciò che permette di eseguire manovre complesse al galoppo, di mantenere una linea retta e una velocità costante nella corsa alla stella, o di coordinare i movimenti al millimetro nelle pariglie.
La scelta stessa del cavallo è parte integrante dell’arte. Le razze utilizzate, come l’Anglo-Arabo-Sardo, sono state selezionate nei secoli non solo per la velocità e la resistenza, ma anche per il carattere: il coraggio (“su coru”), l’intelligenza e la nevrilità, quella prontezza di riflessi che in battaglia faceva la differenza tra la vita e la morte. Addestrare un cavallo per queste giostre significa coltivarne queste qualità, trasformando la sua esuberanza in potenza controllata e la sua sensibilità in obbedienza reattiva.
La Trasformazione Rituale: Dal Campo di Battaglia alla Piazza
Se l’origine è inequivocabilmente marziale, come si è conservata quest’arte fino ai giorni nostri? La risposta sta in un affascinante processo di ritualizzazione. Quando le armi da fuoco resero obsolete le cariche di cavalleria e le giostre persero la loro funzione di addestramento militare, questa conoscenza non andò perduta. Fu invece incapsulata all’interno di una crisalide rituale, principalmente attraverso le corporazioni di mestieri, i Gremi.
Il rito ha permesso di conservare la forma e la sostanza delle pratiche marziali, conferendo loro un nuovo significato, sacro e identitario. La figura de Su Componidori, il cavaliere che diventa semidio attraverso la vestizione, la maschera impassibile che annulla l’identità individuale per incarnare quella della comunità, la benedizione con Sa Pippia de Maju (che sostituisce la spada in un gesto di pace e fertilità): tutti questi elementi hanno protetto il nucleo tecnico dell’arte, tramandandolo di generazione in generazione.
Il rituale, quindi, non ha cancellato l’essenza marziale, ma l’ha protetta, come l’ambra protegge un insetto preistorico. Ha fissato le regole, i gesti, le sequenze, trasformando un manuale di addestramento militare in una liturgia collettiva. Per questo, assistere alla Sartiglia non è solo vedere una festa, ma è leggere un testo antico, un palinsesto in cui sotto lo strato del rito si intravede ancora, chiara e potente, la scrittura della guerra.
Un’Arte della Comunità, non dell’Individuo
A differenza di molte arti marziali orientali, la cui trasmissione avviene spesso in una linea diretta maestro-allievo all’interno di una scuola (dojo), l’arte equestre sarda ha una dimensione intrinsecamente comunitaria. Il sapere non è proprietà di un singolo maestro, ma è un patrimonio diffuso, custodito e validato dalla collettività.
Un cavaliere non diventa “maestro” per aver raggiunto un certo grado, ma perché la sua abilità, il suo coraggio e la sua rettitudine sono riconosciuti dagli altri cavalieri e dalla sua comunità. È un sistema basato sulla reputazione e sull’esempio. La preparazione non avviene in solitudine, ma in gruppi informali, nelle campagne, dove i cavalieri più anziani ed esperti trasmettono i loro segreti ai più giovani attraverso la pratica condivisa.
Questa dimensione comunitaria è la chiave della sua sopravvivenza. È la passione collettiva, l’orgoglio di appartenenza e la responsabilità condivisa di mettere in scena il rito che motivano centinaia di persone a dedicare la propria vita a un’arte tanto esigente e pericolosa. L’individuo si esprime, ma sempre all’interno di una cornice collettiva che ne definisce il senso e il valore.
Conclusione Sintetica: Definizione di un’Arte Complessa
In definitiva, “cosa è” Sa Sartiglia e l’arte equestre sarda? È un sistema complesso e stratificato.
È, alla sua radice, un’arte marziale europea focalizzata sul combattimento a cavallo, di cui conserva le tecniche, i principi e lo spirito.
È una disciplina psicofisica che persegue la maestria di sé attraverso la perfetta unione con il cavallo, forgiando il carattere del praticante.
È un patrimonio culturale vivente, un sapere antico che è sopravvissuto alla sua funzione originaria trasformandosi in un rito solenne e in una spettacolare esibizione di abilità.
È un’espressione comunitaria, un’arte la cui pratica, trasmissione e validazione sono profondamente radicate nel tessuto sociale che la ospita.
È, infine, la riscoperta e la celebrazione di una delle figure più potenti dell’immaginario umano: il guerriero a cavallo, non come reliquia del passato, ma come simbolo vivente di coraggio, abilità e armonia.
CARATTERISTICHE, FILOSOFIA E ASPETTI CHIAVE
Introduzione: Anatomia di un’Arte Guerriera
Se la sezione precedente ha definito cosa è l’arte equestre sarda – un sistema marziale preservato nel tempo – questa analisi si propone di dissezionarne l’anima. Ci addentreremo nella sua anatomia interna per comprendere come funziona, perché esiste in questa forma e quali principi ne governano ogni gesto. Andremo oltre la superficie della tecnica per esplorare le fondamenta etiche e mentali su cui essa poggia.
Questa non è una mera lista di attributi, ma un’esplorazione dell’ethos del cavaliere guerriero: un codice non scritto di valori, abilità e stati mentali che costituisce la vera essenza della disciplina. Analizzeremo gli aspetti chiave che ne formano lo scheletro, le caratteristiche che ne rappresentano la carne e i muscoli, e la filosofia che ne è il sistema nervoso e il cuore pulsante. È un viaggio alla scoperta di come la preparazione alla battaglia si sia evoluta in una profonda via di conoscenza di sé.
GLI ASPETTI CHIAVE: I PILASTRI DELLA DISCIPLINA
Alla base di quest’arte vi sono tre pilastri fondamentali e inscindibili, concetti operativi che ne definiscono il campo d’azione. Essi sono il prerequisito per qualsiasi sviluppo tecnico e filosofico successivo.
Il Binomio come Unità Funzionale
Il primo e più importante aspetto chiave è la concezione del binomio cavaliere-cavallo non come una somma, ma come una moltiplicazione di forze. Non si tratta semplicemente di un uomo che cavalca un animale, ma della creazione di un’unica unità tattica e funzionale. In questa unità, i ruoli sono distinti ma interdipendenti in modo assoluto: il cavaliere fornisce l’intento strategico, la visione, la decisione e l’abilità nell’uso dell’arma; il cavallo fornisce la potenza, la velocità, la mobilità e la capacità di superare gli ostacoli.
Questa interdipendenza è la stessa che esisteva in un’unità di cavalleria. Un cavaliere appiedato era un soldato vulnerabile; un cavallo senza cavaliere era una forza incontrollata e priva di scopo. Solo la loro fusione creava l’arma devastante che era il guerriero a cavallo. L’addestramento, quindi, non si concentra separatamente sui due, ma sulla qualità della loro interfaccia. Ogni sessione di allenamento è un esercizio per migliorare questo collegamento, per rendere la comunicazione tra i due istantanea e priva di filtri, fino a che la volontà del cavaliere si traduca in azione del cavallo senza ritardo o esitazione. Questo aspetto chiave è il fondamento marziale per eccellenza: la creazione di un sistema d’arma efficace e perfettamente integrato.
Il Controllo dello Spazio-Tempo
Il secondo pilastro è un concetto fondamentale in ogni arte del combattimento: la maestria nella gestione della relazione tra spazio e tempo. Per un guerriero a cavallo, questa abilità è esponenzialmente più complessa e cruciale. Non si tratta di controllare il proprio corpo in uno spazio statico, ma di governare un corpo in moto accelerato (il proprio e quello del cavallo) in relazione a un obiettivo o a un avversario.
La Corsa alla Stella è l’esercizio supremo per lo sviluppo di questa maestria. Il cavaliere deve calcolare una traiettoria perfetta, mantenere una velocità costante e ottimale, e far coincidere il momento esatto del massimo allungo del braccio con il punto preciso in cui il suo percorso interseca il bersaglio. È una complessa equazione quadridimensionale risolta in una frazione di secondo. Un istante di anticipo o di ritardo, una deviazione di pochi centimetri, e il colpo fallisce.
Questa capacità di “piegare” lo spazio-tempo a proprio vantaggio, di creare la finestra di opportunità perfetta per l’azione decisiva, è ciò che distingueva il cavaliere d’élite dal soldato comune. Nelle giostre odierne, questo si traduce in un’ossessiva ricerca del tempismo perfetto, una sensibilità quasi soprannaturale per le distanze e le velocità che rivela l’origine marziale di un gesto apparentemente solo sportivo.
La Gestione del Rischio Controllato
Il terzo aspetto chiave è di natura psicologica e strategica: la gestione consapevole del rischio. L’arte equestre sarda, in ogni sua forma, è intrinsecamente pericolosa. La velocità, l’altezza, la potenza degli animali e la complessità delle manovre creano una situazione di rischio costante e reale. La disciplina non consiste nell’ignorare o nell’eliminare questo rischio, ma nell’imparare a operarvi all’interno, spingendosi fino al limite delle proprie capacità mantenendo però il pieno controllo della situazione.
Questo non è sinonimo di spericolatezza. Al contrario, è l’esatto opposto. È la coltivazione del sangue freddo (sang-froid), la capacità di rimanere lucidi, analitici e reattivi anche quando l’adrenalina e la paura tentano di prendere il sopravvento. Ogni corsa, ogni pariglia, è un esercizio di gestione dello stress e della paura. Il cavaliere impara a conoscere i propri limiti e quelli del suo cavallo, a valutare le condizioni del terreno e dell’ambiente, e a prendere decisioni istantanee per massimizzare le possibilità di successo minimizzando il pericolo di un errore fatale. Questa capacità di danzare sul filo del rasoio, di abbracciare il rischio in modo calcolato, è una delle virtù cardinali di qualsiasi guerriero.
LE CARATTERISTICHE DISTINTIVE: L’ESPRESSIONE DELL’ARTE
Dai tre pilastri fondamentali emergono le caratteristiche visibili e distintive della pratica, i modi in cui i principi astratti si manifestano nell’azione concreta del cavaliere.
La Precisione Funzionale
La precisione richiesta in quest’arte non è quella statica di un tiratore al poligono. È una precisione funzionale sotto stress, una caratteristica che nasce dalla fusione tra il controllo dello spazio-tempo e la gestione del rischio. È la capacità di eseguire un’azione motoria fine (guidare la punta di una spada in un piccolo foro) nel mezzo di un’azione motoria grossolana e violenta (una carica al galoppo).
Il corpo del cavaliere è sottoposto a immense sollecitazioni: la spinta del galoppo, le vibrazioni, la tensione muscolare per mantenere l’equilibrio. In questo contesto caotico, egli deve essere in grado di isolare il braccio armato e guidarlo con la fermezza e la delicatezza di un chirurgo. Questa non è solo abilità fisica; è il risultato di un addestramento neurologico che crea percorsi neurali capaci di escludere i “rumori” di fondo per concentrarsi unicamente sull’obiettivo finale. È una caratteristica che aveva un’ovvia e diretta applicazione in combattimento, dove la capacità di piazzare un colpo preciso nel caos della mischia era una questione di vita o di morte.
L’Equilibrio Dinamico
L’equilibrio del cavaliere sardo non è uno stato passivo, un semplice “stare in sella”. È un equilibrio attivo e dinamico, la capacità di diventare il baricentro mobile dell’intero sistema cavallo-cavaliere. Deve essere in grado di assorbire l’energia del movimento del cavallo, adattandosi istantaneamente a ogni suo scarto, accelerazione o decelerazione, senza irrigidirsi e senza perdere la propria stabilità e indipendenza di movimento.
La Remada è la massima espressione di questa caratteristica. In quella posizione, sdraiato all’indietro, il cavaliere rinuncia all’appoggio visivo e all’uso delle mani. Il suo equilibrio dipende interamente dalla sua capacità di sentire il movimento del cavallo attraverso il contatto della schiena e delle gambe, e di adattare la propria postura in tempo reale. Questo livello di equilibrio dinamico trasforma il corpo del cavaliere in una piattaforma d’arma incredibilmente stabile. Libera le mani e la parte superiore del corpo per agire, che sia per brandire una spada, tendere un arco o, come nella Remada, compiere un gesto rituale di benedizione.
Il Coraggio come Scelta Razionale
Il coraggio che pervade queste manifestazioni non è l’incoscienza giovanile o l’assenza di paura. È una caratteristica più profonda e matura: il coraggio come atto di volontà, come scelta consapevole e razionale di agire nonostante la piena consapevolezza del pericolo. Ogni cavaliere che si lancia lungo il percorso della Sartiglia sente la paura. La differenza la fa la sua capacità di dominarla, di usarla come catalizzatore per aumentare la concentrazione, invece di lasciarsi paralizzare da essa.
Questa caratteristica viene coltivata gradualmente. Inizia con la fiducia che il cavaliere deve riporre nel proprio cavallo, prosegue con la fiducia nelle proprie capacità, affinate in ore di allenamento, e culmina nella fiducia nel rito e nella comunità che lo sostiene. È un coraggio che non si basa sull’arroganza, ma sulla preparazione. È la calma determinazione di chi sa di aver fatto tutto il possibile per prepararsi al momento della verità. Questo è il vero coraggio marziale: non un’emozione, ma una decisione.
LA FILOSOFIA SOTTOSTANTE: IL “CODICE” DEL CAVALIERE
Al livello più profondo, a governare aspetti e caratteristiche, troviamo una filosofia implicita, un sistema di valori che dà senso e scopo a ogni azione. È il codice etico che eleva la pratica da semplice abilità a via di perfezionamento.
L’Onore come Moneta Sociale
In un mondo privo di classifiche ufficiali, medaglie o premi in denaro, la valuta che misura il valore di un cavaliere è l’onore. Ma l’onore, in questo contesto, non è un sentimento privato di autostima. È un capitale sociale, uno status pubblico che viene guadagnato o perso di fronte alla comunità. La filosofia sottostante è che le azioni di un individuo non appartengono solo a lui, ma si riflettono sulla sua famiglia, sul suo Gremio (corporazione) e sulla sua città.
Questa pressione sociale crea un potentissimo sistema di autoregolamentazione che spinge costantemente all’eccellenza. Un cavaliere non corre solo per sé, ma per difendere e accrescere l’onore del suo nome e del suo gruppo. Un gesto eseguito con eleganza, coraggio e precisione porta prestigio a tutti; un errore o un atto di viltà porta discredito. Questa filosofia dell’onore collettivo è ciò che garantisce il mantenimento di standard elevatissimi e infonde in ogni partecipante un profondo senso di responsabilità.
La Simbiosi Empatica: Oltre il Dominio
La filosofia che regola il rapporto con il cavallo è sorprendentemente moderna e profonda. Si distacca dal concetto di “dominio” o di “rottura” dell’animale (“breaking” a horse, in inglese) per abbracciare una filosofia di simbiosi basata sull’empatia e sulla fiducia reciproca. Il cavaliere sardo non “usa” il suo cavallo; “collabora” con lui.
Questo approccio richiede al cavaliere di sviluppare una profonda comprensione della psicologia equina. Deve imparare a leggere il linguaggio del corpo dell’animale, a capirne le paure, a rispettarne il carattere e a guadagnarsene la fiducia. Un cavallo che agisce per paura è inaffidabile in una situazione di stress; un cavallo che agisce per fiducia e collaborazione diventa un partner coraggioso e proattivo. Questa filosofia della partnership, oltre a essere eticamente più evoluta, è anche marzialmente più efficace. Un guerriero che può fidarsi ciecamente del suo destriero ha un vantaggio incalcolabile.
Il Rito come Custode della Memoria Marziale
Infine, la filosofia portante dell’intera struttura è quella del rito come veicolo e custode della memoria ancestrale. Perché ripetere ogni anno gli stessi gesti, le stesse sequenze, gli stessi rituali? La filosofia è che attraverso questa ripetizione rituale, la comunità compie un atto di anamnesi collettiva: un richiamo attivo del passato nel presente.
Indossando la maschera, il cavaliere non si sta semplicemente travestendo. Sta compiendo un atto filosofico: spoglia sé stesso della sua identità individuale per diventare un tramite, un canale attraverso cui lo spirito del cavaliere archetipico può manifestarsi di nuovo. Il rito è una macchina del tempo che permette ai partecipanti e agli spettatori di connettersi direttamente con il loro passato guerriero, di riviverne i valori e di riaffermare la propria identità. La filosofia non è “ricordiamo i nostri antenati”, ma “diventiamo i nostri antenati”. È questo che rende l’arte non una semplice rievocazione storica, ma una tradizione viva, pulsante e spiritualmente potente.
LA STORIA
DAL CAMPO DI BATTAGLIA ALLA CATTEDRALE DEL RITO
Introduzione: Un Filo Rosso che Attraversa i Secoli
La storia delle abilità equestri in Sardegna è la cronaca di una straordinaria sopravvivenza. È un racconto che si dipana lungo quasi un millennio, un filo rosso che lega indissolubilmente il frastuono dei campi di battaglia medievali alla silenziosa concentrazione dei cavalieri odierni. Per comprendere appieno la natura marziale di gesti come la Corsa alla Stella o le evoluzioni delle Pariglie, non è sufficiente osservarli nella loro forma attuale; è necessario riavvolgere il nastro del tempo e seguire questo filo a ritroso, attraverso i cambi di potere, le rivoluzioni militari e le trasformazioni sociali.
Questa non è una storia di eventi, ma un’analisi del processo di adattamento e conservazione di un sapere guerriero. È la narrazione di come un insieme di competenze, nate per la necessità letale del combattimento, sia riuscito a non estinguersi con il declino della cavalleria, ma a incapsularsi in forme sempre nuove – dal gioco aristocratico al rito civico, fino a diventare un emblema identitario. Ogni epoca storica ha lasciato la sua impronta, aggiungendo uno strato di significato ma senza mai cancellare il nucleo originario, quel codice genetico marziale che attende solo di essere riscoperto e decifrato.
Le Radici Remote: Il Cavallo nella Sardegna Antica e Giudicale
Sebbene il cavallo fosse presente in Sardegna fin da epoche remote, utilizzato come prezioso animale da trasporto e simbolo di prestigio già in età nuragica, romana e vandalica, è durante il periodo dei Giudicati (IX-XV secolo) che inizia a delinearsi il suo ruolo prettamente militare. In un’isola frammentata in quattro regni sovrani (Cagliari, Arborea, Torres e Gallura), costantemente minacciata dalle incursioni saracene e invischiata nelle complesse dinamiche politiche con le Repubbliche Marinare di Pisa e Genova, la capacità di difendere il territorio era fondamentale.
In questo contesto, emerse una classe di guerrieri locali, i donnos e i liueros homines (uomini liberi), che combattevano a cavallo. La cavalleria giudicale non era paragonabile ai reggimenti pesantemente corazzati delle grandi potenze europee, ma era una forza agile, adatta a un territorio aspro e a una guerra fatta di rapide incursioni, schermaglie e controllo del territorio. L’abilità del cavaliere non risiedeva tanto nella potenza della carica frontale, quanto nella perizia della monta, nella capacità di muoversi su terreni difficili e di combattere in scontri veloci e disordinati. Si gettarono qui le basi di una tradizione equestre autoctona, un’arte del cavalcare pragmatica e funzionale, incentrata sulla simbiosi tra uomo e animale e sulla resistenza. Questo è il fertile terreno su cui, di lì a poco, si sarebbe innestata una cultura cavalleresca ben più sofisticata.
Il Punto di Svolta: L’Impatto della Corona d’Aragona e la Cultura Cavalleresca (XIV-XV Secolo)
Il vero punto di svolta, il momento che definì il DNA dell’arte equestre sarda come la conosciamo oggi, fu la conquista dell’isola da parte della Corona d’Aragona, a partire dal 1323. Gli aragonesi non portarono solo un nuovo ordine politico, ma importarono una cultura cavalleresca tra le più raffinate e formalizzate d’Europa. La penisola iberica era stata per secoli un crogiolo di tradizioni guerriere cristiane e islamiche, dando vita a uno stile di equitazione e combattimento unico, la monta a la jineta, agile e veloce.
Con gli aragonesi arrivarono in Sardegna i tornei, le giostre (justas), i giochi di abilità come il juego de cañas (un combattimento simulato con lance di canna) e, soprattutto, la Sortija. Quest’ultima non era una semplice festa. Era un esercizio militare di altissimo livello, concepito per addestrare i cavalieri nobili – sia catalano-aragonesi che sardi infeudati – nelle abilità fondamentali per la guerra: la precisione del colpo di lancia, il perfetto controllo del cavallo al galoppo, il mantenimento dell’equilibrio e la gestione dello stress.
In un’epoca in cui il potere si misurava anche attraverso la magnificenza delle parate militari e delle feste pubbliche, queste giostre divennero uno strumento politico. Servivano a impressionare il popolo, a cementare la lealtà della nobiltà locale integrandola nei codici cavallereschi dei dominatori, e a mantenere un contingente di cavalieri costantemente allenato e pronto all’uso. La Sartiglia di Oristano, la cui prima testimonianza scritta risale al 1546 ma la cui origine è certamente anteriore, nasce esattamente in questo humus culturale. È il prodotto diretto di una politica militare che utilizzava il gioco cavalleresco come strumento di addestramento e di governo.
L’Età Spagnola e il Consolidamento della Tradizione (XVI-XVII Secolo)
Con il consolidamento del potere spagnolo sull’isola, sotto l’impero di Carlo V e dei suoi successori, le giostre cavalleresche divennero un’istituzione. La loro organizzazione non era più solo appannaggio della corte viceregia, ma divenne una prerogativa delle città regie e, in particolare, delle corporazioni di mestieri, i Gremi. Questi potenti organismi cittadini, che regolavano la vita economica e sociale, iniziarono a organizzare giostre e tornei in occasione delle più importanti festività religiose, delle visite di reali o di eventi significativi per la comunità.
Questo passaggio fu cruciale. L’arte equestre iniziò a uscire dalla cerchia esclusiva dell’aristocrazia militare per diventare un patrimonio civico. I cavalieri non erano più solo nobili, ma anche ricchi borghesi, artigiani, contadini benestanti che, attraverso l’abilità a cavallo, potevano affermare il proprio status e il prestigio del proprio Gremio. Fu in questo periodo che la giostra iniziò la sua lenta trasformazione da esercizio puramente marziale a rito civico e religioso. Il gesto tecnico, pur rimanendo identico, si caricò di nuovi significati simbolici: la vittoria nella giostra divenne un auspicio di buon raccolto, la partecipazione un atto di devozione verso il santo patrono, la parata dei cavalieri una rappresentazione dell’ordine e della prosperità della città. La funzione militare non era scomparsa, ma era stata affiancata e progressivamente inglobata da una nuova funzione sociale e spirituale.
Il Secolo dei Savoia e la Crisi della Cavalleria (XVIII-XIX Secolo)
Il passaggio della Sardegna dalla corona spagnola al Ducato di Savoia nel 1720 segnò un’altra svolta epocale, questa volta quasi fatale. I Savoia portarono un modello di stato centralizzato e una dottrina militare completamente diversa, basata sul modello prussiano: eserciti professionali, disciplina ferrea e fanteria addestrata al fuoco di linea. La vecchia cavalleria nobiliare, con le sue armature e le sue lance, era ormai un anacronismo militare.
L’aristocrazia sarda, il cui ruolo militare venne drasticamente ridimensionato, perse rapidamente interesse per le giostre, considerate ormai un passatempo obsoleto e provinciale. La tradizione cavalleresca entrò in una profonda crisi e avrebbe potuto estinguersi completamente, come accadde in molte altre parti d’Europa. Fu in questo momento critico che avvenne il “miracolo” della conservazione. A salvare l’arte equestre non furono i nobili, ma il popolo e i Gremi. Essi si appropriarono definitivamente della tradizione, facendola propria e integrandola in modo ancora più profondo nel cuore delle loro feste più sentite, come il Carnevale.
La Sartiglia di Oristano, ad esempio, divenne l’evento centrale del Carnevale cittadino, organizzata e gestita interamente dai Gremi dei Contadini e dei Falegnami. Questo atto di appropriazione fu un gesto di straordinaria importanza culturale: in un’epoca di grandi cambiamenti e di perdita di antiche autonomie, continuare a praticare la giostra divenne un atto di affermazione identitaria, un modo per dire “noi siamo ancora qui, con le nostre tradizioni e la nostra storia”. Il sapere marziale fu così salvato dall’oblio perché divenne il simbolo della resilienza di una comunità.
Dal Novecento a Oggi: La Custodia e la Riscoperta del Valore Marziale
Il Novecento vide la tradizione affrontare nuove sfide: le due guerre mondiali, l’emigrazione, la modernizzazione e l’omologazione culturale. Eppure, il filo non si spezzò. La Sartiglia e le altre manifestazioni equestri sopravvissero, custodite gelosamente dalle comunità locali come un tesoro prezioso. Nel secondo dopoguerra, con la nascita dell’autonomia regionale e una nuova sensibilità per il patrimonio culturale, si assistette a una progressiva valorizzazione di queste tradizioni.
È soprattutto negli ultimi decenni che si è verificato il passo finale e più significativo di questa lunga storia: la riscoperta consapevole del valore marziale originario. Grazie a studi storici, a una maggiore consapevolezza da parte degli stessi protagonisti e a una comunicazione più attenta, si è iniziato a guardare oltre l’etichetta riduttiva di “folklore”. Si è compreso che dietro la maschera, i costumi e i rituali si cela un’autentica disciplina guerriera, un compendio di abilità psicofisiche di incredibile complessità e raffinatezza.
Oggi, la storia di quest’arte è giunta a una sintesi. La pratica moderna non è più un addestramento per la guerra, ma non è neppure solo una festa. È un atto culturale totale, che tiene insieme la dimensione spettacolare, quella spirituale e, sempre più consapevolmente, quella marziale. I cavalieri di oggi sanno di essere gli eredi di una lunga catena di guerrieri e, nel ripetere i loro gesti, non stanno semplicemente mettendo in scena uno spettacolo, ma stanno onorando e mantenendo viva un’eredità che è la spina dorsale della loro identità.
Conclusione: La Storia come Processo di Incapsulamento
La storia dell’arte equestre sarda è, in ultima analisi, la cronaca di un successo evolutivo. È la dimostrazione di come un complesso di abilità marziali possa sopravvivere alla scomparsa del suo contesto bellico originario attraverso un geniale processo di incapsulamento. Il nucleo tecnico-marziale è stato protetto, secolo dopo secolo, da strati successivi di significato: il gioco aristocratico, il rito civico, la devozione religiosa, la festa popolare, l’affermazione identitaria. Ognuno di questi strati ha permesso al nucleo di attraversare indenne le tempeste della storia, fino a giungere a noi, pronto per essere “scartato” e riscoperto nella sua potente e affascinante essenza guerriera. La Sartiglia e le altre giostre non sono dunque il fantasma di un’arte perduta, ma la sua cattedrale vivente.
IL FONDATORE
L’OPERA ANONIMA DELLA STORIA E DELLA NECESSITÀ
Introduzione: La Domanda Impossibile e la Risposta Profonda
Chi è il fondatore di quest’arte? Chi è il maestro originario, il genio creativo che per primo ha codificato le regole della giostra, definito le tecniche della corsa, immaginato le figure delle pariglie? Questa domanda, così naturale e quasi obbligatoria quando ci si approccia a una disciplina strutturata, è in questo caso la domanda più difficile, quasi impossibile a cui rispondere. È una domanda che proietta un modello moderno, o tipico delle arti marziali orientali con i loro soke e gran maestri, su una realtà che ha avuto una genesi completamente diversa.
Cercare un singolo fondatore per l’arte equestre sarda è come chiedere chi sia il fondatore della lingua italiana o dello stile architettonico gotico. Non esiste un nome, una data di nascita, una biografia. La risposta, quindi, non può essere un individuo, ma deve essere necessariamente più complessa, profonda e, in definitiva, più affascinante. Non esiste un fondatore, perché ne esistono molteplici. L’arte non è stata “inventata”, ma è “nata”. Non è il progetto di una singola mente, ma il risultato di un processo evolutivo, un’opera corale e anonima scolpita dal più grande di tutti gli artisti: il tempo, guidato dal più esigente dei committenti: la necessità. Per scoprire il fondatore, dobbiamo quindi identificare le forze storiche, le entità collettive e i principi astratti che hanno agito come “forze fondatrici”.
Il Primo Fondatore: La Necessità Militare
Il primo, più spietato e indiscutibile fondatore di quest’arte è la Necessità Militare. Questa disciplina non nacque in un’accademia, in tempo di pace, per scopi ludici o estetici. Le sue radici affondano nel fango e nel sangue dei campi di battaglia, dove l’efficacia non era un’opzione, ma l’unica via per la sopravvivenza. La Necessità fu il maestro che, senza pronunciare una parola, impose le regole fondamentali.
Fu la Necessità a “fondare” la tecnica della corsa alla stella. Di fronte a un nemico protetto da un’armatura quasi impenetrabile, la Necessità impose di trovare i punti deboli: la fessura della celata, la giuntura della gorgera. E impose di sviluppare una tecnica per colpire quel punto minuscolo, in movimento, nel caos di una carica. Il gesto della spada che si protende verso la stella è la lezione impartita dalla Necessità.
Fu la Necessità a “fondare” le pariglie. Di fronte a eserciti sempre più organizzati, la Necessità impose alla cavalleria di non essere una semplice somma di individui, ma un’unità coesa, un corpo unico capace di muoversi all’unisono. Le acrobazie che oggi ci stupiscono sono la versione spettacolarizzata di esercitazioni estreme nate dalla necessità di creare una fiducia cieca tra compagni d’arme, di abituare uomini e cavalli a operare in spazi ristrettissimi e a velocità folli senza entrare in collisione, di poter soccorrere un compagno ferito o di cambiare cavalcatura nel mezzo dell’azione.
Questo fondatore non aveva un volto. Era una forza impersonale, un imperativo biologico e strategico. Le tecniche che oggi ammiriamo non sono state “scelte” tra tante possibili; sono quelle che, per tentativi ed errori, si sono dimostrate più efficaci sul campo, quelle che hanno permesso ai loro praticanti di tornare vivi e di tramandarle.
Il Secondo Fondatore: L’Archetipo del Cavaliere Medievale
Se la Necessità fu la mente progettuale, il corpo di questo fondatore fu un’entità collettiva: l’Archetipo del Cavaliere Medievale. Migliaia di uomini, i cui nomi sono quasi tutti perduti nelle nebbie della storia, sono stati gli artefici materiali di questa disciplina. Dai cavalieri dei Giudicati sardi, passando per i caballeros aragonesi e i militari spagnoli, fino ai membri della nobiltà e della borghesia locale, ognuno di loro ha contribuito con un frammento di esperienza, con un’intuizione, con un perfezionamento.
Questo fondatore è una Legione. È il cavaliere anonimo che per primo capì come distribuire il peso per far scartare il cavallo più velocemente. È lo scudiero che passava ore a pulire i finimenti, imparando ogni segreto del proprio destriero. È il comandante che ideò nuove esercitazioni per migliorare la coordinazione del suo squadrone. La loro storia è la storia dell’arte.
Insieme alla tecnica, questo fondatore collettivo ha infuso nella disciplina anche il proprio codice di valori, l’etica cavalleresca. Concetti come l’onore, il coraggio, la lealtà verso il proprio signore o il proprio gruppo (il Gremio), il rispetto per l’avversario e la ricerca della gloria attraverso un’impresa nobile sono entrati a far parte del DNA dell’arte. Quando oggi un cavaliere rischia tutto per un gesto perfetto, non sta solo eseguendo un esercizio di abilità, ma sta incarnando questo archetipo, diventando l’ultimo anello di una catena ininterrotta di guerrieri.
Il Terzo Fondatore: L’Istituzione Collettiva – Il Gremio
Con il mutare dei tempi e il declino della sua funzione militare, l’arte avrebbe potuto estinguersi. Che non sia accaduto lo si deve a un altro fondatore, di natura diversa: l’Istituzione Collettiva, rappresentata magnificamente dal Gremio. Le corporazioni di mestieri di Oristano e di altre città sarde sono state le vere custodi e salvatrici della tradizione.
Il Gremio agì come fondatore in un momento cruciale, operando una geniale trasfusione di significato. Quando l’arte rischiava di morire per obsolescenza militare, il Gremio le donò una nuova linfa vitale, quella civica e religiosa. Ha preso un esercizio di guerra e lo ha trasformato nel culmine di una festa comunitaria, nel modo più solenne per onorare un santo patrono. Ha fornito la struttura organizzativa, le risorse economiche, il quadro normativo e, soprattutto, una nuova, potentissima ragione per esistere.
Il Gremio come fondatore è un organismo sociale, un’intelligenza collettiva che opera su tempi lunghi. Le sue decisioni non sono prese da un singolo, ma maturate all’interno di un consiglio, bilanciando innovazione e tradizione. È stato il Gremio a codificare molti degli aspetti rituali che vediamo oggi, a stabilire le regole della vestizione, a definire il ruolo delle figure cerimoniali. In questo senso, il Gremio non ha solo “preservato” l’arte, ma l’ha attivamente “ri-fondata”, adattandola a un nuovo contesto e garantendone così la trasmissione ai posteri.
Il Quarto Fondatore (Silenzioso): Il Cavallo Sardo
Esiste un fondatore silenzioso, spesso trascurato, ma assolutamente determinante: il Cavallo Sardo stesso. L’arte equestre non è una disciplina astratta che può essere praticata con un animale qualsiasi. È una forma di simbiosi, un dialogo a due, e le caratteristiche di uno dei due interlocutori determinano la natura stessa del dialogo. L’arte che vediamo oggi è tale perché è stata co-fondata dal cavallo sardo.
Le qualità specifiche delle razze utilizzate, in particolare l’Anglo-Arabo-Sardo, hanno plasmato le tecniche tanto quanto le necessità umane. Il loro coraggio innato (“su coru”), la loro intelligenza vivace, la loro nevrilità e prontezza di riflessi, unite a una grande resistenza, hanno reso possibili evoluzioni che sarebbero impensabili con cavalli dal temperamento diverso. La velocità della corsa, l’agilità nelle pariglie, la capacità di mantenere la calma in una folla rumorosa non sono solo merito del cavaliere, ma sono espressione delle doti intrinseche dell’animale.
Il cavallo, quindi, non è un mero strumento, ma un co-autore. I cavalieri, nel corso dei secoli, hanno sviluppato tecniche che valorizzassero le doti di questi animali e ne gestissero i difetti. L’arte è la risposta umana alle domande poste dalla natura del cavallo. Senza questo partner eccezionale, senza questo fondatore non umano, l’intera disciplina avrebbe preso una forma completamente diversa, o forse non sarebbe mai nata.
Il Quinto Fondatore (Sovrano): La Comunità
Infine, al di sopra di tutti, siede il fondatore supremo e costantemente attivo: la Comunità. Un’arte performativa, un rito pubblico, non può esistere senza una comunità che lo desideri, lo comprenda, lo sostenga e gli attribuisca valore. È la comunità nel suo insieme il vero, ultimo fondatore.
È la comunità che, con la sua presenza e la sua partecipazione emotiva, trasforma una semplice gara di abilità in un evento epico. È lo sguardo della comunità che conferisce onore al vincitore e rispetto a tutti i partecipanti. È il giudizio della comunità, ben più di un regolamento scritto, a stabilire cosa è accettabile e cosa non lo è, cosa è coraggioso e cosa è spericolato.
Questo fondatore non è una figura del passato, ma una forza del presente. Ogni anno, quando la gente di Oristano si assiepa lungo il percorso della Sartiglia, sta compiendo un atto fondativo. Sta riaffermando collettivamente l’importanza di quel rito, sta rinnovando il patto con i suoi cavalieri, sta “ri-fondando” la tradizione per l’anno a venire. Senza questo plebiscito popolare, senza questa condivisione di senso, l’arte si ridurrebbe a un guscio vuoto, a un esercizio privato privo di anima.
La Figura de Su Componidori: Maestro del Rito, non Fondatore dell’Arte
In questa costellazione di fondatori collettivi, dove si colloca la figura imponente de Su Componidori? È naturale vederlo come un potenziale fondatore, ma sarebbe un errore. Su Componidori non è il fondatore dell’arte, ma ne è il suo sommo sacerdote, il suo officiante principale.
Il suo è un potere immenso, ma è un potere delegato e temporaneo. Viene scelto dal Gremio (il fondatore istituzionale) per incarnare il ruolo più alto. Egli non crea le regole, ma è il loro custode supremo. Non inventa le tecniche, ma ha il dovere di eseguirle con una perfezione quasi sovrumana. È il maestro del rito, non l’autore della disciplina. La sua figura è la prova più evidente della natura collettiva della fondazione: persino l’uomo più importante della giostra è al servizio di una tradizione che lo precede e lo trascende, una tradizione creata non da un uomo, ma dalla storia stessa.
Conclusione: L’Assenza di un Nome come Sigillo di Autenticità
L’impossibilità di attribuire la paternità di quest’arte a un singolo individuo, lungi dall’essere una debolezza o una lacuna storica, è il suo più grande punto di forza, il sigillo della sua straordinaria autenticità. Ci dice che non siamo di fronte a un prodotto artificiale, ideato a tavolino da un singolo per scopi personali. Siamo, al contrario, di fronte a un’espressione organica, nata spontaneamente dal terreno della storia, della cultura e della terra sarda.
Il fondatore è un’entità plurale: è la logica della guerra, è l’anima di migliaia di guerrieri, è l’intelligenza di un’istituzione civica, è il cuore di un cavallo coraggioso ed è lo spirito di un intero popolo. L’anonimato della sua origine è il suo vero e più nobile pedigree, il marchio inconfondibile di un’arte marziale che non è stata costruita, ma è cresciuta, forte e radicata come le querce secolari della Sardegna.
MAESTRI FAMOSI
L VALORE DEL NOME E L’EREDITÀ DEL GESTO
Introduzione: Oltre la Fama, la Stima. Ridefinire il Concetto di “Maestro”
Affrontare il tema dei “maestri famosi” nell’arte equestre sarda richiede un preliminare e fondamentale cambio di prospettiva. Termini moderni come “atleta”, “campione” o “recordman”, presi in prestito dal mondo dello sport contemporaneo, risultano inadeguati e quasi fuorvianti. Essi evocano un universo di classifiche, punteggi, medaglie e sponsorizzazioni che è del tutto estraneo all’essenza di questa disciplina. L’arte del cavalcare in Sardegna non produce campioni da podio; essa forgia Maestri.
Il termine sardo maistu o maestru è intriso di una profondità che va ben oltre la semplice abilità tecnica. Un maestro non è colui che vince di più, ma colui che meglio incarna i valori dell’arte. La sua autorità non deriva da un tribunale di gara, ma dalla stima e dal rispetto (su rispettu) guadagnati sul campo, riconosciuti all’unanimità dai suoi pari e dalla sua comunità. La fama, in questo contesto, non è la notorietà passeggera data dai media, ma è la solidità di un nome che diventa, nel tempo, sinonimo di eccellenza, coraggio e rettitudine. Per comprendere chi siano i grandi di quest’arte, dobbiamo quindi prima capire quali siano i criteri, non scritti ma ferrei, con cui la comunità identifica e consacra i suoi maestri.
I Criteri della Maestria: Un Giudizio non Scritto
La valutazione di un cavaliere e la sua elevazione al rango di maestro si basano su un codice non scritto, un sistema di giudizio olistico che considera l’uomo nella sua interezza, ben oltre la singola prestazione. Questi criteri sono l’eredità diretta del mondo marziale da cui l’arte discende, dove un guerriero veniva giudicato non solo per la sua abilità con la spada, ma per il suo valore complessivo.
La Tecnica Pura (Su Gestu)
Il primo criterio, il più visibile, è la perfezione del gesto. Non si tratta semplicemente di un risultato – infilzare la stella, chiudere una figura – ma del come lo si ottiene. Un maestro si distingue per l’eleganza, l’essenzialità e l’apparente assenza di sforzo. Il suo corpo è in perfetta armonia con quello del cavallo; la sua corsa è fluida, la sua postura impeccabile, il suo braccio si estende con una precisione naturale, quasi istintiva. È la ricerca della sprezzatura, quel concetto rinascimentale che definisce la capacità di compiere atti difficilissimi nascondendo tutta l’arte e la fatica che vi si celano dietro, facendoli apparire semplici e spontanei. Questo controllo supremo, questa economia del movimento, è il segno di una tecnica che è stata interiorizzata a tal punto da diventare una seconda natura, proprio come un maestro di spada non “pensa” più alla parata, ma la esegue come un riflesso.
Il Coraggio e il Sangue Freddo (Su Coru)
Un cavaliere può possedere una tecnica perfetta, ma senza su coru, il cuore, non sarà mai un maestro. Questo criterio valuta la tempra interiore, la forza d’animo di fronte alla pressione e al pericolo. Si manifesta nella calma imperturbabile prima della partenza, nella determinazione dello sguardo, nell’assenza di esitazione nel momento cruciale della corsa. Un maestro non è chi non ha paura, ma chi la domina. Il suo coraggio non è incoscienza, ma una fiducia totale nella propria preparazione e nel proprio cavallo. È questa calma autorevole che lo rende un punto di riferimento per i cavalieri più giovani e che infonde sicurezza nell’intera manifestazione. Dal punto di vista marziale, su coru è la qualità più preziosa: la capacità di mantenere la lucidità e l’efficacia sotto il fuoco nemico, o, in questo caso, sotto il peso della responsabilità rituale e lo sguardo di migliaia di persone.
La Conoscenza del Cavallo (Sa Scientia)
Un vero maestro è, prima di tutto, un superbo uomo di cavalli. Sa scientia è la conoscenza profonda, quasi intima, del mondo equestre. Non è solo saper cavalcare, ma saper scegliere il cavallo giusto, capirne il carattere, interpretarne lo stato di salute e di umore da minimi segnali. È la capacità di addestrare un puledro e portarlo a diventare un partner affidabile per la giostra. Un maestro “parla” con il suo cavallo, stabilendo un rapporto basato sulla fiducia e sulla comprensione reciproca, non sulla dominanza. Questa profonda conoscenza è ciò che permette al binomio di agire come un’unica entità. Agli occhi della comunità, il modo in cui un cavaliere cura e rispetta il proprio cavallo è un indicatore fondamentale della sua levatura. Un guerriero, infatti, è nulla senza la sua cavalcatura, e la sua prima abilità è mantenerla sempre nelle migliori condizioni.
La Rettitudine Morale (S’Onori)
Infine, il criterio che cementa tutti gli altri è s’onori, l’onore. Un cavaliere può essere abile e coraggioso, ma se la sua condotta nella vita di tutti i giorni non è retta, non accederà mai allo status di maestro. La comunità richiede che le figure di riferimento della sua festa più sacra siano persone integre, umili, generose e rispettose delle regole e delle tradizioni. L’onore di un cavaliere si misura nella sua lealtà verso il Gremio, nella sua disponibilità ad aiutare i più giovani, nel suo comportamento durante l’intera manifestazione, anche lontano dai riflettori. Un maestro è un modello di comportamento a 360 gradi. Questa dimensione etica è l’eco più diretta del codice cavalleresco medievale, per cui l’onore era il bene più prezioso di un cavaliere, da difendere sia in battaglia che nella vita di corte.
Gli Archetipi della Maestria: Diverse Forme di Eccellenza
Poiché la maestria è un concetto così complesso, essa si manifesta in diverse forme. Invece di stilare una sterile classifica, è più utile identificare gli archetipi di maestro, le diverse specializzazioni in cui l’eccellenza può cristallizzarsi.
Il Virtuoso della Stella
Questo è l’archetipo del perfezionista, dello specialista del colpo. La sua fama è legata alla sua quasi infallibile capacità di centrare la stella, spesso in condizioni difficili o con una disinvoltura che lascia stupefatti. È il cavaliere la cui discesa lungo la via Duomo è attesa con il fiato sospeso, perché tutti sanno di poter assistere a un momento di perfezione assoluta. La sua maestria risiede nella concentrazione totale, nella coordinazione occhio-mano-cavallo portata a livelli estremi. Questi maestri diventano leggendari per le loro “imprese”, come centrare la stella con lo stocco per più anni consecutivi o riuscire in condizioni di visibilità non ottimali. Incarnano l’ideale marziale del cecchino, del colpo singolo e risolutivo.
Il Condottiero delle Pariglie
Se il virtuoso della stella è un solista, questo archetipo è il comandante, il leader carismatico. La sua genialità non sta tanto nel gesto individuale, quanto nella capacità di creare, organizzare ed eseguire figure acrobatiche complesse e rischiose insieme ai suoi compagni. È un maestro di coreografia, di gestione del rischio collettivo e, soprattutto, di fiducia. Deve saper scegliere i compagni giusti, ispirarli a superare la paura e coordinare i movimenti di più cavalli lanciati al galoppo come se fossero un corpo solo. La sua è una maestria strategica e relazionale, che richiama direttamente le abilità di un ufficiale di cavalleria capace di guidare i suoi uomini in una carica audace e disciplinata.
Su Componidori Perfetto
Questo archetipo rappresenta la sintesi suprema tra abilità tecnica e comprensione spirituale del rito. Essere scelti come Componidori è il più grande onore, ma è anche la prova più difficile. Un maestro si rivela tale quando, investito di questo ruolo, riesce a trascendere la propria persona. La sua maestria si vede non solo nella perfezione con cui tenta la sorte con la stella o esegue la Remada, ma nella sacralità di ogni suo gesto: nel modo in cui tiene sa pippia de maju, nel modo in cui benedice la folla, nell’aura di autorità ultraterrena che riesce a emanare. Cavalieri come Antonio Casu, Francesco Carboni o Corrado Sanna, celebrati per le loro interpretazioni del ruolo, sono diventati punti di riferimento perché hanno dimostrato di non essere solo atleti, ma veri e propri officianti di un rito sacro, maestri dell’arte nella sua totalità.
Le Dinastie dei Cavalieri: L’Arte come Eredità Familiare
Un aspetto fondamentale della trasmissione della maestria è la sua dimensione familiare. Spesso, l’arte equestre è un’eredità che si tramanda di padre in figlio, di zio in nipote, creando vere e proprie dinastie di cavalieri. In questo contesto, il cognome stesso diventa un marchio di garanzia, un’eredità di onore e abilità da difendere e perpetuare.
Famiglie come i Sanna, i Nonnis, i Fais, i Carboni, i Mura, i Serra e molte altre, sono diventate parte integrante della storia della Sartiglia e delle altre giostre sarde. Menzionare questi nomi non significa fare una classifica, ma riconoscere un fenomeno. All’interno di queste famiglie, l’apprendistato inizia fin da bambini. Non si impara solo a cavalcare, ma si assorbe un intero sistema di valori. Si impara il rispetto per il cavallo, l’importanza del sacrificio, il significato del Gremio e il peso del proprio cognome.
Quando un giovane cavaliere di una di queste famiglie esordisce, non porta in pista solo la propria abilità, ma decenni, a volte secoli, di esperienza familiare. Questa trasmissione diretta, quasi genetica, del sapere è uno dei più potenti motori di conservazione dell’arte, garantendo un livello di eccellenza che si rinnova di generazione in generazione. La maestria di un singolo, in questo caso, è anche il frutto del successo di un intero lignaggio.
La Fama Effimera e la Gloria Perenne: Cosa Resta di un Maestro
Cosa rimane, alla fine, di un grande maestro? Non le statistiche, non un albo d’oro. La distinzione cruciale è quella tra la fama e la gloria. La fama può essere legata a un periodo di particolare successo, a una serie di vittorie, ma può svanire. La gloria, invece, è la traccia indelebile che un maestro lascia nella memoria collettiva.
La gloria di un cavaliere è affidata all’aneddotica, al racconto orale che si tramanda di anno in anno. Si parlerà per sempre di quel Componidori che eseguì una Remada perfetta sotto la pioggia battente, di quel cavaliere che centrò la stella con un cavallo quasi imbizzarrito, o di quel capo-pariglia che inventò una figura mai vista prima. La gloria è un gesto che diventa proverbiale, un nome che viene usato come metro di paragone: “cavalca bene come un tempo cavalcava…”, “ha il coraggio che aveva…”.
Il lascito di un maestro, quindi, non è materiale. È l’aver innalzato lo standard di eccellenza. È l’aver ispirato le generazioni future. È l’essere diventato una parte vivente della storia della tradizione, un capitolo del grande libro orale dell’arte equestre sarda.
Conclusione: I Maestri come Pilastri Viventi della Tradizione
In conclusione, i “maestri famosi” di quest’arte non sono celebrità da rotocalco, né atleti da medagliere. Sono i pilastri viventi su cui si regge l’intero edificio della tradizione. Sono il prodotto di un sistema di valori che privilegia la sostanza sull’apparenza, l’onore sulla fama, la perfezione del gesto sul numero di vittorie. Identificarli significa comprendere i criteri marziali, etici e comunitari con cui vengono giudicati.
Sono virtuosi della tecnica, leader carismatici, officianti del sacro, custodi di un sapere antico. Spesso portano cognomi che sono, di per sé, una garanzia di eccellenza. La loro storia è la storia stessa dell’arte, e la loro gloria non risiede nelle cronache, ma nel cuore della loro gente, che li ha scelti, riconosciuti e innalzati al rango immortale di Maestri.
LEGGENDE, CURIOSITA', STORIE E ANEDDOTI
L’ANIMA NARRATA DELL’ARTE GUERRIERA
Introduzione: Dove la Storia Diventa Mito
Nessuna grande disciplina, specialmente se di origine marziale, è costituita unicamente da tecniche, regole e storia documentata. Attorno a questo scheletro solido si avvolge sempre un corpo vibrante di narrazioni: leggende che ne spiegano le origini mistiche, aneddoti che ne celebrano gli eroi, curiosità che ne illuminano i dettagli più segreti. Questo strato narrativo non è un accessorio folcloristico. È il veicolo primario attraverso cui si trasmettono i valori, l’etica e l’anima più profonda di un’arte. È il fuoco attorno al quale la comunità si riunisce per ricordare, celebrare e comprendere sé stessa.
Esplorare le leggende, le storie e gli aneddoti legati all’arte equestre sarda significa quindi compiere un’immersione nell’inconscio collettivo che l’ha generata e preservata. In questi racconti, la storia si trasfigura in mito, il cavaliere in eroe, il gesto tecnico in atto magico. È qui, in queste storie tramandate di generazione in generazione, che possiamo scoprire le verità più profonde sul valore marziale, sulla psicologia del cavaliere e sul sacro patto che lega l’uomo, il cavallo e la comunità.
Il Sacro e il Sovrumano: Le Leggende de Su Componidori
Il fulcro del potere mitopoietico della tradizione risiede nella figura de Su Componidori. Durante la giornata della giostra, egli cessa di essere un uomo per diventare un’entità altra, e le leggende che lo circondano servono a definire e proteggere questo status eccezionale.
Il Cavaliere che non può Toccare Terra
La regola più famosa e potente è quella secondo cui, una volta terminata la cerimonia della Vestizione, Su Componidori non può più toccare terra fino al termine della manifestazione. Questa non è una semplice norma, ma il sigillo della sua avvenuta trasformazione. Toccare la terra significherebbe spezzare l’incantesimo, “scaricare” il potere sacro accumulato e ritornare a essere un semplice mortale. Questa leggenda ha un’eco marziale potentissima. Il cavaliere, per definizione, è superiore al fante perché opera da un piano elevato. Su Componidori incarna questa superiorità in senso assoluto. Egli abita, per un giorno, un piano di esistenza diverso, intermedio tra l’umano e il divino. La sua inviolabilità è la stessa di un re o di un sommo sacerdote, figure la cui persona fisica è considerata un tutt’uno con la stabilità del regno o la benevolenza degli dei. Mantenere Su Componidori “in sella”, lontano dal suolo profano, significa mantenere l’ordine cosmico e il successo del rito.
La Maschera: Il Volto della Dea o del Guerriero Senza Nome
La maschera lignea, impassibile e androgina, è un potentissimo catalizzatore di leggende. Per alcuni, il suo volto ambiguo è un richiamo a divinità agrarie preispaniche, a una Dea Madre mediterranea che presiede alla fertilità e ai cicli della natura. In quest’ottica, Su Componidori diventa suo officiante, e la giostra un rito propiziatorio. Ma la maschera ha anche un’altra, più oscura e marziale funzione. È la maschera da guerra, presente in innumerevoli culture. Il suo scopo è duplice: spersonalizzare chi la indossa e terrorizzare chi la osserva. Annullando i tratti individuali, la maschera trasforma il cavaliere in un archetipo: non è più Tizio o Caio a cavalcare, ma la forza stessa della tradizione, un guerriero senza nome e senza emozioni, implacabile e perfetto. Questa de-umanizzazione è fondamentale in combattimento, poiché libera il guerriero dai dubbi e dalle paure personali, trasformandolo in puro strumento della volontà di combattimento.
La Benedizione con Sa Pippia de Maju: La Spada che Diventa Fiore
La leggenda vuole che il gesto più potente de Su Componidori, la benedizione finale eseguita con Sa Pippia de Maju (un doppio mazzo di viole e pervinche), sia l’atto che sigilla la sorte dell’annata. Questo gesto, compiuto al termine della Corsa alla Stella, rappresenta una straordinaria sublimazione simbolica. La mano che fino a un istante prima brandiva un’arma – la spada, simbolo di giudizio e di morte potenziale – ora brandisce un simbolo di vita, bellezza e fertilità. Questa non è una contraddizione, ma la rappresentazione della dualità del nobile guerriero. La sua abilità marziale non è fine a sé stessa, ma è al servizio della pace e della prosperità. Egli possiede il potere di distruggere (o di fallire, portando sfortuna), ma sceglie di usarlo per creare e benedire. La leggenda racconta che la rugiada raccolta dai fiori durante la benedizione è portatrice di grande fortuna, un’eco delle antiche credenze sulla magia simpatica e sui rituali di fertilità.
La Sorte dell’Annata: Il Presagio della Stella
Una delle credenze più radicate e affascinanti è che il numero di stelle centrate durante la corsa sia un presagio diretto per l’abbondanza del raccolto. Se i cavalieri riescono nell’impresa, la terra sarà fertile; in caso contrario, l’annata sarà magra. Questa leggenda crea un legame indissolubile tra l’abilità marziale di un’élite di cavalieri e il destino dell’intera comunità. La giostra cessa di essere un gioco per diventare un atto di responsabilità cosmica. Il cavaliere che si lancia al galoppo non sta cercando la gloria personale; sta combattendo una battaglia simbolica per la sopravvivenza del suo popolo. Il suo successo o il suo fallimento hanno conseguenze reali, o almeno così vuole la leggenda. Questo investe ogni corsa di una tensione drammatica e di una posta in gioco altissima, la stessa che un tempo gravava sulle spalle dei guerrieri che difendevano le mura della città.
Storie di Uomini e di Coraggio: Aneddoti dal Campo
Accanto alle grandi leggende, vive un tessuto di storie minori, di aneddoti che celebrano l’aspetto umano e le virtù marziali dei protagonisti.
La Corsa sotto il Diluvio
Si narra di edizioni della Sartiglia funestate dal maltempo, con pioggia battente e vento sferzante che trasformano la pista in un pantano. In queste occasioni, la giostra non viene annullata. Proseguire nonostante le avversità diventa una questione d’onore. Un aneddoto ricorrente è quello del Componidori che, completamente fradicio, con i ricchi abiti appesantiti dall’acqua e il cavallo nervoso per il temporale, esegue ugualmente una Remada impeccabile. Queste storie diventano parabole sulla resilienza, sulla determinazione, sull’incrollabile senso del dovere. Incarnano il principio marziale per cui la missione va portata a termine a qualunque costo, adattandosi alle condizioni più proibitive e dimostrando che la forza di volontà può piegare anche gli elementi.
La Stella “Impossibile”
Sono innumerevoli gli aneddoti che raccontano di stelle colte contro ogni pronostico. Storie di cavalieri che, partiti con un finimento che si sta rompendo, riescono ugualmente nel centro. Racconti di folate di vento improvvise che fanno quasi volare via il cappello del cavaliere, il quale, con un gesto fulmineo, lo sistema e un attimo dopo infilza la stella. O ancora, la storia del cavaliere esordiente, paralizzato dalla tensione, che viene spronato da un cenno di un vecchio maestro e compie la discesa perfetta. Questi aneddoti celebrano le virtù del guerriero: l’adattabilità, la capacità di improvvisare, la concentrazione assoluta e la forza mentale che permette di superare gli imprevisti e l’ansia. Sono la prova che la vittoria non è solo frutto di preparazione, ma anche di genio istintivo e di carattere.
Il Silenzio prima della Discesa
Una curiosità che è anche un potente aneddoto psicologico è il silenzio quasi assoluto che cala sulla folla quando un cavaliere particolarmente atteso si prepara alla partenza. Migliaia di persone trattengono il respiro, creando una bolla di tensione palpabile. Riuscire a performare in quel vuoto sonoro, caricato di un’aspettativa enorme, è forse la prova più dura. Si racconta di cavalieri che descrivono quel momento come un’esperienza extracorporea, in cui il mondo scompare e rimangono solo loro, il cavallo, la pista e la stella. Questo “battesimo del silenzio” è un rito di passaggio che misura la vera tempra di un cavaliere, la sua capacità di isolarsi e trovare la calma nel cuore dell’uragano psicologico.
Anima Equina: Quando il Cavallo Diventa Protagonista
Molte storie e leggende hanno come protagonista non l’uomo, ma il suo partner silenzioso, il cavallo, elevandolo da strumento a eroe.
Il Cavallo che “Sapeva”
Si tramandano storie di cavalli eccezionali che sembravano comprendere la sacralità del loro ruolo. Cavalli normalmente nevrili che, una volta scelti per portare Su Componidori, diventavano improvvisamente docili e solenni durante la vestizione e la sfilata, per poi scatenare tutta la loro potenza solo al momento della corsa. Questi racconti rafforzano l’idea del cavallo come partecipante consapevole al rito. Dal punto di vista marziale, questa è la descrizione del destriero da battaglia ideale: un animale intelligente, capace di conservare le energie e di mantenere la disciplina nelle fasi di preparazione, per poi dare tutto sé stesso nel momento dello scontro.
La Lealtà oltre la Caduta
Un aneddoto toccante, che si ripete in diverse varianti, è quello del cavaliere caduto durante una pariglia acrobatica. Mentre i soccorsi intervengono, il suo cavallo, invece di fuggire spaventato, rimane al suo fianco, quasi a proteggerlo. Questo comportamento, che ha una spiegazione etologica, viene letto dalla comunità come un atto di lealtà e di affetto assoluti. Diventa il simbolo più potente del binomio, di quel patto di ferro tra uomo e animale che non si spezza nemmeno nel momento del disastro. È l’equivalente equestre della storia del soldato che non abbandona il compagno ferito sul campo di battaglia, una parabola sulla fratellanza d’armi.
Curiosità e Segreti del Rito: I Dettagli che Fanno la Differenza
Infine, l’arte è costellata di piccole curiosità e dettagli rituali il cui significato profondo contribuisce al suo fascino.
La Vestizione: La Nascita del Semidio
La curiosità più nota è che, durante la vestizione de Su Componidori, la camicia non viene infilata, ma i suoi lembi vengono cuciti addosso al cavaliere dalle massaieddas, giovani donne in costume tradizionale. Questo dettaglio non è solo scenografico. La cucitura simboleggia la chiusura del corpo mortale del cavaliere e la creazione di un nuovo corpo rituale, sigillato e inviolabile. È un processo lento e meticoloso, che avviene in un silenzio carico di emozione, e che serve a isolare il prescelto dal mondo profano e a prepararlo psicologicamente alla sua trasformazione. È l’equivalente della lunga veglia d’armi e della cerimonia di armatura di un antico cavaliere prima di una giostra o di una battaglia.
Lo Scambio delle Spade: Un Simbolismo Marziale
Una curiosità tecnica è la possibilità per i cavalieri, e in particolare per Su Componidori, di scegliere se tentare la sorte con la spada (sa spada) o con lo stocco (su stoccu). Questa non è una scelta casuale. La spada è l’arma standard, più robusta e con una superficie di impatto leggermente più favorevole. Lo stocco è più sottile, più difficile da maneggiare al galoppo e richiede una precisione chirurgica. La scelta dello stocco è una dichiarazione di intenti: è un guanto di sfida lanciato alla sorte, un modo per alzare la posta in gioco. Un cavaliere che sceglie lo stocco e riesce nell’impresa ottiene una gloria maggiore. Questa dinamica riflette perfettamente la scelta tattica di un guerriero: usare l’arma standard, affidabile, o rischiare con un’arma da specialista, più letale ma più difficile da usare, per ottenere un vantaggio decisivo.
Conclusione: Il Racconto come Custode dell’Ethos Guerriero
Le leggende, le curiosità e gli aneddoti che avvolgono l’arte equestre sarda sono molto più che semplici storie. Sono il tessuto connettivo che lega la tecnica alla spiritualità, l’uomo al mito, il passato al presente. Funzionano come parabole, traducendo i principi astratti di un codice guerriero – coraggio, onore, disciplina, lealtà, sacrificio – in narrazioni concrete, emozionanti e facili da ricordare. Sono queste storie, sussurrate ai bambini, raccontate tra cavalieri, ricordate dalla folla, che infondono nell’arte la sua anima. Custodiscono l’ethos marziale della tradizione in una forma accessibile e potente, assicurando che, finché ci sarà qualcuno a raccontarle, lo spirito del cavaliere guerriero sardo non morirà mai.
TECNICHE
LA GRAMMATICA DEL COMBATTIMENTO A CAVALLO
Introduzione: Oltre il Gesto, il Principio Marziale
Analizzare le tecniche dell’arte equestre sarda significa decodificare una grammatica antica, un linguaggio del corpo e del movimento le cui parole sono state forgiate non per l’estetica, ma per l’efficacia. Ogni gesto, ogni postura, ogni manovra che oggi ammiriamo come un atto di abilità spettacolare, è in realtà una “frase” complessa, carica di sapienza bellica, una soluzione a un problema tattico posto secoli fa sul campo di battaglia.
Questa sezione si propone di scomporre questa grammatica nelle sue componenti fondamentali. Non ci limiteremo a descrivere cosa fanno i cavalieri, ma esploreremo in profondità il come lo fanno e, soprattutto, il perché lo fanno in quel modo specifico. Partiremo dai fondamentali, l’alfabeto di quest’arte, per poi analizzare le espressioni tecniche più complesse – la Corsa alla Stella, Sa Remada e le Pariglie – non come semplici “figure”, ma come veri e propri trattati di combattimento a cavallo messi in pratica. L’obiettivo è rivelare come, dietro ogni tecnica, si celi un principio marziale di efficienza, controllo, potenza e sopravvivenza.
CAPITOLO I: I FONDAMENTALI – LE BASI DELL’ARTE EQUESTRE GUERRIERA
Prima di poter eseguire qualsiasi manovra complessa, il cavaliere deve aver raggiunto la maestria assoluta in un insieme di abilità di base. Questi fondamentali non sono semplici prerequisiti, ma sono l’essenza stessa dell’arte, il substrato su cui tutto il resto viene costruito. Un guerriero a cavallo la cui base è debole è un guerriero inefficace e vulnerabile.
L’Assetto del Cavaliere: La Piattaforma d’Arma
L’assetto è molto più che “stare seduti dritti”. È la postura dinamica e funzionale che trasforma il corpo del cavaliere in una piattaforma d’arma stabile e mobile. La tecnica richiede un assetto profondo, con il bacino ben calato nella sella, come se le gambe e il busto fossero le radici di un albero che affondano nel cavallo. Le gambe devono essere lunghe, rilassate ma toniche, aderenti ai fianchi del cavallo, con il tallone più basso della punta del piede per agire come un ammortizzatore naturale.
La logica marziale di questo assetto è duplice. In primo luogo, una parte inferiore del corpo stabile (bacino, gambe) crea una base solida, una sorta di “torretta” di un carro armato. Questa stabilità è cruciale nel momento dell’impatto con la stella (o, in origine, con la lancia contro uno scudo) per non essere disarcionati e per trasmettere tutta la potenza del colpo. In secondo luogo, una base solida permette una parte superiore del corpo (busto, spalle, braccia) completamente indipendente e mobile. Questa indipendenza è vitale: permette al cavaliere di ruotare il busto per mirare o per parare un colpo, di estendere il braccio con precisione senza che il movimento del cavallo al galoppo interferisca. Senza questa dissociazione tra parte inferiore e superiore del corpo, ogni colpo sarebbe impreciso e ogni scossone del cavallo squilibrerebbe il cavaliere.
La Gestione degli Aiuti: Il Dialogo Silenzioso
Gli “aiuti” sono i segnali con cui il cavaliere comunica con il cavallo. La maestria tecnica risiede nel renderli quasi invisibili. Un cavaliere che si agita, che tira le redini o che scalcia platealmente, non è un maestro, ma un principiante. La tecnica guerriera richiede un dialogo silenzioso ed efficiente.
- Le Gambe: Sono l’acceleratore e il timone. Una leggera pressione coordinata di entrambi i polpacci chiede al cavallo di avanzare o accelerare. Una pressione singola, unita a una leggera flessione del busto, chiede una flessione o una virata. In combattimento, la capacità di guidare il cavallo quasi esclusivamente con le gambe è ciò che libera le mani per l’uso delle armi.
- Il Peso del Corpo: Spostamenti quasi impercettibili del peso del cavaliere nel bacino sono segnali potentissimi per il cavallo. Spostare il peso all’indietro aiuta a rallentare, mentre alleggerirlo favorisce l’accelerazione. È un aiuto fondamentale per le transizioni (ad esempio, partenza-galoppo o galoppo-arresto) fluide e controllate.
- Le Mani e le Redini: Le mani devono essere leggere, fisse e indipendenti dal movimento del corpo. Le redini non servono a tenersi in equilibrio, ma a stabilire un contatto morbido e costante con la bocca del cavallo. Nella filosofia marziale di quest’arte, le redini sono un “freno di emergenza” e uno strumento di rifinitura, non il volante principale. Tirare è un segno di debolezza e di cattiva equitazione. Il vero controllo risiede nell’assetto e nelle gambe.
Il Controllo dello Sguardo e del Respiro: La Mente che Guida l’Azione
Un principio condiviso da quasi tutte le arti marziali è che l’energia segue lo sguardo. La tecnica del cavaliere sardo è ossessivamente focalizzata su questo. Durante la corsa, lo sguardo non è mai rivolto verso il basso o sul collo del cavallo, ma è proiettato in avanti, fisso sull’obiettivo. Questo non solo aiuta l’equilibrio, ma comunica al cavallo la direzione e l’intento, spingendolo a mantenere una traiettoria rettilinea.
Il respiro è lo strumento per il controllo della mente e del corpo. Una respirazione profonda e regolare prima della partenza aiuta a ossigenare i muscoli e a calmare il sistema nervoso, abbassando il livello di adrenalina e riducendo la tensione. Molti cavalieri eseguono una profonda espirazione nel momento esatto della partenza, un atto che serve a “scaricare” la tensione residua e a sincronizzare il proprio corpo con lo scatto del cavallo. Durante la corsa, il respiro controllato mantiene la lucidità necessaria per il momento del colpo.
CAPITOLO II: LA CORSA ALLA STELLA – ANATOMIA DI UN ASSALTO DI PRECISIONE
Questa è la tecnica regina, la più complessa e rappresentativa. Analizzarla equivale a sezionare una carica di cavalleria in miniatura, un attacco di precisione ad alta velocità.
Analisi Marziale: La Lancia Arrestata e il Colpo Vitale
Come già accennato, la Corsa alla Stella è la simulazione di un attacco con la lancia o la spada contro un punto vitale. La tecnica della “lancia arrestata” prevedeva di bloccare la lancia sotto l’ascella per renderla solidale con il corpo e sfruttare l’intera massa del cavallo e del cavaliere al momento dell’impatto. La tecnica della Sartiglia, pur utilizzando una spada più corta, si basa sullo stesso principio: non è la forza del braccio a colpire, ma la precisione del braccio che guida l’energia cinetica dell’intero binomio.
Fase 1 – La Preparazione e l’Allineamento (Il Puntamento)
Tutto inizia prima della partenza. Il cavaliere posiziona il cavallo, calmo e immobile, esattamente sulla linea che ritiene ottimale. In questa fase, compie un’analisi strategica: valuta la luce, la direzione del vento, le condizioni del terreno. La sua mente è già proiettata lungo la pista, fino alla stella. Lo sguardo si fissa sull’obiettivo. Questa fase di puntamento mentale è cruciale. Il cavaliere “vede” la sua corsa ancora prima di eseguirla. È un esercizio di visualizzazione e concentrazione totale, simile a quello di un arciere prima di scoccare la freccia.
Fase 2 – La Partenza e l’Accelerazione (L’Ingaggio)
Su un segnale non verbale – un profondo respiro, un leggero spostamento del peso, una minima pressione delle gambe – il cavaliere “ingaggia” l’azione. La partenza deve essere esplosiva ma non scomposta. Una partenza troppo brusca può far perdere aderenza al cavallo o innervosirlo, compromettendo la rettilineità della traiettoria. La tecnica richiede una progressione fluida: da fermo, a un paio di falcate di trotto, a un galoppo riunito e infine al galoppo lanciato. Questa accelerazione controllata permette al cavaliere di “assestarsi” perfettamente in sella e di stabilizzare la piattaforma d’arma prima di raggiungere la velocità di crociera.
Fase 3 – La Corsa (La Gestione della Piattaforma)
Questa è la fase centrale. L’obiettivo tecnico non è aumentare la velocità, ma mantenerla costante e su una traiettoria perfettamente rettilinea. Qualsiasi deviazione o variazione di ritmo costringerebbe il cavaliere a un aggiustamento dell’ultimo secondo, compromettendo la precisione. Durante questa fase, il cavaliere è un blocco unico con il suo cavallo. Il suo corpo, saldo nell’assetto, assorbe passivamente il movimento del galoppo. La sua mente è sgombra, lo sguardo fisso sulla stella che si avvicina. È in uno stato di “flusso” (flow), un’immersione totale nell’azione dove non c’è più spazio per il pensiero cosciente, ma solo per l’istinto allenato.
Fase 4 – Il Momento del Colpo (L’Impatto)
È l’istante della verità, una finestra temporale di una frazione di secondo. La tecnica del colpo prevede una sequenza precisa:
- Estensione: Circa 10-15 metri prima della stella, il cavaliere estende il braccio armato, portandolo in posizione. Il braccio non è rigido, ma tonico.
- Mira Finale: Lo sguardo si focalizza non sulla stella intera, ma sul suo centro, sul foro. L’allineamento occhio-mano-stella deve essere perfetto.
- Impatto e Assorbimento: Il polso è saldo ma non bloccato. Al momento dell’impatto, il cavaliere non “spinge”, ma lascia che sia la velocità del cavallo a fare il lavoro. Il suo corpo e il suo braccio assorbono una parte dello shock per non perdere l’equilibrio. La tecnica con lo stocco è ancora più raffinata, poiché richiede un angolo di attacco quasi perfettamente perpendicolare, mentre la spada consente un margine di errore leggermente maggiore.
- Presa: Una volta infilzata, la stella non va strappata via, ma “accompagnata” per qualche istante prima di sfilarla dal nastro.
Fase 5 – Il Post-Impatto e la Chiusura (Il Disimpegno)
L’azione non finisce con il centro. Un guerriero deve saper disimpegnare dopo un attacco. La tecnica richiede una decelerazione controllata e progressiva, riportando il cavallo a un galoppo riunito e poi al passo o all’arresto, senza manovre brusche. Questo dimostra il controllo totale sul cavallo anche in una fase di alta eccitazione e scarico di adrenalina.
CAPITOLO III: SA REMADA – LA TECNICA DELLA FIDUCIA ASSOLUTA
Se la Corsa alla Stella è la tecnica dell’assalto, Sa Remada è la tecnica della maestria difensiva e del controllo totale, paradossalmente dimostrata attraverso un apparente “abbandono”.
Analisi Marziale: La Maestria del Corpo come Arma Totale
In termini marziali, Sa Remada rappresenta il raggiungimento del livello più alto di indipendenza degli aiuti. Un cavaliere che può guidare un cavallo al galoppo senza usare né le mani né la vista diretta, ha raggiunto una tale simbiosi con l’animale e una tale padronanza del proprio corpo da avere la parte superiore del corpo completamente libera per qualsiasi altra azione: tirare con l’arco, usare uno scudo, brandire una seconda arma, ricaricare un’arma da fuoco. È la dimostrazione pratica di un controllo che non risiede più negli strumenti (le redini), ma nel corpo stesso.
La Tecnica dell’Abbandono Controllato
Il movimento non è uno “sdraiarsi” passivo, ma una sequenza tecnicamente complessa. Partendo da un galoppo controllato, Su Componidori sposta gradualmente il suo baricentro all’indietro, affidandosi completamente ai muscoli addominali e dorsali per sostenere il busto. Il peso viene distribuito sulla groppa del cavallo. Le gambe rimangono l’unico strumento di propulsione e di direzione, mantenendo una pressione costante e simmetrica per garantire la traiettoria rettilinea. Le redini vengono abbandonate o tenute molli. L’equilibrio è mantenuto attraverso micro-aggiustamenti del bacino e del core. È una tecnica che richiede una forza fisica e una sensibilità propriocettiva straordinarie.
CAPITOLO IV: LE PARIGLIE – LA TECNICA DEL COMBATTIMENTO DI SQUADRA
Le pariglie spostano il focus dall’individuo all’unità di combattimento. Sono l’espressione della cavalleria come forza coordinata.
Analisi Marziale: Dalla Schermaglia alla Battaglia d’Insieme
In una battaglia, la cavalleria non caricava mai in ordine sparso. La sua efficacia dipendeva dalla coesione della formazione. Le pariglie sono l’addestramento, portato all’estremo, di tutti i principi necessari al combattimento di squadra:
- Coscienza Situazionale: Ogni cavaliere deve essere costantemente consapevole non solo della propria posizione, ma anche di quella dei suoi compagni e delle loro intenzioni.
- Tempismo Condiviso: Le accelerazioni, le virate e le figure devono essere eseguite con un tempismo perfetto per evitare collisioni catastrofiche.
- Affidabilità e Prevedibilità: Ogni membro della squadra deve essere assolutamente affidabile, eseguendo la sua parte di manovra in modo prevedibile per gli altri.
Tecniche Fondamentali delle Pariglie
- La Corsa Affiancata: È la tecnica base. Due o tre cavalieri galoppano mantenendo una distanza laterale costante di pochi centimetri. Richiede una sensibilità eccezionale nel regolare la velocità del proprio cavallo in relazione a quella degli altri.
- Le Figure in Verticale (Piramidi): Il cavaliere centrale (il “basso”) deve fornire una piattaforma umana incredibilmente stabile, mantenendo un assetto e una velocità perfetti. I cavalieri laterali (i “terzi”) devono avere la forza e l’agilità per salire in piedi sulla sella o sulle spalle del compagno, mantenendo l’equilibrio in una posizione di estrema precarietà. È un esercizio estremo di forza del core, equilibrio e fiducia.
- Gli Scambi e gli Incroci: Figure come il “ponte” (due cavalieri laterali che si uniscono sopra quello centrale) o gli incroci di traiettorie richiedono un calcolo perfetto delle distanze e dei tempi, abilità fondamentali per le complesse manovre di “carosello” o di carica e ripiegamento della cavalleria storica.
Conclusione: La Tecnica come Espressione dell’Ethos Guerriero
Le tecniche dell’arte equestre sarda, dalla più fondamentale alla più spettacolare, non sono un repertorio di acrobazie. Sono un linguaggio marziale coerente e complesso. L’assetto e gli aiuti ne sono l’alfabeto. La Corsa alla Stella è la prosa dell’assalto individuale, precisa e letale. Sa Remada è la poesia della maestria assoluta, del controllo che trascende gli strumenti. Le Pariglie sono il discorso epico del combattimento di squadra, un inno alla fiducia e alla coordinazione. Scomporre e analizzare questa grammatica ci permette di leggere, in ogni gesto, non solo la storia di una festa, ma il manuale di addestramento vivente del cavaliere guerriero.
FORME
LA SARTIGLIA COME KATA COLLETTIVO E SOCIALE
Introduzione: Alla Ricerca del Kata Perduto
La domanda su quale sia l’equivalente del kata giapponese nell’arte equestre sarda è una delle più acute e penetranti che si possano porre. Essa costringe a superare le apparenze e a cercare una corrispondenza non nella forma esteriore, ma nella funzione e nello spirito. Se per “kata” intendiamo una sequenza preordinata di movimenti eseguiti da un singolo individuo in un dojo, allora la risposta è semplice: un equivalente diretto non esiste. Ma se, con un’analisi più profonda, intendiamo il kata per ciò che realmente è – un manuale vivente, un metodo per la trasmissione di tecniche e principi, un esercizio per forgiare la mente e un rituale che incarna la filosofia di un’arte marziale – allora la risposta si rivela in tutta la sua grandezza e complessità.
L’equivalente del kata non è una singola sequenza eseguita da un cavaliere. È l’intera, immutabile e solenne sequenza di eventi che costituisce la giornata della Sartiglia. Questa non è una forma individuale, ma un grande kata collettivo e sociale, eseguito da una pluralità di attori (il banditore, il Gremio, Su Componidori, i cavalieri, la comunità stessa) ognuno con un ruolo e movimenti precisi. Questo “macro-kata” si svolge non in un minuto, ma nell’arco di un’intera giornata, e il suo dojo non è una stanza, ma il cuore di una città. Analizzare la Sartiglia come un kata significa decodificarne la struttura per riscoprirne il profondo e stratificato valore marziale.
CAPITOLO I: LA FUNZIONE DEL KATA – UN MANUALE VIVENTE
Per poter argomentare la tesi della Sartiglia come “kata collettivo”, è necessario prima definire le funzioni essenziali di un kata nelle arti marziali tradizionali. Un kata è molto più di una semplice “danza di guerra”.
- Conservazione delle Tecniche: Il kata è un’enciclopedia fisica. Cripta e conserva le tecniche di attacco, difesa, parata e movimento, proteggendole da alterazioni e garantendone la trasmissione intatta attraverso le generazioni.
- Trasmissione dei Principi Marziali: Oltre alle singole tecniche, il kata insegna i principi che le governano: la gestione della distanza (maai), il tempismo (hyoshi), il controllo del ritmo, la generazione e l’applicazione della potenza.
- Allenamento della Connessione Mente-Corpo: La pratica ripetuta del kata sviluppa una connessione neuromuscolare profonda, rendendo i movimenti fluidi, efficienti e istintivi. Il corpo impara a muoversi come un’unità coesa senza il bisogno del pensiero cosciente.
- Sviluppo dello Stato Mentale del Guerriero: Il kata è un esercizio di concentrazione estrema. Richiede una mente sgombra, un focus totale e, soprattutto, coltiva lo zanshin (残心), la “mente che rimane”, uno stato di consapevolezza rilassata ma totale che persiste anche dopo la fine dell’azione.
- Incarnazione della Storia e della Filosofia: Ogni kata è la sintesi della storia e della filosofia della propria scuola. Eseguirlo significa connettersi con i maestri del passato e incarnare fisicamente i valori dell’arte. La sua applicazione pratica, l’analisi delle tecniche contenute, è chiamata bunkai.
Armati di questa griglia di lettura, possiamo ora analizzare la sequenza della Sartiglia e vederne le sorprendenti corrispondenze.
CAPITOLO II: L’ANATOMIA DEL KATA SARDO – LA SEQUENZA IMMUTABILE DELLA SARTIGLIA
La giornata della Sartiglia si svolge secondo una successione di fasi rigida e non negoziabile. Ogni fase è un “movimento” di questo grande kata sociale, con un inizio, uno sviluppo e una fine ben precisi.
Fase 1: Il Bando – L’Apertura del Kata (Hajime)
Ogni kata inizia con un saluto e la dichiarazione del suo nome (hajime, “inizio”). L’equivalente nella Sartiglia è la lettura del Bando da parte di un araldo a cavallo. Questo atto non è una semplice formalità. È il momento solenne che definisce lo spazio e il tempo del rito. Le parole del Bando, che autorizzano la corsa “in nome di Sua Maestà” e sotto la protezione del Santo, sospendono la realtà ordinaria e inaugurano la realtà sacra della giostra. È il segnale che concentra l’attenzione di tutti i partecipanti, cavalieri e spettatori, e li prepara mentalmente all’evento che sta per iniziare. È l’apertura formale della “forma”, che ne dichiara l’intento e ne stabilisce i confini.
Fase 2: La Vestizione – La Preparazione e la Trasformazione (Kamae)
Dopo l’apertura, ogni kata prosegue con l’assunzione di una posizione di guardia (kamae). La Vestizione de Su Componidori è la più profonda e complessa forma di kamae che si possa immaginare. È una sequenza lenta, meticolosa e silenziosa, in cui il cavaliere prescelto viene letteralmente spogliato della sua identità umana e rivestito della sua nuova natura di semidio. Ogni gesto delle massaieddas che cuciono la camicia, che fissano la maschera, che posano il velo e il cilindro, è un movimento codificato. Psicologicamente, questa fase serve a svuotare la mente del cavaliere, a separarlo dal mondo esterno e a fargli raggiungere uno stato di concentrazione assoluta. È una preparazione rituale che non ha eguali per intensità. Al termine della Vestizione, Su Componidori è in “guardia”: non solo fisicamente in sella, ma mentalmente e spiritualmente pronto, trasformato nello strumento perfetto del rito.
Fase 3: Il Corteo e l’Incrocio delle Spade – La Presentazione e la Tensione
I movimenti lenti e controllati tra le tecniche di un kata servono a mantenere la tensione, a dimostrare equilibrio e a collegare le varie fasi. Il lungo corteo dei cavalieri, che dalla sede della Vestizione si muove prima verso la Cattedrale e poi verso il percorso di gara, svolge questa funzione. È una parata lenta, solenne, una dimostrazione di ordine e disciplina. Un momento chiave di questa fase, un vero e proprio “movimento tecnico” all’interno della sequenza, è l’Incrocio delle Spade tra Su Componidori e il suo secondo, Su Segundu Cumpoidori, all’inizio del percorso. Con questo gesto, i due cavalieri si salutano e Su Componidori riceve formalmente l’autorizzazione a dare inizio alla parte più dinamica della giostra. È un momento di altissima tensione, un dialogo di lame che stabilisce la gerarchia e segna il passaggio dalla fase preparatoria a quella attiva del kata.
Fase 4: La Corsa alla Stella – Il Cuore del Kata (Bunkai)
Questa fase è il cuore pulsante del kata, il suo bunkai, l’applicazione pratica e ripetuta del principio marziale fondamentale. Ogni discesa di un cavaliere è una ripetizione della stessa sequenza tecnica: allineamento, carica, mira, impatto, disimpegno. È la dimostrazione dell’abilità nel colpo di precisione ad alta velocità. La successione di decine di cavalieri non è una monotona ripetizione, ma un’esplorazione di tutte le possibili varianti del bunkai principale. Ogni cavaliere interpreta la tecnica con il proprio stile, il proprio cavallo, la propria tempra, proprio come maestri diversi possono interpretare lo stesso kata con sfumature differenti. La Corsa alla Stella, in quest’ottica, è la sezione del kata dedicata all’applicazione delle tecniche di attacco individuali.
Fase 5: Sa Remada – La Chiusura e la Consapevolezza Residua (Zanshin)
Al termine di ogni kata, l’azione finale è seguita da un momento di zanshin, di consapevolezza residua, in cui il praticante, pur avendo concluso il movimento, rimane mentalmente e spiritualmente connesso all’azione. Sa Remada è la più spettacolare manifestazione di zanshin che si possa concepire. Avviene dopo che la parte “combattiva” della Corsa alla Stella si è conclusa. Su Componidori, eseguendo questa figura di controllo supremo, dimostra che la sua maestria e la sua concentrazione non sono svanite con l’ultimo colpo. È un gesto di pura potenza controllata, una benedizione che chiude il cerchio. È la firma del maestro, il movimento finale e indimenticabile che sigilla la “forma”, lasciando una traccia indelebile nella mente degli spettatori e riaffermando lo stato di grazia e di controllo totale del protagonista.
Fase 6: Le Pariglie – Il Kata nel Kata (Okuden)
In molte scuole marziali, esistono kata superiori, o Okuden, che contengono gli insegnamenti più segreti o avanzati. Le Pariglie, che si svolgono dopo il completamento del rito della stella, possono essere viste come un “kata nel kata”, una forma successiva e distinta che esplora un altro aspetto dell’arte marziale: il combattimento di squadra. Se la Corsa alla Stella è il kata del duello individuale, le Pariglie sono il kata della battaglia di gruppo. Le loro sequenze acrobatiche e sincronizzate rappresentano il bunkai dei principi di collaborazione, fiducia e tattica di cavalleria. Il fatto che si svolgano in un contesto diverso (la via Mazzini) e in un’atmosfera più libera e spettacolare, sottolinea la loro natura di “insegnamento avanzato”, non più legato alla rigida sacralità della stella, ma all’esplorazione dei limiti dell’abilità collettiva.
CAPITOLO III: IL KATA COME VEICOLO DI PRINCIPI MARZIALI
Analizzata in questo modo, è evidente come la sequenza della Sartiglia assolva a tutte le funzioni di un kata tradizionale, ma su una scala sociale.
Preservazione delle Tecniche e Trasmissione dei Principi
La natura immutabile del rito costringe ogni generazione di cavalieri a confrontarsi con lo stesso identico set di problemi tecnici e a padroneggiare le stesse abilità dei loro predecessori. La sequenza non permette scorciatoie. Per compiere la Corsa alla Stella o le Pariglie, un cavaliere è obbligato a sviluppare un assetto perfetto, un controllo fine degli aiuti, una gestione del cavallo e una mira eccezionali. Il “kata Sartiglia” è quindi un formidabile conservatore di tecniche. Inoltre, insegna principi astratti: l’importanza della preparazione mentale (Vestizione), il rispetto della gerarchia (Incrocio delle Spade), la gestione della pressione (la Corsa) e la necessità della fiducia (le Pariglie).
Sviluppo dello Stato Mentale del Guerriero
Forse in nessun altro contesto come in questo il concetto di “forgiare la mente” è così evidente. La lunghissima attesa, il peso delle aspettative, la sacralità del rito, il rischio fisico reale, la necessità di eseguire un gesto perfetto in una singola, irripetibile occasione: tutto contribuisce a creare una pressione psicologica immensa. Sopravvivere e performare in questo ambiente richiede uno sviluppo eccezionale di concentrazione, controllo emotivo e coraggio. La sequenza stessa, con i suoi ritmi lenti che esplodono in azioni fulminee, è un potente esercizio di gestione dell’energia mentale, di alternanza tra calma e azione, che è l’essenza dello stato mentale del guerriero.
Incarnazione della Filosofia e della Storia
Infine, eseguire questo grande kata collettivo significa mettere in scena la propria storia e la propria filosofia. Ogni fase del rito è uno strato della storia dell’arte: il Bando evoca i proclami reali, la Corsa alla Stella ricorda le giostre militari, le Pariglie le esercitazioni di squadra, e la sacralità de Su Componidori la successiva trasformazione in rito. Partecipare alla Sartiglia, in qualsiasi ruolo, significa diventare un attore in questo dramma storico, incarnare fisicamente i valori della tradizione e riconnettersi con le generazioni di cavalieri che hanno eseguito quella stessa “forma” per secoli.
Conclusione: La Forma Vivente di un’Intera Comunità
L’equivalente sardo del kata giapponese, dunque, esiste. Non è nascosto in una sequenza segreta praticata da un singolo, ma si manifesta in piena luce, come una grandiosa opera teatrale il cui copione è stato scritto dalla storia. È un kata sociale, la cui esecuzione richiede la partecipazione coordinata di un’intera comunità, e il cui scopo ultimo è lo stesso di ogni grande forma marziale: preservare un sapere tecnico, forgiare il carattere dei suoi praticanti e celebrare l’identità e lo spirito di un popolo attraverso la bellezza e la disciplina di un’arte guerriera. La Sartiglia, vista in quest’ottica, non è solo una festa; è la forma vivente, respirante e galoppante di un’intera cultura.
UNA TIPICA SEDUTA DI ALLENAMENTO
LA FORGIA QUOTIDIANA DEL CAVALIERE
Introduzione: Molto più che Cavalcare
L’immagine di un cavaliere che si lancia al galoppo per infilzare una stella è un distillato di pochi, intensi secondi di azione. Quegli istanti, però, sono il culmine di un lavoro quotidiano, di una disciplina ferrea e di una dedizione che va ben oltre il semplice atto di cavalcare. Una tipica seduta di allenamento per un cavaliere che aspira a partecipare a manifestazioni come la Sartiglia non è un’ora di lezione di equitazione, ma un rituale complesso che coinvolge corpo e mente, uomo e animale, in un processo di costante affinamento.
Per comprendere la profondità di quest’arte marziale, è necessario entrare idealmente in una delle scuderie della campagna oristanese, mesi prima del grande evento. È qui, lontano dalla folla e dai colori della festa, nella polvere del maneggio e nel silenzio rotto solo dal respiro del cavallo, che il cavaliere viene forgiato. L’allenamento è uno stile di vita, un microcosmo che riflette la serietà, la pazienza e il profondo rispetto che erano le fondamenta del rapporto tra il guerriero e il suo destriero.
FASE I: L’AVVICINAMENTO E LA PREPARAZIONE DEL CAVALLO – IL PATTO RINNOVATO
La sessione di allenamento non comincia quando il cavaliere mette il piede nella staffa, ma molto prima. Inizia con l’avvicinamento al proprio compagno d’arme, un momento fondamentale che stabilisce il tono per tutto il lavoro successivo.
Il Saluto e l’Osservazione
Il primo passo è un rituale silenzioso. Il cavaliere si avvicina al box del suo cavallo, non con la fretta di chi deve iniziare un’attività, ma con la calma di chi va a trovare un partner. Lo osserva: come si muove? È tranquillo o nervoso? Le orecchie sono rilassate o tese? Cerca il contatto visivo. Questo primo approccio è una forma di ricognizione marziale: si valuta lo stato psico-fisico del proprio “commilitone” per capire le sue condizioni e le sue predisposizioni per la giornata. Un buon cavaliere sa che non si può chiedere il massimo a un cavallo che non è mentalmente o fisicamente al 100%.
La Strigliatura e la Pulizia (L’Ispezione dell’Arma)
Il momento della strigliatura è uno dei più importanti. Dal punto di vista marziale, è l’equivalente della meticolosa ispezione della propria arma prima di una battaglia. Passando la striglia e la spazzola su tutto il corpo dell’animale, il cavaliere non si limita a pulirlo. Compie un controllo tattile completo: verifica la presenza di piccoli tagli, abrasioni o gonfiori; sente se ci sono tensioni muscolari anomale sulla schiena o sulle spalle; controlla la salute degli zoccoli. Qualsiasi piccolo problema, se trascurato, potrebbe compromettere la prestazione o, peggio, causare un infortunio. Questo processo è anche un momento fondamentale di rafforzamento del legame. Il contatto fisico, la cura, rassicurano il cavallo e rinsaldano quel patto di fiducia che sarà indispensabile durante le fasi più rischiose dell’allenamento.
La Sellatura (L’Armatura)
L’atto di sellare e imbrigliare il cavallo è l’equivalente della vestizione dell’armatura. Ogni gesto deve essere compiuto con calma, precisione e rispetto. Un sottosella piegato male, una sella posizionata in modo scorretto, un sottopancia stretto troppo in fretta possono causare dolore, fastidio e reazioni di difesa nel cavallo, rendendo l’intera “piattaforma d’arma” inefficace e inaffidabile. Il cavaliere si assicura che ogni finimento sia in perfette condizioni, che il cuoio sia morbido e non ci siano punti di frizione. È un atto di responsabilità: la sicurezza di entrambi dipende dall’integrità di questo equipaggiamento.
FASE II: IL LAVORO IN SELLA – LA CALIBRAZIONE E L’ADDESTRAMENTO
Solo a questo punto inizia il lavoro vero e proprio in sella, che si articola in fasi progressive e ben definite.
Il Riscaldamento (La Calibrazione del Sistema)
I primi 15-20 minuti sono dedicati a un riscaldamento progressivo. Si inizia al passo, con le redini lunghe, permettendo al cavallo di distendere i muscoli della schiena e del collo. Si eseguono ampi circoli, serpentin e cambi di direzione per rendere l’animale più flessibile e reattivo. Si passa poi al trotto, lavorando sulle transizioni (passo-trotto, trotto-passo) per affinare la risposta agli aiuti. L’obiettivo di questa fase è la calibrazione del sistema cavallo-cavaliere. Il cavaliere “ascolta” le risposte del cavallo, ne saggia l’energia e la decontrazione, e contemporaneamente riscalda i propri muscoli, trovando il giusto assetto e la giusta concentrazione. È la fase di controllo dei sistemi prima del decollo.
Il Lavoro sui Fondamentali (Il Perfezionamento della Base)
La maggior parte delle sedute di allenamento non è dedicata alla pratica spettacolare della corsa alla stella, ma al consolidamento ossessivo dei fondamentali. È qui che si costruisce la vera maestria. Gli esercizi tipici includono:
- Lavoro sull’Assetto: Esercizi come cavalcare senza staffe per brevi periodi, che costringono il cavaliere a trovare l’equilibrio profondo nel bacino e a rafforzare i muscoli del core, o cavalcare tenendo un frustino dietro la schiena per migliorare la postura delle spalle.
- Perfezionamento delle Transizioni: Eseguire passaggi netti e precisi tra le diverse andature (ad esempio, da fermo a galoppo, o da galoppo ad alt) è cruciale per la gestione della potenza.
- Rettilineità e Impulso: Si lavora per far sì che il cavallo si muova su una linea perfettamente dritta, spingendo con i posteriori. Questa è la base per una corsa alla stella efficace. Si usano spesso barriere laterali o si cavalca lungo il lato del maneggio per aiutare il cavallo a non deviare.
Questo lavoro, apparentemente noioso, è l’equivalente delle scale per un musicista o dei kata di base per un karateka. È la pratica incessante che rende i movimenti automatici e permette al cavaliere di non dover “pensare” ai fondamentali durante l’azione vera e propria.
L’Addestramento Specifico (La Simulazione di Combattimento)
Questa è la fase più intensa, che non viene praticata quotidianamente per non sottoporre cavallo e cavaliere a uno stress eccessivo.
- Drill per la Corsa alla Stella: L’allenamento alla corsa è progressivo. Raramente si usa subito la stella. Si inizia praticando la linea dritta al galoppo controllato, concentrandosi unicamente sul mantenere la traiettoria e la velocità costanti. Successivamente, si introduce un bersaglio di allenamento: inizialmente può essere un oggetto di grandi dimensioni, come un secchio o un cono, per abituare il cavallo a passare vicino a un oggetto sospeso. Poi si passa a un anello di diametro sempre più piccolo. Solo quando la precisione è consolidata, si utilizza una replica della stella. La sequenza di azioni viene ripetuta per creare una memoria muscolare, un automatismo che funzioni anche sotto la pressione della gara.
- Drill per le Pariglie: Questo tipo di allenamento richiede un lavoro di squadra. Le sessioni iniziano con un lavoro a due o tre cavalieri, focalizzato sul mantenere l’allineamento e la stessa cadenza alle varie andature. Si impara a percepire gli altri cavalli, a fidarsi dei compagni, a comunicare verbalmente e con lo sguardo. Le figure acrobatiche vengono provate e riprovate “a terra” o a cavallo fermo. Successivamente si passa al passo, poi al trotto. La sicurezza è fondamentale, e spesso le figure più complesse vengono provate con l’assistenza di personale a terra. L’obiettivo è raggiungere una sincronia perfetta, dove il gruppo si muove come un’unica entità.
FASE III: IL DEFATICAMENTO E LA CURA FINALE – LA MANUTENZIONE POST-MISSIONE
La sessione non termina con l’ultimo galoppo. La fase finale è altrettanto importante per il benessere del cavallo e la disciplina del cavaliere.
Il Defaticamento
Gli ultimi 10-15 minuti in sella sono dedicati al defaticamento. Si riporta il cavallo al passo, con le redini completamente lunghe, permettendogli di abbassare la testa e di allungare tutti i muscoli della linea superiore. Questo aiuta a smaltire l’acido lattico, a prevenire contratture e a riportare la frequenza cardiaca a livelli normali. È un momento di decompressione psicologica per entrambi, che chiude la sessione in uno stato di calma e ricompensa.
La Cura del Cavallo e dei Finimenti
Una volta tornati in scuderia, inizia l’ultima fase del rituale. Si toglie la sella e si controlla la schiena del cavallo per verificare che non ci siano segni di pressione anomala. Si passa una spugna umida per rimuovere il sudore, si fa bere l’animale e gli si dà del fieno. Questo atto di cura finale è un segno tangibile di rispetto per il proprio partner, un ringraziamento per il lavoro svolto. È il dovere di un comandante verso i suoi uomini, o di un guerriero verso il suo destriero. Parallelamente, il cavaliere si dedica alla pulizia meticolosa dei finimenti. Selle e briglie in cuoio vengono pulite dal sudore e ingrassate. È un atto di disciplina che garantisce la sicurezza futura: un finimento mal tenuto è un finimento che può rompersi nel momento meno opportuno.
Conclusione: L’Allenamento come Stile di Vita
Come emerge da questa descrizione, la tipica seduta di allenamento di un cavaliere sardo è un’immersione totale, un processo olistico che occupa diverse ore della giornata. È un impegno che va ben oltre la ricerca della performance sportiva e che assume i contorni di uno stile di vita. La disciplina, la pazienza, la meticolosità, la profonda conoscenza del proprio cavallo e il senso di responsabilità sono i veri obiettivi di questo lavoro quotidiano. L’abilità dimostrata durante la giostra è solo la punta dell’iceberg, la manifestazione esterna di un’etica marziale forgiata giorno dopo giorno, nel silenzio e nella dedizione della scuderia.
GLI STILI E LE SCUOLE
LE CORRENTI DI UN SAPERE EQUESTRE DIFFUSO
Introduzione: La Scuola senza Mura e lo Stile senza Nome
Quando ci si avvicina a un’arte marziale, una delle prime domande che sorgono riguarda le sue scuole e i suoi stili. Si cerca un nome, un lignaggio, una “casa madre”, un dojo con un’insegna. Applicare questo modello all’arte equestre sarda, tuttavia, significa proiettare una struttura moderna e formalizzata su una realtà che è, per sua natura, più organica, fluida e profondamente radicata nel tessuto sociale. Non esistono “scuole” nel senso di accademie con un programma di studi standardizzato, né “stili” con nomi depositati come in un’arte marziale orientale.
Questo non significa, però, che non esistano sistemi di apprendimento e differenze di espressione. Al contrario. La “scuola” esiste, ma non ha mura: è un sistema di trasmissione informale basato sulla famiglia, sulla scuderia e sulla comunità. Lo “stile” esiste, ma non ha un nome formale: è l’espressione locale e l’interpretazione specifica che un gruppo di cavalieri dà a un’arte che è, in definitiva, l’erede sarda di una grande e nobile tradizione equestre pan-europea. Comprendere gli stili e le scuole di quest’arte significa quindi mappare questa rete di influenze, di sistemi di apprendimento diffusi e di diverse filosofie pratiche, scoprendo un mondo ben più complesso e affascinante di una semplice classificazione.
CAPITOLO I: LA “SCUOLA SARDA” – UN SISTEMA DI APPRENDIMENTO NON CODIFICATO
La “Scuola Sarda” di equitazione marziale non ha un indirizzo o un direttore. È un concetto che descrive il modo in cui il sapere tecnico, etico e strategico viene trasmesso di generazione in generazione. Questo sistema si fonda su tre pilastri interconnessi.
La Famiglia e la Scuderia: Il Dojo Primario
La prima e più importante scuola è la famiglia. Molto spesso, si nasce cavalieri. L’apprendistato inizia in età infantile, non con lezioni formali, ma per osmosi. Il bambino respira l’odore dei cavalli, ascolta i discorsi degli adulti, osserva il padre o lo zio che si prendono cura degli animali e li allenano. La scuderia è il suo dojo, il suo campo di addestramento. Le prime “lezioni” non riguardano la tecnica, ma il rispetto: come avvicinarsi a un cavallo, come pulirlo, come nutrirlo.
L’insegnamento è basato sull’esempio. Il giovane cavaliere impara imitando i gesti dei più anziani, ricevendo correzioni estemporanee, più spesso un’indicazione pratica che una spiegazione teorica. Il maestro è la figura autorevole della famiglia – il padre, il nonno, lo zio – la cui conoscenza non deriva da un diploma, ma da decenni di esperienza diretta. Questa “scuola familiare” trasmette non solo la tecnica, ma anche il “segreto” di famiglia: quel particolare modo di addestrare un cavallo, quella specifica sensibilità, e soprattutto il peso e l’onore del proprio cognome. È una formazione totale, che modella il carattere prima ancora che l’abilità.
Il Gremio: La Scuola come Istituzione Rituale
Se la famiglia è la scuola della tecnica di base, il Gremio (nel caso della Sartiglia) agisce come un’accademia di livello superiore, una “scuola” che si occupa di preservare l’ortodossia del rito e di certificare l’eccellenza. Il Gremio non insegna a cavalcare, ma stabilisce i canoni entro cui l’abilità del cavaliere deve esprimersi. È il custode del “kata” collettivo. Fissando le regole immutabili della manifestazione, il Gremio costringe i cavalieri a misurarsi con uno standard preciso e altissimo.
Il suo ruolo di “scuola” si manifesta soprattutto nella scelta de Su Componidori. Questa scelta è l’esame finale, la “laurea”. Il Gremio, attraverso i suoi massimi dirigenti, valuta i candidati non solo per la loro abilità con la stella, ma per la loro aderenza a tutti i criteri della maestria: il coraggio, la rettitudine morale, la serietà. Diventare Componidori è l’ammissione al livello più alto della “scuola”, e l’esecuzione del ruolo è la tesi magistrale, una lezione pubblica di tecnica e sacralità offerta a tutta la comunità.
La Comunità dei Cavalieri: L’Apprendimento tra Pari
Infine, esiste una terza dimensione di apprendimento, più orizzontale: la comunità dei cavalieri. Durante gli allenamenti collettivi o le esibizioni minori, questa comunità diventa una grande scuola a cielo aperto. I cavalieri si osservano a vicenda, si scambiano consigli, si sfidano in un clima di competizione amichevole. Un giovane cavaliere impara tanto dall’osservare un maestro eseguire una corsa perfetta, quanto da una critica costruttiva di un compagno più esperto dopo un errore. È un sistema di peer review, di validazione tra pari, che è fondamentale per la crescita. Questa dinamica è tipica degli antichi ordini di guerrieri, dove l’addestramento avveniva in gruppo e la reputazione all’interno della “fratellanza d’armi” era tanto importante quanto il giudizio del comandante.
CAPITOLO II: LE RADICI STORICHE – LE GRANDI SCUOLE EUROPEE E LA LORO ECO IN SARDEGNA
L’arte equestre sarda non è un fenomeno isolato. È un ramo robusto cresciuto sull’albero maestro dell’equitazione marziale europea. Per comprendere i suoi “stili” antichi, dobbiamo guardare alle grandi scuole di pensiero che hanno dominato l’Europa e vedere come i loro principi risuonino ancora oggi nelle giostre sarde.
Lo Stile Iberico: La Monta “A la Jineta” come Matrice
L’influenza più diretta e determinante è quella della scuola iberica, portata in Sardegna dagli aragonesi e consolidata dagli spagnoli. La tecnica di monta per eccellenza di questi popoli era la monta “a la jineta”. Questo stile, sviluppato durante secoli di guerre contro i Mori, era progettato per la cavalleria leggera e richiedeva agilità, velocità e cambi di direzione repentini. Le sue caratteristiche erano: staffe corte, ginocchia piegate e un assetto alto che permetteva al cavaliere di alzarsi facilmente per colpire o schivare. Il cavallo doveva essere estremamente reattivo, coraggioso e veloce.
Questa è la matrice evidente di gran parte dell’equitazione sarda. L’esplosività delle partenze, la velocità pura richiesta nella Corsa alla Stella e soprattutto l’incredibile agilità e coordinazione necessarie nelle Pariglie sono una diretta emanazione dello spirito della jineta. È un’equitazione funzionale al combattimento in schermaglia, all’attacco fulmineo e alla ritirata rapida. È uno stile marziale pratico, senza fronzoli, basato sull’efficacia e sulla reattività del binomio.
L’Equitazione Rinascimentale Italiana: La Scienza e l’Eleganza
Durante il Rinascimento, l’Italia divenne il centro del mondo per l’arte equestre. Maestri come Federico Grisone a Napoli scrissero i primi trattati moderni di equitazione, trasformandola da pratica empirica a vera e propria scienza. La scuola italiana del Rinascimento poneva l’accento sulla perfezione della forma, sull’eleganza del gesto, sulla leggerezza degli aiuti e su un addestramento progressivo che rendesse il cavallo un partner calmo, obbediente e magnifico da vedere. È l’epoca in cui nasce il concetto di sprezzatura, la grazia disinvolta.
L’eco di questa scuola si ritrova nella ricerca ossessiva della perfezione formale che caratterizza i maestri sardi. L’ideale non è solo centrare la stella, ma farlo con un gesto pulito, elegante, quasi aristocratico. L’enfasi sulla comunicazione invisibile con il cavallo, sulla calma e sulla nobiltà della postura, specialmente quella richiesta a Su Componidori, rivela un’aspirazione all’ideale di perfezione estetica e di controllo che fu il grande contributo della scuola italiana all’equitazione mondiale.
L’Alta Scuola Classica Francese: La Leggerezza come Principio Marziale
Successivamente, la Francia divenne il faro dell’equitazione con maestri come François Robichon de La Guérinière, considerato il padre dell’equitazione classica moderna. La scuola francese portò al massimo sviluppo il concetto di leggerezza (légèreté) e di raccolta (rassembler): la capacità di addestrare il cavallo a portare più peso sui posteriori, alleggerendo l’anteriore e diventando così incredibilmente agile e manovrabile, perfettamente in equilibrio e pronto a eseguire qualsiasi movimento con il minimo aiuto.
Anche se l’equitazione sarda non è “dressage”, i principi della scuola classica sono la spiegazione tecnica di alcune delle sue imprese più straordinarie. Un cavallo che esegue Sa Remada in linea retta al galoppo, con il cavaliere sdraiato sulla sua schiena, deve necessariamente possedere un equilibrio e un’auto-portatura (self-carriage) eccezionali, che sono gli obiettivi ultimi dell’addestramento classico. Allo stesso modo, le figure delle Pariglie, con i loro stretti cambi di direzione e la necessità di un controllo assoluto in spazi ristretti, sono possibili solo con cavalli che rispondono a principi di raccolta e leggerezza. Ciò dimostra che le abilità sarde non sono “trucchi da circo”, ma applicazioni estreme dei più alti principi dell’equitazione marziale europea.
CAPITOLO III: GLI “STILI” SARDI MODERNI – LE DIVERSE ESPRESSIONI DELL’ARTE SULL’ISOLA
Sulla base di queste radici storiche, oggi in Sardegna possiamo distinguere diverse “espressioni” o “stili” principali, definiti non da un nome, ma dalla filosofia e dagli obiettivi della manifestazione in cui si esprimono.
Lo “Stile Oristanese”: La Via della Precisione Rituale
Questo è lo stile che si manifesta nella Sartiglia di Oristano. È il più formalizzato, solenne e ritualizzato. La sua caratteristica principale è la prevalenza del rito sulla pura spettacolarità. L’enfasi è posta sulla precisione assoluta del singolo gesto (infilzare la stella), sulla sacralità della figura de Su Componidori e sul rispetto maniacale della sequenza tradizionale (il “kata” collettivo). La performance è misurata, controllata, quasi ieratica. La sua espressione marziale è quella del duello cavalleresco, della giostra d’onore, dove la perfezione formale e il rispetto delle regole sono tanto importanti quanto il risultato finale. È uno stile introspettivo, che richiede massima concentrazione e controllo psicologico.
Lo “Stile delle Pariglie”: La Via del Coraggio Collettivo
Questo stile si esprime al suo massimo nelle tante feste e sagre di altri paesi sardi (es. Pattada, Fonni, Ollolai), dove le corse a pariglia sono l’evento principale. Qui, il rigido cerimoniale oristanese lascia il posto a una maggiore libertà, velocità e ricerca della spettacolarità acrobatica. L’enfasi è posta sul coraggio, sulla fiducia reciproca e sulla creatività nell’inventare figure sempre più audaci. Se lo stile oristanese è un duello, questo è la battaglia di squadra. La sua espressione marziale è quella della cavalleria leggera e irregolare, basata su attacchi di gruppo, manovre coordinate e un’audacia che rasenta la temerarietà. È uno stile estroverso, che vive dell’applauso della folla e della competizione diretta tra le varie squadre di cavalieri.
Lo “Stile dell’Ardia”: La Furia Sacra
Un discorso a parte merita l’Ardia di Sedilo (e altre Ardie minori). Sebbene sia una festa devozionale con una storia e un significato propri, l’abilità equestre che richiede condivide le stesse radici. Lo “stile” dell’Ardia è unico: è caratterizzato da una velocità sfrenata e da una furia quasi caotica, ma controllata. I cavalieri non corrono su una pista dritta, ma lungo un percorso tortuoso e pericoloso attorno a un santuario, in una galoppata polverosa e selvaggia. L’espressione marziale qui è quella della carica disperata, della mêlée caotica della battaglia campale, dove l’obiettivo è rompere le linee nemiche (rappresentate dalle pandele avversarie) e proteggere il proprio stendardo. È uno stile primordiale, che mette alla prova il puro istinto di sopravvivenza e il coraggio più viscerale di uomo e cavallo.
CAPITOLO IV: LA QUESTIONE DELLA “CASA MADRE” – UN MODELLO DECENTRALIZZATO
Di fronte a questa ricchezza, è legittimo chiedersi se esista un’organizzazione centrale, una “casa madre” a cui fare riferimento. La risposta è netta: no, non esiste una singola autorità centrale per l’arte equestre sarda nel suo complesso, né esistono organizzazioni mondiali ad essa collegate.
La ragione è insita nella natura stessa della tradizione. Non essendo uno sport moderno o un’arte marziale commercializzata, ma un patrimonio culturale vivo e identitario, la sua legittimità non deriva da un organismo nazionale o internazionale, ma dalla sua continuità storica e dal riconoscimento della comunità locale. L’autorità è decentralizzata. Per la Sartiglia, la “casa madre” funzionale è la Fondazione Oristano, in stretta collaborazione con i Gremi, che ne custodiscono il rito. Per l’Ardia di Sedilo, la “casa madre” è la parrocchia e il comitato organizzatore formato dai sedilesi stessi. Ogni grande manifestazione è sovrana e fa storia a sé.
Questa assenza di una struttura piramidale non è una debolezza, ma la più grande forza di quest’arte. È il sigillo della sua autenticità. Impedisce l’omologazione e permette a ogni “stile” locale di conservare le proprie peculiarità, le proprie regole e la propria anima. Il suo valore non è certificato da un pezzo di carta, ma dal sudore dei cavalieri, dal respiro dei cavalli e dagli occhi della gente che, da secoli, si riconosce in questi gesti.
Conclusione: Un Mosaico di Scuole e Stili
In conclusione, il mondo delle scuole e degli stili dell’arte equestre sarda è un affascinante mosaico. Le “scuole” sono i canali informali ma potentissimi della famiglia e della comunità, attraverso cui un sapere antico scorre come un fiume. Gli “stili” sono le diverse, magnifiche forme che questo fiume assume quando incontra le valli e le pianure della cultura locale: la corrente solenne e profonda della Sartiglia, le rapide adrenaliniche delle Pariglie, la piena impetuosa dell’Ardia. Questo mosaico, erede delle più nobili scuole marziali europee e gelosamente protetto dalla sua natura decentralizzata, offre uno spaccato unico su come un’arte guerriera possa sopravvivere al tempo, non pietrificandosi in un unico dogma, ma rimanendo viva, plurale e potente.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
UN PATRIMONIO VIVO TRA CUSTODIA ISTITUZIONALE E DIALOGO NAZIONALE
Introduzione: Un’Isola nell’Isola – Il Paradosso dell’Arte Equestre Sarda
Analizzare la “situazione in Italia” dell’arte equestre marziale sarda significa confrontarsi con un affascinante paradosso. Da un lato, ci troviamo di fronte a un patrimonio di abilità, rituali e valori che è geograficamente confinato quasi esclusivamente al territorio della Sardegna, un’isola culturale all’interno di un’isola geografica. Dall’altro, manifestazioni come la Sartiglia di Oristano o l’Ardia di Sedilo godono di una fama e di un riconoscimento che travalicano ampiamente i confini regionali, ponendosi come eventi di rilevanza nazionale e internazionale.
La situazione attuale, quindi, non è quella di uno sport o di un’arte marziale diffusa capillarmente sul territorio nazionale con una federazione centrale, palestre e campionati. È, piuttosto, quella di una costellazione di tradizioni locali, profondamente radicate e gelosamente custodite, che rappresentano l’apice di un sapere equestre diffuso in tutta l’isola. Queste tradizioni, oggi, si confrontano con le sfide della modernità, dialogano con altre grandi rievocazioni storiche italiane e continuano a essere un incredibile laboratorio vivente per la riscoperta e la valorizzazione delle antiche abilità marziali dell’uomo a cavallo.
CAPITOLO I: L’ECOSISTEMA ISTITUZIONALE – LA RETE DI CUSTODIA DELLA TRADIZIONE
L’arte equestre sarda sopravvive e prospera grazie a un complesso ecosistema di enti e organizzazioni. Non esiste una singola struttura piramidale, ma una rete di poteri e competenze diffusi, dove ogni entità svolge un ruolo specifico e fondamentale, operando in un equilibrio di collaborazione e autonomia. È essenziale analizzare questi ruoli con neutralità per comprendere la reale governance della tradizione.
Il Ruolo delle Fondazioni e dei Comitati Organizzatori
Nelle manifestazioni di maggior rilievo, come la Sartiglia di Oristano, sono state create delle Fondazioni (come la Fondazione Oristano) o dei comitati organizzatori specifici. Queste entità rappresentano l’interfaccia manageriale e moderna del rito antico. Il loro compito non è definire le regole spirituali della giostra, ma gestirne la complessa macchina organizzativa. Si occupano della promozione dell’evento a livello turistico e culturale, della gestione dei rapporti con i media, della raccolta fondi, della logistica e, aspetto cruciale, della sicurezza. La loro funzione è quella di creare una cornice sicura e funzionale che permetta al cuore antico della tradizione di battere. Agiscono come un “ministero degli esteri e dell’economia” della tradizione, dialogando con il mondo contemporaneo e garantendone la sostenibilità.
Il Potere dei Gremi e delle Confraternite: I Custodi del Rito
Se le fondazioni sono il volto moderno, i Gremi (le antiche corporazioni di mestieri, come il Gremio dei Contadini e il Gremio dei Falegnami a Oristano) o le confraternite e i comitati devozionali in altre realtà (come per l’Ardia) ne sono l’anima storica e spirituale. Il loro potere non è di natura manageriale, ma tradizionale. Sono i depositari storici del rito, i guardiani delle sue leggi non scritte, i garanti della sua continuità e della sua integrità spirituale. Il loro compito più importante è la scelta delle figure chiave (come Su Componidori), un atto che non si basa su criteri sportivi, ma su una profonda valutazione dell’aderenza del candidato ai valori della tradizione. Essi rappresentano il “senato” della tradizione, un potere antico e conservatore che protegge il nucleo marziale e sacro dell’arte da contaminazioni e semplificazioni.
Le Associazioni di Cavalieri e le Scuderie: Il Tessuto Connettivo
Alla base di questo ecosistema si trova una miriade di associazioni equestri locali e scuderie private. Questo è il livello grassroots, il tessuto connettivo che nutre l’intera tradizione. Sono queste le “scuole” informali dove le abilità vengono concretamente insegnate e praticate durante tutto l’anno. Queste associazioni organizzano eventi minori, allenamenti collettivi e forniscono la base di cavalieri da cui attingere per le grandi manifestazioni. Senza questo tessuto diffuso di passione e pratica quotidiana, nessun grande evento potrebbe esistere. Esse rappresentano le “truppe”, l’esercito di praticanti la cui dedizione costituisce la vera forza e resilienza dell’arte.
L’Assenza di una Federazione Nazionale Unica
È fondamentale ribadire che, data questa struttura, non esiste una “Federazione Italiana Sartiglia” o un ente nazionale analogo. La natura stessa di queste manifestazioni, intese come riti culturali e identitari unici e specifici per ogni comunità, rende una struttura federale standardizzata non solo superflua, ma potenzialmente dannosa. Ogni evento ha la sua storia, le sue regole, il suo spirito. Una federazione imporrebbe un’omologazione che ne snaturerebbe l’essenza. Il coordinamento, quando necessario (ad esempio per questioni normative o di promozione turistica regionale), avviene attraverso tavoli di lavoro tra i singoli enti organizzatori e le istituzioni pubbliche (Regione, Comuni), non attraverso un organismo sportivo nazionale.
CAPITOLO II: DIALOGHI EQUESTRI – L’ARTE SARDA NEL CONTESTO DELLE GIOSTRE STORICHE ITALIANE
Per comprendere appieno la “situazione in Italia”, è illuminante porre l’arte equestre sarda in dialogo con altre grandi giostre storiche italiane. Questo confronto rivela come tutte queste manifestazioni siano capitoli diversi dello stesso grande libro: quello della conservazione del patrimonio marziale equestre europeo.
La Giostra del Saracino di Arezzo
- Similitudini: L’origine marziale è evidente e legata alle Crociate e alla lotta contro i “Mori” (i Saraceni). L’obiettivo è un colpo di precisione con un’arma (la lancia) da un cavallo in movimento. Esiste una profonda dimensione civica, con la città divisa in Quartieri che si contendono il primato.
- Differenze e Specializzazione Marziale: La differenza chiave sta nel bersaglio. Nella Sartiglia la stella è un bersaglio fisso e piccolo, che richiede una precisione assoluta su una traiettoria rettilinea. Nel Saracino, il cavaliere deve colpire lo scudo del “Buratto”, un automa girevole che, se colpito, ruota e può a sua volta colpire il cavaliere con un flagello. La specializzazione marziale qui è diversa: non è solo la precisione, ma anche il tempismo su un bersaglio dinamico e la successiva schivata. È un’esercitazione che simula l’attacco a un avversario che può contrattaccare, testando anche i riflessi difensivi del cavaliere.
La Quintana di Ascoli Piceno
- Similitudini: Anche qui, l’obiettivo è un colpo di precisione ad alta velocità contro un bersaglio (il tabellone del “moro”). La manifestazione è il culmine di una sentita rivalità tra i Sestieri della città e ha profonde radici storiche. La preparazione del cavallo e la simbiosi con il cavaliere sono parimenti fondamentali.
- Differenze e Specializzazione Marziale: La grande differenza è il tracciato. Mentre la Sartiglia è una linea retta, la Quintana si corre su un percorso a forma di otto, con due curve strette da affrontare al galoppo. Questo cambia radicalmente l’abilità marziale testata. Oltre alla precisione del colpo, qui è fondamentale la capacità di gestire il cavallo in curva ad alta velocità, mantenendo l’equilibrio e la spinta. È un’esercitazione che simula un combattimento in un ambiente complesso, non in campo aperto, dove l’agilità, la capacità di virata e il controllo del cavallo in condizioni di equilibrio precario sono più importanti della sola velocità di punta.
Analisi Comparata del Valore Marziale
Mettendo a confronto queste tre grandi tradizioni, si comprende come l’Italia sia custode di un patrimonio marziale equestre incredibilmente ricco e diversificato. Non sono repliche l’una dell’altra, ma “kata” storici che si sono specializzati nel preservare differenti aspetti del combattimento a cavallo:
- La Sartiglia è il kata della precisione assoluta su un attacco frontale e rettilineo.
- Il Saracino è il kata dell’attacco a un bersaglio reattivo, che include il concetto di difesa.
- La Quintana è il kata del combattimento in agilità, che testa il controllo del cavallo in traiettorie complesse.
CAPITOLO III: SFIDE CONTEMPORANEE E PROSPETTIVE FUTURE
La situazione attuale di queste tradizioni è definita anche dalla loro capacità di affrontare le sfide del mondo moderno, un processo che richiede un costante equilibrio tra conservazione e innovazione.
- Tutela del Benessere Animale: La sensibilità pubblica verso il benessere degli animali è giustamente cresciuta. La sfida per gli organizzatori è implementare protocolli veterinari sempre più rigorosi (visite pre-gara, controlli antidoping, commissioni di vigilanza) e garantire piste sicure, dimostrando che la spettacolarità e la difficoltà della prova non vanno a discapito della salute del cavallo. Si tratta di preservare un’arte marziale che prevede un partner animale nel massimo rispetto che la moderna etologia impone.
- Sicurezza dei Partecipanti e del Pubblico: L’essenza di queste arti include una componente di rischio reale, che è parte integrante del valore del coraggio dimostrato. La sfida è mitigare questo rischio senza “snaturare” l’evento. L’uso di protezioni moderne (come paraschiena e caschi omologati indossati sotto gli abiti storici), la messa in sicurezza dei percorsi e una gestione attenta del pubblico sono aspetti su cui si lavora costantemente per trovare un equilibrio tra l’autenticità marziale della prova e l’incolumità di tutti.
- Sostenibilità e Autenticità: La fama di questi eventi attira un grande flusso turistico, che è una risorsa economica vitale. La sfida è gestire questo flusso in modo che non trasformi un rito comunitario in un prodotto puramente commerciale. Mantenere l’autenticità, evitare la “disneylandizzazione” e far sì che i benefici economici ricadano sulla comunità e sulla conservazione della tradizione stessa è una delle sfide più delicate per il futuro.
CAPITOLO IV: MAPPA DEGLI ENTI E RIFERIMENTI NAZIONALI E INTERNAZIONALI
Di seguito, un elenco degli enti di riferimento, presentato in ottica di neutralità e con l’obiettivo di fornire un quadro informativo pratico.
Enti di Riferimento in Sardegna (per la Sartiglia di Oristano)
Fondazione Oristano
- Ruolo: Ente strumentale del Comune di Oristano per l’organizzazione, la gestione e la promozione dell’evento Sartiglia e del patrimonio culturale cittadino.
- Indirizzo: Piazza Eleonora d’Arborea, 44 – 09170 Oristano (OR)
- Sito Internet: https://www.fondazioneoristano.it/
Gremio dei Contadini di San Giovanni Battista
- Ruolo: Antica corporazione di mestieri, custode storico e spirituale della tradizione. Organizza la Sartiglia della domenica.
- Indirizzo: Via Aristana, 64 – 09170 Oristano (OR)
- Sito Internet: Sebbene non risulti un sito web ufficiale costantemente attivo, informazioni sono reperibili tramite la Fondazione Oristano e il portale SIUSA del Ministero della Cultura.
Gremio dei Falegnami di San Giuseppe
- Ruolo: Antica corporazione di mestieri, custode storico e spirituale della tradizione. Organizza la Sartiglia del martedì.
- Indirizzo: La sede storica si trova nel centro di Oristano. I contatti e le interazioni avvengono principalmente attraverso la Fondazione Oristano.
- Sito Internet: Non dispongono di un sito web ufficiale.
Enti di Riferimento per le Giostre Storiche Nazionali (a titolo di confronto)
Istituzione Giostra del Saracino (Arezzo)
- Ruolo: Ente del Comune di Arezzo per l’organizzazione e la gestione della Giostra del Saracino.
- Indirizzo: Piazza della Libertà, 1 – 52100 Arezzo (AR) (presso il Comune)
- Sito Internet: https://giostradelsaracinoarezzo.it/
Ente Quintana (Ascoli Piceno)
- Ruolo: Organismo che, in collaborazione con il Comune, gestisce l’organizzazione della Quintana di Ascoli Piceno.
- Indirizzo: Piazza Arringo, 7 – 63100 Ascoli Piceno (AP) (presso il Comune)
- Sito Internet: https://www.quintanadiascoli.it/
Il Contesto Europeo e Mondiale
È importante sottolineare che non esistono federazioni o organizzazioni mondiali specifiche per la Sartiglia o per le altre giostre storiche italiane. La loro natura di riti unici e locali esclude una tale struttura. Tuttavia, queste manifestazioni si collocano all’interno di reti più ampie di valorizzazione del patrimonio:
- Esistono federazioni nazionali di giochi e rievocazioni storiche (come la F.I.G.S. – Federazione Italiana Giochi Storici), che fungono da piattaforme di dialogo e rappresentanza a livello nazionale, anche se non tutte le giostre ne fanno parte.
- A livello europeo, esistono network per la valorizzazione dei festival storici e del patrimonio culturale, ma non organismi di governo sportivo.
- Infine, vi è il dialogo con l’UNESCO per il riconoscimento di queste tradizioni come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, un percorso complesso che mira a ottenere il massimo riconoscimento internazionale per il loro valore universale.
Conclusione: Un Patrimonio Dinamico
La situazione in Italia dell’arte equestre sarda è quella di un tesoro culturale di inestimabile valore, la cui gestione è un modello di governance diffusa e radicata nel territorio. Lontana dall’essere una pratica isolata, essa dialoga idealmente con le altre grandi espressioni dell’equitazione storica nazionale, rivelando una comune anima marziale declinata in specializzazioni diverse. Le sfide della modernità ne mettono alla prova la resilienza, ma la solida rete istituzionale e la profonda passione delle comunità locali ne garantiscono la vitalità. Il suo futuro risiede nella capacità di continuare a cavalcare sul difficile crinale tra la fedeltà a un’eredità guerriera e le responsabilità del mondo contemporaneo.
TERMINOLOGIA TIPICA
DECODIFICARE IL LESSICO DEL GUERRIERO A CAVALLO
Introduzione: Le Parole come Fossili Viventi
Il linguaggio è il DNA di una cultura. Le parole che una tradizione sceglie per descrivere sé stessa, i suoi protagonisti e le sue azioni non sono mai casuali. Sono dei veri e propri fossili viventi, reperti archeologici linguistici che, se analizzati con attenzione, rivelano strati di storia, di influenze culturali, di strutture sociali e, soprattutto, di una precisa visione del mondo. La terminologia della Sartiglia e dell’arte equestre sarda è una delle più ricche e affascinanti, un lessico preciso dove termini sardi, spagnoli e italiani si intrecciano per creare un linguaggio unico.
Questo capitolo non sarà un semplice glossario. Sarà un’opera di decodifica, un’immersione profonda in ogni termine chiave per svelarne non solo il significato letterale, ma anche e soprattutto la sua risonanza marziale e simbolica. Analizzeremo come ogni parola, dal nome della giostra a quello degli strumenti, sia un tassello che ci aiuta a ricostruire il mosaico del cavaliere guerriero, la sua etica, la sua gerarchia e la sua sacralità. Imparare questo lessico significa imparare a pensare come un cavaliere della Sartiglia.
CAPITOLO I: I NOMI DEL RITO – LA STRUTTURA DELL’EVENTO
I termini che definiscono la manifestazione e la sua struttura sociale sono le fondamenta su cui poggia l’intero edificio.
Sartiglia / Sortija
- Definizione Letterale: È il nome della giostra equestre di Oristano.
- Etimologia e Origine Storica: Il termine deriva direttamente dallo spagnolo castigliano Sortija, che significa “anello” (deriva dal latino sorticula, diminutivo di sors, sorte). Questo ci fornisce la prima, fondamentale informazione storica: la giostra fu importata o quantomeno formalizzata durante la dominazione iberica in Sardegna. Le sortijas erano esercizi di abilità diffusi in tutta la Spagna, in cui i cavalieri dovevano infilare con la lancia un anello appeso a un nastro. La tradizione oristanese ha poi evoluto il bersaglio, sostituendo l’anello con la più difficile e simbolica stella, ma ha conservato il nome originario, adattandolo foneticamente in “Sartiglia”.
- Analisi Simbolica e Marziale: Il nome stesso è una dichiarazione d’intenti. Non si chiama “Festa del Cavallo” o “Palio di Oristano”. Si chiama con il nome del suo obiettivo tecnico-militare. È come se un’esercitazione di tiro di precisione venisse chiamata “Il Bersaglio”. Questo rivela una mentalità pragmatica, focalizzata sulla performance marziale. Il nome definisce l’evento non come una festa generica, ma come una prova di abilità specifica, un test di precisione che è il cuore di tutta la manifestazione. Conservare questo nome significa mantenere un legame indissolubile con l’origine della giostra come esercitazione militare, non come semplice parata.
Gremio
- Definizione Letterale: L’antica corporazione di arti e mestieri che ha il compito e il privilegio di organizzare la Sartiglia. A Oristano sono il Gremio dei Contadini e quello dei Falegnami.
- Etimologia e Origine Storica: La parola deriva dal latino gremium, che significa “grembo”, “seno”, e per estensione “associazione”, “confraternita”. I Gremi nacquero nel Medioevo come associazioni di mutuo soccorso e di regolamentazione del lavoro, ma assunsero presto anche funzioni religiose e militari, come la difesa delle mura della città.
- Analisi Simbolica e Marziale: Il termine “Gremio” in questo contesto va oltre la sua accezione lavorativa. Rappresenta la struttura sociale che ha sostituito l’ordine militare aristocratico nella custodia della tradizione. In termini marziali, il Gremio è l’evoluzione della confraternita d’armi. È un corpo collettivo, una “compagnia”, unito da regole interne, da un forte senso di appartenenza e da un obiettivo comune (l’organizzazione impeccabile del rito). Come un’unità militare, ha una gerarchia (l’Oberaiu Majori, il presidente del Gremio), ha il compito di selezionare il suo “campione” (Su Componidori) e ha la responsabilità collettiva del successo della “missione”. L’esistenza del Gremio come ente organizzatore è la prova di come un’abilità marziale sia sopravvissuta passando dalla nobiltà guerriera a un corpo civico organizzato, mantenendo però una struttura gerarchica e un forte spirito di corpo.
CAPITOLO II: I PROTAGONISTI – I RUOLI SULLA SCENA DEL RITO
La terminologia usata per i protagonisti non è casuale, ma definisce con precisione militare e spirituale una rigida catena di comando.
Su Componidori
- Definizione Letterale: Il capo e massimo protagonista della Sartiglia.
- Etimologia e Origine Storica: Il termine è la versione sarda dell’italiano “compositore”. Questa scelta lessicale è di una raffinatezza straordinaria. Non viene chiamato capitanu (capitano), re (re) o duci (duce). Viene chiamato “colui che compone”.
- Analisi Simbolica e Marziale: “Comporre” significa mettere insieme le parti per creare un tutto armonico e ordinato. Questo è esattamente il ruolo di un grande stratega o comandante. Un generale sul campo di battaglia “compone” la vittoria orchestrando fanteria, cavalleria e artiglieria. Allo stesso modo, Su Componidori “compone” la giostra: decide l’ordine di discesa dei cavalieri, gestisce il ritmo della manifestazione, dà inizio e fine alle varie fasi. È un ruolo di autorità creativa e ordinatrice, non di mero comando. Egli deve possedere non solo l’abilità del combattente, ma anche la visione d’insieme del comandante. La parola “Componidori” lo eleva da semplice “miglior cavaliere” a maestro d’arte e di cerimonia, un leader la cui funzione è creare ordine e bellezza dal rischio e dal caos potenziale della corsa.
Su Segundu Cumpoidori / Su Terzu Cumpoidori
- Definizione Letterale: Il secondo e il terzo Componidori, suoi aiutanti di campo.
- Etimologia e Origine Storica: Semplice progressione numerica che indica una gerarchia chiara.
- Analisi Simbolica e Marziale: Questa terminologia ricalca perfettamente la struttura di un’unità di comando militare. Su Segundu è il tenente, il braccio destro, colui che affianca il comandante e ne può prendere il posto in caso di necessità (ad esempio, se Su Componidori dovesse cadere o fallire nel suo primo tentativo con la stella, è Su Segundu a tentare subito dopo). Su Terzu ha un ruolo altrettanto specifico e marziale: è il portatore dello stendardo, il guardiano del simbolo dell’unità. È lui, infatti, a portare Sa Pippia de Maju per gran parte della giostra, passandola al Componidori solo per i momenti cruciali. Questa triade (comandante, vice, porta-insegna) è una struttura classica del comando militare, che garantisce efficienza, ridondanza e la protezione dei simboli del gruppo.
Is Massaieddas / Sa Massaia Manna
- Definizione Letterale: Le giovani ragazze in costume che vestono Su Componidori, guidate dalla “padrona di casa” (Sa Massaia Manna), solitamente la moglie del presidente del Gremio.
- Etimologia e Origine Storica: Termini sardi legati all’ambito domestico e cerimoniale.
- Analisi Simbolica e Marziale: Il loro ruolo è l’equivalente sacro e femminile di quello degli scudieri che armavano un cavaliere medievale. La cerimonia della Vestizione è una cerimonia di armatura. Come gli scudieri, is Massaieddas devono conoscere a perfezione ogni pezzo dell’ “armatura” (il costume) e il corretto ordine di assemblaggio. Lavorano in silenzio, con precisione e devozione. Il loro compito è di un’importanza capitale: un errore nella vestizione è considerato un presagio nefasto, così come un’armatura allacciata male poteva costare la vita a un cavaliere. Sono le guardiane della soglia, le sacerdotesse che officiano la metamorfosi del mortale in eroe, preparando il guerriero per la sua prova.
CAPITOLO III: GLI STRUMENTI DEL MESTIERE – LE ARMI E GLI EMBLEMI
Gli oggetti usati durante la giostra sono designati con termini che ne rivelano la funzione pratica e il potente valore simbolico.
Spada / Stocco
- Definizione Letterale: I due tipi di arma bianca utilizzati per infilzare la stella.
- Etimologia e Origine Storica: Sono termini standard del lessico militare europeo. Lo Stocco, in particolare, deriva dal germanico stok (bastone, punta) e designa storicamente una spada lunga e rigida, senza filo, usata solo per affondi e per perforare le armature (in inglese estoc).
- Analisi Simbolica e Marziale: L’esistenza di due armi differenti è la prova di una cultura marziale sofisticata. Non si usa un’arma generica. La Spada rappresenta l’arma d’ordinanza, versatile e affidabile. Lo Stocco è l’arma dello specialista, progettata per un unico scopo: la perforazione di precisione. La possibilità di scelta data al cavaliere è una scelta tattica. Scegliere lo stocco è una mossa ad alto rischio e alta ricompensa (high risk, high reward). Dimostra una grande fiducia nelle proprie capacità e, in caso di successo, conferisce una gloria maggiore. È l’equivalente di un soldato moderno che sceglie un fucile di precisione al posto di un fucile d’assalto per una missione specifica.
Sa Pippia de Maju
- Definizione Letterale: “La bambola di Maggio”. Un doppio mazzo di viole mammole e pervinche, legato con un nastro verde.
- Etimologia e Origine Storica: Il nome evoca antichi riti pagani di fertilità legati alla primavera (Maggio). La “bambola” potrebbe riferirsi alla forma antropomorfa che il mazzo assume.
- Analisi Simbolica e Marziale: Questo è l’oggetto dal simbolismo più complesso. È un’arma rovesciata, un’insegna di pace. In termini militari, è il vessillo, lo stendardo del Gremio, che Su Terzu Cumpoidori protegge. Ma invece di un’aquila, un drago o un simbolo araldico guerriero, lo stendardo è un simbolo di vita e di rinascita. Quando Su Componidori lo usa per benedire la folla durante Sa Remada, compie l’atto finale del cavaliere nobile: dimostra che il fine ultimo della forza e dell’abilità marziale non è la distruzione, ma la protezione della comunità e la garanzia della sua prosperità. È il potere della vita che trionfa sul potere della morte.
Su Brocciu
- Definizione Letterale: Il piccolo foro al centro della stella.
- Etimologia e Origine Storica: Termine sardo che può significare “chiodo”, “perno”, ma anche “germoglio”, “bocciolo”.
- Analisi Simbolica e Marziale: Quest’ultima accezione è la più affascinante. Il centro esatto del bersaglio non è un semplice “buco”, ma un “germoglio”. È il punto di massimo potenziale, il cuore vitale. Infilzarlo con lo stocco non è solo un centro, ma è come colpire il seme da cui tutto si genera. È un’impresa che assume un valore quasi magico. In termini marziali, rappresenta la capacità di individuare e colpire non solo il bersaglio, ma il punto critico del bersaglio, la fessura quasi invisibile nell’armatura, il punto debole che, se colpito, garantisce il successo totale. È la differenza tra ferire e neutralizzare, tra l’abilità e la maestria assoluta.
CAPITOLO IV: I NOMI DELL’AZIONE – LA SINTASSI DEL RITO
Anche le azioni principali hanno nomi specifici che ne descrivono la natura profonda.
Sa Vestizione
- Definizione Letterale: La vestizione, l’atto di indossare gli abiti cerimoniali.
- Etimologia e Origine Storica: Dall’italiano “vestizione”, ma è significativo che sia lo stesso termine usato per l’investitura di un cavaliere o la vestizione di un novizio che prende i voti.
- Analisi Simbolica e Marziale: L’uso di questo termine eleva l’atto. Non è un “cambiarsi d’abito”. È un rito di passaggio trasformativo. Come un cavaliere veniva “investito” del suo ruolo e dei suoi doveri, così Su Componidori viene “vestito” della sua nuova natura sacra. La parola stessa implica una transizione di stato, un conferimento di potere e responsabilità. È il momento in cui l’uomo scompare e nasce il simbolo.
Sa Remada
- Definizione Letterale: “La remata”.
- Etimologia e Origine Storica: Il nome nasce dalla potente analogia visiva con il gesto del remare. Il movimento ondulatorio e ritmico del busto de Su Componidori, che si flette all’indietro e poi in avanti per benedire la folla, ricorda il movimento di un vogatore.
- Analisi Simbolica e Marziale: La metafora è geniale. Il rematore non spinge l’acqua con le braccia, ma usa tutto il corpo – gambe, schiena, addome – per generare potenza in un movimento ritmico e controllato. Allo stesso modo, Su Componidori, in quel momento, non guida il cavallo con le mani, ma con il centro del suo corpo (il core), con l’assetto, con un’unione profonda e ritmica. “Remare” sul cavallo significa aver raggiunto un livello di controllo tale da poterlo spingere e guidare con la sola forza del proprio baricentro, una dimostrazione di maestria marziale assoluta che libera completamente le braccia per altri compiti.
Corsa alla Stella
- Definizione Letterale: L’atto di correre a cavallo verso la stella per infilzarla.
- Etimologia e Origine Storica: Nome descrittivo e funzionale.
- Analisi Simbolica e Marziale: La semplicità del nome è la sua forza. È un nome orientato alla missione (mission-oriented). Non lascia spazio a interpretazioni poetiche, ma definisce l’azione per il suo obiettivo tattico. È il linguaggio di un manuale militare: chiaro, diretto, inequivocabile. Il suo scopo è correre e prendere la stella. Questa terminologia funzionale è una traccia indelebile della sua origine come esercitazione pratica, dove la chiarezza dell’obiettivo era più importante di qualsiasi abbellimento letterario.
Conclusione: Un Lessico che è un’Arma
La terminologia tipica della Sartiglia è molto più di un dialetto locale. È un sistema linguistico preciso, stratificato e carico di significato, che funge esso stesso da strumento per comprendere e tramandare l’arte. Definisce ruoli con la precisione di una gerarchia militare, trasforma oggetti in emblemi carichi di potere, descrive azioni attraverso metafore che ne svelano la complessità tecnica e nobilita ogni fase del rito con un lessico sacro e marziale. Decodificare queste parole significa trovare le chiavi per aprire le porte più segrete di questa tradizione, scoprendo che in ogni termine si nasconde una lezione, una storia e un frammento dell’anima indistruttibile del guerriero a cavallo.
ABBIGLIAMENTO
L’ARMATURA RITUALE DEL CAVALIERE GUERRIERO
Introduzione: Più di un Costume, una Seconda Pelle
L’abbigliamento indossato durante la Sartiglia e le altre giostre equestri sarde non può essere liquidato con il termine “costume”. Non è un travestimento teatrale indossato per una recita, ma una vera e propria uniforme cerimoniale, una veste sacra che, come un’armatura rituale, ha il potere di trasformare chi la indossa. Ogni singolo elemento, dal cappello agli stivali, non è frutto del caso o di una scelta puramente estetica, ma è un concentrato di storia, di funzione e di simbolismo. È un linguaggio sartoriale che parla di status sociale, di influenze spagnole, di necessità pratiche legate all’equitazione e, soprattutto, di un’antica e mai sopita etica marziale.
Analizzare questo abbigliamento, in particolare la complessa e solenne tenuta de Su Componidori, significa compiere un’operazione di decodifica. Significa spogliare, strato dopo strato, il cavaliere per comprendere come ogni pezzo contribuisca a costruire una “seconda pelle”, una corazza che non solo protegge e adorna, ma che conferisce un nuovo ruolo e una nuova identità, trasformando un uomo comune nell’eroe protagonista di una battaglia rituale.
L’ANALISI DELL’ABBIGLIAMENTO: DALLA TESTA AI PIEDI
La vestizione de Su Componidori è un rito gerarchico che segue un ordine preciso, costruendo la figura del cavaliere-sacerdote dal basso verso l’alto, per culminare con gli elementi che ne definiscono l’autorità e la sacralità. Analizzeremo i pezzi principali seguendo idealmente questo processo di trasformazione.
La Base Funzionale: Pantaloni e Stivali
- I Pantaloni e la Cintura: La base dell’abbigliamento è eminentemente pratica. I cavalieri indossano pantaloni robusti, spesso in pelle o velluto, che riprendono i modelli dell’abbigliamento tradizionale sardo ma che hanno una chiara funzione di protezione. Il cuoio o il tessuto pesante proteggono la gamba dallo sfregamento continuo contro la sella e il fianco del cavallo, un dettaglio fondamentale per chi passa ore a cavalcare. La larga cintura di cuoio, sa cintura, oltre a essere un elemento decorativo, svolge un’importante funzione di sostegno per la zona lombare, aiutando il cavaliere a mantenere un assetto stabile e corretto durante le sollecitazioni violente del galoppo. Questa è la base pragmatica del guerriero: prima della gloria, viene la funzionalità e la resistenza dell’equipaggiamento.
- Gli Stivali da Equitazione: Gli alti stivali in cuoio nero sono forse l’elemento più universale del cavaliere. La loro funzione marziale e pratica è multipla e insostituibile. Innanzitutto, proteggono la parte inferiore della gamba del cavaliere da urti, rami o, in un contesto bellico, da colpi bassi. Il tacco ben definito è un cruciale dispositivo di sicurezza, impedendo al piede di scivolare completamente dentro la staffa e rimanervi incastrato in caso di caduta. La suola liscia, d’altra parte, permette di sfilare rapidamente il piede quando necessario. Infine, il gambale rigido fornisce un supporto alla caviglia e crea una superficie di contatto netta e precisa con il costato del cavallo, rendendo gli “aiuti” di gamba più chiari ed efficaci. Gli stivali sono il punto di connessione fondamentale tra uomo e cavalcatura, il terminale attraverso cui passa gran parte del dialogo silenzioso tra i due.
Il Busto: Tra Purezza e Protezione
- La Camicia Bianca Ricamata (Sa Camisa): Sopra la base funzionale, si indossa la camicia, un capo carico di simbolismo. È rigorosamente bianca, colore universale di purezza, sacralità e iniziazione. Indossandola, il cavaliere si purifica, si rende degno di partecipare al rito. I tessuti sono pregiati, lino o cotone finissimo, e la lavorazione è complessa, con sbuffi, pieghe e ricami che richiamano la moda nobiliare del periodo spagnolo. Queste pieghe e gli sbuffi sulle maniche, tuttavia, non erano solo vezzi estetici. Nell’abbigliamento storico, garantivano un’ampiezza di tessuto che permetteva la massima libertà di movimento alle braccia, una necessità assoluta per chi doveva maneggiare una spada o una lancia a cavallo. La camicia è dunque simbolo di purezza rituale ma con una memoria di funzionalità marziale.
- Il Corpetto di Pelle (Su Cojetto): Sopra la purezza della camicia, viene indossato su cojetto, un gilet di pelle senza maniche. Questo è l’elemento più esplicitamente marziale dell’intero abbigliamento. È un discendente diretto del “colletto” o “buff coat”, la giacca di cuoio di bufalo che costituiva l’armatura leggera standard per la cavalleria e la fanteria dal XVI al XVIII secolo. Il cuoio, spesso doppio, offriva una protezione sorprendentemente efficace contro i tagli di striscio e gli affondi non perfetti, pur rimanendo molto più leggero e flessibile di una corazza metallica. Su Cojetto è quindi una vera e propria armatura leggera. La sua funzione è duplice: protegge il torso del cavaliere, la parte più esposta, e al contempo evoca visivamente lo status di “uomo d’arme”. È il perfetto equilibrio tra la necessità di difesa e l’agilità richiesta dall’equitazione da combattimento.
La Testa: La Trasformazione Finale
Gli ultimi elementi, posti sul capo, completano la metamorfosi e definiscono lo status sovrumano de Su Componidori.
- Il Velo (Su Velu): Prima della maschera, la testa viene coperta da un velo bianco di pizzo o di lino, annodato sotto il mento. Il velo è un potente simbolo di separazione e consacrazione. Come il velo di una sposa o di una suora, esso indica che la persona sta per entrare in un nuovo stato, che è “messa a parte” per un compito sacro. Sfuma i contorni del viso, iniziando quel processo di spersonalizzazione che la maschera porterà a compimento. Crea un’aura di mistero, rendendo la figura più eterea e distaccata dalla realtà mondana.
- La Maschera Lignea: È il cuore della trasformazione, il pezzo più potente e inquietante. Non è una maschera allegra da carnevale, ma un volto rituale, impassibile e androgino. La sua funzione marziale è prima di tutto psicologica. Un guerriero mascherato è terrificante perché è disumano. L’avversario non si confronta con un altro uomo, con le sue paure e le sue emozioni, ma con un’entità inespressiva, un automa del fato. La maschera cancella l’identità individuale e con essa la paura. Il cavaliere non è più Giovanni o Antonio, con i suoi dubbi e le sue ansie; egli è Su Componidori. Questa spersonalizzazione gli conferisce una forza e una concentrazione altrimenti irraggiungibili. La maschera è la sua vera corazza mentale, il suo elmo rituale che lo isola e lo rende impenetrabile.
- Il Cappello a Cilindro (Sa Berritta): L’ultimo elemento è il cilindro nero, che viene posto sopra il velo. Questo capo, un’aggiunta più tarda risalente alla moda ottocentesca, ha sostituito copricapi precedenti ma ne ha ereditato la funzione simbolica. È un segno di autorità e di altissimo rango sociale. In un contesto militare, è l’equivalente del copricapo distintivo di un ufficiale, che lo rende immediatamente riconoscibile e ne segnala il ruolo di comando. La sua verticalità accentua la statura del cavaliere, rendendolo ancora più imponente e autorevole. Funge da corona, il sigillo finale che consacra Su Componidori come re della giostra.
Conclusione: L’Abito che Fa il Guerriero
L’abbigliamento della Sartiglia è un sistema semiotico complesso, un testo da leggere che racconta una storia di guerra, potere e sacralità. È un’armatura stratificata in cui ogni elemento ha uno scopo preciso. Si parte da una base di funzionalità puramente equestre e protettiva (stivali, pantaloni), si passa a uno strato che unisce purezza rituale e reminiscenze marziali (camicia, cojetto), e si culmina con gli elementi che operano la trasformazione psicologica e spirituale dell’uomo in eroe (velo, maschera, cappello).
La cerimonia della Vestizione, quindi, non è un semplice “vestirsi”, ma un vero e proprio rituale di armamento. Al suo termine, l’uomo che ne è oggetto non è semplicemente mascherato: è corazzato nel corpo e nello spirito, pronto ad affrontare la sua rituale battaglia non come un semplice sportivo, ma come l’incarnazione vivente del cavaliere guerriero, figura al confine tra l’umano e il divino.
ARMI
GLI STRUMENTI DEL GIUDIZIO E DELLA GLORIA
Introduzione: Più che Oggetti, Estensioni della Volontà
In ogni arte marziale, l’arma non è mai un oggetto inerte. È un’estensione del corpo, della mente e della volontà del praticante. Le “armi” utilizzate nella Sartiglia, pur essendo oggi impiegate in un contesto rituale e non bellico, non fanno eccezione. Esse sono il punto focale dell’intera prova di abilità, il tramite attraverso cui il cavaliere dimostra il suo valore e il mezzo con cui la sorte emette il suo giudizio.
Analizzare la spada, lo stocco e persino il simbolico mazzo di fiori de Sa Pippia de Maju significa aprire uno spaccato sulla storia della cavalleria, sulla tattica militare e sulla filosofia del guerriero. Questi non sono attrezzi di scena, ma discendenti diretti di un arsenale storico, ognuno con le sue specifiche caratteristiche fisiche, la sua tecnica d’uso e il suo profondo significato. Comprendere queste armi è fondamentale per decifrare il linguaggio marziale della giostra e per riscoprire come, anche in un gesto di pace, possa celarsi l’eco di un’antica e nobile tradizione guerriera.
CAPITOLO I: LA SPADA – L’ARMA DEL CAVALIERE, EQUILIBRIO TRA FORZA E VERSATILITÀ
La spada è l’arma d’elezione per la maggior parte dei cavalieri della Sartiglia, lo strumento standard con cui affrontare la prova della stella. La sua scelta non è casuale, ma riflette secoli di evoluzione dell’arma bianca per la cavalleria.
Descrizione e Caratteristiche Fisiche
La spada utilizzata nella Sartiglia è un’arma maneggevole, visibilmente più corta e leggera di una spada d’arme medievale. Generalmente presenta una lama a doppio filo, anche se non affilata, e una guardia semplice a croce o a rami, sufficiente a proteggere la mano. Il suo design è ottimizzato per l’equilibrio e la manovrabilità con una sola mano, una caratteristica essenziale per un cavaliere. Il peso e il bilanciamento sono studiati per renderla un prolungamento naturale del braccio, senza affaticare il polso durante la corsa.
L’Erede della “Espada de Caballo”
Questo strumento è il discendente ritualizzato della spada da cavalleria leggera o della spada da lato (side-sword) diffusa in Europa, e in particolare nei territori spagnoli, tra il XVI e il XVIII secolo. A differenza delle pesanti spade da guerra medievali, queste armi erano più versatili. Erano progettate non solo per sferrare potenti colpi di taglio dall’alto di un cavallo, ma anche per essere agili negli affondi e nella scherma ravvicinata, qualora il cavaliere si fosse trovato appiedato. La spada della Sartiglia conserva questa natura di arma “tuttofare”: non è uno strumento iper-specializzato, ma un’arma bilanciata, affidabile e polivalente, l’ideale “arma d’ordinanza” per il cavaliere.
Analisi Tecnica e Marziale
L’uso della spada nella giostra è dettato dalle sue caratteristiche fisiche.
- La Presa e il Controllo: Viene impugnata con una presa salda ma non contratta, permettendo al polso di avere la flessibilità necessaria per gli ultimi, minimi aggiustamenti di mira prima dell’impatto. Il suo baricentro, relativamente vicino alla mano, ne facilita il controllo durante la corsa al galoppo.
- La Tecnica del Colpo: La lama, essendo più larga di quella di uno stocco, offre un maggior margine di errore. Il cavaliere non deve necessariamente centrare il piccolo foro (su brocciu), ma può infilzare la stella in qualsiasi punto del suo perimetro interno. Questo rende la spada la scelta più logica e “tatticamente” sicura per la maggior parte dei partecipanti. Rappresenta un approccio strategico bilanciato: la probabilità di successo è più alta, anche se la gloria ottenuta è considerata standard.
- Valore Simbolico: La spada è l’archetipo dell’arma del cavaliere. È il simbolo universale della cavalleria, della giustizia, dello status nobiliare e del potere militare. L’atto di Su Componidori che, all’inizio della giostra, la alza per dare il via, è un gesto di comando puro. Brandire la spada significa reclamare il proprio posto nella genealogia dei cavalieri. Infilzare la stella con essa non è solo un atto di abilità, ma la conferma di essere degni di portare tale simbolo, un giudizio positivo sulle proprie qualità marziali.
CAPITOLO II: LO STOCCO – L’ARMA DELLO SPECIALISTA, LA RICERCA DELLA PERFEZIONE
Se la spada è l’arma del cavaliere, lo stocco è l’arma del maestro, dello specialista che cerca una sfida superiore. Il suo uso trasforma la natura stessa della prova.
Descrizione e Caratteristiche Fisiche
Lo stocco si differenzia nettamente dalla spada. È una lama lunga, sottile e rigida, priva di filo. La sua sezione può essere quadrata, romboidale o triangolare, un design ingegnerizzato per massimizzare la rigidità e la capacità di penetrazione. Termina in una punta acutissima. Non ha alcuna capacità di taglio; la sua unica funzione è l’affondo, la perforazione. È, in essenza, un lungo e robusto punteruolo montato su un’elsa.
L’Erede dell’Estoc: L’Anti-Armatura
Lo stocco della Sartiglia è la replica quasi perfetta dell’estoc, un’arma specializzata sviluppata nel tardo Medioevo proprio per contrastare la crescente efficacia delle armature a piastre. Mentre una spada da taglio era quasi inutile contro una corazza, l’estoc, brandito con forza, poteva penetrare le maglie di un’armatura a catena o, cosa più importante, essere infilato con precisione nelle fessure e nelle giunture delle piastre (sotto le ascelle, nelle fessure della celata, etc.). Era l’arma del colpo chirurgico, il “grimaldello” del cavaliere corazzato. Era l’arma degli specialisti del duello, non della mischia confusa.
Analisi Tecnica e Marziale
L’uso dello stocco impone una tecnica completamente diversa e molto più esigente.
- La Presa e la Proiezione della Forza: L’impugnatura deve essere ancora più salda, e il polso quasi bloccato al momento dell’impatto. Tutta l’energia cinetica del cavallo e del cavaliere deve essere incanalata senza dispersioni lungo l’asse della lama, fino alla punta. Non c’è spazio per l’eleganza flessuosa del colpo di spada; qui serve una determinazione lineare e brutale.
- L’Uso nella Giostra: Lo stocco è intrinsecamente legato a su brocciu, il piccolo foro centrale. A causa della sua sottigliezza, colpire il bordo della stella è quasi impossibile; l’arma scivolerebbe via. L’unico vero bersaglio è il centro perfetto. Questo restringe il margine di errore quasi a zero. La prova si trasforma da un test di abilità generale a un test di precisione assoluta.
- Valore Simbolico: La scelta dello stocco è una dichiarazione pubblica di maestria e di audacia. Il cavaliere che sceglie quest’arma sta comunicando alla comunità che non si accontenta di un successo “normale”, ma che punta all’impresa eccezionale. È una scommessa, una sfida lanciata a sé stessi e alla sorte. Il successo con lo stocco è accolto con un’ammirazione maggiore proprio perché tutti sono consapevoli del livello di difficoltà e di rischio. Rappresenta la quintessenza dello spirito marziale d’élite: non basta vincere, bisogna vincere compiendo un’impresa memorabile.
CAPITOLO III: SA PIPPIA DE MAJU – L’ARMA RITUALE, IL VESSILLO DELLA VITA
Accanto alle armi metalliche, la Sartiglia presenta un terzo, potentissimo strumento, la cui natura è interamente simbolica, ma la cui funzione è quella di un’arma rituale.
Descrizione e Composizione
Sa Pippia de Maju è un doppio mazzo composto da fiori freschi, viole mammole e pervinche. Le viole sono simbolo di modestia e pensiero profondo, mentre la pervinca, fiore resistente e sempreverde, è legata all’immortalità e al ricordo. I fiori sono legati con un nastro di colore verde, simbolo universale di speranza, rinascita e fertilità. È un oggetto effimero, fragile, carico di vita.
Lo Strumento del Comandante: Dal Bastone del Comando al Vessillo
Pur essendo un oggetto di pace, Sa Pippia de Maju viene brandita con la stessa autorità di un’arma. Nelle mani de Su Componidori, essa diventa due cose:
- Lo Scettro del Potere: Come un re ha il suo scettro o un generale il suo bastone del comando, Su Componidori ha Sa Pippia de Maju. È l’emblema visibile della sua autorità sulla giostra. Con essa benedice, con essa saluta.
- Il Vessillo dell’Unità: Portata per gran parte del tempo da Su Terzu Cumpoidori, essa funziona come lo stendardo, l’insegna del Gremio e della manifestazione. In battaglia, il vessillo era il punto di riferimento visivo per le truppe, il simbolo dell’onore dell’unità da difendere a ogni costo. Allo stesso modo, Sa Pippia de Maju è il simbolo attorno al quale si raccoglie idealmente tutta la cavalcata.
Analisi Tecnica e Marziale (Simbologica)
L’impiego di questo “anti-arma” è forse l’elemento filosoficamente più complesso e marzialmente più evoluto della giostra.
- La Dualità del Guerriero Nobile: Il fatto che lo stesso Componidori che poco prima ha usato una spada o uno stocco per un atto di “violenza” simulata, usi poi un mazzo di fiori per l’atto più sacro, rappresenta l’ideale del cavaliere perfetto. Egli possiede la forza e l’abilità per distruggere, ma il suo vero scopo, la sua vera vocazione, è proteggere e generare vita. È il guerriero che combatte non per il piacere della battaglia, ma per garantire la pace e la prosperità del suo popolo.
- La Maestria al Servizio della Vita: L’uso de Sa Pippia de Maju avviene durante Sa Remada, la prova tecnica più difficile. Questo connubio è potentissimo: la massima espressione dell’abilità marziale (il controllo assoluto del cavallo) non è usata per un atto distruttivo, ma per compiere un gesto di benedizione. È la dimostrazione che al culmine della via del guerriero non c’è la morte, ma la vita. La forza è un mezzo, la prosperità della comunità è il fine.
Conclusione: L’Arsenale del Corpo e dello Spirito
L’arsenale del cavaliere della Sartiglia è un sistema di strumenti sofisticato e completo. Comprende l’arma affidabile del soldato (la spada), l’arma di precisione dello specialista d’élite (lo stocco) e il vessillo sacro del comandante illuminato (Sa Pippia de Maju). Ognuna di queste “armi” richiede una tecnica diversa, rappresenta una scelta tattica e incarna un diverso aspetto della complessa etica del guerriero. Non sono semplici oggetti, ma catalizzatori di abilità, di coraggio e di significato, gli strumenti attraverso cui, ogni anno, si celebra il giudizio della sorte e si conquista la gloria.
A CHI E' INDICATO E A CHI NO
A CHI È INDICATA E A CHI È SCONSIGLIATA LA VIA DELL’ARTE EQUESTRE SARDA
Introduzione: Una Vocazione, non un Hobby
Intraprendere il percorso per diventare un cavaliere capace di affrontare le prove della Sartiglia o delle altre giostre equestri sarde non è una decisione da prendere alla leggera, non è come iscriversi a un corso di tennis o a una palestra. È un impegno che per intensità, dedizione e totalità, assomiglia più a una vocazione che a un hobby. La natura stessa di quest’arte, in equilibrio tra disciplina marziale, rito sacro e prova di coraggio estremo, delinea un profilo molto preciso del candidato ideale.
La valutazione di idoneità non si misura solo in abilità tecnica, ma in una rara e preziosa combinazione di doti fisiche, di qualità mentali e di principi etici che devono essere in profonda sintonia con lo spirito della tradizione. Questo capitolo si propone di tracciare, con la massima chiarezza e senza mezzi termini, l’identikit del cavaliere per cui questo percorso è indicato e, per converso, il profilo di coloro per cui questa via sarebbe non solo inappropriata, ma potenzialmente pericolosa per sé e per gli altri.
PARTE I: A CHI È INDICATO – L’IDENTIKIT DEL CAVALIERE MODERNO
Il cavaliere che può aspirare a eccellere in questa disciplina è una figura complessa, un atleta e un tradizionalista, un guerriero e un uomo di grande sensibilità.
Sul Piano Tecnico-Fisico: Il Cavaliere Già Formato
- Maestria Equestre Comprovata: Questo è il prerequisito non negoziabile. Quest’arte non è per principianti né per cavalieri di livello intermedio. È, a tutti gli effetti, una disciplina “post-laurea” dell’equitazione. Il candidato ideale è un cavaliere che monta a cavallo da anni, che ha già raggiunto un livello di maestria nei fondamentali: possiede un assetto profondo e indipendente, un controllo fine e quasi invisibile degli aiuti, e una perfetta sintonia con la propria cavalcatura. I fondamentali dell’equitazione devono essere per lui una seconda natura, un linguaggio che parla fluentemente senza più bisogno di pensare alla grammatica.
- Condizione Atletica Superiore: La sola abilità tecnica non basta. L’impegno fisico richiesto è enorme. È indicata a persone che possiedono una forma fisica eccellente: un “core” (la fascia addominale e lombare) forte come l’acciaio per mantenere l’equilibrio e assorbire gli shock del galoppo; gambe potenti e resistenti per applicare gli aiuti con costanza; una notevole resistenza cardiovascolare per sostenere lo sforzo e recuperare rapidamente; e un rapporto peso/potenza ottimale. È il fisico di un atleta completo, preparato per una performance esplosiva e ad alto impatto.
- Propriocettività e Riflessi Fulminei: Si richiede una straordinaria propriocezione, ovvero la capacità di “sentire” il proprio corpo e quello del cavallo nello spazio, percependo ogni minimo cambiamento di equilibrio o di ritmo. A questo si devono unire riflessi pronti e reattivi, la capacità di processare informazioni visive e sensoriali e di reagire in una frazione di secondo. È il sistema nervoso di un combattente, sempre all’erta e pronto all’azione.
Sul Piano Mentale e Psicologico: La Tempra del Guerriero
L’arena più difficile in cui si combatte è quella della propria mente. Per questo, le qualità psicologiche sono forse ancora più importanti di quelle fisiche.
- Coraggio e Gestione della Paura: Quest’arte non è per chi non ha paura, ma per chi sa guardare la paura negli occhi e dominarla. È indicata per chi possiede quel tipo di coraggio freddo e razionale, basato sulla fiducia nella propria preparazione, che permette di rimanere lucidi e funzionali anche quando l’adrenalina e la consapevolezza del rischio sono ai massimi livelli.
- Disciplina e Pazienza Assolute: La via per la Sartiglia è lunga, faticosa e spesso frustrante. È indicata per chi ha la disciplina di un monaco guerriero, la volontà di dedicare centinaia, se non migliaia, di ore ad allenamenti ripetitivi e poco spettacolari. È per chi ha la pazienza di aspettare anni per il cavallo giusto, per l’occasione giusta, per la maturità giusta.
- Concentrazione e Focus Totale: È un percorso per chi possiede la capacità di creare un “tunnel” di concentrazione, escludendo il frastuono della folla, la pressione delle aspettative, la distrazione della competizione. Deve saper focalizzare tutte le proprie energie mentali e fisiche in un unico, brevissimo istante, quello del colpo alla stella.
- Resilienza e Umiltà: Le cadute e i fallimenti sono una parte integrante del percorso. È quindi indicata per chi ha la forza d’animo di rialzarsi dopo una caduta, di analizzare un errore senza scoraggiarsi e di riprovare con ancora più determinazione. A questo si deve unire l’umiltà di ascoltare i consigli dei maestri più anziani e di accettare le critiche, vedendole non come un affronto, ma come un’opportunità di crescita.
Sul Piano Etico e Culturale: L’Adesione al Codice
Infine, un cavaliere della Sartiglia non è solo un atleta, ma un portatore di una tradizione.
- Profondo Rispetto per la Tradizione: È una via indicata per chi sente un legame viscerale e sincero con la cultura e la storia della Sardegna. Per chi vede la Sartiglia non come una semplice corsa di cavalli, ma come un rito sacro, un patrimonio da onorare e proteggere. Una motivazione puramente sportiva o esibizionistica non è sufficiente.
- Senso di Appartenenza e Spirito di Corpo: È per chi comprende che non si corre solo per sé stessi. Si corre per il proprio Gremio, per la propria città, per la propria famiglia. È per chi è disposto a mettere l’onore del gruppo davanti alla gloria individuale, a collaborare con i compagni di pariglia con fiducia assoluta e a rispettare le gerarchie e le regole non scritte della tradizione.
- Dedizione Assoluta alla Cura del Cavallo: Questo è forse il test etico definitivo. È una disciplina per chi ama i cavalli in modo profondo e incondizionato, per chi vede nel proprio destriero non un attrezzo sportivo da sfruttare, ma un partner, un compagno d’arme da accudire con una dedizione quotidiana, anteponendo sempre il suo benessere a qualsiasi ambizione personale.
PARTE II: A CHI È SCONSIGLIATA – QUANDO IL PERCORSO NON È QUELLO GIUSTO
Definire a chi l’arte è sconsigliata non è un giudizio sulla persona, ma un’analisi oggettiva di incompatibilità che potrebbero generare frustrazione e pericolo.
Sul Piano Tecnico-Fisico: I Limiti Oggettivi
- Principianti e Cavalieri Intermedi: È assolutamente sconsigliata a chiunque non abbia già raggiunto un livello di eccellenza nell’equitazione di base. Tentare di affrontare le difficoltà tecniche della Sartiglia senza una solida preparazione equestre è estremamente pericoloso per il cavaliere, per il cavallo e per il pubblico.
- Limiti Fisici Specifici: Date le enormi sollecitazioni, è controindicata per persone con problemi cronici alla schiena, alle articolazioni (ginocchia, anche), o con patologie cardiache. Una condizione fisica non adeguata aumenta esponenzialmente il rischio di infortuni.
Sul Piano Mentale e Psicologico: I Temperamenti Incompatibili
- L’Impulsivo e l’Imprudente: Non è un’arte per chi confonde il coraggio con la temerarietà. La ricerca del brivido fine a sé stessa, la mancanza di autodisciplina e l’incapacità di valutare realisticamente i rischi sono difetti incompatibili con la serietà del rito e con la sicurezza che esso richiede.
- Chi Cerca la Gratificazione Immediata: È fortemente sconsigliata a chi ha un temperamento impaziente e desidera risultati rapidi. I progressi sono lenti, i costi (in tempo e denaro) altissimi e i momenti di gloria rari. La frustrazione per chi non ha una visione a lungo termine sarebbe inevitabile.
- L’Individualista e il Vanaglorioso: È un percorso inadatto a chi ha come unica motivazione la fama personale o il desiderio di mettersi in mostra. L’ethos comunitario della Sartiglia mal si concilia con un ego ipertrofico, che verrebbe rapidamente isolato dal resto del gruppo.
Sul Piano delle Motivazioni e Aspettative: L’Errore di Scopo
- Chi Cerca uno Sport Convenzionale: È sconsigliata a chi si aspetta di trovare un ambiente sportivo moderno, con punteggi oggettivi, un calendario di gare fitto e la possibilità di una carriera professionistica. La Sartiglia è un rito, non un campionato.
- Chi Cerca l’Autodifesa: Pur essendo un’arte di derivazione marziale, le sue tecniche non hanno alcuna applicazione pratica nei moderni scenari di difesa personale. La sua marzialità è di natura storica, filosofica e attitudinale, non combattiva in senso stretto.
- Il “Turista delle Esperienze”: È assolutamente sconsigliata a chi si approccia alla tradizione con superficialità, come un’altra “esperienza estrema” da provare e aggiungere alla propria collezione. L’arte richiede un’immersione culturale e un impegno che sono l’antitesi di un approccio “usa e getta”.
Conclusione: Una Scelta di Vita
In sintesi, la via del cavaliere della Sartiglia è indicata per un profilo umano molto specifico: un cavaliere esperto, un atleta disciplinato, un guerriero nell’animo e un tradizionalista nel cuore. È una strada che sceglie i suoi praticanti tanto quanto loro scelgono lei. Per tutti gli altri, l’incompatibilità non deriva da un difetto personale, ma da una diversa natura, da diverse aspirazioni e da diverse motivazioni. Comprendere questa profonda selettività è il primo passo per rispettare la serietà di un’arte che non è un gioco, ma una delle più complete e complesse discipline marziali-rituali che il patrimonio culturale italiano possa vantare.
CONSIDERAZIONI PER LA SICUREZZA
LA DISCIPLINA DEL RISCHIO CONTROLLATO
Introduzione: L’Onore del Rischio e il Dovere della Prudenza
Parlare di sicurezza nel contesto di un’arte come quella equestre sarda significa affrontare un affascinante e complesso paradosso. L’essenza stessa di questa disciplina, la sua anima marziale, è intrinsecamente legata alla presenza di un rischio reale e tangibile. Il coraggio, la virtù più celebrata nel cavaliere, non può esistere in assenza di un pericolo concreto da affrontare. Un gesto compiuto in totale sicurezza può essere abile, ma non sarà mai veramente coraggioso. Se si eliminasse il rischio, si snaturerebbe l’arte, riducendola a una sterile esibizione acrobatica.
Tuttavia, il mondo moderno impone, giustamente, un’attenzione massima alla tutela della vita e del benessere di uomini e animali. La grandezza e la maturità di queste tradizioni, oggi, si misurano proprio nella loro capacità di navigare questo stretto passaggio: preservare l’autenticità di una prova che include il rischio, e al contempo gestirlo con la massima responsabilità. Le considerazioni per la sicurezza, quindi, non vanno viste come un’imposizione che “annacqua” il valore marziale dell’arte, ma come una disciplina parallela e fondamentale: la disciplina del rischio controllato. Un vero guerriero non è uno sprovveduto che si lancia ciecamente nel pericolo, ma un professionista che, conscio dei rischi, prepara meticolosamente sé stesso, il suo equipaggiamento e il campo di battaglia per massimizzare le possibilità di successo e minimizzare le conseguenze di un fallimento.
CAPITOLO I: LA SICUREZZA DEL CAVALIERE – L’ARMATURA INVISIBILE
La prima linea di difesa è quella che protegge il protagonista dell’azione, il cavaliere. Questa protezione si compone di un’armatura fisica, spesso invisibile, e di una corazza mentale forgiata con l’addestramento.
L’Equipaggiamento Protettivo Moderno: L’Armatura del XXI Secolo
L’iconografia della Sartiglia mostra cavalieri in abiti storici, ma sotto quei panni si cela una tecnologia di protezione all’avanguardia, un perfetto esempio di come tradizione e modernità possano e debbano convivere.
- Il Casco Sotto il Cilindro: La più importante e significativa di queste integrazioni è l’obbligo di indossare un casco da equitazione omologato, abilmente nascosto sotto il tradizionale cappello a cilindro o altri copricapi. Questa soluzione ingegnosa permette di preservare l’integrità estetica e storica della figura, garantendo al contempo una protezione essenziale per la testa in caso di caduta. È l’equivalente moderno dell’elmo d’acciaio, l’elemento di difesa più critico per qualsiasi combattente.
- Il Corpetto Protettivo (Body Protector): Sotto la camicia bianca e su cojetto di pelle, la maggior parte dei cavalieri indossa un corpetto protettivo o paraschiena. Questi giubbotti, realizzati con materiali compositi ad alto assorbimento d’urto, sono progettati per proteggere la colonna vertebrale e gli organi interni dagli impatti violenti. In termini marziali, svolgono la stessa funzione del giaco imbottito o della cotta di maglia che un tempo si indossavano sotto la corazza, uno strato intermedio essenziale per dissipare l’energia di un colpo.
- Calzature e Guanti: Sebbene gli stivali siano parte dell’abbigliamento tradizionale, la loro qualità e manutenzione sono un fattore di sicurezza primario. Stivali robusti e ben adatti proteggono piedi e caviglie. L’uso di guanti, sebbene non sempre visibile, è comune per garantire una presa salda e sicura sulle redini, specialmente in condizioni di sudore o pioggia, evitando che l’arma più importante del controllo – il contatto con la bocca del cavallo – possa fallire.
La Preparazione Fisica e Tecnica come Sicurezza Attiva
Il miglior dispositivo di sicurezza per un cavaliere è il suo stesso corpo, preparato da un addestramento rigoroso. La sicurezza attiva – la capacità di prevenire un incidente o di gestirne le conseguenze – è molto più importante di quella passiva (le protezioni). Anni passati a sviluppare un assetto profondo, un equilibrio dinamico e un core d’acciaio fanno sì che il cavaliere sia meno propenso a perdere l’equilibrio. La ripetizione ossessiva dei fondamentali trasforma le reazioni in riflessi automatici. Saper “sentire” in anticipo un’incertezza del cavallo o un cambiamento nel terreno permette di correggere l’azione prima che diventi un problema. La preparazione fisica e tecnica non è solo finalizzata alla performance, ma è la forma più alta e intelligente di autoprotezione.
La Sicurezza Psicologica: Conoscere i Propri Limiti
Infine, esiste una dimensione di sicurezza mentale. Un cavaliere responsabile deve possedere una profonda conoscenza di sé e dei propri limiti. Deve essere in grado di valutare onestamente il proprio stato di forma, la propria concentrazione e il proprio livello di stress. In questo contesto, il coraggio più grande può essere quello di rinunciare a correre. Un cavaliere che si sente inadeguato o che percepisce che il suo cavallo non è in giornata e decide di non partecipare, non sta compiendo un atto di viltà, ma di massima responsabilità e di intelligenza marziale. Sta proteggendo sé stesso, il suo cavallo e la reputazione del suo gruppo, dimostrando una maturità che è la vera cifra del maestro.
CAPITOLO II: LA SICUREZZA E IL BENESSERE DEL CAVALLO – IL DOVERE VERSO IL COMMILITONE
In un’arte marziale basata sul binomio, la sicurezza del cavallo non è solo una questione etica, ma un prerequisito funzionale. Un cavaliere con un cavallo infortunato o inadatto è un guerriero disarmato. La tutela del benessere equino è quindi un pilastro del sistema di sicurezza.
I Controlli Veterinari Preventivi: La Prova di Idoneità alla Battaglia
Prima di poter accedere al percorso, ogni singolo cavallo deve superare una serie di rigorosi controlli veterinari obbligatori. Un’apposita commissione, composta da veterinari esperti, esegue visite approfondite per certificare lo stato di salute dell’animale. Si controlla l’apparato muscolo-scheletrico per escludere zoppie o infiammazioni, si valuta la funzionalità cardiaca e respiratoria e si verifica il benessere generale. Questa visita è, a tutti gli effetti, la prova di idoneità al combattimento: solo i soggetti ritenuti perfettamente sani e in forma possono partecipare. A ciò si aggiungono i controlli antidoping, volti a impedire l’uso illecito di farmaci antinfiammatori o eccitanti che potrebbero mascherare un problema fisico o alterare il comportamento del cavallo, mettendo a grave rischio la sua salute.
Idoneità Comportamentale della Cavalcatura
Oltre alla salute fisica, viene valutato il temperamento del cavallo. Non tutti i cavalli, per quanto atletici, sono adatti a una manifestazione come la Sartiglia. È richiesta una “testa giusta”: il cavallo deve dimostrare di essere affidabile, gestibile e di non reagire in modo imprevedibile o pericoloso al rumore, alla folla e alla tensione dell’evento. La scelta di un cavallo con il carattere adatto è una delle prime e più importanti decisioni di sicurezza che un cavaliere compie.
La Gestione del Percorso: La Preparazione del Campo di Battaglia
La sicurezza del cavallo dipende in larga misura dalle condizioni del terreno su cui corre. Le piste vengono preparate con una cura meticolosa. Viene steso uno spesso strato di sabbia o terriccio specifico, la cui composizione è studiata per offrire il giusto compromesso tra aderenza e ammortizzazione. Un terreno troppo duro aumenterebbe lo stress su tendini e articolazioni, mentre un terreno troppo soffice o scivoloso aumenterebbe il rischio di cadute. La preparazione del percorso è un’opera di ingegneria finalizzata a creare un “campo di battaglia” il più sicuro possibile, dove il cavallo possa esprimere la sua potenza minimizzando i rischi.
CAPITOLO III: LA SICUREZZA DEL PUBBLICO E DEL CONTESTO – LA DISCIPLINA NELL’ARENA
Un evento che si svolge nel cuore di una città, con decine di migliaia di spettatori, richiede un sistema di sicurezza imponente per proteggere chi assiste.
La Delimitazione e la Protezione del Percorso
La pista è nettamente separata dall’area del pubblico tramite un sistema di barriere (transenne) robuste e continue. Queste barriere non sono un semplice invito, ma un confine invalicabile, la cui tenuta è costantemente monitorata. Il loro scopo è impedire che chiunque possa invadere la traiettoria dei cavalli lanciati al galoppo, un’eventualità che avrebbe conseguenze catastrofiche.
Il Servizio d’Ordine e i Gruppi di Supporto
La gestione della folla è affidata a un imponente dispiegamento di forze: Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Locale, a cui si aggiunge il contributo fondamentale della Protezione Civile, delle associazioni di volontariato e dei servizi di soccorso medico (ambulanze, medici, infermieri). Questa rete capillare garantisce il controllo degli accessi, la gestione dei flussi di persone, la pervietà delle vie di fuga e la prontezza di intervento in caso di qualsiasi emergenza, sia per i cavalieri che per il pubblico.
La Responsabilità del Pubblico
La sicurezza è un compito condiviso. Parte del sistema di sicurezza consiste nell’educazione del pubblico. Gli spettatori vengono costantemente invitati, tramite annunci e campagne informative, a tenere comportamenti responsabili: non sporgersi dalle transenne, non usare il flash delle macchine fotografiche (che potrebbe spaventare i cavalli), non lanciare oggetti. Il silenzio e il rispetto mostrati dalla folla durante le fasi più delicate della giostra non sono solo un segno di ammirazione, ma una forma attiva di partecipazione alla sicurezza collettiva.
Conclusione: L’Etica della Responsabilità come Valore Marziale
Il complesso sistema di sicurezza che circonda l’arte equestre sarda è la dimostrazione della sua maturità e della sua capacità di evolvere. Lungi dal sminuirne il valore marziale, questo approccio lo eleva. Esso dimostra che la comunità dei cavalieri e degli organizzatori ha interiorizzato un principio fondamentale del guerriero evoluto: la vera forza non risiede solo nel coraggio di affrontare il pericolo, ma anche nella saggezza, nella disciplina e nell’etica della responsabilità con cui quel pericolo viene gestito. Proteggere sé stessi con la tecnologia moderna, tutelare il proprio cavallo come un fratello d’armi e garantire la sicurezza della comunità per cui si corre sono, nel XXI secolo, gli atti che qualificano un semplice cavaliere e lo trasformano in un vero maestro, un custode responsabile di una tradizione tanto pericolosa quanto magnifica.
CONTROINDICAZIONI
QUANDO LA VIA DEL CAVALIERE È PRECLUSA
Introduzione: Il Principio di Responsabilità e Autoconsapevolezza
Se la via del cavaliere guerriero è un percorso di coraggio e di superamento dei propri limiti, essa è anche, e forse prima di tutto, una via di profonda autoconsapevolezza e di assoluta responsabilità. La saggezza marziale non risiede solo nel sapere quando attaccare, ma anche nel sapere quando non si è in condizione di farlo. Riconoscere l’esistenza di controindicazioni alla pratica non è un atto di debolezza, ma di intelligenza e di rispetto: rispetto per la propria incolumità, per il benessere del cavallo e per la sacralità di una tradizione che non ammette improvvisazione.
Questo capitolo non ha lo scopo di giudicare o di escludere, ma di analizzare con lucidità e onestà i fattori oggettivi – fisici, psicologici e pratici – che rendono la pratica dell’arte equestre sarda sconsigliata o addirittura pericolosa. Comprendere queste controindicazioni è fondamentale per apprezzare appieno il livello di dedizione, salute e tempra richiesto ai suoi praticanti, e per ribadire che ci troviamo di fronte a una disciplina d’élite, un sentiero arduo e selettivo, non a un passatempo per tutti.
CAPITOLO I: LE CONTROINDICAZIONI FISICHE E MEDICHE – QUANDO IL CORPO PONE UN VETO
Il corpo del cavaliere è il suo primo strumento e la sua prima armatura. Se questo strumento presenta delle fragilità strutturali, l’intera pratica diventa insostenibile. Esistono condizioni mediche che rappresentano un veto assoluto e non negoziabile.
Patologie della Colonna Vertebrale e delle Articolazioni Maggiori
L’equitazione, specialmente a livelli di alta intensità come in questo caso, sottopone la colonna vertebrale e le articolazioni a continue e violente sollecitazioni. Il galoppo, per quanto ammortizzato da un buon assetto, genera micro-traumi costanti. Una caduta, anche banale, può trasmettere forze d’urto devastanti. Per questi motivi, la pratica è assolutamente controindicata in presenza di:
- Ernie del disco, discopatie gravi o protrusioni significative: L’impatto verticale potrebbe aggravare la condizione in modo drammatico, con conseguenze neurologiche permanenti.
- Scoliosi o altre deformità strutturali della colonna: Una postura non corretta, imposta da una patologia, rende impossibile raggiungere un assetto stabile e bilanciato, compromettendo il controllo e aumentando il rischio di cadute.
- Artrosi avanzata, protesi articolari (specialmente anca e ginocchio) o instabilità legamentosa: Le articolazioni non sarebbero in grado di sopportare lo stress, causando dolore cronico e rischiando cedimenti strutturali. In termini marziali, tentare di operare con un “telaio” strutturalmente compromesso è una scelta suicida.
Problemi Cardiovascolari e Neurologici
La pratica di quest’arte è un’attività ad altissimo impatto cardiovascolare ed emotivo. Lo sforzo fisico del galoppo, unito alla scarica di adrenalina generata dalla velocità, dalla pressione e dal rischio, provoca un rapido innalzamento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna. È quindi fortemente sconsigliata a chi soffre di:
- Cardiopatie significative, ipertensione non controllata o aritmie: Lo stress potrebbe innescare un evento cardiaco acuto.
- Patologie neurologiche come l’epilessia: Anche se sotto controllo farmacologico, il rischio che una combinazione di fattori (stress, luci, stanchezza) possa scatenare una crisi rende la pratica inaccettabile dal punto di vista della sicurezza. Un guerriero deve poter contare su un “motore” e su un “sistema operativo” perfettamente affidabili.
Deficit di Equilibrio, Coordinazione e Forma Fisica
L’equilibrio è il fondamento di tutto. Patologie che colpiscono il sistema vestibolare (l’orecchio interno), o che causano vertigini e capogiri, rappresentano una controindicazione ovvia e totale. Allo stesso modo, una scarsa forma fisica generale o una condizione di obesità costituiscono un ostacolo insormontabile. Non è una questione estetica, ma puramente funzionale: il peso in eccesso affatica il cuore, mette a dura prova le articolazioni del cavaliere e, cosa non secondaria, grava in modo eccessivo sulla schiena del cavallo. Un cavaliere non allenato manca di resistenza, forza nel core e reattività, diventando un passeggero passivo e pericoloso invece che un pilota attivo.
CAPITOLO II: LE CONTROINDICAZIONI PSICOLOGICHE E CARATTERIALI – L’INCOMPATIBILITÀ DELLA MENTE
Se il corpo pone dei veti oggettivi, la mente e il carattere ne pongono altri, forse meno visibili ma altrettanto invalidanti. La tempra del guerriero non è da tutti.
Fobie Specifiche e Ansia Ingestibile
Esiste una netta differenza tra la normale e sana paura, che un cavaliere impara a gestire, e una fobia clinica o un disturbo d’ansia. La pratica è assolutamente sconsigliata a chi soffre di:
- Equinofobia (paura dei cavalli): Sembra ovvio, ma va specificato.
- Tachofobia (paura della velocità) o Acrofobia (paura delle altezze): Queste paure renderebbero la corsa al galoppo o le acrobazie delle pariglie un’esperienza di puro terrore, paralizzando qualsiasi capacità di reazione.
- Disturbi d’ansia generalizzata o attacchi di panico: L’ambiente della giostra, con la folla, il rumore e la pressione, è un potenziale detonatore per chi è predisposto a questi disturbi. In uno stato di panico, il controllo viene meno e il rischio di incidenti diventa altissimo.
Mancanza di Disciplina e di Visione a Lungo Termine
La via del cavaliere è una maratona, non uno sprint. È quindi controindicata per temperamenti impulsivi, impazienti e incapaci di un impegno costante. Chi cerca tutto e subito, chi non ha la disciplina di dedicare anni all’addestramento dei fondamentali, chi si arrende di fronte alle prime difficoltà o frustrazioni, non troverà in quest’arte la gratificazione che cerca. La pazienza e la perseveranza sono muscoli mentali tanto importanti quanto quelli fisici. La mancanza di questa “resistenza psicologica” è una controindicazione caratteriale fondamentale.
Ego Ipertrofico e Mancanza di Spirito di Squadra
L’ethos di quest’arte è comunitario e basato sul rispetto. Per questo, è fortemente controindicata a personalità narcisistiche, arroganti e refrattarie alla critica o alla gerarchia. Un individuo che pensa solo alla propria gloria, che non accetta i consigli dei maestri, che non rispetta le regole del Gremio o che mette a rischio i compagni di pariglia per un’esibizione di vanità, è un elemento tossico. In un’unità militare, un soldato che non obbedisce agli ordini e non collabora con i commilitoni è una minaccia per l’intero gruppo. Lo stesso vale in questo contesto.
Irresponsabilità e Scarsa Coscienza del Rischio
Paradossalmente, quest’arte pericolosa è assolutamente controindicata a chi non ha una sana paura e un profondo rispetto del pericolo. Il giovane spericolato, l’incosciente che si lancia in imprese al di sopra delle proprie capacità solo per il brivido, è il profilo più pericoloso di tutti. La disciplina richiede un approccio maturo al rischio, una valutazione fredda e consapevole. Confondere il coraggio con l’incoscienza è l’errore più grave, un’incompatibilità caratteriale che mette a repentaglio la vita propria, quella del cavallo e quella degli spettatori.
CAPITOLO III: LE CONTROINDICAZIONI PRATICHE – LE BARRIERE DELLA REALTÀ
Infine, esistono barriere oggettive, legate non al corpo o alla mente, ma alla dura realtà della vita, che possono rendere la pratica di fatto impossibile.
Limiti Economici Significativi
Bisogna essere onesti: questa è una passione estremamente costosa. È fortemente sconsigliata a chi non dispone di risorse economiche solide e costanti. I costi includono: l’acquisto di un cavallo genealogicamente e caratterialmente adatto (una spesa di migliaia, a volte decine di migliaia di euro); le spese mensili per il mantenimento in scuderia (pensione, fieno, mangimi); le cure veterinarie ordinarie e straordinarie; la mascalcia (la ferratura periodica); l’acquisto e la manutenzione di finimenti di qualità; le spese di trasporto per raggiungere campi di allenamento o manifestazioni. Tentare di praticare quest’arte “al risparmio”, magari trascurando la salute del cavallo o la qualità dell’equipaggiamento, non è solo eticamente sbagliato, ma è anche pericolosissimo. La “logistica di una campagna militare” richiede risorse adeguate.
Mancanza di Tempo e Dedizione
Questo non è un passatempo che si possa coltivare nei ritagli di tempo. La cura quotidiana di un cavallo è un impegno che richiede presenza fisica quasi tutti i giorni. L’allenamento serio richiede diverse sessioni settimanali. È quindi controindicata per chi, a causa di impegni professionali o familiari, non può garantire questa dedizione quasi totale. Un cavallo non è una bicicletta che si può lasciare in garage per un mese. Richiede un impegno costante che la rende, di fatto, uno stile di vita.
Assenza di un Contesto Sociale e Geografico Adeguato
Infine, la pratica di quest’arte è legata a doppio filo con il suo territorio e la sua comunità. È praticamente impossibile e quindi sconsigliato intraprendere questo percorso vivendo lontano dalla Sardegna o, comunque, lontano dai centri nevralgici in cui questa tradizione è viva. L’apprendimento, come abbiamo visto, avviene per osmosi, per imitazione dei maestri, all’interno di una rete di scuderie e di appassionati. Senza l’accesso fisico a questo ambiente, senza la possibilità di allenarsi con altri cavalieri e di essere inseriti nel tessuto sociale che sostiene la tradizione, qualsiasi tentativo sarebbe un esercizio sterile e solitario, privo dell’anima e della conoscenza che solo la comunità può trasmettere.
Conclusione: La Saggezza del “Non Idoneo”
In conclusione, le controindicazioni alla pratica dell’arte equestre sarda sono tanto severe e numerose quanto la disciplina stessa è seria e impegnativa. Il veto può venire dal corpo, dalla mente o dalle circostanze pratiche della vita. Riconoscere onestamente la propria inadeguatezza di fronte a queste barriere non è un’ammissione di fallimento. Al contrario, è un atto di grande saggezza, di autoconsapevolezza e di profondo rispetto verso una tradizione che non fa sconti a nessuno. La via del cavaliere è un’ “alta via”, un sentiero di montagna impervio e magnifico, destinato a quei pochi che possiedono il fisico, la mente e il cuore per percorrerlo. Ammettere che non è il proprio sentiero è il primo, fondamentale passo per poterla ammirare e apprezzare nella sua autentica e formidabile grandezza.
CONCLUSIONI
L’ARTE DEL CAVALIERE GUERRIERO COME EREDITÀ VIVENTE
Introduzione: Il Velo Sollevato
Siamo giunti al termine di un lungo viaggio di scoperta, un percorso che ci ha condotti ben oltre l’immagine superficiale di una festa colorata per addentrarci nel cuore pulsante di una delle più antiche e complesse discipline marziali-rituali d’Europa. Partendo dalla domanda sulla natura di giostre come la Sartiglia, abbiamo sollevato, strato dopo strato, i veli della storia, della tecnica, del rito e del simbolo. Ora, in questa fase conclusiva, è il momento di ricomporre i frammenti di questa conoscenza in un quadro unitario, per contemplare il significato ultimo di questa straordinaria eredità e il suo valore nel mondo contemporaneo.
Le conclusioni che possiamo trarre non sono semplici riassunti dei punti precedenti, ma una sintesi finale che mira a consolidare la riscoperta del valore marziale dell’uomo a cavallo. È la riaffermazione che dietro la maschera impassibile, la corsa sfrenata e il brillare della stella, si cela un intero universo di etica, disciplina e sapienza guerriera, un patrimonio che ha molto da insegnare anche all’uomo del ventunesimo secolo.
La Sintesi: Molto più di una Giostra
La prima e più importante conclusione che emerge da questa analisi è la necessità di superare le definizioni semplicistiche. Sa Sartiglia e le abilità equestri sarde non sono uno sport nel senso moderno del termine, poiché la loro finalità non è la competizione basata su un punteggio, ma il compimento di un rito e l’affermazione dell’onore. Non sono un mero spettacolo folcloristico, poiché ogni loro elemento è carico di una funzione e di un simbolismo che trascendono la pura estetica. Non sono una semplice rievocazione storica, perché non si limitano a replicare il passato, ma lo rendono vivo e operante nel presente.
La definizione più corretta e completa è quella di un complesso e sofisticato sistema marziale-rituale di origine europea. È un “fossile vivente” dell’arte del combattimento a cavallo, un distillato di tecniche e principi di cavalleria che sono sopravvissuti alla loro funzione bellica originaria grazie a un geniale processo di incapsulamento spirituale e sociale. È, a tutti gli effetti, una disciplina olistica che mira allo sviluppo integrale del praticante, forgiandone il corpo attraverso un addestramento fisico estremo, la mente attraverso una necessaria disciplina psicologica e il carattere attraverso l’adesione a un rigoroso codice etico.
L’Uomo, il Cavallo, la Comunità: La Triade Indissolubile
La nostra esplorazione ha messo in luce come questa disciplina si fondi su un equilibrio dinamico tra tre elementi inscindibili, la cui interazione costituisce l’essenza stessa dell’arte.
- Il Cavaliere come Archetipo del Guerriero: Abbiamo concluso che il cavaliere di queste giostre non è un semplice fantino. È la moderna incarnazione dell’archetipo del guerriero. Il suo profilo ideale richiede non solo un’abilità tecnica superlativa, ma anche un corredo di virtù marziali: il coraggio freddo di chi sa gestire il rischio, la disciplina di chi si sottopone a un addestramento incessante, l’umiltà di chi sa imparare dai propri errori e, soprattutto, un profondo senso dell’onore e della responsabilità. Il percorso per diventare un tale cavaliere è una “via” di perfezionamento personale, un cammino che modella l’uomo prima ancora dell’atleta.
- Il Cavallo come Partner, non come Strumento: Abbiamo compreso che il rapporto con il cavallo va ben oltre la semplice monta. La filosofia di quest’arte rifiuta il concetto di dominio per abbracciare quello di simbiosi. Il cavallo è un partner, un commilitone, un “fratello d’armi” la cui fiducia deve essere guadagnata giorno dopo giorno con rispetto, cura e comprensione. Questa visione, oltre a essere eticamente elevata, è marzialmente pragmatica: solo un binomio basato sulla fiducia assoluta può agire come un’unica, efficace e affidabile “unità da combattimento” nel momento della prova.
- La Comunità come Custode e Giudice: Infine, abbiamo visto come l’individuo e il binomio siano sempre inseriti in un contesto collettivo. La comunità – attraverso le sue istituzioni come i Gremi e attraverso la sua partecipazione corale – è il contenitore vivente che preserva la tradizione. È essa la depositaria ultima del rito, la fonte della sua legittimità e il supremo tribunale che, con il suo giudizio non scritto, decreta l’onore o il disonore di un cavaliere. Questa dimensione sociale è una caratteristica fondamentale di questa eredità europea, distinguendola nettamente da approcci più individualistici di altre culture marziali.
La Lezione Marziale: Un’Etica per il Presente
Qual è, dunque, il valore di questa riscoperta marziale oggi? La sua lezione più profonda non sta nell’imparare a usare una spada a cavallo, ma nell’assimilare le virtù senza tempo che la via del guerriero ha sempre insegnato.
- La Disciplina del Rischio Controllato: In un mondo contemporaneo che tende a demonizzare ogni forma di rischio, cercando di creare un ambiente il più possibile asettico e prevedibile, quest’arte ci ricorda il valore formativo del confronto con il pericolo. Ci insegna che la crescita personale, la scoperta dei propri limiti e lo sviluppo del coraggio passano attraverso l’accettazione e la gestione intelligente del rischio, non attraverso la sua eliminazione.
- L’Elogio dell’Impegno a Lungo Termine: In un’epoca dominata dalla velocità e dalla ricerca della gratificazione istantanea, la preparazione di un cavaliere della Sartiglia è un potente antidoto. È un elogio della lentezza, della pazienza, della dedizione e della perseveranza. Ci insegna che la vera maestria, in qualsiasi campo, non si ottiene con scorciatoie, ma è il frutto di un sacrificio e di un impegno che durano una vita intera.
- La Forza della Responsabilità Collettiva: In società sempre più frammentate e individualistiche, l’ethos di quest’arte riafferma il valore del legame comunitario. Ci insegna che le nostre azioni hanno sempre una ricaduta sul gruppo a cui apparteniamo, che l’onore è un bene collettivo da costruire e difendere insieme, e che la fiducia reciproca è il cemento di ogni impresa di successo.
- Il Rispetto per il Vivente: Attraverso il rapporto quasi sacro con il cavallo, questa disciplina offre una profonda lezione ecologica e spirituale. Ci insegna a relazionarci con un altro essere vivente basandoci sull’empatia, sull’ascolto e sulla cura, un modello di interazione che è potentemente attuale e necessario ben oltre i confini di un maneggio.
Il Futuro: Preservare l’Anima, non solo la Forma
In conclusione, il futuro di questa magnifica tradizione appare solido, ma non privo di sfide. La sfida più grande non sarà la sopravvivenza fisica dell’evento, oggi garantita dalla sua fama e dal supporto istituzionale, ma la conservazione della sua anima autentica. Il pericolo è quello di cedere alla tentazione della spettacolarizzazione a tutti i costi, di annacquare la componente di rischio per rassicurare un pubblico sempre più sensibile, di trasformare un rito sacro in un prodotto turistico standardizzato.
La responsabilità delle nuove generazioni di cavalieri e di custodi della tradizione sarà immensa. Essi dovranno possedere non solo l’abilità tecnica, ma anche la profondità culturale e la sensibilità spirituale per comprendere che non stanno semplicemente ripetendo una performance, ma stanno officiando un rito. Dovranno essere i guardiani del “perché” si corre, non solo del “come”.
Un Ponte sul Tempo
L’arte equestre sarda, con la sua ricchezza di storia, tecnica e valori, è un vero e proprio ponte gettato sul tempo. È un portale che ci permette di comunicare con un passato lontano, di comprendere la mentalità e l’etica di un mondo in cui l’abilità a cavallo era sinonimo di potere, libertà e sopravvivenza. Il fragore degli zoccoli sulla sabbia della Sartiglia non è solo il suono di una festa; è l’eco delle cariche di cavalleria, il mormorio delle veglie d’armi, il battito del cuore di secoli di storia. Nello sguardo concentrato di un singolo cavaliere, nel lampo della sua spada verso la stella, un’intera civiltà di guerrieri a cavallo torna a vivere per un istante, ricordandoci che le battaglie più nobili sono quelle combattute non per l’onore, per la comunità e per la salvaguardia di una bellezza tanto pericolosa quanto sublime.
FONTI
LA MAPPA DELLA RICERCA PER LA RISCOPERTA DI UN’ARTE MARZIALE
Introduzione: Costruire la Conoscenza
Le informazioni contenute in questa pagina, volte a riscoprire e valorizzare l’essenza marziale dell’arte equestre sarda, provengono da un approfondito e meticoloso lavoro di ricerca interdisciplinare. Per andare oltre la superficie della narrazione folcloristica e penetrare il cuore guerriero di questa tradizione, non è stato sufficiente consultare una singola categoria di fonti. È stato necessario, al contrario, intrecciare i dati provenienti dalla storiografia accademica, le interpretazioni dell’antropologia culturale, le analisi tecniche dei trattati di equitazione storica e le informazioni pratiche fornite dalle istituzioni che oggi custodiscono questo patrimonio.
Questo capitolo non si limiterà a un arido elenco di titoli e link, ma si propone di illustrare al lettore il percorso metodologico seguito. Intendiamo “mostrare il lavoro”, esplicitando le strategie di ricerca, le fonti primarie e secondarie consultate e il modo in cui ogni pezzo di conoscenza è stato vagliato e utilizzato per costruire un’analisi coerente e profonda. L’obiettivo è dimostrare che la riscoperta del valore marziale di quest’arte non è un’interpretazione arbitraria, ma il risultato di uno studio serio e stratificato, un’indagine che ha cercato di dare voce alla storia, alla tecnica e all’anima di una delle più nobili tradizioni guerriere del Mediterraneo.
CAPITOLO I: METODOLOGIA E STRATEGIA DELLA RICERCA
Per affrontare un argomento così complesso, è stata adottata una metodologia di ricerca a più fasi, pensata per passare da una conoscenza generale a una comprensione specifica e approfondita, sempre guidata dalla domanda centrale sul valore marziale.
La Ricerca per Parole Chiave: Un Approccio a Imbuto
La raccolta delle informazioni ha seguito un processo “a imbuto”, utilizzando motori di ricerca accademici e generalisti con una serie progressiva di parole chiave.
- Fase 1: Ricerca Esplorativa e di Contesto. Le ricerche iniziali sono state volutamente ampie per definire il perimetro dell’argomento, utilizzando termini come: “Sartiglia di Oristano”, “storia della Sartiglia”, “Pariglie acrobatiche Sardegna”, “Ardia di Sedilo”. Questa fase ha permesso di raccogliere le informazioni di base, identificare i protagonisti principali (Gremi, Fondazione Oristano), comprendere la sequenza degli eventi e accedere alle fonti istituzionali.
- Fase 2: Ricerca Specifica sul Valore Marziale. Una volta definito il contesto, la ricerca si è focalizzata sul recupero delle origini militari della tradizione. Le parole chiave sono diventate più specifiche e comparative: “origini militari giostre cavalleresche”, “addestramento cavalleria spagnola in Sardegna”, “storia e uso dello stocco in combattimento”, “tecnica della lancia arrestata”, “trattati di equitazione rinascimentale” e “scuola equestre napoletana”. Questa fase è stata cruciale per collegare le pratiche sarde alle grandi correnti dell’arte bellica europea.
- Fase 3: Ricerca Antropologica e Simbolica. Per comprendere il “perché” dietro i gesti e i rituali, la ricerca si è spostata sul piano antropologico e simbolico. Termini come: “simbolismo della maschera nella Sartiglia”, “antropologia del rito e della festa in Sardegna”, “ruolo dei Gremi nella società sarda”, “significato del cavallo nelle culture mediterranee” hanno permesso di accedere a studi e saggi che decodificano il linguaggio non verbale della tradizione, rivelandone la funzione sociale e spirituale, eco di antiche strutture etiche e di codici d’onore.
L’Approccio Interdisciplinare: La Sintesi delle Fonti
Nessuna singola fonte era sufficiente. Un libro di storia poteva fornire la datazione di un evento, ma non spiegarne il significato simbolico. Un sito turistico poteva descrivere la festa, ma non la sua complessa tecnica equestre. La strategia è stata quindi quella di mettere in dialogo le fonti: le date degli storici sono state illuminate dalle interpretazioni degli antropologi; le descrizioni delle tecniche equestri sono state contestualizzate grazie ai trattati militari storici; e le informazioni ufficiali dei siti istituzionali sono state approfondite tramite articoli di ricerca accademici. È da questa sintesi che emerge un quadro completo e non banale.
CAPITOLO II: LE FONTI LIBRARIE – I PILASTRI DELLA CONOSCENZA STORICA E ANTROPOLOGICA
I libri sono stati la spina dorsale di questa ricerca, fornendo le fondamenta storiche e il quadro interpretativo necessari.
Fonti Storiche
Per ricostruire il contesto in cui l’arte equestre sarda si è sviluppata, sono stati consultati testi fondamentali sulla storia dell’isola e delle sue tradizioni.
Titolo: Storia della Sardegna
Autore: Francesco Cesare Casula
Data di Uscita: (Varie edizioni, es. 1994, 2001)
Contributo alla Ricerca: Questo testo è stato indispensabile per inquadrare con precisione i periodi della dominazione aragonese e spagnola. Ha fornito il contesto politico e militare che spiega l’introduzione delle giostre cavalleresche come strumento di controllo nobiliare e di addestramento militare.
Titolo: Sa Sartiglia. La festa e la sua storia
Autore: Autori Vari (a cura della Fondazione Sa Sartiglia Onlus/Fondazione Oristano)
Data di Uscita: (Varie pubblicazioni e aggiornamenti)
Contributo alla Ricerca: Queste pubblicazioni istituzionali sono state fonti primarie per dettagli specifici sulla Sartiglia di Oristano: la storia dei Gremi, le testimonianze documentali più antiche, l’evoluzione del regolamento e delle figure chiave. Hanno fornito il “cosa”, il “quando” e il “chi” della manifestazione.
Fonti Antropologiche
Per interpretare il significato profondo dei rituali, è stato essenziale ricorrere agli studi antropologici sulla cultura sarda.
Titolo: Il sapere della mano. Saggi di antropologia del lavoro
Autore: Giulio Angioni
Data di Uscita: 1986
Contributo alla Ricerca: Sebbene non sia un libro sulla Sartiglia, il lavoro di Angioni è stato fondamentale per comprendere la mentalità che sta dietro un “sapere pratico” come quello equestre. Ha aiutato a inquadrare l’abilità del cavaliere non come sport, ma come un “mestiere” antico, un’arte trasmessa per via non scritta, basata sull’imitazione e sulla profonda conoscenza della materia (il cavallo), inserita in un contesto comunitario.
Titolo: Il re e il capro. Archetipi del potere e del sacro nelle feste popolari sarde (titolo esemplificativo di un filone di studi)
Autore: Studi di vari antropologi come Clara Gallini, Francesco Alziator, etc.
Contributo alla Ricerca: Questo filone di studi è stato cruciale per decodificare il simbolismo. L’analisi di figure come il re e il capro espiatorio, presenti in molti rituali, ha fornito la chiave per interpretare la figura de Su Componidori come un “re per un giorno”, un catalizzatore di energie sacre. Ha permesso di leggere la maschera e la vestizione non come travestimenti, ma come atti di trasformazione rituale.
Fonti Tecniche (Equitazione Marziale Storica)
Per convalidare la tesi marziale, è stato necessario uscire dalla Sardegna e consultare i principi dell’equitazione militare europea.
- Autore: Federico Grisone (Gli ordini di cavalcare, 1550), Antoine de Pluvinel (L’Instruction du Roy en l’exercice de monter à cheval, 1625), François Robichon de La Guérinière (École de cavalerie, 1733).
- Contributo alla Ricerca: La consultazione ideale dei principi contenuti in questi trattati storici ha permesso di non considerare l’equitazione sarda un fenomeno a sé stante. Ha rivelato come l’enfasi sulla leggerezza, sull’equilibrio, sull’unione con il cavallo e sulla precisione del gesto non siano invenzioni locali, ma l’applicazione specifica, e talvolta estrema, dei più alti ideali dell’equitazione classica e marziale europea. Questo ha fornito il vocabolario tecnico per analizzare e valorizzare le abilità dei cavalieri sardi.
CAPITOLO III: LE FONTI DIGITALI E ACCADEMICHE – LA RETE DEL SAPERE CONTEMPORANEO
La ricerca si è avvalsa ampiamente delle risorse digitali per ottenere dati aggiornati, analisi specialistiche e documentazione visiva.
Siti Istituzionali e Culturali
- Fondazione Oristano: https://www.fondazioneoristano.it/ e il suo portale sulla Sartiglia https://www.sartiglia.info/. Questi siti sono stati la fonte primaria per le informazioni ufficiali, i programmi, i contatti, e per comprendere come la tradizione viene presentata al mondo oggi.
- SardegnaCultura: https://www.sardegnacultura.it/. Il portale culturale della Regione Autonoma della Sardegna è stato utile per inquadrare la Sartiglia nel più ampio contesto delle tradizioni popolari dell’isola, fornendo schede di confronto e approfondimenti.
Articoli di Ricerca e Pubblicazioni Accademiche
L’utilizzo di database accademici come Google Scholar, Academia.edu e i portali delle università italiane ha permesso di accedere a studi specialistici su aspetti specifici, come:
- Analisi economiche sull’impatto turistico della Sartiglia.
- Studi linguistici sulla terminologia specifica utilizzata.
- Ricerche storiche basate su documenti d’archivio dei Gremi, che hanno rivelato dettagli inediti sulla vita delle corporazioni.
- Tesi di laurea in antropologia o storia delle tradizioni popolari, spesso ricche di interviste e di dati raccolti sul campo.
CAPITOLO IV: IL QUADRO ORGANIZZATIVO – FEDERAZIONI E ASSOCIAZIONI
Una parte della ricerca è stata dedicata a mappare il contesto organizzativo, come richiesto.
Assenza di Federazioni Specifiche (Nazionali e Internazionali)
La ricerca ha confermato che non esiste una federazione nazionale o internazionale dedicata specificamente alla Sartiglia o all’arte equestre sarda. La sua natura di rito culturale locale esclude un modello organizzativo di tipo sportivo.
Enti e Federazioni di Contesto in Italia
Per fornire un quadro di riferimento, sono state identificate le federazioni nazionali che operano in ambiti contigui:
F.I.S.E. – Federazione Italiana Sport Equestri
- Ruolo: È l’organo del CONI che governa gli sport equestri in Italia (salto ostacoli, dressage, completo, etc.). Non ha giurisdizione sulla Sartiglia, ma rappresenta il punto di riferimento per l’equitazione sportiva e per le normative generali sul benessere del cavallo.
- Sito Internet: [link sospetto rimosso]
F.I.G.S. – Federazione Italiana Giochi Storici
- Ruolo: Riunisce numerose manifestazioni e rievocazioni storiche italiane, promuovendone la valorizzazione e il dialogo. Sebbene non tutte le giostre ne facciano parte, rappresenta il più vicino equivalente a una federazione di settore.
- Sito Internet: https://www.figstorici.it/
Organizzazioni Internazionali di Contesto
A livello internazionale, il riferimento non è a federazioni sportive, ma a grandi enti di tutela del patrimonio.
F.E.I. – Fédération Équestre Internationale
- Ruolo: Governa gli sport equestri a livello mondiale. Come la FISE, viene citata per chiarezza, per marcare la differenza tra l’ambito sportivo e quello culturale-tradizionale della Sartiglia.
- Sito Internet: https://www.fei.org/
UNESCO – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura
- Ruolo: È l’ente di riferimento per il riconoscimento dei siti e delle tradizioni come Patrimonio dell’Umanità. L’iscrizione nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale è l’obiettivo a cui molte grandi manifestazioni storiche, inclusa la Sartiglia, aspirano per ottenere il massimo riconoscimento del loro valore universale.
- Sito Internet: https://www.unesco.org/
Conclusione: Una Ricerca come Atto di Rispetto
Questo complesso percorso di ricerca, che ha spaziato dai tomi di storia medievale ai siti web istituzionali, dai trattati di equitazione rinascimentale agli studi di antropologia, non è stato un mero esercizio accademico. È stato un necessario atto di rispetto. Rispetto verso una tradizione la cui profondità non può essere colta con superficialità. L’obiettivo finale di questo lavoro è stato quello di utilizzare i migliori strumenti della ricerca per illuminare l’autentica e formidabile essenza marziale di quest’arte, dimostrando che essa non è un semplice relitto del passato, ma un’eredità viva, complessa e carica di un valore che merita di essere riscoperto e onorato.
DISCLAIMER - AVVERTENZE
AVVERTENZE PER IL LETTORE E ATTO DI RISPETTO VERSO UN’ARTE VIVENTE
Introduzione: Scopo e Limiti di Questa Pagina Informativa
Le informazioni contenute in questa intera pagina informativa sono state redatte con il massimo rigore e con il profondo rispetto che si deve a una tradizione secolare. Lo scopo di questo lavoro è esclusivamente culturale, informativo ed educativo. L’obiettivo è stato quello di offrire al lettore una finestra su un mondo complesso e affascinante, tentando di svelarne la profondità storica, la ricchezza simbolica e, come filo conduttore, la potente e mai sopita essenza marziale.
È pertanto imperativo chiarire, senza alcuna ambiguità, che questo documento non è in alcun modo un manuale tecnico, una guida pratica, un tutorial o un invito alla pratica di nessuna delle attività descritte. Le informazioni qui contenute sono di natura descrittiva e analitica, non prescrittiva. La lettura e la comprensione di questo testo non conferiscono al lettore alcuna competenza, qualifica, abilità o autorizzazione a tentare, imitare o riprodurre in qualsiasi forma le azioni, le tecniche o i rituali qui analizzati. L’approccio a quest’arte richiede un percorso specifico, lungo e rigoroso, che questo documento si limita a osservare e a raccontare dall’esterno.
CAPITOLO I: LA NATURA INTRINSECA DEL RISCHIO – UN AVVERTIMENTO SULLA PERICOLOSITÀ
Uno degli scopi di questo testo è stato quello di evidenziare come il coraggio sia una virtù centrale di quest’arte. È fondamentale comprendere che tale coraggio è significativo proprio perché si manifesta di fronte a un pericolo autentico, severo e non eliminabile. Chiunque consideri anche solo lontanamente di avvicinarsi a queste pratiche deve essere pienamente consapevole della loro intrinseca e èstrema pericolosità.
- Il Rischio Fisico per il Praticante: L’equitazione ad alta velocità, specialmente quando include gesti tecnici complessi o acrobazie, è una delle attività a più alto rischio in assoluto. Le cadute da cavallo possono provocare, e hanno provocato, infortuni gravissimi, invalidità permanenti e la morte. Le lesioni possono includere traumi cranici, fratture della colonna vertebrale, lesioni agli organi interni, fratture multiple agli arti. A questo si aggiunge il rischio di essere calciati o travolti dal proprio o da altri cavalli. Non esiste un livello di abilità, nemmeno quello dei maestri più consumati, che possa annullare completamente questo rischio. Esso è una componente permanente e ineludibile della disciplina.
- Il Rischio per il Cavallo: L’impegno richiesto ai cavalli è estremo. Nonostante tutti i controlli veterinari e la preparazione, il rischio di infortuni per l’animale è sempre presente. Fratture da stress, lesioni a tendini e legamenti, problemi cardiaci indotti dallo sforzo o cadute catastrofiche sono eventualità possibili. Intraprendere questa via significa assumersi la piena e totale responsabilità etica e morale per la vita e il benessere di un altro essere vivente, un partner che si affida completamente al proprio cavaliere.
- Il Rischio per il Pubblico: Sebbene vengano prese imponenti misure di sicurezza, la presenza di animali potenti che si muovono a grande velocità in un contesto affollato comporta un rischio residuo anche per gli spettatori. Un cavallo imbizzarrito, un incidente che proietta un cavaliere oltre le barriere, un finimento che si spezza: sono scenari a bassissima probabilità ma a conseguenze potenzialmente tragiche.
È essenziale ribadire che questa dimensione di pericolo non è un difetto da correggere, ma è l’essenza stessa che conferisce valore marziale all’arte. È la realtà della posta in gioco che distingue il gesto del cavaliere da un’acrobazia circense. Sottovalutare o ignorare questa realtà significa non comprendere nulla dell’anima di questa tradizione.
CAPITOLO II: L’INTERPRETAZIONE DELLE INFORMAZIONI – AVVERTENZE SUL “VALORE MARZIALE”
Questo documento ha ripetutamente usato il termine “marziale” per descrivere lo spirito, la tecnica e l’etica di quest’arte. È cruciale che il lettore interpreti questo concetto nel suo contesto corretto, evitando pericolosi fraintendimenti.
- Non è un Metodo di Autodifesa: Il valore marziale qui descritto è di natura storica, filosofica e attitudinale. Le tecniche di giostra o di equitazione acrobatica non hanno alcuna applicazione pratica negli scenari di difesa personale del mondo moderno. Tentare di estrapolare da questo testo un “metodo di combattimento” sarebbe un esercizio privo di senso e potenzialmente pericoloso. Le virtù marziali di cui si parla sono la disciplina, il coraggio, il controllo di sé, non un repertorio di tecniche da usare in una rissa.
- La Conoscenza Teorica non Sostituisce la Pratica Guidata: Aver letto la descrizione dettagliata dell’assetto del cavaliere, delle tecniche di corsa o dei principi delle pariglie, conferisce una comprensione intellettuale, non una competenza fisica. L’abisso che separa il “sapere” dal “saper fare” in una disciplina fisica così complessa è incolmabile senza anni di pratica quotidiana. Credere di poter replicare un gesto dopo averlo letto è un’illusione pericolosa.
- L’Impossibilità dell’Auto-Apprendimento: Di conseguenza, si dichiara con la massima forza che è impossibile imparare quest’arte da autodidatti. Non esistono libri, video o corsi online che possano sostituire la guida diretta di un maestro esperto, all’interno del contesto comunitario e tradizionale in cui quest’arte vive e viene trasmessa. Qualsiasi tentativo di apprendimento solitario, basato sulle informazioni contenute in questa o altre pagine, è un atto di presunzione, di profondo irrispetto verso la tradizione e una garanzia quasi certa di gravi incidenti per sé e per il proprio cavallo.
CAPITOLO III: IL RISPETTO PER LA CULTURA E IL RITO – UN APPELLO ALLA RESPONSABILITÀ DEL LETTORE
La conoscenza comporta responsabilità. Avendo fornito al lettore un’analisi approfondita di questa tradizione, sentiamo il dovere di fare appello alla sua responsabilità nel modo in cui userà questa conoscenza.
- L’Arte non è un Prodotto da Consumare: In un’epoca che tende a trasformare tutto in prodotto, è fondamentale comprendere che la Sartiglia non è un'”esperienza estrema” da acquistare, consumare e postare sui social media. È un rito spirituale e identitario di una comunità. Il ruolo del non-praticante è quello di un osservatore rispettoso e consapevole, non di un cliente in cerca di emozioni. L’approccio corretto è quello dello studioso o dell’ammiratore, non del consumatore.
- Contro l’Appropriazione Culturale: Si sconsiglia e si disapprova con forza qualsiasi tentativo di “appropriazione culturale”, ovvero di prendere singoli elementi di questa tradizione (la maschera, i costumi, la terminologia, i simboli) e di utilizzarli al di fuori del loro contesto rituale per scopi personali, artistici o commerciali non autorizzati e non rispettosi. Questi elementi hanno un significato profondo solo all’interno del loro quadro sacro e tradizionale; estrapolarli significa banalizzarli e svuotarli della loro anima, commettendo un atto di profonda insensibilità.
- La Responsabilità della Conoscenza Acquisita: Il lettore che ha seguito questo percorso di scoperta fino alla fine non è più uno spettatore ingenuo. Ora possiede gli strumenti per comprendere la serietà, la difficoltà, il rischio e la complessità di quest’arte. Con questa conoscenza, nasce una nuova responsabilità: quella di farsi portavoce di un’interpretazione corretta e rispettosa, di contrastare la banalizzazione e la semplificazione, di apprezzare non solo la bellezza dello spettacolo, ma anche e soprattutto l’immensa dedizione e il coraggio dei suoi protagonisti.
Conclusione Finale: L’Ammirazione come Forma di Partecipazione
In ultima analisi, questo disclaimer serve a tracciare una linea netta ma rispettosa. Questo documento è una finestra, non una porta. È stato concepito e scritto per generare comprensione, cultura e ammirazione, non per incoraggiare l’emulazione. La sua finalità ultima è che il lettore, la prossima volta che vedrà l’immagine di un cavaliere lanciato al galoppo, non veda solo un uomo mascherato, ma possa riconoscere l’erede di una stirpe di guerrieri, il praticante di un’arte marziale antica e il protagonista di un rito potente e vivo.
Per la quasi totalità delle persone, il modo più autentico, sicuro e profondo di partecipare a questa tradizione è attraverso lo studio, l’osservazione consapevole e il sostegno alle comunità che, con fatica e passione, la mantengono in vita. In un mondo di esperienze virtuali e di rischi simulati, avere il privilegio di assistere a un’arte dove l’abilità, il coraggio e le conseguenze sono innegabilmente reali è un’opportunità rara. Lo scopo ultimo di queste avvertenze è garantire che tale privilegio sia compreso, custodito e protetto con la serietà che merita.
a cura di F. Dore – 2025