Pehlwani Kushti nel Terai LV

Tabella dei Contenuti

COSA È

Definire l’Indefinibile

Definire il Pehlwani, o Kushti, specialmente nel suo contesto specifico della regione del Terai in Nepal, richiede un approccio che trascende la semplice etichetta di “arte marziale” o “sport di combattimento”. Ridurlo a una mera disciplina fisica sarebbe come descrivere un tempio antico semplicemente come un edificio di pietra. Il Kushti è, nella sua essenza più profonda, un Dharma (un dovere, un percorso etico), una Sadhana (una disciplina spirituale) e una Jeevan Shaili (uno stile di vita) completo e totalizzante. È un sistema olistico concepito per forgiare l’individuo non solo nella forza fisica, ma anche nella purezza morale, nella disciplina mentale e nella devozione spirituale.

Nella piana del Terai, la striscia fertile di terra nepalese che corre parallela al confine indiano, il Kushti non è un’importazione recente né un hobby. È un fossile vivente, un’eco delle antiche pratiche di lotta (Malla-yuddha) menzionate nei Veda e nei poemi epici come il Mahabharata, che si è fusa nei secoli con le influenze della lotta persiana (Koshti) introdotta dalle corti dell’Impero Mughal. Il Terai, agendo come un ponte culturale e geografico con gli stati indiani dell’Uttar Pradesh e del Bihar – cuore pulsante del Pehlwani – ha preservato questa tradizione con una fedeltà che in altri luoghi sta svanendo.

Il Kushti è la lotta che si svolge nell’arena; il Pehlwani è il processo, la cultura e l’identità di colui che la pratica, il Pehlwan. È un’arte che si svolge in un luogo sacro, l’Akhara (l’arena di terra battuta), un luogo che è contemporaneamente palestra, monastero e tempio. È un impegno che inizia prima dell’alba e governa ogni aspetto della vita del praticante: cosa mangia, come dorme, come interagisce con la società e, soprattutto, come controlla i propri sensi.


Il Contesto Specifico: Il Kushti nel Terai Nepalese

Comprendere il Kushti nel Terai significa comprendere il Terai stesso. Questa regione, conosciuta come il “granaio del Nepal”, è culturalmente più vicina alle pianure del Gange che alle colline di Kathmandu. La popolazione, in gran parte Madhesi, condivide lingua, tradizioni e legami di parentela con l’India. Il Kushti, qui, non è solo praticato; è respirato.

A differenza delle palestre moderne (i “gym”) che spuntano nelle città, il Kushti nel Terai rimane una pratica prevalentemente rurale, legata alla terra – letteralmente. L’Akhara è spesso poco più di una fossa di terra rossa, consacrata e curata, situata accanto a un tempio, quasi invariabilmente dedicato a Hanuman, il dio-scimmia patrono della forza e del celibato.

Questa collocazione geografica è fondamentale. Mentre nelle grandi città indiane il Pehlwani è stato costretto a “modernizzarsi”, spesso passando alla lotta olimpica sul materassino (mat) per necessità economiche e di prestigio internazionale, nel Terai la tradizione della Mitti (la terra) resiste. Il Dangal (il torneo di lotta), che si tiene durante le fiere religiose (mela) o i festival, è un evento sociale centrale. È qui che il Pehlwan, allenatosi nell’isolamento del suo Akhara, emerge per dimostrare il suo valore, difendere l’onore del suo villaggio e del suo Ustad (maestro), e guadagnare rispetto (e, talvolta, premi in denaro o in natura, come un bufalo o sacchi di ghee).

Nel Terai, il Pehlwan è una figura archetipica. È il simbolo della forza maschile pura, un protettore della comunità. La sua forza non è vista come una minaccia, ma come una risorsa comunitaria, un baluardo di stabilità. La sua disciplina è un modello morale per i giovani. Pertanto, ciò che è il Kushti nel Terai è anche un pilastro dell’identità culturale e sociale Madhesi, un legame tangibile con un passato eroico.


La Duplice Nomenclatura: Pehlwani e Kushti

I termini Pehlwani e Kushti sono spesso usati in modo intercambiabile, ma hanno sfumature distinte che aiutano a definire la disciplina.

Kushti (o Koshti) deriva dalla parola persiana che significa “lotta” o, più specificamente, “cintura da lotta”. Questo tradisce l’influenza significativa che la lotta persiana (diffusa dai conquistatori Mughal a partire dal XVI secolo) ha avuto sulla Malla-yuddha indigena. Il Kushti, quindi, si riferisce più propriamente all’atto del combattimento, alle regole dell’incontro, all’obiettivo di atterrare l’avversario e schienarlo sulla terra. È l’evento, l’applicazione pratica della forza e della tecnica.

Pehlwani, d’altra parte, è un concetto molto più ampio. Deriva anch’esso dal persiano Pahlavan (پهلوان), che significa “eroe”, “campione” o “atleta valoroso”. Pehlwani è quindi “l’arte del Pehlwan”. Questo termine non descrive solo la lotta, ma l’intero universo che la circonda.

Definire il Pehlwani significa includere:

  1. Vyayam (L’Allenamento): Il regime di condizionamento fisico estenuante, che include esercizi unici come i Dand (flessioni indiane) e i Baithak (squat), l’uso di attrezzi come la Gada (mazza) e le Jori (clave).

  2. Khurak (La Dieta): Il regime alimentare ipercalorico, puro (sattvico), basato su latte, ghee, mandorle e legumi, studiato per costruire ojas (vigore) e takhat (potenza).

  3. Achara (Il Codice Etico): La condotta morale del lottatore, che include l’umiltà, il rispetto per gli anziani, l’autocontrollo e la protezione dei deboli.

  4. Brahmacharya (L’Autocontrollo): La disciplina ascetica, spesso interpretata come celibato, finalizzata alla conservazione dell’energia vitale (Virya), considerata la fonte ultima della forza fisica e spirituale.

In sintesi, si fa Kushti, ma si è un Pehlwan. Il Pehlwani è il sistema completo, la filosofia di vita, mentre il Kushti è la sua espressione combattiva. Nel contesto del Terai, i due termini sono fusi nella pratica quotidiana, poiché l’obiettivo non è solo vincere il Dangal, ma diventare un Pehlwan degno di questo nome.


L’Arena Sacra: L’Akhara come Microcosmo

Non si può definire il Kushti senza definire l’Akhara. L’Akhara (o Akhada) non è una palestra; è un santuario. È il cuore pulsante del Pehlwani, un luogo dove la terra stessa è venerata come una divinità.

L’Akhara è, prima di tutto, uno spazio ritualmente purificato. Tradizionalmente, è una fossa quadrata o rettangolare riempita di terra (spesso terra rossa, lal mitti) che viene meticolosamente preparata ogni singolo giorno. Questa preparazione non è una semplice manutenzione, è una Puja (un atto di adorazione).

Prima di ogni allenamento, all’alba, i lottatori (chiamati pattha, o discepoli) entrano nell’arena, si inchinano, toccano la terra portandosela alla fronte e al cuore, e chiedono perdono alla terra per il “peccato” di colpirla con i loro piedi e i loro corpi. Chiedono anche benedizioni e forza.

La terra stessa è un composto medicinale e rituale. Viene regolarmente zappata per ossigenarla e mantenerla morbida, prevenendo infortuni. Ad essa vengono mescolati ingredienti specifici:

  • Olio di senape (Sarson ka tel): Rende la terra più compatta e liscia, e ha proprietà riscaldanti per i muscoli.

  • Curcuma (Haldi): Un potente antisettico naturale, fondamentale per prevenire infezioni cutanee in un ambiente dove sudore, terra e abrasioni sono costanti.

  • Latte (Doodh) o Lassi: Offerte simboliche per “nutrire” la terra, rendendola morbida e pura.

  • Ghee (Burro chiarificato): Aggiunge untuosità e peso, ed è considerato l’essenza della purezza e del nutrimento.

L’Akhara è quindi un utero, un luogo di trasformazione alchemica dove il corpo grezzo del discepolo viene cotto dal fuoco della disciplina (Tapasya) e trasformato nel corpo potente e puro del Pehlwan. È uno spazio liminale, separato dal mondo profano, dove vigono regole ferree: non si entra con le scarpe, non si fuma, non si dicono volgarità, non si nutrono pensieri impuri.

Nel Terai, dove gli Akhara sono spesso antichi e legati a lignaggi di maestri che risalgono a generazioni, questo spazio definisce l’identità stessa del Kushti.


Il Principio Fondamentale: Il Brahmacharya e la Gestione del Virya

Al centro della definizione di “cosa è” il Pehlwani, c’è un concetto che lo distingue nettamente dalla maggior parte degli sport occidentali: il Brahmacharya.

Tradotto comunemente come “celibato”, il Brahmacharya nel contesto del Kushti è un concetto molto più sfumato e profondo, che significa letteralmente “camminare sulla via di Brahma” o “condotta divina”. Si riferisce al controllo totale dei sensi, non solo quello sessuale, ma anche il controllo della gola (dieta), della lingua (parola) e della mente (pensieri).

Tuttavia, l’astinenza sessuale è il suo pilastro più visibile e discusso. Nella filosofia yogica e ayurvedica che permea il Pehlwani, l’energia sessuale maschile, il Virya (seme), non è vista solo come un fluido riproduttivo, ma come l’essenza concentrata dell’energia vitale, l’Ojas. Si ritiene che siano necessari quaranta giorni e quaranta gocce di sangue per creare una goccia di Virya.

La logica del Pehlwan è che questa energia, se dissipata per il piacere momentaneo, indebolisce il corpo, offusca la mente e riduce la takhat (potenza). Se, invece, il Virya viene conservato attraverso il Brahmacharya, esso può essere trasmutato, attraverso il calore generato dall’allenamento estenuante (Tapasya), e spinto verso l’alto nel corpo.

Questo Virya conservato si trasforma in forza fisica sovrumana, resistenza, lucidità mentale, determinazione incrollabile e un’aura di potere quasi magnetica. Il corpo del Pehlwan diventa letteralmente saturo di questa energia vitale.

Per questo motivo, i Pehlwan tradizionali conducono una vita quasi monastica. Spesso vivono nell’Akhara, lontano dalle distrazioni mondane, dormono su tavole di legno (per evitare sogni impuri) e dedicano ogni pensiero all’allenamento, alla dieta e alla devozione. Sebbene molti Pehlwan alla fine si sposino (spesso in età avanzata, dopo aver raggiunto l’apice della carriera), il periodo di formazione è caratterizzato da questa rigorosa astinenza.

Questo aspetto definisce il Kushti nel Terai come una pratica ascetica. Il Pehlwan non è semplicemente un atleta; è uno Yogi della forza, un asceta che usa il combattimento come strumento di autorealizzazione.


La Dimensione Spirituale: Hanuman, Shiva e il Sincretismo

Il Pehlwani non è una pratica secolare. È intrinsecamente e inscindibilmente legato alla devozione religiosa (Bhakti). L’Akhara non è solo un luogo sacro; è un tempio.

Il Patrono: Lord Hanuman La divinità suprema del Kushti è Hanuman, il dio-scimmia devoto a Rama, protagonista del Ramayana. Hanuman è l’incarnazione perfetta di ciò che un Pehlwan aspira ad essere. Egli rappresenta:

  1. Forza Illimitata (Amit Bal): Hanuman è capace di imprese sovrumane, come sollevare montagne e attraversare oceani. È il simbolo della potenza fisica assoluta.

  2. Devozione Totale (Bhakti): La sua forza non deriva dall’ego, ma dalla sua completa e totale devozione a Lord Rama. Questo insegna al Pehlwan che la forza è uno strumento al servizio di un ideale superiore (il proprio Guru, la propria comunità, Dio).

  3. Celibato Perfetto (Naishtika Brahmachari): Hanuman è il Brahmachari per eccellenza. La sua forza ineguagliabile è vista come il risultato diretto della sua perfetta astinenza e purezza.

  4. Umiltà (Vinamrata): Nonostante la sua potenza, Hanuman è privo di ego (Ahankara). È l’umile servitore.

Ogni Akhara nel Terai avrà un piccolo altare, o almeno un’immagine, di Hanuman. L’allenamento inizia e finisce con preghiere a lui. Il grido di battaglia di molti lottatori è Bajrang Bali Ki Jai! (Vittoria al Forte [Hanuman]!).

L’Ascetismo: Lord Shiva Se Hanuman è il patrono dell’applicazione della forza, Shiva è il patrono dell’ascetismo (Tapasya) che crea quella forza. Shiva è il Mahayogi, l’asceta supremo. I Pehlwan, con la loro vita austera, il corpo cosparso di terra (che ricorda la cenere, vibhuti, di Shiva) e l’intensa disciplina fisica, emulano la Tapasya di Shiva. L’allenamento brutale è visto come una forma di auto-sacrificio, un fuoco che brucia le impurità.

Sincretismo nel Terai Sebbene il contesto del Terai sia prevalentemente indù, la storia del Pehlwani è profondamente sincretica. L’influenza Mughal e persiana ha introdotto elementi Sufi. La terminologia stessa – Pehlwan, Ustad (maestro), Jor (sparring), Dangal (torneo) – è di origine persiana. Storicamente, molti dei più grandi Pehlwan (come il leggendario Gama il Grande) erano musulmani.

Negli Akhara tradizionali, questa divisione era spesso superata. I Pehlwan musulmani veneravano la forza di Hanuman (visto come un Pir, o santo) e i Pehlwan indù rispettavano i maestri Sufi. L’Akhara diventava un luogo dove la devozione alla disciplina della lotta trascendeva le barriere religiose. Nel Terai nepalese, questa tradizione di rispetto reciproco, sebbene prevalentemente inserita in un contesto indù, rimane una caratteristica della cultura dell’Akhara.


Il Corpo e la Dieta: Costruire il Veicolo Divino

Nel Pehlwani, il corpo (Sharir) non è un oggetto da scolpire esteticamente, come nel bodybuilding moderno. L’estetica è una conseguenza, non l’obiettivo. L’obiettivo è la Takhat (potenza pura, robustezza) e la Stamina (resistenza). Il corpo è visto come un veicolo per la pratica spirituale, uno strumento che deve essere purificato, nutrito e reso incredibilmente forte per sostenere l’energia generata dalla Sadhana.

Questa costruzione avviene attraverso due processi gemelli: l’allenamento (Vyayam) e la dieta (Khurak).

Il Vyayam (Allenamento) L’allenamento del Kushti è leggendariamente estenuante. Non è suddiviso in “giorni per le gambe” o “giorni per il petto”. È un allenamento total-body funzionale, eseguito per ore, progettato per costruire forza integrata e una resistenza quasi infinita. Sebbene le tecniche specifiche e le sessioni di allenamento saranno trattate in altri punti, la definizione di “cosa è” il Pehlwani deve includere la menzione dei suoi esercizi fondamentali:

  • Dand (Flessioni): Movimenti fluidi, simili a un vinyasa yogico, che combinano il push-up con un allungamento della colonna vertebrale (simile al “cane a testa in giù” e “cobra” dello yoga). Costruiscono spalle, petto, schiena e fiato. Vengono eseguiti a centinaia, se non migliaia.

  • Baithak (Squat): Squat a corpo libero, eseguiti in modo ritmico e continuo, anch’essi a centinaia. Costruiscono la potenza esplosiva delle gambe, fondamentale per le proiezioni.

  • L’uso degli Attrezzi: Il Pehlwani è definito anche dai suoi attrezzi unici, che sviluppano forza funzionale e di presa. La Gada (mazza), un lungo bastone con una pietra sferica all’estremità, viene fatta roteare sopra le spalle per costruire una forza immensa nella presa, nelle spalle e nel core. Le Jori (clave), pesanti mazze di legno, vengono fatte oscillare in schemi complessi per sviluppare coordinazione e potenza della parte superiore del corpo.

Il Khurak (La Dieta) La dieta del Pehlwan è altrettanto estrema quanto l’allenamento. Deve essere Sattvica, cioè pura. Questo esclude cibi Tamasici (come carne, alcol, cibo avanzato, cipolle o aglio, che si ritiene ottundano la mente e infiammino le passioni) e Rajasici (cibi troppo speziati o stimolanti).

La dieta tradizionale del Kushti è progettata per essere ipercalorica, facilmente digeribile e per massimizzare la produzione di Ojas (vigore). Gli ingredienti chiave sono:

  1. Doodh (Latte): La base della dieta. I Pehlwan bevono letteralmente litri di latte crudo ogni giorno, spesso mescolato con Ghee.

  2. Ghee (Burro Chiarificato): Considerato l’elisir della forza. È una fonte di grasso puro, che si ritiene lubrifichi le articolazioni, alimenti il fuoco digestivo (Agni) e costruisca energia.

  3. Badam (Mandorle): Le mandorle vengono pelate, macinate fino a diventare una pasta fine e mescolate al latte per creare una bevanda chiamata Thandai (o Sardai). È una fonte proteica e di grassi sani, considerata essenziale per la forza cerebrale e fisica.

  4. Roti (Pane) e Dal (Lenticchie): Carboidrati complessi e proteine vegetali costituiscono i pasti principali.

Questa dieta, consumata in quantità che sembrerebbero assurde per una persona normale, è necessaria per sostenere un dispendio calorico quotidiano che può superare le 5000-6000 calorie. La capacità di digerire questa dieta è essa stessa una parte dell’allenamento. Si ritiene che solo il fuoco della Tapasya generato nell’Akhara possa “cuocere” e assimilare correttamente questa enorme quantità di cibo puro.


L’Uomo e il Maestro: Il Pehlwan e l’Ustad

Il Kushti non è un’arte che si può imparare da un libro o da un video. È una tradizione orale e cinetica, trasmessa direttamente da maestro a discepolo, in una catena ininterrotta (Parampara).

L’Ustad (Il Maestro) L’Ustad (o Guru) è la figura centrale dell’Akhara. È più di un allenatore. È un padre surrogato, un precettore spirituale e il detentore assoluto dell’autorità. La sua parola è legge. Spesso è un ex Pehlwan di grande fama che ha dedicato la sua vita successiva all’insegnamento.

L’Ustad non insegna solo tecniche di lotta. Insegna la disciplina, la morale, i segreti della dieta e la filosofia del Pehlwani. È responsabile della formazione completa del discepolo, sia fisica che caratteriale.

Il Shishya (Il Discepolo) La relazione del discepolo (Shishya o Pattha) con il suo Ustad è definita dalla Seva (servizio devozionale). Il discepolo serve il suo maestro in tutto: massaggia il suo corpo, lava i suoi vestiti, prepara il suo cibo. Questo servizio non è visto come un’umiliazione, ma come un onore e una parte essenziale dell’apprendimento.

Si ritiene che la conoscenza non possa essere semplicemente “comprata” o “insegnata”, ma debba essere “guadagnata” attraverso l’umiltà, la devozione e il servizio. È attraverso questo servizio che il discepolo dimostra la sua lealtà e purezza di intenti, e solo allora l’Ustad gli rivelerà le tecniche più segrete (dav-pech).

Questa struttura gerarchica, basata sul rispetto assoluto e sulla devozione, è ciò che definisce la struttura sociale dell’Akhara e garantisce la trasmissione intatta della conoscenza.


Il Kushti e la Società: Il Dangal e il Ruolo Sociale

Se l’Akhara è il luogo della preparazione nascosta, il Dangal è il palcoscenico pubblico. Il Dangal è il torneo, l’evento in cui il Kushti si manifesta al mondo.

Nel Terai, i Dangal sono il cuore pulsante della vita comunitaria rurale. Si tengono durante le fiere (mela), i matrimoni o le festività religiose. L’arena del Dangal è temporanea, un cerchio disegnato sulla terra, circondato da folle entusiaste.

Il Dangal non è uno sport olimpico con categorie di peso. È una sfida aperta. I lottatori si sfidano l’un l’altro, spesso in base alla reputazione. Le regole sono semplici: non ci sono punti, non c’è tempo limite (tradizionalmente). La vittoria si ottiene solo schienando l’avversario, costringendo entrambe le sue spalle a toccare terra contemporaneamente.

Questi incontri possono durare minuti o, in casi leggendari, ore. Sono una prova pura di forza, tecnica, strategia e, soprattutto, resistenza (saans o fiato).

Vincere un Dangal prestigioso nel Terai porta Izzat (onore) non solo al Pehlwan, ma a tutto il suo villaggio e al suo Akhara. I premi possono essere in denaro (raccolto tra gli spettatori), ma spesso sono simboli di prestigio rurale: un bufalo d’acqua, una motocicletta, o il tradizionale Gurj (una mazza d’argento), simbolo di supremazia.

Il Pehlwan, quindi, è una figura pubblica. Ci si aspetta che sia un modello di virtù. La sua forza non deve essere usata per il bullismo o il crimine; al contrario, egli è spesso il pacificatore locale, il protettore dei deboli, una sorta di “polizia” morale della comunità. Il Kushti, in questo senso, è un sistema che crea pilastri della società.


La Distinzione Fondamentale: Mitti vs. Mat

Per definire “cosa è” il Pehlwani oggi, è cruciale distinguerlo dalla sua controparte moderna: la lotta olimpica (Freestyle Wrestling). Quest’ultima si combatte su un materassino sintetico (mat), ha regole a punti, categorie di peso e round a tempo.

Il Kushti tradizionale si combatte sulla terra (Mitti). Questa non è una differenza banale; cambia tutto.

  1. Attrito e Presa: La terra, specialmente se mescolata con olio e sudore, è scivolosa in modi diversi rispetto a un materassino. Le tecniche di presa (pakar) devono essere molto più forti.

  2. Ritmo: La lotta sul mat è esplosiva e basata su raffiche veloci per guadagnare punti. La lotta sulla Mitti è più lenta, più strategica, una “lotta di posizione” dove la resistenza e la forza bruta giocano un ruolo maggiore. Non essendoci limiti di tempo, la gestione dell’energia è fondamentale.

  3. Tecniche: Alcune tecniche del mat sono inefficaci sulla Mitti (come certi rotolamenti veloci), mentre tecniche della Mitti (come quelle che usano la terra stessa per accecare o sbilanciare) sono impossibili sul mat.

Nel Terai nepalese, questa distinzione è al centro di una crisi identitaria. Molti giovani lottatori sono attratti dalla lotta sul mat perché offre una via verso i campionati nazionali, internazionali e persino le Olimpiadi – una via per un lavoro governativo e la sicurezza economica.

Il Kushti sulla Mitti, al contrario, offre onore e rispetto locali, ma raramente sicurezza finanziaria. È visto come “tradizionale” o “antiquato”. Di conseguenza, “cosa è” il Pehlwani nel Terai oggi è anche la storia di una tradizione orgogliosa che lotta per la sopravvivenza, cercando di preservare la sua anima olistica e spirituale di fronte alle pressioni della modernità e della commercializzazione dello sport.


Conclusione: L’Essenza del Pehlwani nel Terai

Quindi, “cosa è” il Pehlwani o Kushti nel Terai?

Non è semplicemente uno sport. È un sistema integrato di sviluppo umano che affonda le sue radici nell’antica Malla-yuddha e si è arricchito di influenze persiane, sopravvivendo fino ai giorni nostri.

È un’arte marziale praticata nell’arena sacra e medicinale dell’Akhara, dove la terra stessa è venerata.

È una disciplina fisica (Vyayam) di un rigore quasi inimmaginabile, basata su esercizi fondamentali come i Dand e i Baithak, e sull’uso di attrezzi unici come la Gada.

È un codice etico (Achara) che enfatizza l’umiltà, il rispetto e il servizio al proprio maestro, l’Ustad.

È una disciplina spirituale (Sadhana) incentrata sulla devozione a Hanuman e sulla pratica ascetica del Brahmacharya, la conservazione dell’energia vitale (Virya) come fonte ultima della vera forza.

È un regime dietetico (Khurak) rigorosamente puro (Sattvico), basato su latte, ghee e mandorle, progettato per costruire un corpo potente, capace di sostenere la disciplina.

Nel contesto specifico del Terai nepalese, il Kushti è tutto questo, ed è inoltre un pilastro fondamentale dell’identità culturale Madhesi. È l’espressione pubblica dell’onore comunitario attraverso i tornei Dangal, e rappresenta una delle ultime roccaforti della lotta tradizionale sulla terra (Mitti), in un mondo sempre più dominato dai materassini sintetici.

Il Pehlwani è, in definitiva, la convinzione che la vera forza non risieda solo nei muscoli, ma nel perfetto allineamento tra un corpo puro, una mente controllata e uno spirito devoto.

CARATTERISTICHE, FILOSOFIA E ASPETTI CHIAVE

Il Pehlwani come Darshana (Visione del Mondo)

Se il punto precedente ha definito cosa è il Pehlwani – un sistema di lotta, uno stile di vita, una tradizione – questo capitolo si addentra nel perché esiste e nel come modella i suoi praticanti. Il Pehlwani (o Kushti), specialmente nella sua forma più pura preservata in enclavi tradizionali come la regione del Terai in Nepal, non è semplicemente un insieme di tecniche di combattimento. È un Darshana, un termine sanscrito che significa “visione” o “filosofia”, un modo completo e coerente di vedere il mondo e di agire al suo interno.

La filosofia del Kushti è un amalgama straordinariamente robusto di etica pratica, ascetismo yogico, devozione religiosa (Bhakti Yoga) e azione pragmatica (Karma Yoga). È un sistema progettato per rispondere a una domanda fondamentale: come può un individuo coltivare la massima potenza fisica (Shakti) senza essere corrotto da essa? La risposta del Pehlwani è un percorso di disciplina olistica dove il corpo, la mente e lo spirito sono visti come un’unica entità inseparabile.

Le caratteristiche e gli aspetti chiave di questa disciplina non sono semplici regole sportive; sono i pilastri di un edificio etico e morale. Ogni singolo elemento – dall’atto di zappare la terra all’alba alla composizione della dieta, dalla relazione con il maestro alla pratica del celibato – è un’espressione tangibile di una filosofia profonda. Questa filosofia mira alla creazione non di un semplice atleta, ma di un essere umano ideale: forte ma umile, potente ma controllato, devoto e moralmente retto.


PARTE 1: LA FILOSOFIA DELLA FORZA (SHAKTI E DHARMA)

Il Concetto di Shakti: Oltre la Forza Muscolare

Nel pensiero occidentale moderno, la forza è una metrica puramente fisica: quanti chili si possono sollevare, quanto velocemente si può correre. Nel Pehlwani, la forza, chiamata Bal, è solo l’aspetto più superficiale di un concetto molto più vasto: Shakti. Shakti è l’energia primordiale universale, la potenza divina femminile, la forza creativa che anima il cosmo.

Coltivare la forza nel Kushti significa coltivare la propria Shakti interiore. Questo va ben oltre la mera ipertrofia muscolare. Un Pehlwan cerca di sviluppare Takhat, un termine che si traduce malamente come “potenza” o “robustezza”, ma che implica un’integrità strutturale totale. È una forza che proviene dal nucleo, dalle ossa, dai tendini; è la capacità di resistere, di sopportare, di essere incrollabili. Questo tipo di forza non si costruisce solo con l’allenamento, ma si accumula attraverso la dieta pura e, soprattutto, attraverso la conservazione dell’energia vitale.

Il Pehlwan non “costruisce” semplicemente i muscoli; egli “accumula” energia nel suo corpo, rendendolo un recipiente denso e carico di potenza. Questa energia non è solo fisica, ma anche mentale e spirituale. La forza fisica è vista come la manifestazione esteriore di una corretta disciplina interiore. Un corpo debole o malato è il segno di una vita vissuta in modo disarmonico; un corpo forte e vibrante, come quello del Pehlwan, è il segno di una vita allineata con i principi del Dharma (l’ordine cosmico).

Questa visione della forza come energia olistica spiega l’enfasi su elementi che le metodologie di allenamento moderne ignorerebbero. Esercizi come far roteare la Gada (mazza) non servono solo a rafforzare le spalle e la presa, ma a muovere l’energia attraverso il corpo in schemi circolari, integrando la parte superiore e inferiore del corpo in un’unica catena cinetica. La forza del Pehlwan non è segmentata; è un’onda di potenza che può essere generata da qualsiasi punto del corpo.

La Forza come Responsabilità Morale: Il Dharma del Pehlwan

Il nucleo filosofico del Kushti è forse questo: la forza non è un diritto, ma una responsabilità. La Shakti, una volta accumulata, deve essere governata dal Dharma, il codice etico e il dovere morale. Una forza non controllata dal Dharma è distruttiva, egoistica e demoniaca (Asurica). Una forza guidata dal Dharma è protettiva, costruttiva e divina (Daivica).

Il Pehlwan è l’erede moderno dell’ideale del Kshatriya (la casta guerriera), il cui dovere non è la conquista, ma la protezione (Raksha). Nella società rurale del Terai, il Pehlwan è una figura pubblica. La sua forza non gli appartiene; appartiene alla comunità. Egli è il protettore dei deboli, l’arbitro delle dispute, il difensore dell’onore del villaggio.

Questa responsabilità morale è la ragione principale della disciplina estrema. Un uomo di tale potenza non può permettersi un temperamento irascibile, l’arroganza o la lussuria. Sarebbe come dare un’arma carica a un bambino. Tutta la filosofia dell’Akhara – l’umiltà, il servizio, l’obbedienza – è progettata per disinnescare l’ego (Ahankara) che la forza inevitabilmente genera.

Un vero Pehlwan non cerca mai il combattimento al di fuori del Dangal (il torneo). Mostrare la propria forza nella vita quotidiana, fare il prepotente o usarla per guadagno personale è considerato il peccato più grave, un tradimento della fiducia del proprio Ustad (maestro) e della divinità patrona, Hanuman. Hanuman stesso è l’esempio perfetto: possiede una forza quasi illimitata, ma la usa solo al servizio di una causa giusta (il suo signore Rama), rimanendo per il resto del tempo un umile servitore (Das).

La filosofia del Pehlwani crea un paradosso vivente: l’uomo più forte del villaggio deve anche essere il più gentile, il più controllato e il più umile. La sua forza è un deterrente, un simbolo di stabilità morale, non uno strumento di aggressione.

Il Corpo come Veicolo Sacro (Sharir Mandir)

A differenza del bodybuilding moderno, che spesso tratta il corpo come un progetto estetico da scolpire per la vanità, il Pehlwani considera il corpo (Sharir) un tempio (Mandir). È un veicolo divino, uno strumento datoci per compiere il nostro Dharma e per praticare la nostra Sadhana (disciplina spirituale).

Questa visione ha implicazioni profonde. Se il corpo è un tempio, non può essere profanato. Ciò si traduce in due divieti assoluti:

  1. Nasha (Intossicanti): Un Pehlwan non deve assolutamente consumare alcol, tabacco o qualsiasi altra droga. Queste sostanze sono considerate Tamasiche, ovvero creano inerzia, oscurità mentale e impurità. Inquinano il tempio e offuscano la mente, rendendo impossibile la disciplina e il controllo necessari.

  2. Cibo Impuro (Tamasic/Rajasic): Come verrà approfondito, la dieta deve essere pura (Sattvica). La carne, in particolare, è spesso evitata perché si ritiene porti con sé l’energia della violenza e della morte, oltre a infiammare le passioni (Rajas) e ottundere la mente (Tamas).

La cura del corpo nel Pehlwani è un atto di devozione. I lunghi massaggi con olio di senape dopo l’allenamento non servono solo al recupero muscolare; sono un rituale di purificazione e unzione, un modo per onorare lo strumento che permette la pratica. La pulizia meticolosa del corpo, il sonno adeguato (ma non eccessivo) e l’esposizione al sole e all’aria aperta sono tutti parte di questa cura rituale.

Il Pehlwan costruisce un corpo che è, prima di tutto, funzionale e puro. L’estetica – spalle ampie, vita stretta, fianchi e cosce potenti – è una conseguenza naturale di una vita disciplinata e di un allenamento funzionale, non l’obiettivo primario. L’obiettivo è un corpo che possa sopportare ore di allenamento estenuante, digerire enormi quantità di cibo puro e fungere da conduttore stabile per un’immensa energia interiore.


PARTE 2: TAPASYA – L’ASCETISMO COME MOTORE DELLA POTENZA

Il Concetto Fondamentale di Tapasya (Austerità)

Se c’è una parola che riassume la filosofia pratica del Pehlwani, è Tapasya. Derivato dalla radice sanscrita Tap, che significa “scaldare”, Tapasya è l’austerità, la disciplina autoimposta, il fuoco della purificazione. Nella mitologia indù, è attraverso la Tapasya che sia gli dei che i demoni ottengono poteri sovrumani.

Il Pehlwani è una forma di Tapasya. L’intero stile di vita del lottatore è progettato per generare un intenso “calore” psicofisico. Questo calore è ciò che “cuoce” il corpo e la mente, bruciando le impurità (pigrizia, paura, desiderio, rabbia) e forgiando una volontà d’acciaio.

L’allenamento estenuante (Vyayam) è la forma più ovvia di Tapasya. Svegliarsi prima dell’alba (Brahma Muhurta, l’ora di Brahma, considerata la più propizia per la pratica spirituale), quando il mondo è ancora buio e freddo, è il primo atto di Tapasya della giornata. Sottoporre il corpo a migliaia di Dand (flessioni) e Baithak (squat) non è solo un allenamento, è un auto-sacrificio quotidiano.

Questa filosofia del “calore” ascetico pervade tutto. La dieta ipercalorica a base di ghee e latte richiede un “fuoco digestivo” (Agni) incredibilmente potente per essere assimilata. Si ritiene che solo la Tapasya dell’allenamento possa accendere un Agni così forte. La vita spartana nell’Akhara, dormendo spesso su letti di legno o sul pavimento, serve a mantenere il corpo “duro” e la mente focalizzata, evitando il lusso che “raffredda” e “ammorbidisce” la determinazione.

La Tapasya è il motore alchemico del Pehlwani. È il processo attraverso il quale le materie prime – cibo, respiro, energia sessuale – vengono trasformate in un elisir di potenza: Ojas.

La Filosofia del Brahmacharya: Oltre il Semplice Celibato

Questo ci porta all’aspetto filosofico più cruciale, famoso e frainteso del Pehlwani: il Brahmacharya.

Tradotto superficialmente come “celibato”, il Brahmacharya è in realtà un concetto molto più vasto. Significa “condotta divina” o “camminare sulla via di Brahma”. È il controllo cosciente e totale di tutti i sensi (Indriyas), non solo quello sessuale. Include il controllo della parola (non mentire, non parlare inutilmente), della gola (seguire la dieta prescritta), degli occhi (non guardare cose impure) e, soprattutto, della mente (non intrattenere pensieri lussuriosi o egoistici).

Tuttavia, il controllo dell’energia sessuale, specificamente la ritenzione del seme (Virya), è considerato il pilastro centrale di questa pratica. La filosofia, radicata nei testi yogici e ayurvedici, non si basa su un moralismo puritano, ma su una teoria energetica e metafisica molto precisa.

La Teoria dei Dhatu e la Trasmutazione del Virya Secondo l’Ayurveda, il corpo è composto da sette tessuti (Dhatu), ciascuno più raffinato del precedente. Il cibo viene trasformato in plasma (Rasa), poi in sangue (Rakta), muscolo (Mamsa), grasso (Meda), osso (Asthi), midollo (Majja) e, infine, l’essenza più raffinata e potente di tutte: il seme (Shukra o Virya).

Si ritiene che il Virya sia una forma concentrata di Ojas, l’energia vitale sottile che dà vigore, immunità, luminosità e carisma. La produzione di Virya è un processo metabolico estremamente costoso per il corpo (la tradizione dice “quaranta gocce di sangue per una goccia di seme”).

La filosofia del Pehlwan è quindi semplice: perché sprecare questa essenza più preziosa, quest’energia concentrata, per un piacere momentaneo? Se questa energia viene dissipata, il corpo si indebolisce, la mente si offusca e la volontà vacilla. Se, invece, il Virya viene conservato attraverso un rigoroso Brahmacharya, accade una magia alchemica.

Oordhva Retas: La Trasmutazione Alchemica Il “calore” generato dalla Tapasya (l’allenamento estenuante) agisce su questo Virya conservato. Invece di essere espulsa verso il basso, l’energia viene spinta verso l’alto (Oordhva Retas, il “flusso ascendente”). Questa energia trasmutata risale lungo la colonna vertebrale, nutrendo il cervello, la mente e lo spirito.

Il Virya conservato si trasforma in due forze sottili:

  1. Ojas: L’essenza della vitalità fisica. È ciò che dà al Pehlwan la sua incredibile resistenza (Dum-Kham), la sua capacità di recupero, la sua pelle luminosa e la sua aura di salute. È l’energia che lo protegge dalle malattie e dagli infortuni.

  2. Tejas: L’essenza della luminosità mentale e intellettuale. È ciò che dà al Pehlwan la sua mente acuta, la sua concentrazione incrollabile, la sua percezione rapida in combattimento e il suo carisma.

Quindi, il Brahmacharya non è una negazione della vita; è la chiave per una vita più potente. È il fondamento della forza del Pehlwan. Un lottatore che non pratica il Brahmacharya è visto come un “tubo che perde”: non importa quanto si alleni o quanto mangi, la sua energia vitale si disperde costantemente. Un vero Pehlwan è un contenitore sigillato, dove l’energia si accumula fino a raggiungere livelli esplosivi.

L’Impatto Psicologico del Brahmacharya Questa pratica ha un profondo impatto psicologico. La repressione di un impulso così fondamentale richiede una volontà e una disciplina immense. Questa stessa volontà, forgiata nella battaglia quotidiana contro il desiderio, si trasferisce direttamente nell’arena. L’uomo che ha imparato a controllare i suoi impulsi più profondi non sarà facilmente preda della paura, della rabbia o della fatica durante un combattimento.

Il Brahmacharya conferisce anche un’immensa autorità morale. Nella società tradizionale del Terai, un Pehlwan che è un noto Brahmachari è rispettato a un livello quasi spirituale. È visto come un uomo puro, un uomo padrone di sé, e quindi degno di fiducia e di ammirazione.


PARTE 3: I PILASTRI ETICI (ACHARA, VINAMRATA E SEVA)

Achara: Il Codice di Condotta

Il Pehlwani è governato da un codice di condotta non scritto ma rigorosamente applicato, noto come Achara. Questo codice definisce il comportamento ideale del lottatore sia all’interno che all’esterno dell’Akhara. L’Achara si basa su principi classici della filosofia indiana come Satya (verità), Ahimsa (non violenza, intesa come non-aggressione) e Asteya (non rubare).

Un Pehlwan deve essere onesto. La sua parola deve essere un vincolo. Nell’ambiente dell’Akhara, dove la fiducia è tutto, l’inganno è un peccato capitale. Deve essere rispettoso degli anziani (Bado ka Adab), non solo del suo Ustad, ma di qualsiasi persona più anziana. Questo infonde un senso di ordine sociale e gerarchia, fondamentale per la stabilità della comunità.

L’Achara detta anche la semplicità. Un Pehlwan non dovrebbe essere vanitoso, né nel vestire né nel comportamento. La sua unica “vanità” è la sua forza e la sua salute, che però sono offerte al servizio del suo Guru e della comunità. Evita i pettegolezzi, la politica da bar e qualsiasi comportamento che possa portare disonore al nome del suo Akhara.

Questo codice etico è ciò che impedisce al Pehlwan di diventare un semplice “bruto”. È la struttura morale che contiene e dirige la sua immensa potenza fisica.

Vinamrata (Umiltà): Il Paradosso della Forza

Forse la caratteristica filosofica più affascinante del Pehlwani è l’enfasi assoluta sulla Vinamrata (umiltà). Questo è il paradosso centrale: come si insegna all’uomo più forte ad essere il più umile?

L’umiltà nel Kushti non è una debolezza o una finta modestia; è una consapevolezza pragmatica e spirituale. È pragmatica perché l’arroganza (Ahankara o ego) porta alla sconfitta. Un lottatore arrogante sottovaluterà gli avversari, si allenerà di meno e prenderà decisioni stupide. L’umiltà, al contrario, mantiene il lottatore “affamato”, consapevole dei propri limiti e sempre pronto a imparare.

Ma l’umiltà è, soprattutto, una pratica spirituale. L’obiettivo ultimo del percorso yogico (e il Pehlwani è una forma di Yoga) è la dissoluzione dell’ego, il senso di un “io” separato. La forza fisica è il più grande costruttore di ego che esista. Il sistema del Pehlwani, quindi, introduce deliberatamente una serie di pratiche progettate specificamente per distruggere l’ego del praticante.

Queste pratiche includono:

  1. Inchinarsi alla Terra (Mitti ko Pranam): L’atto stesso di entrare nell’Akhara. Il lottatore si inchina e tocca la terra, portandosela alla fronte. Questo è un promemoria quotidiano: “Non sono nulla. Provengo dalla terra, combatto sulla terra, e un giorno tornerò alla terra. La terra è mia madre e la mia maestra”.

  2. Perdere nell’Allenamento: L’Ustad si assicura che anche il lottatore più forte perda regolarmente durante lo sparring (Jor). Lo metterà contro lottatori più anziani ed esperti, o addirittura contro due avversari contemporaneamente. Questo insegna la lezione dell’impermanenza della vittoria e mantiene l’ego sotto controllo.

  3. Il Servizio (Seva): Come vedremo, il servizio al maestro è il più potente strumento di dissoluzione dell’ego.

L’umiltà è la valvola di sicurezza del sistema. Senza di essa, la Tapasya e il Brahmacharya potrebbero creare un Asura (un demone), un essere immensamente potente ma guidato dall’ego. Con l’umiltà, creano un Deva (un essere divino), un protettore guidato dalla devozione.

Seva (Servizio): La Filosofia dell’Azione Devota

La relazione tra il maestro (Ustad) e il discepolo (Shishya o Pattha) è il cuore pulsante della tradizione Pehlwani. Questa relazione non è contrattuale, come quella tra un cliente e un personal trainer. È una relazione sacra, modellata sull’antico sistema del Guru-Shishya Parampara (la linea di successione da maestro a discepolo).

L’aspetto chiave di questa relazione è la Seva, o servizio devozionale. Il discepolo non paga una retta mensile. Egli “paga” per il suo addestramento – che include alloggio, cibo e la trasmissione di una conoscenza inestimabile – attraverso il servizio personale e incondizionato al suo Ustad.

Questa Seva assume molte forme:

  • Massaggiare il corpo stanco dell’Ustad.

  • Lavare i suoi vestiti e il suo langot (perizoma).

  • Cucinare il suo cibo o preparare il suo Thandai (la bevanda di mandorle).

  • Zappare la terra dell’Akhara, un compito faticoso che spetta ai discepoli più giovani.

  • Eseguire qualsiasi commissione l’Ustad ritenga necessaria, senza fare domande.

Per una mente moderna e occidentale, questo può sembrare sfruttamento o servilismo. Ma nella filosofia del Pehlwani, è esattamente il contrario. È un onore e una necessità spirituale.

La Filosofia della Seva La Seva è il più potente antidoto all’ego (Ahankara). Un giovane uomo, che sta diventando fisicamente potente, impara l’umiltà eseguendo i compiti più umili. Massaggiando i piedi del suo maestro, impara che la sua forza è subordinata alla saggezza e all’esperienza.

È anche un test di devozione e carattere. L’Ustad osserva il discepolo. Svolge i suoi compiti con gioia e dedizione, o con risentimento? È leale, onesto e diligente? Solo un discepolo che ha dimostrato la sua purezza di cuore e la sua capacità di controllare l’ego attraverso la Seva sarà ritenuto degno di ricevere le conoscenze più profonde (Gyaan).

L’Ustad non insegna le sue tecniche migliori (dav-pech) a chiunque. Le riserva per quei discepoli che hanno “svuotato la loro tazza”, che hanno dimostrato attraverso anni di Seva di aver sottomesso il proprio ego e di essere pronti a ricevere la conoscenza non per la gloria personale, ma per portare avanti l’onore della tradizione (Parampara) e dell’Akhara.

La Seva, quindi, non è un pagamento per l’insegnamento; è il processo attraverso cui l’insegnamento diventa possibile. È il terreno dell’umiltà in cui il seme della conoscenza può germogliare.


PARTE 4: SIMBOLISMO E RITUALI COME PRATICA FILOSOFICA

La Sacralità della Mitti (La Terra): L’Akhara come Utero

La caratteristica più visibile del Kushti tradizionale è che si combatte sulla terra (Mitti) e non su un materassino. Questa non è una scelta dettata dalla povertà (sebbene i materassini siano costosi), ma una scelta filosofica fondamentale.

L’Akhara (l’arena di terra) è il centro dell’universo del Pehlwan. È un luogo sacro, un tempio, un monastero e un utero.

La Terra come Madre (Dharti Mata) La terra, Mitti, è venerata come Dharti Mata, la Madre Terra. È vista come l’origine di tutta la vita, la fonte di tutto il cibo e il grembo a cui tutti ritornano. L’atto di lottare sulla terra è un atto di connessione costante con questa energia primordiale.

Il Pehlwan inizia la sua giornata chiedendo perdono alla terra per il “peccato” di calpestarla e colpirla con il suo corpo. Si cosparge il corpo con la terra dell’Akhara prima di ogni combattimento. Questo gesto ha molteplici significati:

  1. Pratico: La terra asciuga il sudore e migliora la presa, cosa fondamentale in un’arte di grappling.

  2. Medicinale: La terra dell’Akhara è curativa. Viene regolarmente mescolata con curcuma (Haldi), un potente antisettico, olio di senape (Sarson ka tel), che riscalda i muscoli, e talvolta latte o ghee come offerte purificatrici. Questa terra previene le infezioni della pelle, un rischio costante.

  3. Simbolico: Cospargendosi di terra, il Pehlwan si riveste della benedizione della Madre. Sta dicendo: “Sono tuo figlio, proteggimi, dammi la tua forza e la tua stabilità”.

L’Akhara come Grande Equalizzatore Sulla Mitti dell’Akhara, le distinzioni sociali del mondo esterno svaniscono. Un giovane ricco e un ragazzo povero del villaggio, una volta entrati e coperti della stessa terra rossa, sono identici. L’unica gerarchia che conta è quella basata sull’anzianità, la disciplina e l’abilità, come stabilito dall’Ustad.

La terra unisce tutti. È il simbolo ultimo di umiltà. Non importa quanto tu sia forte o famoso, sei fatto della stessa sostanza dell’arena. Questa lezione viene assorbita quotidianamente, a livello cutaneo.

Il Rituale della Preparazione: Il Karma Yoga

Un aspetto chiave della vita nell’Akhara è la preparazione quotidiana dell’arena. All’alba, i discepoli prendono le zappe (Phawada) e i rastrelli e iniziano a dissodare, livellare e preparare la terra per l’allenamento. Questo è un lavoro faticoso che dura spesso più di un’ora.

Filosoficamente, questo non è un lavoro ingrato; è Karma Yoga, la via dell’azione disinteressata. È un atto di Seva verso la Madre Terra e verso i propri fratelli di lotta (Guru-bhai). Zappando la terra, il discepolo la ossigena, la ammorbidisce e rimuove sassi o detriti, rendendola sicura per l’allenamento di tutti.

È anche una forma di meditazione attiva. Il movimento ritmico della zappa, il suono della terra smossa, il fresco dell’aria mattutina – tutto contribuisce a focalizzare la mente, preparandola per l’allenamento. Insegna al Pehlwan il valore del lavoro umile, della cura per il proprio ambiente e la soddisfazione di un compito fisico svolto per il bene comune.

Un Pehlwan che non rispetta la terra, che è troppo pigro o arrogante per partecipare alla sua preparazione, non ha compreso il primo e più fondamentale aspetto della filosofia.

La Devozione (Bhakti) ad Hanuman: L’Ideale Perfetto

Il Pehlwani è una disciplina intrinsecamente religiosa. Non può essere separato dal Bhakti Yoga, la via della devozione. La divinità patrona di ogni Akhara, la cui immagine adorna immancabilmente l’ingresso, è Lord Hanuman.

Hanuman, il dio-scimmia del Ramayana, non è stato scelto a caso. Egli è l’incarnazione perfetta, l’Adarsh (l’ideale), di tutto ciò che un Pehlwan aspira ad essere.

Perché Hanuman? La devozione ad Hanuman è la chiave filosofica che tiene insieme tutti gli altri elementi:

  1. Forza (Bal) al Servizio del Dharma: Hanuman possiede una forza letteralmente cosmica. Può sradicare montagne, saltare oceani e sconfiggere eserciti di demoni. Tuttavia, la sua forza non è mai, nemmeno per un istante, usata per scopi personali o egoistici. È interamente dedicata al servizio del suo Signore, Rama (l’incarnazione del Dharma).

  2. Umiltà (Vinamrata) Assoluta: Nonostante la sua potenza, Hanuman è l’epitome dell’umiltà. La sua forma preferita è quella del Das (servitore), seduto umilmente ai piedi di Rama. È completamente privo di Ahankara (ego). Quando gli viene chiesta la fonte della sua forza, egli risponde semplicemente: “È la grazia di Rama”.

  3. Il Brahmachari Perfetto (Naishtika Brahmachari): Hanuman è il celibe per eccellenza. La sua immensa forza è vista come il risultato diretto della sua perfetta conservazione e trasmutazione dell’energia vitale, resa possibile dalla sua mente focalizzata unicamente sul divino.

  4. Maestria dei Sensi e della Mente: Hanuman è anche chiamato Jitendriya (“colui che ha conquistato i sensi”). Non è schiavo del desiderio, della rabbia, dell’avidità o della paura. La sua mente è un lago calmo e controllato.

La Devozione come Fonte di Forza La filosofia del Pehlwani insegna una lezione profonda: la vera forza di Hanuman non deriva dai suoi muscoli, ma dalla sua Bhakti (devozione). È la sua completa resa all’ideale del Dharma (incarnato da Rama) che sblocca la sua potenza illimitata.

Per il Pehlwan, questo si traduce in un messaggio chiaro: la tua forza non deriverà in ultima analisi dal tuo allenamento o dalla tua dieta, ma dalla purezza della tua devozione – devozione al tuo Guru, al tuo Akhara, alla tua disciplina e a Dio. L’allenamento e la dieta sono gli strumenti, ma la Bhakti è il carburante.

Il martedì e il sabato, giorni sacri ad Hanuman, sono spesso giorni di preghiera speciale, digiuno o allenamenti particolarmente intensi nell’Akhara. L’allenamento stesso è un’offerta, una preghiera in movimento. Il grido di battaglia prima di un incontro è spesso Bajrang Bali Ki Jai! (“Vittoria ad Hanuman!”), un modo per invocare la sua energia e, allo stesso tempo, per ricordare a sé stessi di combattere con umiltà e per una causa giusta.


PARTE 5: LA FILOSOFIA CINETICA E METABOLICA

Il Vyayam (Allenamento) come Sadhana (Pratica Spirituale)

L’allenamento fisico nel Pehlwani, il Vyayam, è così unico perché è concepito non solo per costruire il muscolo, ma per incarnare la filosofia. Non è un allenamento segmentato, ma un sistema olistico e fluido che ha più in comune con lo Yoga che con il powerlifting.

Il Ritmo come Japa (Mantra) I due esercizi fondamentali, Dand (flessioni) e Baithak (squat), non vengono eseguiti in “serie e ripetizioni” (es. 3×10). Vengono eseguiti in un flusso continuo, ritmico, per centinaia o migliaia di ripetizioni.

Questa pratica ha uno scopo filosofico preciso. Il movimento ritmico e ripetitivo, protratto per un lungo periodo, induce uno stato di meditazione attiva. Diventa un Japa fisico, una ripetizione di un mantra con il corpo. La mente, costretta a concentrarsi sul ritmo e sul respiro per superare la fatica immensa, non ha spazio per pensieri estranei. Si svuota.

Questo tipo di allenamento costruisce un tipo diverso di forza. Non solo la potenza esplosiva, ma una resistenza infinita, una capacità di continuare ad andare avanti, che è tanto mentale quanto fisica. È una pratica di volontà pura.

La Gada e la Jori: Oltre la Forza, l’Umiltà L’uso di attrezzi tradizionali come la Gada (mazza) e le Jori (clave) è anch’esso filosofico. La Gada è l’arma tradizionale di Hanuman. Maneggiarla è un atto di devozione in sé.

Ma c’è di più. La Gada è un attrezzo “disonesto”. Il suo peso è tutto sbilanciato all’estremità, rendendola incredibilmente difficile da controllare. Richiede non solo forza bruta, ma anche tempismo, coordinazione, grazia e una profonda comprensione del baricentro.

Maneggiare la Gada è una lezione di umiltà. Non puoi “forzarla”. Devi lavorare con lo slancio, guidarla piuttosto che dominarla. Insegna al Pehlwan che la forza bruta da sola è inutile; deve essere combinata con intelligenza, fluidità e rispetto per le leggi della fisica.

Il Respiro (Saans) come Essenza della Vita (Prana)

Nel Kushti, la resistenza è tutto. Un incontro tradizionale (Dangal) nel Terai può non avere limiti di tempo. Vince l’uomo che ha più fiato. Ma il fiato, Saans (o Dum-Kham), è molto più che semplice capacità cardiovascolare.

È identificato con il Prana, la forza vitale yogica. Colui che controlla il suo respiro, controlla la sua energia vitale. L’intero allenamento del Pehlwani è un esercizio di controllo del respiro sotto stress estremo. I Dand sono un vinyasa (flusso di respiro e movimento). Lo sparring (Jor) è una battaglia per il dominio del respiro.

Un maestro Ustad può giudicare un lottatore semplicemente ascoltandolo respirare. Un respiro affannoso e superficiale è segno di panico, stanchezza e mancanza di controllo. Un respiro profondo, ritmico e controllato, anche nel mezzo di uno sforzo violento, è il segno di un vero maestro.

Il Pehlwan impara a “respirare” con tutto il corpo, a conservare il Prana e a usarlo in raffiche esplosive solo quando necessario. Questa maestria del respiro è un altro ponte diretto tra il Pehlwani e le pratiche esoteriche dello Hatha Yoga.

La Filosofia della Dieta (Khurak): La Teoria dei Tre Guna

La dieta del Pehlwan (Khurak) è forse l’aspetto più leggendario. Le quantità enormi di latte, ghee, mandorle e legumi sono state menzionate. Ma la filosofia dietro questa dieta è la Teoria dei Guna dalla filosofia Samkhya, un pilastro del pensiero indù.

Questa teoria afferma che tutta la natura è composta da tre qualità o energie primordiali (Guna):

  1. Sattva (Puro): L’energia della purezza, della luce, dell’armonia, della calma e della chiarezza mentale.

  2. Rajas (Agitato): L’energia della passione, del movimento, dell’ambizione, dell’agitazione e della rabbia.

  3. Tamas (Inerte): L’energia dell’oscurità, dell’inerzia, della pigrizia, della decomposizione e della confusione.

Lo stato mentale e fisico di una persona è determinato da quale di questi Guna predomina. L’obiettivo dello Yogi, e quindi del Pehlwan, è coltivare Sattva.

Costruire un Corpo e una Mente Sattvici La dieta del Pehlwani è una dieta puramente Sattvica. Ogni alimento è scelto per la sua qualità Sattvica:

  • Latte, Ghee, Burro: Sono considerati l’essenza della purezza, cibi che nutrono il corpo e calmano la mente. Il Ghee, in particolare, è considerato il costruttore ultimo di Ojas.

  • Mandorle, Frutta, Miele: Sono dolci, nutrienti e portano chiarezza mentale.

  • Legumi, Grani Integrali (Roti): Sono sostanziosi e danno energia stabile.

Al contrario, i cibi Rajasici e Tamasici sono rigorosamente proibiti.

  • Cibi Tamasici Proibiti: Carne (specialmente rossa), alcol, tabacco, cipolle, aglio (questi ultimi due sono considerati Tamasici perché, pur essendo sani, si ritiene che appesantiscano la coscienza e stimolino le passioni più basse), cibo avanzato o processato. La carne è vista come particolarmente Tamasica perché porta l’energia della violenza e della paura dell’animale macellato.

  • Cibi Rajasici Proibiti: Spezie eccessive, peperoncino, caffè, tè forte. Questi alimenti sono visti come generatori di agitazione, rabbia e irrequietezza, rendendo impossibile la calma mentale e il Brahmacharya.

La filosofia è chiara: “Tu sei ciò che mangi”. Per costruire un corpo calmo, forte e puro, e una mente chiara, concentrata e controllata, devi consumare solo cibo Sattvico. La dieta non è solo “carburante” per l’allenamento; è un atto di purificazione interna, un prerequisito fondamentale per la pratica del Brahmacharya e per il raggiungimento di uno stato mentale superiore. È impossibile controllare la mente se il corpo è infiammato da cibi Rajasici o intorpidito da cibi Tamasici.


Conclusione: L’Architettura di un Uomo Ideale

Le caratteristiche, la filosofia e gli aspetti chiave del Pehlwani, come ancora vissuti nel Terai, rivelano un’architettura completa per la costruzione di un essere umano ideale. Non è un sistema frammentato. Ogni pezzo è interconnesso e si sostiene a vicenda.

La Tapasya (austerità) dell’allenamento genera il calore per trasmutare l’energia. Il Brahmacharya (controllo) conserva quell’energia. La dieta Sattvica (purezza) fornisce il carburante puro per questa alchimia. La Bhakti (devozione) ad Hanuman fornisce l’ispirazione e l’obiettivo morale. La Seva (servizio) e la Vinamrata (umiltà) sono i meccanismi di sicurezza che dissolvono l’ego, assicurando che la potenza creata sia usata per il Dharma (dovere morale) e non per l’Ahankara (egoismo).

Il Pehlwani è un percorso paradossale: si persegue la forza attraverso la resa, si ottiene il potere attraverso l’astinenza e si raggiunge la vittoria attraverso l’umiltà. È una delle ultime grandi tradizioni olistiche rimaste, un sistema in cui il combattente, l’asceta e il devoto sono fusi in un’unica, inscindibile identità: il Pehlwan.

LA STORIA

Un Fiume di Forza che Scorre nel Tempo

La storia del Pehlwani (o Kushti) è un’impresa storiografica complessa. Non è una cronologia di eventi, date e fondatori, come si potrebbe tracciare per un’arte marziale moderna come il Judo. È piuttosto un fiume, un’epopea vivente che scorre attraverso i millenni, alimentata da sorgenti mitologiche, rimodellata da grandi imperi e preservata in anfratti culturali resilienti come la regione del Terai nepalese.

Questa storia è, per sua natura, in gran parte orale, trasmessa da Ustad (maestro) a Shishya (discepolo) all’interno del sacro recinto dell’Akhara (l’arena). È una storia raccontata tanto nei poemi epici quanto nelle biografie dei grandi lottatori; è impressa nei rituali quotidiani più che nei manuali scritti.

Per comprendere la storia del Kushti nel Terai, non possiamo guardare al Terai in isolamento. Dobbiamo guardare all’intero subcontinente indiano. Il Terai, questa pianura fertile che funge da ponte geografico e culturale tra il Nepal collinare e le vaste pianure del Gange (il cuore dell’Hindustan), non è un’origine. È un conservatorio. È una biblioteca vivente dove la storia del Pehlwani, svanita o corrotta in altri luoghi, è ancora leggibile nella sua forma più tradizionale.

La storia di quest’arte è una narrazione di sincretismo: un’antica tradizione di lotta indigena indù (Malla-yuddha) che incontra e si fonde con la robusta tradizione di lotta persiana (Koshti-ye Pahlavani) portata dai conquistatori Mughal. È una storia di patrocinio, dai re vedici ai sultani musulmani, dai Maharaja indù nell’era coloniale fino ai mela (festival religiosi) rurali del Terai odierno.

Questa è la cronaca di come la forza fisica sia stata inestricabilmente legata alla devozione spirituale, alla disciplina ascetica e all’onore sociale.


PARTE 1: LE RADICI MITOLOGICHE – LA LOTTA NEI VEDA E NEGLI EPICI

Prima che ci fosse una “storia” documentata, c’era un mito fondativo. La legittimità e la sacralità del Kushti derivano direttamente dalla sua presenza nei testi più sacri dell’Induismo, che costituiscono il fondamento culturale anche del Terai nepalese.

La Malla-yuddha nel Ramayana Il Ramayana, uno dei due grandi poemi epici dell’India, è permeato di combattimenti e dimostrazioni di forza. La lotta (Malla-yuddha) è l’arte marziale scelta dai Vanara (gli uomini-scimmia) e dai loro avversari.

L’esempio più celebre è il duello tra i fratelli Vanara Vali e Sugriva. Questo non è un semplice combattimento; è un incontro di Malla-yuddha altamente tecnico, che si conclude solo quando Rama, alleato di Sugriva, interviene. La stessa figura di Hanuman, il patrono di tutti i Pehlwan, è un maestro di Malla-yuddha. La sua forza non è solo magica; è tecnica. Egli usa la sua abilità nella lotta per sconfiggere innumerevoli Rakshasa (demoni) al servizio di Ravana.

Questi racconti, ascoltati fin dall’infanzia da ogni abitante del Terai, stabiliscono un precedente divino. Praticare il Kushti non è un semplice esercizio; è un’emulazione degli dei e degli eroi. È un atto sacro.

Il Mahabharata: Il Codice del Guerriero Se il Ramayana stabilisce la sacralità, il Mahabharata stabilisce il codice e la tecnica della lotta. L’intero poema è una cronaca di guerrieri (Kshatriya) e il Malla-yuddha è una delle loro abilità fondamentali.

L’archetipo del Pehlwan per eccellenza è Bhima, il secondo dei fratelli Pandava. Bhima è la personificazione della forza bruta (Bal) guidata dal Dharma. La sua intera vita è una serie di incontri di lotta. Sconfigge demoni come Bakasura e Hidimba usando la lotta.

L’incontro di lotta più famoso e dettagliato di tutta la letteratura antica è il duello tra Bhima e Jarasandha, il potente re di Magadha (una regione storicamente vicina all’odierno Terai). Questo incontro è la quintessenza del Malla-yuddha pre-moderno.

  • La Narrazione: L’incontro dura per tredici giorni consecutivi, dall’alba al tramonto. I due avversari sono perfettamente appaiati in forza e abilità. Usano prese, leve, colpi (sì, l’antica Malla-yuddha includeva colpi come ginocchiate e colpi a mano aperta) e proiezioni.

  • La Tecnica: Il testo descrive come Jarasandha, grazie a un dono divino, non possa essere ucciso. Ogni volta che Bhima lo spezza in due, le parti si ricongiungono.

  • L’Intervento Divino (e Strategico): È Krishna, l’avatar divino e la mente strategica, a dare a Bhima la soluzione. Krishna prende un filo d’erba, lo spezza in due e getta le due metà in direzioni opposte. Bhima capisce il suggerimento. Alla fine del tredicesimo giorno, solleva Jarasandha, lo spezza sulla sua schiena e lancia le due metà del corpo in direzioni opposte, impedendo loro di ricongiungersi e vincendo l’incontro.

Questo racconto è fondamentale. Stabilisce che la forza bruta da sola non è sufficiente. Deve essere guidata dall’intelligenza, dalla strategia e, in ultima analisi, dalla grazia divina (rappresentata da Krishna). Questo è il seme della filosofia del Pehlwani.

Anche Krishna stesso è un lottatore. Da giovane, sconfigge il lottatore reale Chanura alla corte del re Kamsa, usando una tecnica e un’agilità superiori per sconfiggere un avversario più grande e forte.

Queste fondamenta mitologiche sono la roccia su cui poggia tutta la storia successiva. Per il Pehlwan del Terai, Bhima e Hanuman non sono figure metaforiche; sono i primi Guru della loro linea.


PARTE 2: DAL MITO ALLA STORIA – LA CODIFICAZIONE DELLA MALLA-YUDDHA

Col passare dei secoli, la lotta nel subcontinente iniziò a muoversi dal mito ai manuali. Sebbene la trasmissione rimanesse prevalentemente orale, emersero testi che tentavano di classificare e codificare quest’arte.

Testimonianze Antiche e Classiche Riferimenti alla lotta e alle palestre si trovano in testi antichi come gli Artha-shastra (trattati di arte di governo) e i Jātaka (racconti buddisti). Essi menzionano l’allenamento fisico dei soldati e dei principi, dove la lotta era centrale.

Il Sushruta Samhita, un antico testo medico e chirurgico sanscrito (circa 600 a.C.), discute l’importanza dell’esercizio fisico (Vyayam) per la salute, descrivendo movimenti e principi che sono chiaramente i precursori di quelli usati nel Pehlwani.

Anche durante l’invasione di Alessandro Magno (327 a.C.), gli storici greci notarono con ammirazione la forza e l’abilità dei lottatori e degli atleti che incontrarono nel Punjab. Questo indica che una cultura della lotta altamente sviluppata era già fiorente e famosa oltre i confini dell’India.

Il Manasollasa: La “Bibbia” della Malla-yuddha La fonte testuale più importante sulla Malla-yuddha pre-Mughal è senza dubbio il Manasollasa (o Abhilashitartha Chintamani), un trattato enciclopedico sanscrito del XII secolo, commissionato dal re Someshvara III della dinastia Chalukya, nel sud dell’India.

Sebbene proveniente dal sud, questo testo codifica un sapere che era diffuso in tutto il subcontinente. Un intero capitolo, il Malla Vinoda (“Il divertimento della lotta”), è dedicato alla Malla-yuddha. Questo testo è storicamente inestimabile perché descrive:

  1. La Classificazione dei Lottatori: Divide i lottatori in categorie basate su età, forza e stazza (simili alle moderne categorie di peso).

  2. La Dieta: Fornisce ricette e liste di cibi specifici per i lottatori, enfatizzando già legumi, latte, riso e (all’epoca) carne, per costruire la massa muscolare.

  3. L’Allenamento: Descrive esercizi specifici, molti dei quali sono chiaramente i progenitori dei Dand e dei Baithak.

  4. La Classificazione Tecnica: Questa è la parte più cruciale. Il Manasollasa classifica la Malla-yuddha in quattro Jati (tipi o stili) principali:

    • Jambuvanti: Tecniche che usano prese di sottomissione e bloccaggi articolari per costringere l’avversario alla resa (simile al moderno submission grappling).

    • Hanimanti: Focalizzato sulla superiorità tecnica, l’agilità, la velocità e l’abilità di sconfiggere avversari più forti (chiamato così in onore di Hanuman).

    • Bhimaseni: Enfatizza la forza bruta, la potenza pura e le proiezioni (chiamato così in onore di Bhima).

    • Jarasandhi: Tecniche estreme, come rotture articolari e strangolamenti, progettate per menomare o uccidere (chiamate così in onore di Jarasandha, e probabilmente riservate al combattimento bellico).

Questo testo dimostra che già nel XII secolo, la lotta indiana era un’arte sofisticata, scientifica e altamente codificata, con una pedagogia sviluppata e un posto d’onore nelle corti reali. Questa era la tradizione indigena che esisteva da millenni prima dell’arrivo dei musulmani.

La Malla-yuddha nel Terai e in Nepal Mentre il Manasollasa veniva scritto nel sud, le pianure del nord, incluso il Terai, e le valli del Nepal (come la valle di Kathmandu, allora governata dai re Malla – un nome forse non casuale) praticavano le proprie varianti di questa arte. Il Terai, essendo una via commerciale e di pellegrinaggio cruciale, era un crogiolo di queste tradizioni marziali. I Dangal (tornei) erano già parte integrante dei festival stagionali e delle fiere religiose, un modo per le comunità di affermare il proprio vigore e onore.


PARTE 3: IL GRANDE SINCRETISMO – L’INFLUENZA MUGHAL E LA NASCITA DEL “PEHLWANI”

Questo è il momento storico più importante nella creazione dell’arte che conosciamo oggi. L’arrivo dei conquistatori turco-persiani e l’instaurazione del Sultanato di Delhi (XIII secolo) e, successivamente, dell’Impero Mughal (dal XVI secolo), cambiarono per sempre il panorama culturale e marziale del subcontinente.

I Mughal portarono con sé la loro tradizione marziale: il Koshti-ye Pahlavani (lotta degli eroi) e la cultura della Varzesh-e Bastani (l’antico sport) praticata negli Zourkhaneh (le “Case della Forza” persiane).

La Tradizione Persiana: Koshti e Zourkhaneh La lotta persiana aveva molto in comune con la Malla-yuddha indiana:

  • Enfatizzava la forza funzionale e la lotta a terra.

  • Aveva una forte connotazione etica e spirituale (nel suo caso, legata al Sufismo e alla cavalleria persiana).

  • Utilizzava attrezzi specifici per l’allenamento, in particolare le clave (mil) e gli scudi pesanti (sang).

Tuttavia, aveva anche differenze chiave: si concentrava di più sulla lotta a terra, sulle prese alla vita e indossava calzoni da lotta specifici.

La Fusione: Malla-yuddha + Koshti = Pehlwani Quando i Mughal stabilirono le loro corti a Delhi, Agra e Lahore, divennero grandi patroni delle arti, inclusa quella marziale. Furono affascinati dalla Malla-yuddha locale e iniziarono a promuovere incontri tra i loro lottatori persiani e i maestri indiani locali.

Quello che accadde fu un sincretismo straordinario, una fusione che oggi chiamiamo Pehlwani o Kushti (entrambi termini di origine persiana).

  • Dalla Malla-yuddha (India): L’arte mantenne il suo nucleo indù. La venerazione di Hanuman e Bhima, la filosofia del Brahmacharya, la sacralità dell’arena di terra (Akhara) e la dieta a base di latte e ghee (Sattvica).

  • Dalla Koshti (Persia): L’arte adottò la terminologia. Il lottatore divenne Pehlwan (dall’eroe persiano Pahlavan). Il combattimento divenne Kushti. Il maestro divenne Ustad (termine persiano per “maestro”).

  • L’Allenamento: Gli attrezzi si fusero. Le clave persiane (mil) ispirarono la creazione o la standardizzazione delle Jori indiane. La mazza da guerra indiana (Gada) divenne un attrezzo di allenamento standard, simile a come veniva usata nello Zourkhaneh. Gli esercizi a corpo libero indiani, i Dand e i Baithak, furono mantenuti e perfezionati.

  • Lo Stile: Lo stile di lotta stesso si fuse. La Malla-yuddha, che includeva anche colpi, fu “addolcita” e si concentrò quasi esclusivamente sul grappling, sulle proiezioni e sul controllo a terra, che erano i punti di forza della tradizione persiana.

Il Ruolo dei Mughal nel Patrocinio Gli imperatori Mughal, come Babur (lui stesso un noto lottatore che si dice corresse per miglia portando un uomo su ciascuna spalla) e Akbar, elevarono la lotta a uno status senza precedenti. I grandi lottatori erano figure celebri a corte, ricompensati con terre, titoli e oro.

Questa fusione fu così completa che, nel giro di poche generazioni, divenne impossibile distinguere le due tradizioni. Nacque una nuova arte, sincretica, che era praticata e perfezionata da indù e musulmani in egual misura. Molti dei più grandi Ustad e Pehlwan della storia, come vedremo, sarebbero stati musulmani, ma avrebbero allenato i loro discepoli (sia indù che musulmani) nell’Akhara, sotto l’immagine di Hanuman.

L’Impatto sul Terai Il Terai, essendo direttamente adiacente alle province centrali dell’Impero Mughal (come l’Awadh, con capitale Lucknow, un centro nevralgico della cultura Mughal), fu un ricevitore diretto di questa nuova tradizione sincretica. I signori locali del Terai, sia che pagassero tributo ai Mughal o ai re delle colline nepalesi, emulavano la cultura di corte Mughal.

Di conseguenza, gli Akhara nel Terai adottarono la nuova terminologia e i nuovi metodi di allenamento. La Malla-yuddha “pura” si trasformò in Pehlwani. Questa storia spiega perché oggi, in un villaggio prevalentemente indù del Terai nepalese, un lottatore pratica un’arte che venera Hanuman ma usa una terminologia quasi interamente persiana.


PARTE 4: IL CONTESTO NEPALESE – IL PATROCINIO DEI RE MALLA E DELLA DINASTIA RANA

Mentre il Pehlwani si stava consolidando nelle pianure sotto i Mughal, la storia del Nepal seguiva un percorso parallelo ma distinto, che avrebbe finito per intersecarsi con quella del Terai.

I Re Malla della Valle di Kathmandu Prima dell’unificazione del Nepal, la Valle di Kathmandu (culturalmente distinta dal Terai) era governata dai re Malla (circa 1201-1769). Come suggerisce il nome (che in sanscrito significa “lottatore”), questa dinastia poneva un forte accento sulla forza fisica, sulle arti e sulla cultura.

Le cronache e le opere d’arte del periodo Malla mostrano un grande interesse per la forza. I templi sono adornati con statue di guardiani potenti, e le piazze Durbar di Kathmandu, Patan e Bhaktapur erano usate per esibizioni pubbliche, che includevano incontri di lotta.

Sebbene questa fosse probabilmente una forma più antica di Malla-yuddha, influenzata anche dalle arti marziali tibetane e Khas (delle colline), essa stabilì un precedente di patrocinio reale per la lotta all’interno del nascente stato nepalese. Quando il Terai fu progressivamente integrato nel regno del Nepal, questa tradizione di patrocinio reale trovò un terreno fertile negli Akhara già esistenti.

L’Unificazione (1768) e la Dinastia Shah Quando Prithvi Narayan Shah conquistò la Valle di Kathmandu e unificò il Nepal, portò con sé le tradizioni marziali dei suoi guerrieri Gurkha. Tuttavia, ereditò anche le tradizioni culturali delle corti Malla che aveva conquistato e i territori del Terai che aveva annesso.

La corte Shah a Kathmandu, cercando di proiettare un’immagine di potere imperiale simile a quella delle corti indiane, iniziò a patrocinare artisti e uomini forti. I lottatori del Terai, con la loro reputazione di forza e la loro vicinanza alla cultura Pehlwani più sviluppata dell’India, divennero figure di interesse.

Il Periodo Rana (1846-1951): Il Culmine del Patrocinio Nepalese La svolta storica per il Pehlwani in Nepal arrivò con l’ascesa di Jung Bahadur Rana, che stabilì un regime di Primi Ministri ereditari che di fatto governarono il Nepal per un secolo. I Rana erano famosi per il loro stile di vita opulento, la loro architettura stravagante (che imitava l’Europa) e la loro passione per la caccia e le dimostrazioni di forza.

I Maharaja Rana, nel tentativo di eguagliare i loro omologhi, i Maharaja degli stati principeschi indiani, divennero grandi patroni del Pehlwani.

  • Patrocinio di Corte: I Rana invitavano i più famosi lottatori dall’India (sia indù che musulmani) a competere a Kathmandu, offrendo premi esorbitanti.

  • Reclutamento Locale: Essi reclutavano gli uomini più forti dai loro domini, in particolare dal Terai, per servire come guardie del corpo d’élite e come lottatori di corte.

  • Il Dangal di Kathmandu: I tornei di lotta, specialmente durante i festival come lo Shivaratri, divennero eventi spettacolari a Tundikhel (la grande parata di Kathmandu). Questi eventi erano il palcoscenico principale dove un Pehlwan del Terai poteva ottenere fama nazionale e la benedizione (e il denaro) dei governanti Rana.

Questo patrocinio dall’alto servì a cementare lo status del Pehlwani come la “regina” delle arti marziali in Nepal. Essere un Pehlwan sotto i Rana era un percorso verso la ricchezza e l’onore. Questo consolidò ulteriormente gli Akhara nel Terai, che ora non solo servivano le comunità locali, ma fungevano anche da “accademie” per formare talenti da inviare alla capitale.


PARTE 5: L’ETÀ D’ORO – IL PATROCINIO DEI MAHARAJA NELL’INDIA BRITANNICA

Paradossalmente, l’apice della storia del Pehlwani non avvenne sotto un impero indigeno unificato, ma durante il Raj Britannico (1857-1947).

Mentre gli inglesi governavano direttamente circa il 60% del subcontinente, il restante 40% era composto da oltre 500 “Stati Principeschi” semi-autonomi. Questi stati erano governati da Maharaja, Nizam e Nawab indiani, che, pur avendo perso il potere militare esterno, riversarono le loro immense ricchezze nel patrocinio culturale, artistico e atletico.

Questo diede inizio a quella che è universalmente conosciuta come l'”Età d’Oro” del Pehlwani.

La Competizione dei Patroni I Maharaja si contendevano l’un l’altro non sui campi di battaglia, ma negli Akhara. Avere il lottatore più forte (Rustam-i-Hind, “Il Campione dell’India”) era il simbolo di status definitivo, un segno della virilità e del prestigio del proprio regno.

Stati come Patiala (nel Punjab), Baroda (nel Gujarat), Kolhapur (nel Maharashtra) e Mysore (nel sud) investirono fortune incalcolabili nel reclutare e mantenere i migliori lottatori.

  • Il Maharaja di Patiala: Si dice che avesse un “serraglio” di centinaia di lottatori, ognuno con uno stipendio, una dieta specializzata (pagata dallo stato) e alloggi.

  • Shahu Chhatrapati di Kolhapur: Fu un riformatore sociale, ma anche un fanatico della lotta. Scoprì e patrocinò molti lottatori di umili origini, usando la lotta come strumento di mobilità sociale.

La Nascita del “Lottatore Professionista” Questo sistema trasformò i Pehlwan. Non erano più solo eroi locali che combattevano per l’onore; erano atleti professionisti a tempo pieno. La loro unica responsabilità era allenarsi, mangiare e combattere per la gloria del loro patrono.

Questo portò l’allenamento e la nutrizione a livelli estremi, quasi scientifici. Le diete divennero leggendarie: litri di latte e ghee, centinaia di mandorle, chili di frutta al giorno. Gli allenamenti si intensificarono: migliaia di Dand e Baithak al giorno, sparring per ore.

L’Impatto sul Terai: Il Circuito dei Dangal Questa Età d’Oro in India ebbe un impatto diretto sul Terai nepalese.

  1. Il Circuito dei Tornei: Si creò un “circuito” di Dangal che si estendeva da Lahore e Patiala, attraverso Delhi e Lucknow, fino a Varanasi e Patna (città immediatamente a sud del Terai), e persino a Calcutta.

  2. Mobilità dei Lottatori: I Pehlwan del Terai non erano più isolati. Potevano viaggiare verso sud per “tentare la fortuna”, sfidare i lottatori indiani e cercare di ottenere il patrocinio di un ricco Zamindar (proprietario terriero) o di un Maharaja minore.

  3. Flusso Inverso: Allo stesso modo, i lottatori “professionisti” degli stati indiani facevano tournée. Un Pehlwan di Patiala poteva presentarsi a un Dangal nel Terai durante una fiera religiosa, sfidare i campioni locali e andarsene con il premio in denaro, diffondendo al contempo nuove tecniche e un livello di competizione più elevato.

Il Terai, quindi, divenne parte integrante di questo vasto ecosistema di lotta che copriva l’intero nord del subcontinente. Non era un’area isolata, ma una provincia vibrante di questo “regno” culturale del Pehlwani.


PARTE 6: LE GRANDI LEGGENDE – GAMA E LA STORIA COME BIOGRAFIA

L’Età d’Oro fu definita dai suoi eroi. Nella storia del Pehlwani, la biografia dei grandi campioni è la storia stessa. E nessun campione è più grande, o più storicamente significativo, di Gama il Grande.

Gama il Grande (Ghulam Mohammad Baksh Butt) Nato a Amritsar (Punjab) nel 1878, Gama è per il Pehlwani ciò che Pelé è per il calcio o Muhammad Ali per la boxe. È l’archetipo, la leggenda insuperabile che definisce l’apice dell’arte. La sua storia è fondamentale per comprendere il livello che il Pehlwani aveva raggiunto.

  • La Scoperta: La sua ascesa iniziò in un torneo di strongman tenuto dal Maharaja di Jodhpur. Gama, allora un adolescente sconosciuto, partecipò a una gara di squat (Baithak) e continuò per ore, superando centinaia di lottatori esperti. Si dice che abbia eseguito diverse migliaia di squat prima che i giudici, esausti, lo dichiarassero vincitore.

  • Il Patrocinio: Fu immediatamente notato e messo sotto il patrocinio del Maharaja di Patiala, che finanziò il suo allenamento. Il suo regime divenne leggenda: 5.000 Baithak e 3.000 Dand ogni singolo giorno. La sua dieta includeva sei polli, oltre dieci litri di latte e quasi un chilo di mandorle macinate e ghee.

  • Campione dell’India: Nel 1910, all’età di 32 anni, Gama era imbattuto in India. Aveva sconfitto tutti i grandi campioni del suo tempo, incluso il gigante Raheem Bakhsh Sultaniwala (alto quasi 7 piedi), in una serie di incontri epici.

  • La Conquista dell’Occidente: Nel 1910, Gama e suo fratello Imam Bakhsh viaggiarono a Londra per sfidare i campioni mondiali di lotta occidentali (all’epoca, il Grecoromano e il Catch-as-catch-can).

  • Lo Stallo con Zbyszko: Inizialmente, gli fu negato l’accesso ai tornei principali a causa della sua bassa statura (circa 5’7″) e della sua etnia. Gama lanciò una sfida aperta, dichiarando che avrebbe sconfitto qualsiasi lottatore di qualsiasi peso in 30 minuti. L’unico ad accettare fu il campione del mondo polacco, Stanislaus Zbyszko.

    • L’Incontro: L’incontro è storico. Zbyszko, un maestro della difesa Grecoromana, adottò una tattica puramente difensiva. Per quasi tre ore, rimase a terra, “bloccato” sul tappeto, impedendo a Gama di girarlo sulla schiena. L’incontro fu dichiarato pareggio per noia e mancanza di azione, ma Zbyszko era stato chiaramente dominato e umiliato.

    • La Rivincita: Gama divenne una celebrità. Sconfisse facilmente gli altri campioni europei e americani. Anni dopo, nel 1928, Zbyszko (ormai invecchiato) si recò in India per una rivincita a Patiala. Gama lo atterrò e lo sconfisse in meno di un minuto.

  • Rustam-i-Zamana (Campione dell’Universo): Gama tornò in India come un eroe nazionale, un simbolo della superiorità indigena in un’epoca di sottomissione coloniale. Rimase imbattuto per tutta la sua carriera di 50 anni. La sua fama era tale che persino Bruce Lee studiò i suoi metodi di allenamento, in particolare i Dand e i Baithak, come base per il suo condizionamento.

Imam Bakhsh e gli Altri Eroi Gama non era solo. Suo fratello, Imam Bakhsh Pehlwan, era considerato da molti tecnicamente superiore a Gama, anche se forse meno potente. Raheem Bakhsh Sultaniwala, il gigante sconfitto da Gama, fu il suo più grande rivale.

In Nepal, emersero eroi locali. Sebbene i loro nomi non abbiano raggiunto la fama internazionale di Gama, figure come Bhairav Pehlwan o Narasingh Pehlwan (spesso nomi legati a divinità potenti) divennero leggende nel Terai e nella corte di Kathmandu. Erano i “Gama” locali, l’obiettivo a cui ogni giovane lottatore aspirava.

La storia di Gama è importante per il Terai perché rappresenta l’apice del sistema di cui il Terai faceva parte. I racconti delle sue imprese riempivano i bazar e gli Akhara da Kabul a Rangoon, e certamente in ogni villaggio del Terai, ispirando generazioni di giovani a dedicare la propria vita alla disciplina del Pehlwani.


PARTE 7: LA GRANDE FRATTURA – LA PARTIZIONE E LA FINE DEL PATROCINIO

L’Età d’Oro, così vibrante e potente, finì con una rapidità catastrofica. Due eventi storici quasi simultanei sventrarono il cuore del sistema Pehlwani: la Partizione del 1947 e la fine dei governanti Rana in Nepal nel 1951.

La Partizione dell’India (1947) L’indipendenza dalla Gran Bretagna portò alla divisione del subcontinente in India (a maggioranza indù) e Pakistan (a maggioranza musulmana). Questa fu una tragedia per il Pehlwani, che era stato un modello di sincretismo indù-musulmano per secoli.

  • La Divisione degli Akhara: Il Punjab, cuore pulsante del Pehlwani, fu diviso a metà. Lahore, un centro leggendario, finì in Pakistan. Amritsar e Patiala rimasero in India.

  • La Frattura del Sistema Guru-Shishya: La violenza settaria distrusse la fiducia. Ustad musulmani che vivevano in India fuggirono in Pakistan, e Ustad indù in Pakistan fuggirono in India.

  • Il Caso di Gama: Lo stesso Gama il Grande, un musulmano, scelse di trasferirsi nella nuova nazione del Pakistan, a Lahore. Morì lì, secondo alcuni, in relativa povertà e dimenticanza. La sua partenza fu un colpo simbolico devastante per il Pehlwani indiano.

  • L’Ecosistema Infranto: L’intero circuito dei Dangal fu distrutto. I lottatori pakistani non potevano più competere facilmente in India, e viceversa. L’arte, che era fiorita grazie alla competizione costante, iniziò a stagnare.

La Fine del Patrocinio Statale in India Contemporaneamente, il nuovo governo indipendente dell’India, guidato da Nehru, era un socialista e un modernizzatore. Vedeva i Maharaja come reliquie feudali. Nel giro di pochi anni, gli stati principeschi furono aboliti e le loro finanze (e quindi il loro patrocinio) prosciugate.

Il Pehlwani perse la sua linfa vitale. Gli Akhara non avevano più gli stipendi statali per pagare la dieta e l’alloggio dei lottatori. Gli Ustad non potevano più dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento. La lotta divenne, per la prima volta dopo secoli, un’occupazione economicamente insostenibile.

La Caduta dei Rana in Nepal (1951) Quasi nello stesso momento, in Nepal accadde un evento speculare. La Rivoluzione del 1951 pose fine al secolo di dominio autocratico dei Rana e restaurò il potere del Re (la dinastia Shah).

Come in India, la nuova struttura di potere in Nepal aveva priorità diverse. I fondi statali furono diretti verso la costruzione di infrastrutture, l’istruzione e la modernizzazione dell’esercito, non verso il mantenimento di lottatori di corte.

Il patrocinio d’élite che aveva sostenuto il Pehlwani sia in India che in Nepal scomparve quasi simultaneamente.


PARTE 8: LA STORIA MODERNA – SOPRAVVIVENZA, TRASFORMAZIONE E IL CONFLITTO “MITTI VS. MAT”

La storia del Pehlwani nell’era post-coloniale è una storia di sopravvivenza, adattamento e declino. L’arte è stata costretta a trovare nuovi modi per esistere in un mondo che non la capiva né la valorizzava più.

La Transizione al Cinema: Dara Singh Negli anni ’50 e ’60, una nuova forma di patrocinio emerse: il cinema. La figura chiave di questa transizione fu Dara Singh. Originario del Punjab, Dara Singh era un Pehlwan di calibro mondiale, campione indiscusso del suo tempo. Ma capì che il futuro non era più solo nell’Akhara. Trasformò la sua fama di lottatore (diventando una star del nascente wrestling professionistico) in una carriera cinematografica.

Divenne una delle più grandi star di Bollywood, interpretando quasi sempre eroi mitologici come Hanuman o Bhima. Questo ebbe un effetto duplice:

  1. Popolarizzazione: Mantenne l’immagine del Pehlwan forte e virtuoso nell’immaginario popolare.

  2. Svalutazione: Trasformò la lotta da una disciplina spirituale (Sadhana) a un intrattenimento teatrale (Tamasha).

La Minaccia della Modernità: Il “Gym” e le MMA Nelle città, gli Akhara iniziarono a morire. I giovani della classe media non erano più interessati alla vita austera e brutale dell’Akhara. Erano attratti dal bodybuilding occidentale (i “gym”), che prometteva un fisico estetico senza la disciplina morale o il dolore della lotta.

Più recentemente, l’ascesa delle Arti Marziali Miste (MMA) ha rappresentato un’ulteriore sfida. Le MMA offrono fama globale e un modello di business che l’Akhara tradizionale, basato sul non-commercialismo e sulla relazione Ustad-Shishya, non può eguagliare.

La Svolta Olimpica: Mitti (Terra) vs. Mat (Materassino) La sfida più grande, tuttavia, è venuta dall’interno del mondo della lotta: la lotta olimpica (Freestyle). I governi, sia in India che in Nepal, iniziarono a investire denaro non nel Pehlwani tradizionale (Mitti), ma nella lotta olimpica sul materassino (Mat).

  • Perché? Il Mat offriva una via per la gloria internazionale: i Giochi Asiatici, i Campionati Mondiali, le Olimpiadi. Una medaglia olimpica portava prestigio nazionale.

  • L’Incentivo: Un lottatore che vinceva sul Mat otteneva un lavoro governativo sicuro (nelle ferrovie, nell’esercito, nella polizia), sicurezza finanziaria e fama.

  • Il Conflitto: Questo creò una spaccatura fatale. I giovani più talentuosi iniziarono ad abbandonare l’Akhara di terra per allenarsi sul materassino. L’allenamento è diverso, le regole sono diverse (basate sui punti, non sullo schienamento), e la filosofia è completamente diversa (sport vs. stile di vita).

La lotta sul Mat è uno sport; il Pehlwani sulla Mitti è un’arte. La storia recente del Pehlwani è la storia di questa battaglia per l’anima dell’arte.

Il Terai Nepalese: L’Ultimo Bastione Ed è qui che la storia del Terai diventa unica. Mentre gli Akhara nelle grandi città come Delhi, Lahore o Kathmandu si sono “modernizzati” (molti ora hanno materassini accanto alla fossa di terra) o sono morti, il Terai ha resistito.

Perché il Terai è diventato un conservatorio?

  1. Ruralità: Il Terai è rimasto prevalentemente rurale. La vita è ancora legata alla terra e ai cicli agricoli. I valori della forza fisica e dell’onore comunitario sono ancora profondamente radicati.

  2. Religiosità: La pratica del Pehlwani nel Terai non è mai stata separata dal suo contesto religioso. I Dangal (tornei) non sono eventi sportivi autonomi; sono la caratteristica principale dei Mela (festival religiosi) locali. Si lotta per onorare il dio del tempio locale, non per un contratto professionistico.

  3. Economia Locale: Il patrocinio nel Terai non proviene più dai re, ma dalla comunità stessa. I Zamindar (proprietari terrieri) locali, gli uomini d’affari o il comitato del tempio raccolgono i fondi per i premi del Dangal (spesso denaro, un bufalo, o una motocicletta). È un sistema di patrocinio comunitario, non statale.

  4. Resistenza Culturale: La popolazione Madhesi del Terai ha spesso visto le politiche di Kathmandu come un tentativo di omologare la loro cultura. Aggrapparsi al Pehlwani tradizionale, alla lotta sulla Mitti con la sua terminologia unica, è diventato anche un atto di orgoglio culturale e di preservazione dell’identità.

Di conseguenza, la storia del Pehlwani nel Terai non si è conclusa con la fine del patrocinio Rana. È continuata, più povera forse, meno prestigiosa a livello nazionale, ma forse più autentica e più vicina alle sue radici pre-moderne.


Conclusione: La Storia come Presente Vivente

La storia del Pehlwani nel Terai nepalese è una microstoria dell’intero subcontinente. È una cronaca che inizia con gli dei e gli eroi, Bhima e Hanuman, le cui storie ancora riecheggiano in ogni Akhara.

È la storia di un’arte marziale indigena, la Malla-yuddha, così sofisticata da essere codificata in testi sanscriti più di mille anni fa.

È la storia di un incontro culturale straordinario, la fusione con la Koshti persiana sotto i Mughal, che ha dato all’arte la sua terminologia e il suo sapore sincretico, ancora oggi evidente nel Terai.

È la storia del patrocinio d’élite, prima sotto i re Malla e poi, in modo spettacolare, sotto la dinastia Rana in Nepal e i Maharaja in India, un’Età d’Oro che ha prodotto leggende immortali come Gama il Grande.

Infine, è una storia di drammatica crisi e resilienza. È la storia di come la Partizione del 1947 e la fine del patrocinio reale negli anni ’50 abbiano quasi ucciso l’arte. E di come, di fronte alla moderna attrazione del materassino olimpico, l’arte sia sopravvissuta nel suo cuore rurale.

Oggi, un Pehlwan che si allena in un Akhara di terra rossa in un villaggio del Terai non sta praticando un “vecchio sport”. È l’ultimo anello di una catena storica ininterrotta. È un museo vivente, un erede di Bhima, un discepolo di Gama e l’incarnazione di una storia che rifiuta di morire.

CHI È IL SUO FONDATORE, STORIA DEL FONDATORE

L’Assenza di un Fondatore Singolo e il Concetto di Tradizione (Parampara)

La domanda “Chi ha fondato il Pehlwani?” è, nella sua essenza, una domanda moderna, occidentale, applicata a un fenomeno antico, orientale e organico. È una domanda che si scontra con la natura stessa dell’arte. A differenza di discipline come il Judo (fondato da Jigoro Kano) o l’Aikido (fondato da Morihei Ueshiba), il Pehlwani (o Kushti) non ha un singolo fondatore umano identificabile, né una data di nascita precisa.

Non esiste un “Jigoro Kano” del Kushti. Non c’è una figura storica che un giorno si sia seduta, abbia codificato un sistema di tecniche, gli abbia dato un nome e abbia fondato la prima scuola. Cercare un fondatore per il Pehlwani è come cercare il singolo individuo che ha “fondato” l’agricoltura, la lingua italiana o la musica folk.

Il Pehlwani non è un’invenzione; è un’evoluzione. È un fiume maestoso la cui sorgente si perde nelle nebbie della preistoria mitologica del subcontinente indiano. È il risultato di un processo millenario di accumulazione, fusione e raffinamento. La sua forma attuale, praticata nelle arene di terra (Akhara) del Terai nepalese, è il prodotto di almeno tre grandi correnti:

  1. L’antica tradizione di lotta indigena vedica e post-vedica (Malla-yuddha).

  2. La tradizione di lotta persiana (Koshti-ye Pahlavani) portata nel subcontinente dalle invasioni turco-persiane e dal patrocinio dell’Impero Mughal.

  3. Il patrocinio secolare dei re, dei Maharaja e dei signori locali (come i Rana in Nepal) che hanno promosso, finanziato e professionalizzato l’arte.

Quindi, non possiamo parlare di un fondatore. Dobbiamo invece parlare di fondatori al plurale, e dobbiamo dividere questo concetto in tre categorie distinte: i Fondatori Mitologici (le divinità e gli eroi che ne hanno stabilito la filosofia), i Fondatori Collettivi (le generazioni di maestri anonimi) e i Fondatori Sincretici (le influenze culturali che l’hanno plasmata).


PARTE 1: I FONDATORI MITOLOGICI – LE RADICI DIVINE DELL’ARTE

Per il praticante tradizionale di Kushti nel Terai, l’arte non è stata fondata da un uomo, ma è stata rivelata dagli dei. I veri fondatori sono le figure divine e semi-divine che per prime hanno incarnato gli ideali del Pehlwan. Essi sono gli Adarsh (gli ideali perfetti) a cui ogni lottatore aspira.

Lord Hanuman: Il Fondatore della Filosofia Pehlwani Se un singolo nome dovesse essere scelto come “fondatore spirituale” del Pehlwani, sarebbe universalmente Hanuman. Hanuman, il dio-scimmia devoto a Lord Rama nel poema epico Ramayana, non è semplicemente un “patrono” (come San Sebastiano potrebbe esserlo per gli atleti); egli è l’archetipo, il primo e perfetto Pehlwan.

Ogni singolo Akhara nel Terai, senza eccezione, avrà un altare, un’immagine o almeno un murti (idolo) di Hanuman. La giornata inizia e finisce con preghiere a lui. La sua “storia” è la storia fondativa della filosofia del lottatore.

Hanuman “fonda” i quattro pilastri del Pehlwani:

  1. La Fondazione della Forza (Bal): Hanuman è la personificazione della forza fisica assoluta e illimitata (Amit Bal). La sua intera epopea è una serie di imprese di forza sovrumana: sradicare l’intera montagna Dronagiri quando non riesce a identificare l’erba curativa, saltare l’oceano in un balzo per raggiungere Lanka, sconfiggere da solo intere legioni di demoni (Rakshasa) in combattimento. Praticare il Kushti è un tentativo di coltivare un frammento della sua forza.

  2. La Fondazione del Brahmacharya: Questa è la chiave. Nella tradizione, la fonte della forza illimitata di Hanuman non è solo divina; è il risultato diretto del suo status di Naishtika Brahmachari, il celibe perfetto ed eterno. Egli è colui che ha raggiunto il controllo totale sui suoi sensi (Jitendriya). La sua energia vitale (Virya) non viene mai dissipata, ma viene trasmutata alchemicamente in potenza spirituale e fisica (Ojas e Tejas). Hanuman, quindi, non è solo il fondatore della pratica della forza, ma della metodologia per ottenerla: la conservazione dell’energia attraverso l’ascetismo.

  3. La Fondazione della Devozione (Bhakti): La forza di Hanuman non è egoistica. Egli non combatte per la gloria personale, per il denaro o per il potere. La sua forza è interamente dedicata al servizio del suo signore, Rama, che è l’incarnazione del Dharma (la giustizia, la retta condotta). Hanuman è quindi il Das perfetto (il servitore). Questo fonda il principio etico del Pehlwan: la forza non è un fine, ma uno strumento da mettere al servizio di un ideale superiore (il proprio Guru, la propria comunità, Dio).

  4. La Fondazione dell’Umiltà (Vinamrata): Nonostante la sua potenza ineguagliabile, Hanuman è completamente privo di ego (Ahankara). Quando gli viene chiesta la fonte della sua forza, egli non si vanta del suo allenamento o della sua dieta; si inchina e dice “È la grazia del mio Signore Rama”. Questo stabilisce il paradosso centrale del Pehlwani: più si diventa forti, più si deve diventare umili.

Hanuman è il fondatore dell’anima del Pehlwan. La sua “storia” è la biografia del fondatore che ogni lottatore studia e cerca di emulare.

Lord Shiva: Il Fondatore della Tapasya (Ascetismo) Se Hanuman è il fondatore dell’applicazione della forza, Shiva è il fondatore della creazione della forza attraverso l’ascetismo. Shiva è il Mahayogi, l’asceta supremo, il distruttore dell’ego e delle illusioni.

Il Pehlwani, nel suo nucleo, è una forma di Tapasya (austerità che genera calore e potere). Il Pehlwan è uno Yogi della forza. La sua “storia fondativa” è quella di Shiva:

  • L’Asceta: Shiva siede in meditazione per eoni sulle vette ghiacciate dell’Himalaya, padrone assoluto del suo corpo e della sua mente. Il Pehlwan, nel suo Akhara, emula questa disciplina, separandosi dal mondo per focalizzarsi sulla sua pratica (Sadhana).

  • Il Distruttore: Shiva è il distruttore. Il Pehlwan cerca di distruggere i propri demoni interiori: pigrizia, paura, lussuria, rabbia e, soprattutto, l’ego.

  • Il Corpo come Strumento: Il corpo del Pehlwan, cosparso di terra (Mitti), ricorda Shiva cosparso di cenere sacra (Vibhuti). È un promemoria che il corpo è solo uno strumento temporaneo per una pratica spirituale più grande.

Shiva è il fondatore dell’aspetto austero, meditativo e quasi terrificante della disciplina richiesta per diventare un Pehlwan.

Bhima: Il Fondatore della Malla-yuddha (L’Arte Combattiva) Mentre Hanuman e Shiva sono i fondatori divini e filosofici, l’eroe epico Bhima, uno dei cinque fratelli Pandava del Mahabharata, è il “fondatore” della pratica combattiva stessa, la Malla-yuddha (l’antica lotta indiana, genitrice del Kushti).

Bhima è l’archetipo del praticante. La sua storia è un manuale di combattimento.

  • La Forza al Servizio del Dharma: Come Hanuman, Bhima è un devoto (in questo caso, di suo fratello maggiore Yudhishthira, il re del Dharma). La sua forza colossale (si dice avesse la forza di diecimila elefanti) è usata per proteggere la sua famiglia e ristabilire la giustizia.

  • L’Eroe Lottatore: La vita di Bhima è una serie di incontri di lotta. Egli fonda la tradizione del Pehlwan come protettore della gente comune, sconfiggendo demoni e tiranni in combattimenti corpo a corpo.

  • La Storia di Fondazione: Bhima vs. Jarasandha: Come menzionato nella sezione storica, questo duello è il testo fondativo della Malla-yuddha come arte marziale. Dura giorni, dimostra una tecnica immensa e, soprattutto, stabilisce un principio fondamentale: la forza bruta da sola non basta.

  • Bhimaseni Jati: Nei testi antichi come il Manasollasa, uno dei quattro stili di lotta codificati è chiamato “Bhimaseni”, lo stile basato sulla forza fisica pura e sulle proiezioni. Bhima è letteralmente il “fondatore” di uno stile di lotta.

Per il lottatore del Terai, Bhima è il fondatore della sua arte, Hanuman è il fondatore della sua anima e Shiva è il fondatore della sua disciplina.

Lord Krishna: Il Fondatore della Strategia (Dav-Pech) Infine, c’è Krishna. Se Bhima è la forza, Krishna (che agisce come consigliere e auriga dei Pandava) è l’intelligenza, la strategia, la tecnica.

Nella storia di Bhima e Jarasandha, Bhima è bloccato. Non riesce a vincere. È Krishna che, con un gesto sottile (spezzando un filo d’erba e lanciandolo in direzioni opposte), dà a Bhima la tecnica per vincere.

Krishna stesso è un lottatore, sconfiggendo il campione reale Chanura in un famoso incontro, usando agilità e tecnica superiore contro un avversario più grande.

Krishna, quindi, è il “fondatore” del Dav-Pech, l’arte della tecnica e della contro-tecnica, l’aspetto cerebrale del Kushti. Egli stabilisce il principio che l’intelligenza (Buddhi) deve sempre guidare la forza (Bal).


PARTE 2: I FONDATORI COLLETTIVI – L’USTAD E IL PARAMPARA

Se gli dei hanno rivelato l’arte, come è arrivata fino a un Akhara nel Terai nepalese? La risposta sta nel concetto di Guru-Shishya Parampara (la successione da maestro a discepolo).

Il Pehlwani è una tradizione, non una scrittura. Non si impara da un libro. Si impara da un corpo a un altro corpo, da un respiro a un altro respiro. Il vero “fondatore” del Pehlwani è questa catena ininterrotta di maestri e discepoli che risale, in teoria, fino agli eroi mitologici.

L’Ustad (Il Maestro): Il Fondatore Locale e Immediato Per un giovane discepolo (Pattha) che entra in un Akhara nel Terai, il suo Ustad (maestro) è il fondatore. Non è una figura metaforica. Egli è il creatore e il sovrano assoluto del suo mondo, l’Akhara. L’Ustad è un’istituzione, non solo una persona.

  1. Il Fondatore dell’Akhara: Spesso, l’Ustad è letteralmente il fondatore dell’Akhara fisico. Ha scelto il luogo (spesso vicino a un tempio di Hanuman), ha scavato la fossa, ha benedetto la terra (Mitti) per la prima volta e ha stabilito le regole. Egli è il “fondatore” di quella specifica scuola (Gharana o lignaggio).

  2. Il Fondatore del Lottatore: L’Ustad prende il materiale grezzo di un ragazzo di villaggio e lo “fonda” o “rifonde”. Il processo di allenamento estenuante (Vyayam) e la dieta rigorosa (Khurak) sono il fuoco della fornace, e l’Ustad è il fabbro. Egli non insegna solo a lottare; insegna come camminare, come parlare, come mangiare, come pensare. Egli fonda il carattere del Pehlwan.

  3. Il Depositario della Conoscenza: L’Ustad non inventa le tecniche. Egli è l’anello attuale di una catena. Ha ricevuto la conoscenza dal suo Ustad, che l’ha ricevuta dal suo Ustad, e così via. Egli è il depositario vivente del Gyaan (conoscenza) del suo lignaggio. È un fondatore nel senso che “fonda” (stabilisce) questa conoscenza antica nel corpo e nella mente del suo discepolo.

La “Storia del Fondatore” (L’Ustad) Ogni Akhara avrà una “storia del fondatore”, che è la biografia del suo Ustad principale o del fondatore del lignaggio. Questa storia, raccontata ai giovani discepoli, servirà da ispirazione.

Sarà una storia di disciplina incredibile (es. “Il nostro Ustad-ji si alzava alle 2 del mattino e faceva 5.000 Dand prima che il sole sorgesse”), di forza leggendaria (es. “Una volta ha sconfitto tre lottatori uno dopo l’altro nel Dangal di Janakpur”) e di devozione assoluta (es. “Non ha mai mancato un martedì di preghiera a Hanuman in quarant’anni”).

Questa biografia locale, e non un testo antico, è la “storia del fondatore” più importante per il praticante.

I Fondatori Anonimi (Le Generazioni) Dietro ogni Ustad ci sono migliaia di altri Ustad i cui nomi sono andati perduti nella storia. Questi sono i fondatori collettivi.

Ogni volta che un lottatore sconosciuto in un villaggio, secoli fa, ha scoperto un nuovo modo di sbilanciare un avversario, una nuova leva o una nuova variazione di un esercizio, ha “fondato” un pezzo dell’arte. Ogni Ustad che ha raffinato la dieta, o ha capito il modo migliore per curare un infortunio con oli ed erbe, è stato un co-fondatore.

Il Pehlwani è un’arte “open-source”, dove il “software” è stato scritto da milioni di utenti anonimi nel corso di migliaia di anni.


PARTE 3: I FONDATORI SINCRETICI – LA FUSIONE CHE HA CREATO IL “PEHLWANI”

Come spiegato nella sezione storica, il nome stesso dell’arte tradisce una fondazione non singola, ma sincretica. L’arte che conosciamo non è pura Malla-yuddha. È una fusione. Pertanto, dobbiamo guardare ai “fondatori” dell’altra metà della sua eredità.

L’Influenza Persiana: La Tradizione dello Zourkhaneh Quando i conquistatori turco-persiani portarono la loro cultura nel subcontinente, portarono la Koshti-ye Pahlavani, praticata nelle Zourkhaneh (“Case della Forza”). Questa tradizione aveva i suoi fondatori archetipici.

Pourya-ye Vali (Pahlavan-e Bozorg): Il “Gama” Persiano Il “fondatore” leggendario o, per meglio dire, l’eroe archetipico della tradizione Pahlavani persiana è Pourya-ye Vali (morto nel 1322). Era un lottatore, un poeta e un mistico Sufi.

La sua “storia del fondatore” è parallela a quella di Hanuman. La leggenda più famosa narra che, prima di un incontro importante, sentì la madre del suo avversario pregare Dio per la vittoria del figlio, poiché il premio in denaro era l’unica cosa che poteva salvare la sua famiglia dalla rovina. Il giorno seguente, Pourya-ye Vali, l’invincibile campione, scelse di perdere l’incontro per permettere al suo avversario di aiutare la sua famiglia.

Questo atto “fondò” il codice cavalleresco (Javanmardi) e l’etica Sufi nel cuore della lotta persiana: la vera forza risiede nell’autocontrollo, nella compassione e nella sottomissione dell’ego, anche a costo della vittoria pubblica.

L’Importanza di questa Fusione Quando la tradizione indù (basata su Hanuman e l’umiltà devozionale) incontrò la tradizione persiana (basata su Pourya-ye Vali e l’umiltà cavalleresca), le due filosofie si riconobbero e si rafforzarono a vicenda.

Inoltre, i persiani portarono una terminologia che “fondò” il lessico moderno dell’arte:

  • Pehlwan: Dal persiano Pahlavan (eroe, campione).

  • Kushti: Dal persiano Koshti (lotta).

  • Ustad: Dal persiano Ustad (maestro).

  • Akhara: Sebbene sia una parola sanscrita (Akshata), la sua forma moderna e il suo utilizzo sono stati standardizzati in questo periodo di fusione, parallelamente allo Zourkhaneh.

I Sultani Mughal (come Akbar) furono i “fondatori” di questo sincretismo. Agirono come catalizzatori, patrocinando incontri tra maestri indiani e persiani, costringendoli a imparare gli uni dagli altri e, di fatto, “fondando” questa nuova arte ibrida che oggi chiamiamo Pehlwani.


PARTE 4: I FONDATORI DEL PATROCINIO – I CREATORI DELL'”ETÀ D’ORO”

Un’arte non può prosperare senza un ecosistema. Se gli dei hanno fondato la filosofia e gli Ustad hanno fondato i lignaggi, furono i re e i Maharaja a “fondare” l’infrastruttura professionale che ha permesso al Pehlwani di raggiungere il suo apice.

Senza questi patroni, il Pehlwani sarebbe rimasto probabilmente un insieme di stili di lotta popolari rurali, non l’arte altamente sofisticata e professionalizzata che è diventata.

I Maharaja Indiani: Fondatori della Professionalizzazione Figure come Shahu Chhatrapati (Maharaja di Kolhapur) e i Maharaja di Patiala, Baroda e Mysore non erano solo “sponsor”. Erano “fondatori” dell’Età d’Oro.

  • Hanno fondato l’Economia della Lotta: Hanno offerto stipendi, terre e premi immensi. Hanno trasformato i Pehlwan da eroi locali part-time ad atleti professionisti a tempo pieno.

  • Hanno fondato la “Scienza” del Pehlwani: È stato il loro denaro a finanziare le diete leggendarie (litri di latte, chili di ghee e mandorle). Questo livello di nutrimento ipercalorico, e la forza che ne derivava, non sarebbe stato possibile per un contadino. Hanno fondato il lato metabolico e nutrizionale dell’arte come la conosciamo.

  • Hanno fondato l’Infrastruttura Competitiva: Hanno costruito Akhara palaziali e hanno ospitato i tornei più grandi e prestigiosi, creando un “circuito” professionistico.

La Dinastia Rana in Nepal: I Fondatori del Prestigio Nepalese Allo stesso modo, in Nepal, la dinastia Rana (1846-1951) ha “fondato” lo status del Pehlwani nel regno. Invitando i migliori lottatori indiani a Kathmandu e reclutando i più forti Pehlwan dal Terai per la loro guardia personale, hanno creato un percorso di carriera e un simbolo di prestigio.

Hanno “fondato” la connessione vitale tra gli Akhara rurali del Terai e il centro del potere nazionale. Un Pehlwan del Terai ora non si allenava solo per il Dangal del suo villaggio, ma per la possibilità di essere notato dai Rana e portato a corte. Questo ha innalzato il livello e l’importanza dell’arte in tutta la regione.


PARTE 5: IL “FONDATORE MODERNO” – GAMA IL GRANDE COME DEFINITORE DELL’ARTE

Sebbene non abbia “inventato” l’arte, c’è una figura che si erge così in alto da essere considerata, nella mente popolare, il “fondatore” dell’era moderna del Pehlwani. Questa figura è Gama il Grande (Ghulam Mohammad Baksh Butt).

Gama non ha fondato il Pehlwani, ma lo ha definito. Egli è l’incarnazione storica perfetta di tutti gli ideali mitologici.

La “Storia del Fondatore” (Gama) La storia di Gama è il vangelo del Pehlwani moderno. Ogni Pehlwan nel Terai conosce queste storie.

  • La Fondazione della Disciplina: La sua leggendaria routine di allenamento (migliaia di Dand e Baithak al giorno) è diventata il benchmark fondativo, il “programma” che tutti cercano di emulare.

  • La Fondazione dell’Invincibilità: Gama è rimasto imbattuto in una carriera di 50 anni. Egli è la prova storica che il sistema Pehlwani funziona.

  • La Fondazione del Prestigio Globale: Il suo viaggio in Inghilterra nel 1910 e la sua sottomissione di fatto del campione occidentale Stanislaus Zbyszko sono l’evento fondativo del prestigio moderno del Pehlwani. Gama ha “fondato” la reputazione del Pehlwani come il sistema di grappling più efficace al mondo, in un’epoca di fervore nazionalistico e anticoloniale. Ha dimostrato che l’arte indigena era superiore a quella degli imperi occidentali.

Per un giovane lottatore di oggi, Bhima è troppo lontano, e l’Ustad locale potrebbe non avere la fama. Ma Gama è una figura storica, reale, la cui vita è la prova che un Pehlwani può diventare il Rustam-i-Zamana (Campione dell’Universo). In questo senso, Gama ha “rifondato” l’arte per il XX e XXI secolo, diventando il suo simbolo supremo e, nella mente popolare, il suo fondatore de facto.


Conclusione: Il Fondatore Vivente

Torniamo alla domanda iniziale: chi è il fondatore del Pehlwani praticato nel Terai?

La risposta è un paradosso: non c’è nessun fondatore, eppure il fondatore è ovunque.

  • Il fondatore è Hanuman, la cui immagine benedice l’Akhara e la cui filosofia del Brahmacharya riempie i polmoni del lottatore.

  • Il fondatore è Bhima, il cui spirito eroico si manifesta in ogni proiezione (Dav).

  • Il fondatore è l’Ustad, la cui voce comanda ogni movimento e la cui mano guida la formazione del carattere del discepolo.

  • Il fondatore è Gama, il cui regime di allenamento è la “bibbia” quotidiana della fatica.

  • Il fondatore è la catena di maestri anonimi (il Parampara), i cui sacrifici e la cui saggezza collettiva sono incorporati in ogni singola tecnica.

Il Pehlwani non è un’arte con un fondatore morto; è una tradizione con fondatori viventi. Il fondatore è l’Akhara stesso, la terra sacra che modella il corpo. Il fondatore è il Dharma (il codice etico) che modella la mente. Per il Pehlwan nel Terai, il fondatore non è una persona in un libro di storia; è il sistema totale e olistico in cui immerge la sua vita, ogni singolo giorno prima dell’alba.

MAESTRI/ATLETI FAMOSI DI QUEST'ARTE

L’Architettura della Fama nel Pehlwani

Parlare di “maestri e atleti famosi” nel contesto del Pehlwani (o Kushti) richiede una ridefinizione del concetto stesso di “fama”. In un’epoca dominata dai media digitali, la fama è spesso sinonimo di visibilità, contratti pubblicitari e numero di follower. Nel mondo tradizionale dell’Akhara (l’arena di terra), e in particolare nel contesto culturale del Terai nepalese, la fama è un concetto molto più profondo, quasi sacro. È l’Izzat (onore), una reputazione forgiata nel fango e nel sudore, costruita su fondamenta di disciplina morale, potenza fisica e fedeltà a un lignaggio.

La fama nel Pehlwani si divide in due categorie distinte, sebbene interconnesse: la fama dell’Ustad (il Maestro) e la fama del Pehlwan (l’Atleta).

  • La fama dell’Ustad non si misura dalle sue vittorie passate, ma dalla qualità dei discepoli (Shishya) che produce. È una fama basata sulla saggezza (Gyaan), sulla padronanza delle tecniche (Dav-Pech) e sulla sua autorità morale e spirituale. Un Ustad è famoso perché il suo lignaggio (Parampara) è considerato puro e potente.

  • La fama del Pehlwan è più visibile. Si guadagna sul campo, nel Dangal (il torneo). È una fama costruita sulla sua imbattibilità, sulla sua forza quasi sovrumana (derivata dalla Tapasya e dal Brahmacharya), e sulla sua capacità di difendere l’onore del proprio Ustad e del proprio villaggio.

Nel Terai, questa fama è spesso locale, ma intensamente sentita. Il campione del Dangal di Janakpur o di Biratnagar è un eroe per la sua comunità, una celebrità più grande di qualsiasi star del cinema.

Tuttavia, l’ecosistema del Pehlwani, storicamente, non è mai stato isolato. Il Terai faceva parte di un vasto “circuito” che copriva l’intero subcontinente indiano. I grandi maestri e atleti del Punjab, dell’Uttar Pradesh o del Pakistan non erano figure aliene; erano le leggende supreme, gli dèi del pantheon i cui racconti e le cui imprese definivano l’arte stessa. Le loro storie venivano raccontate in ogni Akhara del Terai, ispirando ogni giovane Pattha (discepolo) che zappava la terra all’alba.

Per comprendere appieno chi sono le figure famose, dobbiamo quindi esplorare questo pantheon, partendo dagli dèi immortali dell’Età d’Oro fino ad arrivare agli eroi locali e non celebrati del Terai.


PARTE 1: IL TITANO INSORMONTABILE – L’ARCHETIPO DI TUTTI GLI ATLETI

Non si può iniziare nessuna discussione sui Pehlwan famosi senza prima analizzare l’uomo che è diventato un mito vivente, l’atleta che definisce l’apice assoluto della forza e dell’abilità nel Pehlwani, la cui leggenda è il vangelo in ogni Akhara del pianeta, incluso ogni singolo Akhara del Terai: Gama il Grande.

Gama il Grande (Ghulam Mohammad Baksh Butt, 1878-1960)

Gama non era semplicemente un atleta famoso; era, ed è tuttora, l’incarnazione del Pehlwan perfetto. La sua vita non è solo una biografia; è un testo sacro sulla disciplina, sulla forza e sull’onore. Noto come Rustam-i-Zamana (Campione dell’Universo), Gama rimase imbattuto in una carriera che si estese per oltre cinquant’anni.

Le Origini e l’Ascesa del “Leone del Punjab” Nato ad Amritsar, nel Punjab (allora India Britannica), in una famiglia di lottatori leggendari (i Butt del Kashmir), Gama fu iniziato alla lotta in tenera età. Orfano di padre (un famoso lottatore), fu preso sotto l’ala del Maharaja di Patiala, uno dei più grandi mecenati del Pehlwani dell’Età d’Oro.

La sua fama iniziò quando era ancora un adolescente. Il Maharaja di Jodhpur indisse un torneo di strongman e lotta. La prova più estenuante era una gara di Baithak (squat). Gama, un ragazzo sconosciuto, si unì a centinaia di lottatori affermati. Uno dopo l’altro, gli uomini crollarono per la fatica. Gama continuò. Per ore. La leggenda dice che eseguì tra gli 8.000 e i 10.000 Baithak prima che i giudici, sbalorditi ed esausti, lo dichiarassero vincitore. Fu immediatamente riconosciuto come un prodigio.

Il Regime di Allenamento: La Fondazione della Leggenda La fama di Gama non derivava solo dalle sue vittorie, ma dal suo quasi disumano regime di allenamento (Vyayam), che divenne il modello per tutti i futuri Pehlwan.

  • Condizionamento: La sua giornata iniziava alle 3 del mattino. La sua routine quotidiana consisteva in 5.000 Baithak (squat) e 3.000 Dand (flessioni indiane). Eseguiva questi esercizi non in serie, ma in un flusso ritmico e continuo che durava ore.

  • Allenamento con Attrezzi: Si allenava con una Gada (mazza) di 100 kg. La sua Jori (clave) pesava decine di chili per pezzo.

  • La Pietra di Gama: La sua impresa di forza più nota avvenne a Baroda. Si dice che abbia sollevato una pietra, che richiedeva una dozzina di uomini per essere mossa, e l’abbia portata sulle spalle per una breve distanza. Quella pietra pesa circa 1200 kg ed è tuttora esposta al Museo di Baroda come testimonianza della sua forza.

  • Sparring (Jor): Lottava con 30-40 dei migliori lottatori del suo Akhara ogni singolo giorno, uno dopo l’altro, per affinare la sua tecnica e la sua resistenza.

La Dieta (Khurak) Questa Tapasya era alimentata da una dieta altrettanto leggendaria, pagata dal Maharaja:

  • Latticini: Si dice che bevesse dieci litri di latte al giorno, mescolati con quasi un chilo di ghee (burro chiarificato).

  • Proteine e Grassi: La sua bevanda Thandai (o Sardai) era preparata con quasi un chilo di mandorle tritate.

  • Carne: A differenza di molti Pehlwan indù che erano vegetariani, Gama (musulmano) integrava con brodi di carne e diversi polli.

Era un regime metabolico che avrebbe ucciso un uomo normale, ma che, combinato con il suo allenamento, lo trasformò in un motore di potenza.

La Conquista dell’India: La Rivalità con Raheem Bakhsh Sultaniwala Prima di conquistare il mondo, Gama doveva conquistare l’India. Il suo unico, vero rivale in patria era Raheem Bakhsh Sultaniwala, un gigante di quasi 2,10 metri. Gama era alto solo 1,70 metri.

I loro incontri sono l’apice della storia del Pehlwani indiano. Si scontrarono quattro volte in incontri epici che durarono ore. Il primo incontro fu un pareggio dopo ore di lotta estenuante. Negli incontri successivi, Gama, il lottatore più basso ma più forte e meglio condizionato, iniziò a dominare. L’ultimo incontro, nel 1910, consacrò Gama come l’indiscusso Rustam-i-Hind (Campione dell’India).

La Conquista del Mondo: Londra, 1910 Nel 1910, Gama e suo fratello minore, Imam Bakhsh, finanziati da un ricco mecenate, salparono per Londra per sfidare i campioni occidentali di lotta Grecoromana e Catch-as-catch-can.

All’arrivo, la loro fama fu derisa. A causa della loro bassa statura, gli organizzatori del torneo “John Bull Belt” (il campionato mondiale non ufficiale) rifiutarono di farli entrare. Un Gama furioso lanciò una sfida aperta e teatrale alla stampa: “Sconfiggerò qualsiasi lottatore del mondo, di qualsiasi peso. Se nessuno accetterà, sconfiggerò 20 lottatori inglesi in un giorno. Se ancora nessuno accetterà, tornerò a casa portandomi via la cintura di campione, poiché nessuno ha avuto il coraggio di affrontarmi.”

  • L’Incontro con Stanislaus Zbyszko: L’unico campione ad accettare la sfida fu il polacco Stanislaus Zbyszko, all’epoca considerato il più grande lottatore d’Europa, un maestro della lotta Grecoromana. L’incontro, tenutosi il 10 settembre 1910, è forse il momento più famoso nella storia della lotta.

    • La Tattica: Zbyszko, consapevole della potenza esplosiva di Gama, adottò una tattica puramente difensiva. Per due ore e trentacinque minuti, Zbyszko rimase a pancia in giù sul tappeto, usando il suo peso e la sua conoscenza della Grecoromana per impedire a Gama di girarlo e schienarlo.

    • Il Risultato: Gama dominò l’incontro, mantenendo Zbyszko sulla difensiva per tutto il tempo, ma non riuscì a ottenere lo schienamento. L’incontro fu dichiarato pareggio per noia e per il sopraggiungere dell’oscurità.

    • La Fuga: La rivincita fu fissata per la settimana successiva. All’ora stabilita, Gama si presentò, ma Zbyszko non si presentò, fuggendo di fatto dall’incontro. Gama fu dichiarato vincitore per forfait e gli fu assegnata la “John Bull Belt”.

  • La Fama Globale: Gama divenne una celebrità mondiale. Il “piccolo” lottatore indiano aveva umiliato il più grande campione europeo. Sconfisse facilmente gli altri lottatori che osarono affrontarlo (come l’americano “Doc” Benjamin Roller) in pochi minuti. Tornò in India non solo come Campione del Mondo, ma come un eroe anticoloniale, un simbolo che la forza e la virtù indiane erano superiori a quelle dei colonizzatori occidentali.

La Rivincita e la Fine della Carriera La fama di Gama era così assoluta che nessuno osava più sfidarlo. Per anni, attese una vera sfida. Nel 1928, il Maharaja di Patiala organizzò finalmente la tanto attesa rivincita con Zbyszko in India.

L’incontro fu una farsa. Un Gama di 50 anni, ancora all’apice della sua forza, affrontò un Zbyszko ormai invecchiato. Gama atterrò il polacco e lo schienò in meno di un minuto.

L’Eredità di Gama Gama si ritirò imbattuto. La sua eredità è immensa.

  • Eroe Culturale: La Partizione del 1947 fu una tragedia per lui. Musulmano, scelse di trasferirsi a Lahore, in Pakistan. Durante le violenze settarie, usò la sua fama e la sua forza per proteggere i suoi vicini indù, salvando centinaia di vite.

  • Influenza Globale: L’allenamento di Gama influenzò persino Bruce Lee. Lee era un avido studente dei metodi di condizionamento di Gama, in particolare i Dand e i Baithak, che incorporò nel suo regime di Jeet Kune Do, citando Gama come un esempio di forza funzionale.

  • L’Ideale del Terai: Per un Pehlwan nel Terai, la storia di Gama non è solo una storia. È la prova che il sistema funziona. È la prova che un uomo del subcontinente, attraverso la Tapasya, il Brahmacharya e la devozione al proprio Ustad, può conquistare il mondo intero.


PARTE 2: I PILASTRI DELL’ETÀ D’ORO – I GRANDI RIVALI E CONTEMPORANEI

Gama non era solo. La sua grandezza fu amplificata dalla qualità dei maestri e dei rivali che lo circondavano.

Raheem Bakhsh Sultaniwala (Il Gigante) Non si può capire la fama di Gama senza capire quella del suo più grande rivale. Raheem Bakhsh era l’opposto fisico di Gama: un gigante di quasi 2 metri e 10, con un’apertura alare immensa. Anche lui era un lottatore fenomenale e, per un certo periodo, il Rustam-i-Hind in carica.

I loro incontri non erano solo scontri di forza, ma di stili. La forza bruta e la portata di Raheem contro la potenza compatta, la tecnica superiore e la resistenza disumana di Gama. Il fatto che Gama, 40 cm più basso, sia riuscito a sconfiggere questo gigante, ha cementato la sua leggenda. Raheem è famoso per essere stato l’unico uomo che abbia mai veramente messo in difficoltà Gama sul suolo indiano.

Imam Bakhsh Pehlwan (Il Genio Tecnico) Il fratello minore di Gama, Imam Bakhsh, è spesso considerato dai puristi il lottatore tecnicamente più dotato della famiglia, forse anche più di Gama stesso. Dove Gama era potenza e condizionamento, Imam era fluidità, strategia e Dav-Pech (tecnica e contro-tecnica).

Anche lui viaggiò a Londra con Gama e sconfisse campioni europei. La sua fama in India era pari a quella del fratello. Mentre Gama era il Rustam-i-Zamana (Campione dell’Universo), Imam Bakhsh era il Rustam-i-Hind (Campione dell’India) indiscusso del suo tempo. La sua linea di sangue, e quella di suo nipote, continuò la tradizione in Pakistan.

I Grandi Ustad (Maestri) dell’Epoca Dietro questi atleti leggendari c’erano maestri la cui fama era forse meno pubblica, ma più profonda all’interno della comunità del Pehlwani.

  • Ustad Ida Pehlwan: Il padre di Gama, un lottatore famoso la cui morte prematura spinse Gama e Imam Bakhsh sotto il patrocinio del Maharaja.

  • Khalifa Mian Muhammad Baksh: Il patriarca della famiglia di lottatori “Gama” di Amritsar, che supervisionò l’addestramento dei giovani.

  • Gli Ustad Anonimi: Ogni grande lottatore era il prodotto di un Akhara. I maestri che gestivano gli Akhara di Patiala, Lahore, Kolhapur e Baroda erano le fondamenta dell’Età d’Oro. Erano famosi per la loro capacità di “leggere” il corpo di un discepolo, di prescrivere diete e allenamenti specifici, e di custodire le tecniche segrete del loro lignaggio.


PARTE 3: IL PONTE VERSO LA MODERNITÀ E LA CULTURA POPOLARE

L’Età d’Oro, definita dal patrocinio dei Maharaja e da figure come Gama, terminò bruscamente con la Partizione (1947) e la fine degli stati principeschi. L’ecosistema che sosteneva il Pehlwan a tempo pieno collassò. La fama dovette trovare nuove strade.

Dara Singh (1928-2012): Il Pehlwan come Eroe Popolare

Se Gama fu l’eroe dell’era anticoloniale, Dara Singh fu l’eroe dell’era post-coloniale. Fu l’atleta che traghettò l’immagine del Pehlwan dall’Akhara di terra allo schermo d’argento, diventando una delle icone culturali più amate dell’India.

Dall’Akhara al Ring Professionistico Nato nel Punjab, Dara Singh era un Pehlwan tradizionale di talento, allenato nella Mitti (terra). Capì presto, però, che il patrocinio dei Maharaja era finito. Emigrò a Singapore e iniziò a competere nel circuito del wrestling professionistico (stile occidentale, predeterminato), che era visto con disprezzo dai puristi del Kushti, ma che pagava molto bene.

La sua forza e il suo fisico, costruiti con i Dand, i Baithak e la dieta Pehlwani, lo resero una star internazionale. Divenne Campione del Commonwealth e sconfisse leggende del pro-wrestling come Lou Thesz e “King Kong” (Emile Czaja).

Il Ritorno in India e la Nascita di un’Icona del Cinema Dara Singh tornò in India non solo come un atleta ricco, ma come una superstar. Iniziò una carriera cinematografica prolificissima, recitando in oltre 140 film.

In questi film, non interpretava personaggi complessi. Interpretava sé stesso: l’eroe virtuoso e imbattibile. Spesso, i suoi film erano “stunt-film” (film d’azione di serie B) dove sconfiggeva da solo eserciti di cattivi. Divenne il simbolo della mascolinità ideale indiana: forte, protettivo, giusto e umile.

Dara Singh come Lord Hanuman: La Consacrazione La sua fama raggiunse l’apice negli anni ’80, quando fu scelto per interpretare il ruolo di Lord Hanuman nella serie televisiva epica Ramayan di Ramanand Sagar.

Questa non fu una semplice parte. Fu una rivelazione culturale. Per milioni di indiani (e nepalesi nel Terai, dove la serie fu immensamente popolare), Dara Singh divenne Hanuman. Il suo fisico potente, la sua espressione gentile e devota, e la sua reputazione personale di uomo pio, che non beveva né fumava, lo resero l’incarnazione perfetta del dio-patrono dei Pehlwan.

  • L’Impatto Culturale: Dara Singh ha fatto per l’immagine popolare del Pehlwani più di chiunque altro. Ha associato indissolubilmente il lottatore non solo alla forza, ma anche alla virtù, alla devozione (Bhakti) e alla protezione dei deboli.

  • L’Eredità Ambivalente: I puristi del Kushti storcono il naso. Sostengono che Dara Singh abbia “venduto” l’arte, trasformando una Sadhana (disciplina spirituale) in un Tamasha (spettacolo, intrattenimento). Ma per il pubblico di massa, egli ha reso l’ideale del Pehlwan accessibile e amato da tutti. La sua fama è, in termini di portata, ineguagliata.


PARTE 4: EREDI DELLE DUE NAZIONI (INDIA E PAKISTAN)

Dopo la Partizione, i lignaggi si divisero. L’eredità di Gama andò in Pakistan, mentre l’India dovette ricostruire la sua.

I Bholu Brothers (Pakistan) La fama in Pakistan fu dominata dai Bholu Brothers, i nipoti di Gama il Grande e i figli di Imam Bakhsh.

  • Bholu Pehlwan (Haji Manzoor Hussain): Il maggiore, fu designato come erede di Gama. Ereditò il titolo di Rustam-i-Zamana e divenne il campione indiscusso del Pakistan per decenni.

  • Aslam Pehlwan: Forse il più famoso a livello internazionale dei fratelli. Era noto per la sua aggressività e la sua abilità. Viaggiò molto, sconfiggendo campioni in tutto il mondo.

  • L’Importanza per il Terai: Figure come Aslam Pehlwan sono rilevanti per la storia del Terai. Il circuito dei Dangal, sebbene ostacolato dalla politica, non si fermò mai del tutto. I lottatori pakistani, specialmente quelli delle regioni di confine, viaggiavano per competere nei grandi Dangal del nord India e, occasionalmente, venivano invitati in Nepal, specialmente nel Terai, per sfidare i campioni locali in eventi di alto profilo. La fama di Aslam era ben nota negli Akhara del Terai.

I Maestri dell’India Moderna: Chandgi Ram e Guru Hanuman

In India, la fama si spostò verso coloro che seppero adattarsi.

  • Guru Hanuman (1901-1999): Non fu un grande atleta campione, ma fu forse il più grande Ustad del XX secolo in India. Il suo Akhara a Delhi (il Guru Hanuman Akhara) divenne la fucina di campioni dell’India.

    • Il Ponte verso il Mat: Guru Hanuman fu un tradizionalista pragmatico. Capì che il futuro economico dei suoi lottatori risiedeva nella lotta olimpica sul Mat (materassino).

    • La Fama come Maestro: La sua fama deriva dall’aver prodotto decine di campioni nazionali, vincitori dei Giochi Asiatici e lottatori olimpici, il tutto mantenendo la disciplina etica e l’allenamento di base (Dand, Baithak) del Pehlwani tradizionale.

  • Chandgi Ram (1937-2010): Conosciuto come Hind Kesari (Leone dell’India), fu un allievo di Guru Hanuman e un Pehlwan tradizionale di grande successo.

    • La Fama del Riformatore: Divenne famoso non solo per le sue vittorie, ma per i suoi sforzi di riformare l’arte. Fu un pioniere nell’introdurre le donne alla lotta, un atto quasi eretico per i puristi dell’Akhara (che è tradizionalmente uno spazio maschile e celibe).

Gli Eroi Olimpici (Il Prodotto Moderno dell’Akhara) Nell’era contemporanea, la fama dei lottatori del subcontinente è quasi esclusivamente legata alle medaglie olimpiche. Figure come Sushil Kumar (due medaglie olimpiche) e Yogeshwar Dutt (medaglia di bronzo) sono eroi nazionali in India.

La loro fama è rilevante perché entrambi sono prodotti dell’Akhara. Sono cresciuti allenandosi sulla Mitti, eseguendo Dand e Baithak e vivendo secondo la disciplina del Pehlwani, prima di trasferire le loro abilità sul Mat olimpico. Dimostrano la continua rilevanza del sistema di allenamento tradizionale.


PARTE 5: MAESTRI E ATLETI NEL CONTESTO SPECIFICO DEL TERAI NEPALESE

Questa è la parte più complessa della storia, poiché la fama nel Terai è, per sua natura, locale e raramente documentata in fonti internazionali o persino nazionali.

La Sfida della Documentazione: Fama Orale vs. Fama Scritta Non troveremo biografie scritte dei grandi Ustad di Birgunj o dei campioni di Janakpur del XIX secolo. La loro fama è orale. È conservata nelle storie raccontate nei mela (festival), nei nomi dei loro Akhara e nei lignaggi dei loro discepoli.

In questa regione, i “famosi” non sono necessariamente quelli che hanno vinto a Londra (come Gama), ma quelli che hanno vinto localmente, nel Dangal più importante del villaggio o della regione.

Archetipi di Fama nel Terai

Possiamo identificare diversi tipi di maestri e atleti famosi nel contesto del Terai:

1. L’Eroe Storico: Il Lottatore di Corte dei Rana Come discusso nella sezione storica, durante la dinastia Rana (1846-1951), i Primi Ministri a Kathmandu erano grandi mecenati della lotta. Reclutavano attivamente i Pehlwan più forti dai loro domini.

Un atleta del Terai che veniva notato per la sua forza in un Dangal locale poteva essere “chiamato” a Kathmandu. Se vinceva nei tornei di corte (spesso tenuti a Tundikhel), diventava una celebrità nazionale.

  • Ruolo: Serviva come guardia del corpo d’élite per il Maharaja Rana, un simbolo vivente della potenza del regime.

  • Fama: La sua fama era immensa, ma legata al patrocinio. Otteneva terra, titoli e uno stipendio. Era l’equivalente nepalese dei lottatori di corte di Patiala. Sebbene i loro nomi specifici siano in gran parte persi nei registri storici, la loro figura è una parte fondamentale della storia della fama nel Terai.

2. L’Eroe Locale: Il Campione del Dangal (Il “Rustam-i-Terai”) Questa è la forma più pura di fama nel Terai oggi. Ogni Mela (fiera religiosa), specialmente in città come Janakpur (per il Vivah Panchami), Biratnagar, Nepalgunj o durante lo Shivaratri in tutto il Terai, ospita un grande Dangal.

  • Come si diventa Famosi: La fama si costruisce sconfiggendo tutti gli sfidanti. Un Pehlwan di un piccolo villaggio viaggia fino al Dangal e lancia una sfida. Se sconfigge i campioni locali, il suo nome riecheggia.

  • Il Premio: I premi sono significativi per l’economia locale: una motocicletta, un bufalo d’acqua, una mazza d’argento (Gurj) o una grossa somma di denaro raccolta tra gli spettatori.

  • La Fama: Il vincitore del Dangal di Janakpur non riceve un contratto mediatico, ma riceve Izzat (onore) per il suo villaggio e per il suo Ustad. Diventa una leggenda locale, un uomo la cui forza è discussa per generazioni. È a lui che la gente si rivolge per risolvere le dispute. È il protettore della comunità.

3. L’Ustad del Terai: Il Fondatore di Lignaggio Locale Forse le figure più importanti, ma meno visibili, sono i grandi maestri (Ustad o Guru) che gestiscono gli Akhara nel Terai.

  • La Loro Fama: Un Ustad a, per esempio, Birgunj, può essere famoso in tutta la regione non per i combattimenti che ha fatto da giovane, ma perché il suo Akhara è conosciuto per produrre i lottatori più forti, disciplinati e temuti.

  • Il Lignaggio: La sua fama è legata al suo Parampara. Potrebbe dire: “Il mio Ustad ha imparato dal discepolo di un lottatore che una volta ha combattuto contro un allievo di Imam Bakhsh”. Questa connessione, anche se tenue, a un lignaggio leggendario gli conferisce un’immensa autorità.

  • L’Eroe non Celebrato: Questi Ustad sono i veri custodi della tradizione Pehlwani nel Terai. Spesso vivono in povertà, sostenendo l’Akhara con donazioni locali e la Seva (servizio) dei loro discepoli. La loro fama è la sopravvivenza stessa dell’arte.

Figure Specifiche e il Contesto Moderno Nepalese Mentre i campioni Mitti (terra) del Terai rimangono in gran parte anonimi a livello internazionale, il Nepal ha prodotto lottatori di fama nazionale nel circuito Mat (olimpico), molti dei quali hanno iniziato la loro carriera negli Akhara del Terai.

La Nepal Wrestling Association (NWA) tenta di governare questo sport. Atleti che competono nei South Asian Games (Giochi dell’Asia meridionale) ottengono fama nazionale.

  • Esempio di Fama Moderna: Un lottatore che inizia in un Akhara del Terai, passa al Mat a causa delle opportunità economiche, e vince una medaglia per il Nepal ai South Asian Games, diventa un eroe nazionale. Rappresenta il percorso di carriera moderno per un Pehlwan del Terai.

  • Nomi come: (I nomi specifici cambiano rapidamente), ma atleti come Yagya Raj Bohara o altri che hanno rappresentato il Nepal in eventi internazionali, spesso provengono dalle regioni del Terai o dalle colline occidentali, dove la cultura della lotta (sia Kushti che stili locali) è forte.

La loro fama, tuttavia, è diversa. È una fama sportiva, gestita da una federazione, non la fama tradizionale e olistica del Pehlwan che vince il Dangal.


Conclusione: Lo Spettro della Fama

I maestri e gli atleti famosi del Pehlwani, la cui influenza si estende fino agli Akhara del Terai, esistono su uno spettro magnifico.

All’apice c’è la figura mitologica di Gama il Grande, il Rustam-i-Zamana, il cui allenamento e la cui vita definiscono l’obiettivo ultimo dell’arte. La sua è una fama globale e immortale.

Poco sotto ci sono i suoi contemporanei, i giganti come Raheem Bakhsh e Imam Bakhsh, che hanno definito l’Età d’Oro.

Poi c’è Dara Singh, l’eroe popolare, che ha portato l’immagine del Pehlwan virtuoso (e la forma di Hanuman) nelle case di milioni di persone, trasformando la fama da onore d’élite a celebrità di massa.

Infine, e forse più importante per la sopravvivenza quotidiana dell’arte, ci sono gli eroi non celebrati del Terai nepalese. C’è l’Ustad locale, che vive in povertà ma custodisce un lignaggio secolare. E c’è il campione del Dangal locale, un contadino o un negoziante che, per un giorno, sconfigge tutti gli sfidanti, vince una motocicletta e diventa, per il suo villaggio, l’incarnazione vivente di Gama il Grande.

La fama nel Pehlwani non è una singola vetta; è una catena montuosa, e ognuna di queste figure ne rappresenta una cima essenziale.

LEGGENDE, CURIOSITÀ, STORIE E ANEDDOTI

Il Vangelo Orale dell’Akhara

Il Pehlwani (o Kushti) non è un’arte che si apprende dai libri. Non esistono manuali d’istruzione antichi che un discepolo studia. Il vero testo sacro di questa disciplina è un vangelo orale, un corpus di storie, aneddoti e curiosità tramandate da Ustad (maestro) a Shishya (discepolo) nel recinto sacro dell’Akhara (l’arena di terra).

Queste narrazioni, nel loro insieme, sono molto più che semplice intrattenimento. Sono il principale veicolo pedagogico, etico e filosofico dell’arte. Sono parabole che illustrano i pilastri della disciplina: la Tapasya (austerità), il Brahmacharya (celibato/controllo), la Bhakti (devozione) e il Dharma (dovere morale).

Nella regione del Terai nepalese, un’area intrisa di spiritualità e folklore, al confine con il cuore pulsante dell’India da cui queste storie provengono, questo vangelo orale ha un’importanza ancora maggiore. Raccontare la storia di Gama il Grande che solleva una pietra da 1200 kg non è un “fun fact”; è un modo per insegnare il potenziale ultimo della forza umana. Raccontare di come Hanuman abbia servito Rama è un modo per insegnare l’umiltà (Vinamrata).

Queste leggende, curiosità e aneddoti non sono appendici all’arte; sono l’arte stessa, nella sua forma narrata. Esplorarle significa aprire il vero libro di testo del Pehlwan.


PARTE 1: LE LEGGENDE FONTE – GLI ANEDDOTI DEGLI DEI E DEGLI EROI

La legittimità del Kushti si fonda su storie che provengono direttamente dai poemi epici, i quali, nel Terai (specialmente vicino a luoghi sacri come Janakpur, la patria mitologica di Sita), non sono miti, ma storia.

L’Aneddoto di Bhima e Jarasandha: La Lezione sulla Tecnica (Dav-Pech) La storia più importante del Mahabharata per un lottatore non è la guerra, ma il duello. È l’aneddoto che insegna che la forza bruta (Bal) è inutile se non guidata dall’intelligenza (Buddhi).

  • La Storia: Jarasandha, il re di Magadha (una regione vicina al Terai), era un tiranno immensamente potente, benedetto da un boon (dono divino) che lo rendeva invincibile. Il suo corpo era stato diviso a metà alla nascita e poi ricongiunto magicamente. Di conseguenza, ogni volta che veniva ferito o smembrato, il suo corpo si ricomponeva istantaneamente.

  • Lo Stallo: L’eroe Bhima, l’incarnazione della forza dei Pandava, sfida Jarasandha in un incontro di Malla-yuddha (l’antica lotta) per liberare i re prigionieri. L’incontro è brutale. Dura per tredici giorni e tredici notti. I due sono perfettamente appaiati in forza. Bhima, frustrato, solleva Jarasandha, lo spezza in due sulla sua schiena e lo getta a terra, solo per vederlo ricomporsi.

  • L’Intervento di Krishna: Lord Krishna, l’avatar di Vishnu e il cervello strategico, osserva l’incontro. Vede la frustrazione di Bhima. Per insegnargli la lezione, Krishna non dice una parola. Raccoglie un filo d’erba, lo spezza in due e lancia le due metà in direzioni opposte, l’una alla sua destra e l’una alla sua sinistra.

  • La Lezione: Bhima, sebbene noto per la sua forza e il suo appetito, è anche un devoto e comprende il suggerimento. Il quattordicesimo giorno, raccoglie tutte le sue forze, solleva Jarasandha, lo spezza di nuovo, ma questa volta, emulando Krishna, lancia le due metà del corpo in direzioni opposte. Le metà non possono ricongiungersi e Jarasandha è sconfitto.

  • Il Significato per il Pehlwan: Questo aneddoto è la parabola fondante del Dav-Pech (tecnica e contro-tecnica). L’Ustad la racconta per insegnare: “La tua forza ti porterà solo fino a un certo punto. Contro un avversario pari a te, o con un vantaggio (il boon), vincerà solo l’intelligenza. Devi guardare il tuo Guru (come Bhima guardò Krishna) per il suggerimento sottile, la tecnica, che capovolge l’incontro”.

L’Aneddoto di Hanuman e la Montagna: La Lezione sulla Devozione (Bhakti) Hanuman è il patrono di ogni Akhara. Ma non è venerato solo per la sua forza; è venerato per la fonte della sua forza: la sua devozione (Bhakti) a Lord Rama.

  • La Storia: Durante la guerra a Lanka, il fratello di Rama, Lakshmana, viene ferito mortalmente. L’unico modo per salvarlo è un’erba magica, la Sanjivani, che cresce solo sulla montagna Dronagiri nell’Himalaya. Hanuman, l’unico abbastanza veloce e forte da compiere il viaggio in una notte, vola verso la montagna.

  • Il Dilemma: Arrivato sulla Dronagiri, Hanuman si trova di fronte a un problema. La montagna è coperta da migliaia di erbe diverse e, nel buio, non riesce a identificare la Sanjivani. Il tempo sta per scadere.

  • La Soluzione della Bhakti: Un essere minore, guidato dall’ego, si sarebbe arreso o avrebbe fallito. Ma la mente di Hanuman è focalizzata su un solo obiettivo: servire Rama. La sua devozione è così assoluta che non concepisce il fallimento. Se non può identificare l’erba, la soluzione è semplice: prenderà tutto. Hanuman usa la sua forza cosmica, sradica l’intera montagna Dronagiri e vola di nuovo a Lanka, portando l’intera montagna al medico, salvando così la vita di Lakshmana.

  • Il Significato per il Pehlwan: Questa leggenda è raccontata per insegnare la natura della determinazione. Di fronte a un compito apparentemente impossibile (l’allenamento estenuante, un avversario imbattibile), la tecnica o la forza da sole possono fallire. Ma la devozione totale (Bhakti) al proprio obiettivo, al proprio Guru, al proprio Dharma, troverà un modo. La Bhakti non conosce ostacoli; sradica le montagne.

L’Aneddoto del Cuore di Hanuman: La Lezione sulla Forza Interiore Dopo la vittoria e il ritorno a Ayodhya, Rama sta distribuendo doni a tutti coloro che lo hanno aiutato. A Hanuman, il suo più grande devoto, Sita dona una preziosa collana di perle.

  • La Storia: Hanuman prende la collana, la esamina, poi, con stupore di tutta la corte, inizia a rompere ogni perla con i denti e a gettarla via. La corte è scandalizzata. Un cortigiano accusa Hanuman di insolenza: “Come osi distruggere un dono così prezioso della Regina Sita?”.

  • La Risposta: Hanuman risponde con calma: “Esaminavo le perle per vedere se contenessero il nome del mio Signore Rama. Poiché non lo contengono, per me non hanno alcun valore”.

  • L’Atto Finale: Il cortigiano, beffardo, chiede: “Allora, il tuo Signore Rama è dentro di te?”. Hanuman sorride e, con i suoi artigli, si squarcia il petto. Con orrore e meraviglia, la corte vede che nel suo cuore, alla radice della sua stessa vita, risiedono le immagini luminose di Rama e Sita.

  • Il Significato per il Pehlwan: Questo è l’aneddoto definitivo sulla fonte della forza. L’Ustad lo racconta per insegnare: “La tua forza non è nei tuoi bicipiti. Non è nella tua dieta. Quelli sono solo strumenti. La vera forza, la forza che ti rende invincibile, è ciò che hai nel tuo cuore. È la tua devozione, la tua purezza, il tuo ideale. Un Pehlwan con un cuore debole o impuro, non importa quanto sia grande il suo muscolo, perderà”.


PARTE 2: LE LEGGENDE MORTALI – GLI ANEDDOTI DELL’ETÀ D’ORO

Queste sono le storie di uomini reali le cui imprese sono diventate così grandi da entrare nel regno del mito. Sono il vangelo del Pehlwani pratico, e l’ispirazione per ogni Pehlwan del Terai.

Gama il Grande: Le Storie dell’Invincibile Gama il Grande (Ghulam Mohammad Baksh Butt) è il protagonista della maggior parte degli aneddoti moderni.

1. L’Aneddoto della Scoperta (La Gara di Squat)

  • La Scena: Siamo a Jodhpur. Il Maharaja ha indetto un grande torneo di forza. Centinaia di lottatori e uomini forti da tutta l’India sono presenti. L’evento principale è una gara di resistenza di Baithak (squat a corpo libero).

  • Il Ragazzo: Tra i campioni muscolosi e baffuti, si fa avanti un ragazzo sconosciuto, appena adolescente. È Gama. Viene deriso, ma gli è permesso di partecipare.

  • La Gara: La gara inizia. I lottatori iniziano a eseguire i loro Baithak. Dopo un’ora, molti iniziano a cedere. Dopo due ore, solo i campioni più grandi sono rimasti, insieme al ragazzo, Gama, che continua con un ritmo perfetto. Dopo tre ore, i campioni crollano uno a uno, esausti. Gama continua.

  • La Leggenda: La storia dice che Gama continuò per ore. I giudici si annoiarono, poi si sbalordirono. Il sole iniziò a tramontare. Gama stava ancora facendo squat. Dopo aver superato le ottomila ripetizioni (alcune versioni dicono diecimila), i giudici lo fermarono, lo dichiararono vincitore e il Maharaja di Patiala, riconoscendo un prodigio, lo prese sotto la sua ala.

  • Il Significato: Questo aneddoto insegna che la vera forza non è l’esplosione, ma la resistenza (Dum-Kham). È la capacità di continuare quando tutti gli altri si sono arresi.

2. L’Aneddoto della Pietra di Baroda (La Forza Pura)

  • L’Oggetto: Al Museo di Baroda (Gujarat) giace una pietra di granito rozzamente squadrata. Pesa 1200 chilogrammi. È una “pietra di sfida” (challenge stone), non un bilanciere bilanciato.

  • La Sfida: La pietra giaceva nel palazzo, un test di forza per i lottatori di corte e gli uomini forti. Si diceva che ci volessero una dozzina di uomini robusti solo per spostarla.

  • La Storia: Gama, in visita a Baroda nel 1902, decise di tentare l’impresa. Aveva circa 24 anni. Si preparò ritualmente, si avvicinò alla pietra, trovò una presa e, in un’esplosione di potenza cosmica, la sollevò da terra, la portò sul petto e sulle spalle, e si dice che abbia fatto alcuni passi prima di rimetterla a terra.

  • Il Significato: Questo non è un aneddoto sulla tecnica. È un aneddoto sulla Takhat (potenza grezza). È la prova storica che il regime Pehlwani (la dieta Khurak e l’allenamento Vyayam) può produrre un livello di forza che sfida le leggi della biologia umana. Questa storia è il “benchmark” della forza assoluta.

3. L’Aneddoto di Londra: Il Dominio Psicologico (Gama vs. Zbyszko)

  • L’Arrivo: Quando Gama (alto 1,70 m) arriva a Londra nel 1910, viene deriso dalla stampa britannica. È il “piccolo indiano”. Gli viene negato l’accesso al torneo John Bull Belt.

  • La Sfida Teatrale: Gama, furioso, organizza una conferenza stampa e lancia una sfida che è pura leggenda. Dichiara che sconfiggerà qualsiasi lottatore del mondo in 30 minuti. Se nessuno accetterà, sconfiggerà tre lottatori al giorno, ogni giorno, finché non gli daranno la cintura.

  • La Partita (L’Anti-Aneddoto): L’unico ad accettare è il campione del mondo, il polacco Stanislaus Zbyszko. L’incontro è fissato. Ma l’aneddoto non è su un combattimento epico. È sul suo opposto. Zbyszko, un maestro della Grecoromana, capisce nei primi 30 secondi di non avere alcuna possibilità. Per le successive due ore e trentacinque minuti, Zbyszko adotta la “tattica della tartaruga”. Si sdraia a pancia in giù, aggrappandosi al tappeto, rifiutandosi di muoversi, mentre Gama cerca invano di girarlo per schienarlo.

  • La Fuga: L’incontro è un pareggio noioso. La rivincita è fissata. La folla si presenta. Gama si presenta. Zbyszko non si presenta. È fuggito dalla città, terrorizzato. Gama viene dichiarato Campione del Mondo per forfait.

  • Il Significato: Questo è un aneddoto sulla paura. La forza di Gama era così evidente, la sua reputazione così terrificante, che ha sconfitto il campione del mondo senza nemmeno aver bisogno di batterlo. Ha vinto psicologicamente.

4. L’Aneddoto della Partizione: La Lezione sul Dharma (Il Coraggio Morale) Questa è forse la storia più importante su Gama, che definisce il carattere morale del Pehlwan.

  • La Scena: Lahore, 1947. La Partizione dell’India. La città è in fiamme. Bande armate di musulmani (la maggioranza a Lahore) stanno massacrando i loro vicini indù e sikh.

  • L’Atto: Gama, un musulmano devoto, vive in un quartiere indù. Quando le bande arrivano nella sua strada, esce di casa. Gama, ormai un uomo anziano di quasi 70 anni, si para in mezzo alla strada. Annuncia alla folla omicida: “Questo è il mio quartiere. Ogni indù e sikh su questa strada è sotto la mia protezione. Per raggiungere loro, dovrete prima uccidere me”.

  • L’Eroe: La leggenda di Gama era tale che nessuno osò sfidarlo. Le bande si ritirarono. Per giorni, Gama pattugliò il quartiere. Usò i suoi soldi per comprare cibo per i suoi vicini indù assediati e, quando fu sicuro, scortò personalmente centinaia di famiglie fino ai convogli militari che li portavano in salvo in India.

  • Il Significato: Questo aneddoto è la lezione suprema. L’Ustad lo racconta per dire: “Tutti i tuoi Dand e Baithak, tutto il tuo ghee e le tue mandorle, sono inutili se non ti danno il coraggio morale di proteggere i deboli. La vera forza non è nel Dangal; è nel difendere il Dharma (la giustizia)”.


PARTE 3: CURIOSITÀ E SEGRETI DELL’AKHARA (IL LORE VIVENTE)

Queste sono le “curiosità” dell’arte, che però rivelano una profonda logica interna, parte superstizione, parte scienza olistica.

La Curiosità della Terra (Mitti): La Farmacia Sacra

  • La Preparazione: L’Akhara non è solo “sporco”. È una fossa di terra rossa (lal mitti) preparata ritualmente. Ogni mattina, prima dell’allenamento, i discepoli la zappano e la rastrellano per ore.

  • Gli Ingredienti: Non è solo terra. Ad essa vengono mescolati ingredienti specifici:

    1. Haldi (Curcuma): È un potente antisettico e antinfiammatorio naturale.

    2. Sarson ka Tel (Olio di Senape): Rende la terra più pesante, meno polverosa, e ha proprietà riscaldanti per i muscoli.

    3. Lassi o Latte: È un’offerta (bhog) alla terra, considerata Dharti Mata (Madre Terra). La ammorbidisce e la “nutre”.

    4. Ghee (Burro Chiarificato): L’offerta più pura, aggiunge peso e untuosità.

  • L’Aneddoto della Guarigione: La curiosità è questa: i Pehlwan hanno un’enorme fiducia nella terra. Un aneddoto comune racconta di un giovane discepolo che subisce un brutto taglio o un’abrasione durante lo sparring. L’Ustad non corre a prendere un disinfettante. Prende una manciata della terra dell’Akhara, ricca di curcuma e olio, e la preme sulla ferita, creando un impacco. La credenza è che questa terra sacra, benedetta da Hanuman, guarisca la ferita più velocemente e più puramente di qualsiasi medicina moderna.

La Curiosità del Langot: Il Sigillo del Brahmacharya

  • Il Colore: Il perizoma (Langot o Langota) è tradizionalmente di colore arancione zafferano (Kesari). Questa non è una scelta di moda. È il colore della rinuncia, dell’ascetismo. È lo stesso colore indossato dai Sadhu (asceti erranti) e dai monaci.

  • L’Atto: Indossare il langot è un rituale. L’atto di avvolgerlo strettamente intorno ai fianchi e attraverso i glutei non è solo per il supporto fisico. È un atto simbolico.

  • L’Aneddoto: Si racconta che il langot sia il “sigillo” del Brahmacharya. Legandolo, il Pehlwan fa un voto quotidiano di conservare la sua energia vitale (Virya). C’è una superstizione secondo cui combattere senza un langot legato correttamente rende un lottatore “debole” e “vuoto”, perché la sua energia può disperdersi. È una corazza psicologica e spirituale tanto quanto fisica.

La Curiosità del Sonno: Il Pericolo del Lusso

  • Il Letto di Legno: I Pehlwan tradizionali non dormono su materassi morbidi. Dormono su un Takht (una semplice branda di legno) o addirittura sul pavimento di terra dell’Akhara.

  • La Spiegazione Logica: Un materasso morbido è considerato dannoso per la schiena, specialmente per una schiena che subisce lo stress della lotta. Un supporto rigido mantiene la colonna vertebrale allineata.

  • La Spiegazione Leggendaria (e Filosofica): La vera ragione è la Tapasya (austerità). Il lusso ammorbidisce il corpo e, peggio, la mente. Un letto morbido invita alla pigrizia e, secondo la tradizione, ai sogni impuri (swapnadosh o emissioni notturne), che sono la rovina del Brahmacharya. Dormire sul duro mantiene il corpo “caldo” e la mente focalizzata.

La Curiosità del Vento: Perché i Pehlwan Odiano i Ventilatori

  • La Credenza: Una delle curiosità più strane del Pehlwani tradizionale è l’avversione per i ventilatori da soffitto (pankha).

  • L’Aneddoto: In molti Akhara tradizionali, anche nel caldo torrido del Terai, gli Ustad proibiranno ai loro discepoli di dormire sotto un ventilatore. La credenza (parte della medicina ayurvedica popolare) è che il vento artificiale del ventilatore sia “aria morta” (murda hawa). Si crede che questo vento “prosciughi” il corpo, rubando l’Ojas (vigore) che il lottatore ha costruito così faticosamente attraverso la sua dieta di ghee e mandorle. Può causare rigidità articolare e “seccare” i fluidi vitali.

  • Il Significato: Questo aneddoto mostra quanto sia olistica e totalizzante la scienza del Pehlwani. Ogni dettaglio, persino il modo in cui l’aria si muove, è considerato parte del processo di costruzione della forza.

L’Aneddoto della Gada: L’Arma che Insegna l’Umiltà

  • L’Attrezzo: La Gada (mazza) è l’attrezzo-simbolo del Pehlwani, essendo l’arma di Hanuman.

  • La Curiosità: La Gada è un attrezzo “disonesto”. Il suo peso è tutto all’estremità, rendendola incredibilmente difficile da bilanciare.

  • L’Aneddoto: Un giovane Pehlwan, arrogante per la sua forza muscolare, decide di provare a far oscillare la Gada da 50 kg del suo Ustad. Pensa: “Sollevo pesi, posso farcela”. Tenta di “forzare” l’oscillazione usando la forza bruta delle spalle. La Gada, con il suo slancio, lo trascina, gli fa perdere l’equilibrio e quasi gli sloga la spalla. L’Ustad ride e dice: “La Gada non può essere forzata. Devi chiederle il permesso. Devi lavorare con il suo slancio, non contro di esso”.

  • Il Significato: La Gada è un maestro in sé. Insegna al lottatore che la forza bruta è stupida. La vera potenza deriva dal tempismo, dal ritmo, dalla coordinazione e dal rispetto dello slancio: la stessa lezione che serve nella lotta.


PARTE 4: ANEDDOTI SUL KHURAK (LA DIETA LEGGENDARIA)

La dieta (Khurak) del Pehlwan è essa stessa una leggenda. Le storie che la circondano servono a spiegare la sua logica metabolica e spirituale.

L’Aneddoto del “Fuoco Digestivo” (Agni): Perché il Ghee non li Uccide

  • La Curiosità: I Pehlwan consumano quantità di ghee (burro chiarificato) che ucciderebbero un uomo normale (ipercolesterolemia, infarto). Bevono latte con un pao (1/4 di kg) di ghee sciolto al suo interno.

  • La Spiegazione Leggendaria: Come fanno? La leggenda dice che la Tapasya (il calore ascetico) generata dalle migliaia di Dand e Baithak crea un “fuoco digestivo” (Jathara Agni) così potente che può incenerire e assimilare qualsiasi cosa.

  • L’Aneddoto: Un ricco mercante, sentendo queste storie, decise di provare la dieta del Pehlwan per diventare forte. Bevve un bicchiere di latte e ghee, come un lottatore. Quella notte, fu colto da crampi e malattie violente. Andò dall’Ustad dell’Akhara, lamentandosi. L’Ustad gli disse: “Hai mangiato il cibo del Pehlwan, ma non hai fatto il lavoro del Pehlwan. Il tuo Agni è una candela; il suo è un’fornace. Questo cibo è veleno per te, ma nettare per lui”.

  • Il Significato: La dieta non è una “dieta” nel senso moderno. È un risultato. È il carburante che solo un motore forgiato dalla Tapasya può bruciare.

L’Aneddoto delle Mandorle: Il Cibo per il Cervello (Tejas)

  • Il Rituale: La bevanda proteica del Pehlwan è il Thandai (o Sardai), fatta macinando centinaia di mandorle (pelate dopo essere state a bagno una notte), semi di papavero, finocchio e cardamomo.

  • La Curiosità: Non usano un frullatore elettrico. I discepoli (Shishya) devono macinare gli ingredienti a mano su una lastra di pietra (sil-batta). Questo processo può richiedere ore.

  • La Spiegazione: Perché? Ci sono due ragioni leggendarie.

    1. Ragione Spirituale (Seva): È un atto di Seva (servizio). Il discepolo macina le mandorle per il suo Ustad e per i suoi fratelli maggiori. È un lavoro umile che costruisce il carattere.

    2. Ragione Olistica (Prana): La credenza è che il calore e la velocità delle lame di un frullatore elettrico “uccidano” il Prana (forza vitale) delle mandorle. La macinatura lenta e fredda sulla pietra lo preserva.

  • Il Significato: Le mandorle non sono solo per i muscoli (Ojas). Sono per il cervello (Tejas o luminosità). Si ritiene che questa bevanda dia al lottatore la lucidità mentale per vedere le tecniche (Dav-Pech) dell’avversario prima che accadano.

L’Aneddoto del Divieto di Aglio e Cipolle

  • La Curiosità: La dieta del Pehlwan è Sattvica (pura). Esclude alcol e carne (che sono Tamasici, creano inerzia) e cibi troppo speziati o piccanti (che sono Rajasici, creano agitazione). Ma, stranamente, esclude anche aglio e cipolle.

  • La Spiegazione: L’aglio e le cipolle sono sani, ma nella filosofia ayurvedica sono considerati Rajasici e Tamasici. Si ritiene che, sebbene abbiano benefici medicinali, stimolino le passioni più basse, in particolare l’aggressività e il desiderio sessuale.

  • L’Aneddoto: Un Ustad spiega a un discepolo: “Un Pehlwan deve essere un jitendriya (padrone dei suoi sensi). Un Pehlwan deve praticare il Brahmacharya. L’aglio e le cipolle accendono un fuoco nel tuo sangue che rende quel controllo quasi impossibile. Stai già combattendo contro il tuo avversario; non hai bisogno di combattere anche contro la tua cena”.


PARTE 5: LEGGENDE E ANEDDOTI DEL DANGAL (IL PALCOSCENICO DELLA GLORIA)

Il Dangal (torneo), il cuore della vita pubblica del Pehlwani nel Terai, è il luogo dove nascono le leggende locali.

L’Aneddoto dell’Incontro Infinito: La Battaglia per l’Onore

  • La Scena: Un grande Dangal a Birgunj, proprio sul confine tra Nepal e India. C’è in palio l’onore della regione. Il campione locale del Terai affronta un famoso campione venuto da Varanasi, India.

  • La Storia: L’incontro inizia nel pomeriggio. I due uomini sono macchine di resistenza, perfettamente appaiati. Si afferrano, si spingono, cercano prese. I loro corpi, coperti di terra e sudore, brillano. Il sole inizia a tramontare. La folla accende le torce. Sono passate due ore. Nessuno dei due cede. Sono passate tre ore. I loro respiri sono pesanti, ma la loro volontà è di ferro.

  • La Conclusione: L’aneddoto si conclude in due modi, a seconda di chi lo racconta.

    1. Versione 1 (La Vittoria): A tarda notte, il lottatore indiano fa un errore minimo, un leggero sbilanciamento, e l’eroe del Terai, conservando un’oncia di energia in più, esegue un Dhobi Pat (lancio) e lo schiena, vincendo l’onore per il Nepal.

    2. Versione 2 (La Fratellanza): All’alba, i due uomini, esausti, sono ancora in piedi, incapaci di sconfiggere l’altro. Gli Ustad di entrambi i lottatori entrano nell’arena, li separano e sollevano le braccia di entrambi. Dichiarano un pareggio, affermando che quel giorno “Il Kushti ha vinto”.

  • Il Significato: Queste storie insegnano la natura del Dum-Kham (resistenza). Nel vero Kushti, non ci sono round, non ci sono punti. Si vince solo con la superiorità assoluta o si combatte fino al limite umano.

L’Aneddoto dello Sfidante Sconosciuto (L’Eroe del Popolo)

  • La Scena: Un Dangal rurale nel Terai. Un Pehlwan arrogante, famoso, sponsorizzato da un ricco Zamindar (proprietario terriero), è seduto al centro dell’arena. Ha sconfitto tutti e si sta vantando.

  • La Sfida: Dalla folla si fa avanti un uomo. Non sembra un lottatore. È un contadino locale, magro ma segaligno, che indossa solo un semplice langot logoro. Chiede di sfidare il campione. La folla ride, il campione lo deride.

  • La Storia: L’incontro inizia. Il campione gioca con il contadino. Ma il contadino è più veloce e più astuto di quanto sembri. Ha passato la sua vita a zappare la terra e a sollevare sacchi di grano, costruendo una forza funzionale e nervosa. In un momento di disattenzione del campione, il contadino esegue una tecnica fulminea (Kala Jangh, una presa alla gamba) e atterra il campione, schienandolo in tre secondi.

  • Il Significato: Questa è la storia preferita in ogni villaggio. È la storia di “Davide contro Golia” del Pehlwani. Insegna che l’arroganza (Ahankara) è il peccato che porta alla sconfitta e che l’umiltà e la forza reale possono provenire dai luoghi più inaspettati.

La Curiosità del Premio: Il Bufalo d’Acqua

  • Il Premio: Nei Dangal del Terai, il premio principale per il vincitore non è (o non era) solo denaro. Spesso è un bufalo d’acqua vivo e vegeto, o una motocicletta.

  • Il Significato: Questo aneddoto culturale rivela la radice agricola del Pehlwani nel Terai. Un bufalo d’acqua è la risorsa più preziosa per una famiglia di contadini. È un trattore vivente, una fonte di latte e di ricchezza. Vincere il bufalo significa assicurare la prosperità della propria famiglia per un anno.

  • L’Aneddoto: La storia racconta di un Pehlwan che vince il bufalo. Invece di portarlo a casa, lo conduce direttamente all’Akhara e lo dona al suo Ustad. Questo è l’atto finale di Seva (servizio) e Guru Dakshina (il pagamento al maestro). Dimostra che la vittoria non è sua, ma appartiene al suo lignaggio e al suo maestro.


Conclusione: Le Storie come Sangue Vitale

Queste leggende, curiosità, storie e aneddoti, dalle imprese cosmiche di Hanuman alle vittorie locali nei Dangal del Terai, non sono semplici note a piè di pagina. Sono il sangue vitale del Pehlwani.

In un’arte che rifiuta la commercializzazione e la modernità superficiale, queste storie sono la valuta dell’onore, il manuale della morale e il progetto della forza. Quando un giovane discepolo nel Terai si copre di terra sacra, non sta solo mettendo del fango sulla pelle; sta rievocando la leggenda della Mitti curativa. Quando fa i suoi Baithak fino a crollare, sta inseguendo il fantasma di Gama a Jodhpur. E quando affronta un avversario più grande, sta cercando la saggezza di Krishna e la tecnica di Bhima.

In questo modo, il passato leggendario dell’arte non è affatto passato; è un presente vivente, che si ripete ogni giorno all’alba in ogni Akhara.

TECNICHE DI QUEST'ARTE

L’Invisibilità della Vera Tecnica

Avvicinarsi al mondo delle “tecniche” del Pehlwani (o Kushti) con una mentalità occidentale moderna è un esercizio di frustrazione. Ci si aspetterebbe un catalogo, un syllabus ordinato di mosse, un elenco di “Kata” come nel Karate o una progressione di sottomissioni come nel Jiu-Jitsu Brasiliano. Il Kushti non offre nulla di tutto ciò.

Le tecniche del Kushti, note collettivamente con il termine persiano Dav-Pech (letteralmente “mossa e contromossa”), non sono un insieme di azioni statiche da memorizzare. Sono principi fluidi, incarnati. Sono il risultato alchemico di una vita intera dedicata al Vyayam (l’allenamento di condizionamento), al Khurak (la dieta) e al Brahmacharya (l’ascetismo).

Un Ustad (maestro) del Terai nepalese dirà a un discepolo (Shishya) che la tecnica non è qualcosa che impari; è qualcosa che diventi. Non puoi fare un Dhobi Pat (un potente lancio d’anca) finché il tuo corpo non è un Dhobi Pat. Le migliaia di Baithak (squat) e le ore passate a far roteare la Gada (mazza) non sono la preparazione alla tecnica; sono la tecnica stessa, nella sua forma cumulativa.

Le tecniche del Pehlwani sono un linguaggio segreto, trasmesso oralmente e cineticamente da maestro a discepolo, in un’arena di terra (Mitti) che è essa stessa un partner tecnico. L’obiettivo non è segnare punti, ma la supremazia totale e assoluta sull’avversario, culminante nello schienamento definitivo, il Chitt. Per questo, le tecniche del Kushti sono brutali, pragmatiche e profondamente radicate nella fisica della forza e della leva.


PARTE 1: IL FINE ULTIMO – IL CHITT (LO SCHIENAMENTO TOTALE)

Per capire le tecniche, bisogna prima capire l’obiettivo. A differenza della lotta olimpica (Freestyle o Grecoromana), il Kushti tradizionale, come praticato nei Dangal (tornei) del Terai, non conosce punteggi. Non ci sono punti per un atterramento, per un’esposizione o per una presa.

L’unico e solo obiettivo è il Chitt (o Kusht).

Definizione del Chitt Il Chitt non è un semplice “pin” di due secondi. È la sconfitta totale, l’annientamento simbolico. Un lottatore viene dichiarato Chitt quando entrambe le sue spalle e entrambe le sue scapole (o, più in generale, l’intera schiena) toccano la Mitti (la terra) simultaneamente. È inequivocabile. Non c’è dibattito. L’arbitro (Panch) colpisce il terreno con la mano e l’incontro è finito.

Come il Chitt Influenza le Tecniche Questo obiettivo “tutto o niente” modella radicalmente la natura delle tecniche del Pehlwani:

  1. Enfasi sulle Proiezioni ad Alta Ampiezza: Molte delle tecniche più celebri del Kushti (come il Dhobi Pat o il Multani) sono progettate non solo per portare l’avversario a terra, ma per farlo atterrare direttamente sulla schiena, vincendo l’incontro in un singolo, movimento esplosivo.

  2. Rifiuto delle Tecniche “Puntiformi”: Un rapido atterramento (takedown) che finisce con l’avversario a pancia in giù è, nel Kushti, quasi inutile. Ha sprecato energia senza alcun guadagno. Questo è l’opposto della lotta Freestyle, dove un tale atterramento varrebbe due punti.

  3. L’Importanza della Lotta a Terra (Zameen Kushti): Se un lancio non riesce a produrre un Chitt immediato, inizia la seconda fase. La lotta a terra nel Kushti non è finalizzata alla sottomissione (come leve articolari o strangolamenti, che sono generalmente illegali), ma al controllo e alla rotazione. Tutte le tecniche a terra sono progettate per girare un avversario che si difende a pancia in giù (pet ke bal) sulla sua schiena (peeth ke bal).

  4. La Dimensione della Resistenza (Dum-Kham): Nei Dangal del Terai, gli incontri tradizionali non hanno limiti di tempo. Possono durare minuti, o ore. Questo significa che la tecnica più importante di tutte è il Kasad, l’arte di logorare l’avversario. È una tecnica di pressione, di “pesantezza”, di far sì che l’avversario porti il tuo peso finché non è così esausto (be-dum) che anche una semplice tecnica di rotazione è sufficiente per ottenere il Chitt.


PARTE 2: LA FORGIA DELLA TECNICA – IL VYAYAM COME PEDAGOGIA FISICA

Le tecniche del Pehlwani non iniziano con l’apprendimento delle prese. Iniziano con la forgiatura del corpo attraverso il regime di condizionamento (Vyayam). Ogni esercizio fondamentale non è solo “fitness”; è la costruzione di un attributo meccanico essenziale per l’applicazione di un Dav (mossa).

I Dand (Flessioni Indiane) – Il Motore della Pressione e della Fluidità Il Dand, spesso tradotto erroneamente come “flessione”, è un movimento fluido e complesso, un vinyasa yogico che combina il “cane a testa in giù” con il “cobra”.

  • Il Movimento: Si inizia in una posizione a V invertita, ci si tuffa in avanti e verso il basso sfiorando il terreno con il petto, per poi inarcarsi verso l’alto, estendendo la colonna vertebrale. Da lì, ci si spinge indietro fino alla posizione di partenza.

  • Come Costruisce la Tecnica:

    1. Forza di Spinta (Dhâk): La fase del “tuffo” e della risalita costruisce una potenza esplosiva in tricipiti, spalle e petto. Questa è la forza necessaria per il Dhâk, una tecnica fondamentale che non è un pugno, ma una spinta esplosiva con il palmo o l’avambraccio per rompere l’equilibrio dell’avversario e creare spazio.

    2. Fluidità Spinale: Il movimento di inarcamento e flessione rende la colonna vertebrale incredibilmente forte e flessibile. Questa è una tecnica difensiva in sé, permettendo al Pehlwan di “colmare” (bridge) e rotolare fuori da tentativi di schienamento che immobilizzerebbero un lottatore più rigido.

    3. Resistenza della Parte Superiore: Eseguire centinaia o migliaia di Dand costruisce la resistenza per il Kasad (logoramento), permettendo a un lottatore di mantenere una pressione costante sul collo e sulle spalle dell’avversario per ore.

I Baithak (Squat a Corpo Libero) – Il Motore delle Proiezioni Il Baithak è l’esercizio cardine per la parte inferiore del corpo. Eseguito in serie ininterrotte di centinaia di ripetizioni, è sia un costruttore di forza che un motore cardiovascolare.

  • Il Movimento: Uno squat profondo, spesso con i talloni sollevati, eseguito a un ritmo costante e rimbalzante.

  • Come Costruisce la Tecnica:

    1. Potenza Esplosiva (Uthâna): I Baithak sono la fonte di tutta la potenza di sollevamento. Qualsiasi tecnica che richieda di “entrare sotto” l’avversario e sollevarlo – come il Dhobi Pat (lancio d’anca) o il Multani – trae la sua forza esplosiva da questa base.

    2. Resistenza delle Gambe: La capacità di lottare per un’ora in una posizione bassa (stance) senza che le gambe cedano è un prodotto diretto dei Baithak.

    3. Stabilità (Santulan): La pratica di migliaia di squat costruisce una stabilità dinamica e una connessione con il terreno che è fondamentale per resistere ai tentativi di sbilanciamento sulla Mitti instabile.

La Gada (Mazza) – Il Maestro della Presa e della Torsione Forse l’attrezzo più importante per lo sviluppo tecnico. La Gada è una lunga impugnatura di bambù con un blocco di pietra o cemento all’estremità. È asimmetrica e progettata per l’allenamento rotazionale.

  • Il Movimento: Farla roteare in grandi cerchi dietro la schiena, alternando le direzioni.

  • Come Costruisce la Tecnica:

    1. Pakar (La Presa): L’allenamento con la Gada costruisce una forza nella presa (Pakar), nei polsi e negli avambracci che è semplicemente leggendaria. Nel Kushti sulla Mitti, dove il sudore e l’olio rendono tutto scivoloso, una presa debole è inutile. La presa d’acciaio di un Pehlwan è ciò che rende possibili le sue tecniche.

    2. Forza Rotazionale del Core: Le tecniche di lancio del Kushti sono quasi tutte rotazionali. La Gada insegna al corpo come trasferire la forza dal terreno, attraverso i fianchi e il core, fino alle spalle e alle braccia, in un unico movimento fluido.

    3. Gestione dello Slancio: La Gada è un “maestro” disonesto. Non si può “forzare”; bisogna lavorare con il suo slancio. Questo insegna al Pehlwan, a livello neurologico, come sentire e manipolare lo slancio – un’abilità che si trasferisce direttamente alla manipolazione dello slancio di un avversario.

Le Jori (Clave) – Il Motore della Coordinazione e della Pesantezza Le Jori sono clave di legno molto pesanti, usate in coppia.

  • Il Movimento: Fatte oscillare in schemi complessi e ritmici intorno al corpo.

  • Come Costruisce la Tecnica:

    1. Stabilità della Spalla: Costruisce spalle forti e stabili, essenziali per mantenere prese e controlli sotto pressione.

    2. “Mani Pesanti”: L’allenamento con le Jori sviluppa la capacità di mantenere una pressione costante e “pesante” sull’avversario, un aspetto chiave del Kasad (logoramento).

    3. Coordinazione: I movimenti complessi delle Jori allenano la coordinazione indipendente degli arti, un’abilità cruciale nel Dav-Pech, dove braccia e gambe devono eseguire compiti diversi simultaneamente.


PARTE 3: LA PEDAGOGIA DELLA TECNICA – IL METODO DI TRASMISSIONE

Le tecniche del Kushti non si trovano su YouTube. Vengono trasmesse attraverso un sistema pedagogico antico e intimo, che è esso stesso una tecnica di apprendimento.

L’Ustad: La Biblioteca Vivente L’Ustad è il depositario di tutto il Gyaan (conoscenza) tecnico del suo Gharana (lignaggio). Ogni Ustad ha le sue tecniche segrete, o variazioni speciali, che considera il suo patrimonio.

Seva (Servizio) come Tecnica di Apprendimento Tattile Un discepolo non “paga” per le lezioni. Egli “guadagna” la conoscenza attraverso la Seva (servizio devozionale). Una delle forme più importanti di Seva è massaggiare il corpo dell’Ustad e dei lottatori più anziani dopo l’allenamento.

  • L’Apprendimento Nascosto: Questo non è un lavoro umile; è una lezione di anatomia e biomeccanica. Massaggiando le gambe stanche del suo maestro, il discepolo (Shishya) impara con le sue mani. Sente quali muscoli sono usati per quali tecniche, dove si accumula la tensione, come sono strutturate le articolazioni. Sta imparando le “chiavi” del corpo umano attraverso il tatto, prima ancora di applicarle in combattimento.

Il Jor (Sparring): La Vera Aula Il 90% dell’apprendimento tecnico avviene durante il Jor (lo sparring), che è la lotta di allenamento.

  • Caos Controllato: Il Jor è notoriamente duro, spesso al limite della brutalità. L’Ustad accoppia un novizio con un lottatore esperto che lo dominerà completamente.

  • Imparare a Sopravvivere: La prima tecnica che un discepolo impara non è un attacco; è la difesa. Impara a respirare sotto pressione, a proteggere la sua schiena, a resistere al Kasad (logoramento) di un avversario più forte.

  • L’Insegnamento per Correzione: L’Ustad osserva il Jor da bordo campo. Non ferma l’azione per spiegare. Urla correzioni concise: “Abbassa i fianchi!”, “Presa più forte!”, “Respira!”. Il discepolo deve imparare e adattarsi in tempo reale, sotto stress estremo.

La Dimostrazione Singola Quando un Ustad ritiene che un discepolo sia pronto (spesso dopo anni di Seva e Jor), lo prende da parte e gli mostra un Dav (mossa). Spesso, lo mostra una sola volta.

  • La Tecnica dell’Attenzione (Ekagrata): Il discepolo deve catturare l’essenza della mossa con la massima concentrazione. Questa pedagogia allena la mente tanto quanto il corpo. Non c’è un “replay”. Il discepolo deve poi provare a replicare la tecnica nel Jor per mesi, o anni, finché non la padroneggia, tornando dall’Ustad solo per piccole correzioni.


PARTE 4: L’ARENA COME PARTNER – L’INFLUENZA DELLA MITTI (TERRA)

È impossibile capire le tecniche del Kushti senza capire la Mitti (la terra dell’Akhara). L’ambiente del Terai, caldo e umido, rende la Mitti un fattore cruciale. Le tecniche del Kushti sono progettate per questa superficie, che è fondamentalmente diversa da un materassino olimpico.

Scivolosità (Chiknâpan)

  • Il Fattore Olio/Sudore: La Mitti è mescolata con olio di senape, ghee e, naturalmente, il sudore dei lottatori. Diventa incredibilmente scivolosa.

  • Impatto sulla Tecnica:

    1. Inefficacia delle Prese Deboli: Qualsiasi presa che non sia una morsa d’acciaio fallirà. Questo è il motivo per cui l’allenamento della presa (Pakar) con la Gada è così vitale.

    2. Difesa Facilitata: È più facile “scivolare fuori” (phisalna) da prese e controlli. Questo rende la lotta a terra più dinamica e meno “statica” rispetto al BJJ, dove il gi offre attrito.

    3. Enfasi sul Controllo del Tronco: Poiché le prese agli arti sono difficili, molte tecniche del Kushti si concentrano sul controllo del tronco, della vita e della testa, dove si può applicare più forza e superficie.

Instabilità (Asantulan)

  • La Superficie Morbida: La Mitti è morbida e irregolare, non una superficie piana e dura.

  • Impatto sulla Tecnica:

    1. Pericolo dei “Takedown” in Tuffo: Tecniche come lo “shoot” (attacco alle gambe) del Freestyle sono rischiose. È facile perdere l’equilibrio o scivolare.

    2. La Postura Eretta: Di conseguenza, il Pehlwani è caratterizzato da una postura più eretta (stance). Il combattimento inizia con una battaglia di prese alla parte superiore del corpo (testa, collo, braccia), simile alla Grecoromana.

    3. Importanza degli Sgambetti (Baharli): Le tecniche che si basano sullo sbilanciare l’avversario e sull’uso di sgambetti e agganci alle gambe sono molto comuni, poiché sfruttano l’instabilità del terreno.

L’Attrito come Arma

  • La Natura Abrasiva: La terra, anche se preparata, è abrasiva.

  • Impatto sulla Tecnica:

    1. Tecniche di Logoramento (Kasad): Una tecnica fondamentale a terra è il Gadhânet, che consiste nello strofinare l’avambraccio o la fronte (coperta di terra) sul viso o sul collo dell’avversario. Questo è estremamente doloroso, logorante e serve a “rompere” la volontà dell’avversario e costringerlo a girarsi sulla schiena.

    2. Gettare la Terra: Sebbene ufficialmente illegale, un “trucco sporco” (badmâshi) comune nei Dangal più rudi è quello di afferrare una manciata di terra e gettarla negli occhi dell’avversario per accecarlo e preparare un attacco.


PARTE 5: IL LESSICO DELLA FORZA – ANALISI DELLE TECNICHE (DAV-PECH)

Le tecniche del Kushti hanno nomi evocativi e descrittivi, spesso di origine persiana o hindi. Esamineremo le famiglie di tecniche più importanti.

Famiglia 1: Le Grandi Proiezioni (Phekna) – I “Game Over”

Queste sono le tecniche ad alta ampiezza progettate per vincere l’incontro all’istante con un Chitt.

1. Il Dhobi Pat (Il “Lancio del Lavandaio”)

  • L’Etimologia: È la tecnica-simbolo del Pehlwani. Prende il nome dal Dhobi, il lavandaio indiano, che lava i panni afferrandoli e sbattendoli con forza su una pietra. Il Pehlwan afferra l’avversario e lo “sbatte” sulla terra allo stesso modo.

  • L’Analisi Meccanica: È un tipo di lancio d’anca (Koshi Guruma nel Judo). Il Pehlwan ottiene una presa sulla parte superiore del corpo (spesso un controllo braccio-testa), si gira rapidamente, “carica” l’avversario sui propri fianchi (richiede un profondo Baithak), lo solleva da terra e lo proietta violentemente sulla schiena.

  • Attributi Richiesti: Potenza esplosiva dei fianchi (dai Baithak), forza rotazionale del core (dalla Gada), tempismo e capacità di abbassare il proprio centro di gravità sotto quello dell’avversario.

2. Il Multani (Il “Gancio dalla Vita”)

  • L’Etimologia: “Multani” si riferisce alla regione di Multan (ora in Pakistan), famosa per i suoi lottatori. È una tecnica di sollevamento e torsione.

  • L’Analisi Meccanica: Una tecnica potente usata quando si è dietro l’avversario o si riesce a ottenere una presa salda alla vita (pakar). Il Pehlwan solleva l’avversario da terra usando la forza delle gambe e della schiena, lo inarca all’indietro (simile a un suplex) e lo schianta a terra. È estremamente pericoloso e richiede una forza immensa.

  • Attributi Richiesti: Forza pura della presa e della schiena, potenza esplosiva delle gambe.

3. Il Sakshi (La “Testimonianza”)

  • L’Analisi Meccanica: Un’altra variante di proiezione che coinvolge un profondo sbilanciamento e una rotazione del corpo, spesso iniziata da una presa “scomoda” o non ortodossa.

Famiglia 2: Atterramenti e Sbilanciamenti (Girâna) – Preparare la Posizione

Queste tecniche sono usate per portare l’avversario a terra in una posizione controllata, da cui si può poi lavorare per il Chitt.

1. Il Kala Jangh (La “Coscia Nera”)

  • L’Etimologia: Il nome si riferisce all’atto di attaccare la coscia (Jangh).

  • L’Analisi Meccanica: Questa è la versione Pehlwani del single-leg o double-leg takedown. Il lottatore cambia livello, afferra una o entrambe le gambe dell’avversario e spinge o tira per farlo cadere.

  • La Variazione della Mitti: Come detto, sulla Mitti un “tuffo” (shoot) è rischioso. Perciò, il Kala Jangh è spesso eseguito da una posizione di clinch, dove il Pehlwan usa la parte superiore del corpo per sbilanciare l’avversario prima di attaccare la gamba, rendendo la tecnica più sicura.

2. La Baharli (La Presa Esterna / Sgambetto)

  • L’Etimologia: “Baharli” significa “esterno”.

  • L’Analisi Meccanica: Una tecnica di pura leva e tempismo. Mentre è in clinch, il Pehlwan aggancia la sua gamba all’esterno della gamba dell’avversario e, simultaneamente, tira la parte superiore del corpo in quella direzione. L’avversario viene sbilanciato e cade.

  • Attributi Richiesti: Questa è una tecnica di Pech (contromossa) per eccellenza. Richiede Santulan (equilibrio) e la capacità di sentire lo slancio dell’avversario.

3. La Dhâk (La Spinta Esplosiva)

  • L’Analisi Meccanica: Non è un pugno, ma una spinta esplosiva con il palmo, l’avambraccio o la spalla, diretta al petto o alla spalla dell’avversario.

  • L’Uso Tattico: La Dhâk non è una mossa vincente. È una “virgola” nel combattimento. Si usa per:

    1. Rompere la postura dell’avversario.

    2. Creare spazio per eseguire un Kala Jangh.

    3. Provocare una reazione: l’avversario, spinto all’indietro, reagirà spingendo in avanti. Il Pehlwan può quindi usare quello slancio per una Baharli o un Dhobi Pat.

Famiglia 3: Lotta a Terra (Zameen Kushti) – L’Arte del Logoramento (Kasad)

Una volta a terra, inizia la vera battaglia di volontà.

1. Il Gadhânet (Il “Controllo del Collo”)

  • L’Analisi Meccanica: Questa è la tecnica di Kasad (logoramento) più importante. È l’equivalente del cross-face nel wrestling occidentale, ma molto più brutale. Se l’avversario è a pancia in giù, il Pehlwan usa il suo avambraccio (spesso coperto di terra abrasiva) e lo preme con forza contro la guancia, il naso, la bocca o il collo dell’avversario, cercando di girargli la testa.

  • Lo Scopo: Lo scopo è duplice:

    1. Meccanico: Dove va la testa, il corpo segue. Girando la testa, si può forzare l’avversario a girarsi sulla schiena.

    2. Psicologico: È estremamente doloroso, claustrofobico e demoralizzante. L’avversario, soffocato dalla terra e dal dolore, spesso “cede” la posizione solo per porre fine alla tortura.

2. La Kainchi (La “Forbice”)

  • L’Etimologia: “Kainchi” significa “forbici”.

  • L’Analisi Meccanica: Una tecnica di controllo del corpo eseguita con le gambe. Il Pehlwan “a forbice” le sue gambe intorno al tronco o a un arto dell’avversario.

  • L’Uso Tattico: Può essere usata offensivamente (per controllare i fianchi dell’avversario e aiutarlo a girarlo) o difensivamente (per bloccare l’avversario e impedire i suoi movimenti, guadagnando tempo per respirare).

3. Il Salâm (Il “Saluto”)

  • L’Analisi Meccanica: Una presa di controllo della parte superiore del corpo in cui un braccio è intrappolato dietro la schiena dell’avversario, in una posizione che ricorda un “saluto” forzato.

  • L’Uso Tattico: Rimuove uno degli “scudi” dell’avversario (il suo braccio), rendendolo vulnerabile a essere girato sul lato opposto.

Famiglia 4: Difesa e Fuga (Bachâv) – L’Arte di Sopravvivere

1. Il Machli Gota (Il “Giro del Pesce”)

  • L’Etimologia: “Machli” (pesce) e “Gota” (tuffo, rotazione). È il “tuffo del pesce”.

  • L’Analisi Meccanica: La principale tecnica di fuga da un tentativo di Chitt. Quando l’avversario sta forzando il Pehlwan sulla schiena, quest’ultimo usa la flessibilità della sua colonna vertebrale (costruita dai Dand), inarca la schiena (bridge), gira sulla spalla e “scivola” via come un pesce bagnato, tornando a pancia in giù.

  • Attributi Richiesti: Flessibilità, esplosività e tempismo.

2. Il Phurtî (L’Esplosività)

  • L’Analisi Meccanica: Non è una singola tecnica, ma un principio. È la capacità di “esplodere” da una posizione inferiore. Un lottatore viene atterrato, ma invece di accettare la posizione a terra, usa un’esplosione di energia per rimettersi immediatamente in piedi.

  • Attributi Richiesti: Condizionamento cardiovascolare, potenza esplosiva (dai Baithak).


PARTE 6: DAV-PECH – GLI SCACCHI UMANI

La vera maestria del Kushti non sta nel conoscere i Dav (mosse), ma nel conoscere i Pech (contromosse). L’allenamento avanzato è interamente focalizzato su questo dialogo “mossa-contromossa”. L’intero sistema è un flusso infinito di “Se tu fai questo, io faccio quello”.

Esempio 1: L’Attacco Basso

  • Il Dav: Lottatore A tenta un Kala Jangh (takedown alla gamba).

  • Il Pech: Lottatore B ha diverse opzioni:

    1. Sprawl: Allarga le gambe all’indietro (il “ponte” del wrestling) e usa il suo peso per schiacciare la testa di A a terra.

    2. Gadhânet: Mentre A è basso, B afferra la testa di A e applica un Gadhânet (controllo del collo) per farlo rotolare.

    3. Baharli: B “cede” la gamba, ma usa lo slancio in avanti di A per agganciare l’altra gamba di A ed eseguire uno sgambetto esterno.

Esempio 2: La Spinta

  • Il Dav: Lottatore A usa un Dhâk (spinta) per creare spazio.

  • Il Pech: Lottatore B, invece di resistere alla spinta, la “cavalca”. Si lascia spingere, ma mantiene il contatto, e quando A è sbilanciato in avanti alla fine della sua spinta, B lo tira e lo proietta (un principio simile a quello dell’Aikido).

Esempio 3: Il Tentativo di Lancio

  • Il Dav: Lottatore A tenta un Dhobi Pat (lancio d’anca).

  • Il Pech: Lottatore B deve agire istantaneamente.

    1. Abbassa il Centro di Gravità: B affonda i suoi fianchi, rendendo impossibile per A caricarlo.

    2. Contro-Presa: B usa la sua presa (Pakar) per afferrare la vita di A da dietro mentre A si gira, bloccando la rotazione e prendendo il controllo della schiena.

    3. Kainchi: B usa le gambe per eseguire una Kainchi sulla gamba di appoggio di A, facendolo crollare prima che il lancio possa essere completato.

Questa complessa matrice di Dav-Pech è ciò che un Ustad insegna nel corso di decenni. Un lottatore è considerato un “maestro” non quando sa eseguire 100 mosse, ma quando ha una risposta istantanea e fluida a qualsiasi mossa che il suo avversario possa tentare.


Conclusione: Il Dharma della Tecnica

Le tecniche del Pehlwani sono un arsenale potente. Sono il risultato di un sistema progettato per creare la massima forza funzionale, resistenza e abilità combattiva. Proprio per questo, la lezione tecnica più importante che un Ustad insegna al suo discepolo è quando non usare la tecnica.

La filosofia del Dharma (dovere morale) e della Ahimsa (non-violenza, intesa come non-aggressione) è parte integrante dell’insegnamento tecnico. Al Pehlwan è severamente proibito usare le sue abilità al di fuori dell’Akhara o del Dangal. La sua forza non è per il bullismo o la vanità; è per la difesa dei deboli e l’onore della sua comunità.

L’aneddoto leggendario di Gama il Grande che usa la sua fama, e non la sua forza, per proteggere i suoi vicini indù durante la violenza della Partizione è la lezione tecnica finale: la più grande tecnica (Dav) è l’autocontrollo (Sanyam), e la più grande vittoria (Chitt) è la difesa del proprio Dharma.

In conclusione, le tecniche del Kushti praticato nel Terai non sono un elenco di azioni, ma una filosofia in movimento. Sono la scienza della leva applicata da un corpo forgiato dall’austerità, controllata da una mente disciplinata e diretta da un cuore devoto.

LE FORME/SEQUENZE

L’Assenza del Kata e la Presenza della Forma

La domanda sull’esistenza di “forme” o “sequenze” nel Pehlwani (o Kushti), equivalenti ai Kata giapponesi, tocca il cuore della divergenza filosofica e pedagogica tra le arti marziali del subcontinente indiano e quelle dell’Estremo Oriente. La risposta, nella sua forma più diretta e inequivocabile, è: no, il Pehlwani non possiede Kata.

Non esiste, nel vasto curriculum di un Akhara (arena di terra), una pratica in cui un Pehlwan (lottatore) esegue una sequenza preordinata di attacchi, parate e contrattacchi contro uno o più avversari immaginari. L’idea stessa di simulare un combattimento da soli, in aria, è concettualmente aliena al metodo di allenamento del Kushti.

Il Kata, nelle arti marziali giapponesi come il Karate, è una “biblioteca vivente”. È un metodo per codificare, preservare e trasmettere tecniche complesse, principi di combattimento e strategie, spesso includendo movimenti troppo pericolosi per essere praticati liberamente nello sparring (kumite), come colpi ai punti vitali, leve articolari estreme o rotture. Il Kata è un testo, una coreografia di combattimento che preserva la conoscenza.

Il Pehlwani, al contrario, non è una “biblioteca”; è una “forgia”. La sua filosofia pedagogica non si basa sulla memorizzazione di un vasto catalogo di tecniche. Si basa sulla costruzione di un tipo specifico di corpo e di mente, un “motore” di potenza, resistenza e volontà, dal quale le tecniche di combattimento (Dav-Pech) emergono come una conseguenza naturale e istintiva.

Tuttavia, se la domanda viene riformulata: “Il Pehlwani possiede delle ‘forme’ nel senso di movimenti solisti, ritualizzati, eseguiti con forma perfetta, che contengono l’essenza dell’arte e ne sviluppano gli attributi fondamentali?”, allora la risposta è un sonoro .

L’equivalente del Kata nel Pehlwani è il Vyayam (il regime di allenamento fisico).

Gli esercizi fondamentali del Vyayam – i Dand, i Baithak, le oscillazioni della Gada e delle Jori – non sono semplici “esercizi di condizionamento” nel senso occidentale moderno. Non sono l’equivalente di un bench press o di un curl per bicipiti. Sono, a tutti gli effetti, le “forme” sacre del Pehlwani.

Questi movimenti sono:

  1. Ritualizzati: Vengono eseguiti in un modo specifico, spesso all’alba, con una cadenza e un ritmo precisi, visti come una forma di meditazione attiva (Sadhana).

  2. Solisti: Come il Kata, sono pratiche soliste.

  3. Codificati: La loro forma è rigorosa e non deve essere cambiata.

  4. Olistici: Non allenano solo il muscolo, ma il respiro (Prana), la mente (Ekagrata – concentrazione) e lo spirito (Bhakti – devozione).

  5. Fondamentali: Contengono i “principi” biomeccanici e neurologici da cui scaturiranno tutte le tecniche di combattimento.

Pertanto, un’analisi approfondita dell’equivalente del Kata nel Kushti è, in realtà, un’analisi profonda del Vyayam, non come “fitness”, ma come “forma d’arte ritualizzata”.


PARTE 1: LA FILOSOFIA DELLA FORGIA – PERCHÉ IL KATA È SUPERFLUO

Per capire perché il Pehlwani non ha sviluppato il Kata, bisogna capire la sua unica teoria dell’apprendimento.

Apprendimento Tattile contro Apprendimento Visivo Il Kata è un metodo di apprendimento primariamente visivo e cinestetico. L’allievo guarda il maestro, copia il movimento e lo memorizza nel suo corpo.

Il Pehlwani è un’arte quasi interamente tattile. La conoscenza (Gyaan) non viene trasmessa attraverso la vista, ma attraverso la pressione, il contatto e la fatica.

  • Apprendimento tramite la Seva (Servizio): Come menzionato, il discepolo (Shishya) passa ore a massaggiare il corpo del suo Ustad (maestro) e dei lottatori più anziani. Questo non è un lavoro ingrato; è la sua prima lezione di Kata. Attraverso le sue mani, impara l’anatomia della forza: sente la densità dei muscoli forgiati dai Dand, la potenza dei tendini delle gambe costruiti dai Baithak, la tensione nei punti di leva. Sta imparando la “forma” del corpo di un lottatore prima ancora di costruire il suo.

  • Apprendimento tramite il Jor (Sparring): Il Kata simula il combattimento. Il Pehlwani non simula mai: fa. Dal primo giorno, il novizio viene messo nel Jor (sparring) con lottatori esperti. La sua prima “forma” è imparare a respirare sotto il peso di un uomo più forte, a proteggere la sua schiena, a sopportare il dolore del Gadhânet (la pressione sul viso). Impara la tecnica attraverso la sua applicazione diretta su di lui. La sua difesa non è un “blocco” immaginario; è una reazione istintiva, forgiata dal dolore e dalla pressione.

Il Corpo come “Motore” contro il Corpo come “Biblioteca” Il Kata immagazzina le tecniche nel corpo. Il Vyayam costruisce un corpo che inventa le tecniche al momento.

L’Ustad del Terai non insegna al suo discepolo 100 diverse sottomissioni. Gli insegna a fare 1000 Dand e 1000 Baithak. Perché? Perché un corpo che può fare 1000 Dand ha sviluppato una tale forza, flessibilità e fluidità spinale che “scoprirà” istintivamente come eseguire il Machli Gota (la fuga “a pesce”) quando qualcuno cerca di schienarlo. Un corpo che può fare 1000 Baithak ha una tale potenza esplosiva nelle gambe che “capirà” come eseguire un Dhobi Pat (lancio d’anca) nel momento in cui sentirà lo sbilanciamento dell’avversario.

Il Vyayam costruisce gli attributi, non le applicazioni. È una filosofia “bottom-up”. Costruisci un motore abbastanza potente, e saprà come guidare su qualsiasi strada.

La Non Esistenza dell’Avversario Immaginario Filosoficamente, il Pehlwani è una pratica radicata nel qui e ora. È un’arte della Tapasya (austerità) e della consapevolezza. L’allenamento è una battaglia contro i propri demoni interiori: pigrizia, paura, ego.

L’atto di combattere un “avversario immaginario”, come nel Kata, è visto come una distrazione, un gioco della mente. Quando il Pehlwan è solo, la sua lotta è interna. La sua forma (il Vyayam) è una meditazione, una preghiera in movimento, una battaglia contro i propri limiti fisici. Quando il Pehlwan combatte, la sua lotta è esterna, contro un avversario reale, che respira e oppone resistenza.

Non c’è una via di mezzo. Il Kata, come “combattimento immaginario”, non ha posto in questa cosmologia binaria di lotta interna (Vyayam) ed esterna (Jor).


PARTE 2: LE FORME RITUALIZZATE DEL VYAYAM

Qui analizziamo in profondità i quattro esercizi pilastro del Pehlwani come se fossero Kata: forme soliste, ritualizzate, con uno scopo marziale e spirituale.

A. IL DAND (La Forma della Fluidità Solare)

Il Dand è la “forma” solista più importante del Pehlwani. Tradurlo come “flessione” o “push-up” è un errore grossolano che ne oscura la vera natura. È un vinyasa (flusso di respiro-movimento) yogico completo, una forma di “Saluto al Sole” (Surya Namaskar) potenziata e armata.

La Forma (Il Movimento Codificato): Il Dand non è un movimento segmentato, ma un flusso unico e ininterrotto. L’esecuzione corretta è rigorosa.

  1. La Posizione Iniziale (Il Ritorno): Si inizia nella posizione del Parvatasana (Posizione della Montagna) o Adho Mukha Svanasana (Cane a Testa in Giù) dello Yoga. Il corpo forma una V invertita. I piedi sono larghi quanto le spalle, i talloni spingono verso la Mitti (la terra). Le mani sono saldamente piantate. Lo sguardo è verso l’ombelico. Questa posizione allunga tutta la catena posteriore, dai polpacci ai tendini del ginocchio, alla schiena.

  2. La Transizione (Il Tuffo): Da qui, il lottatore si “tuffa” in avanti e verso il basso. Piega i gomiti (tenendoli stretti al corpo, come in un Chaturanga), e il petto e il mento sfiorano il terreno. Il bacino si abbassa.

  3. L’Estensione (Il Cobra): Senza fermarsi, il lottatore spinge con le braccia e inarca la schiena in un potente Bhujangasana (Posizione del Cobra). Il bacino è a terra o quasi, il petto è aperto, lo sguardo è verso l’alto. Questa è un’estensione spinale profonda e attiva.

  4. Il Ritorno (Il Rinculo): Con un movimento esplosivo, il lottatore spinge all’indietro, sollevando i fianchi e tornando direttamente alla posizione iniziale a V invertita.

Questo ciclo completo è un Dand.

Il Dand come “Forma Rituale”: Il Dand è un Kata, non un esercizio, per i seguenti motivi:

  • Il Ritmo (Laya): Il Dand non si fa in “serie e ripetizioni”. Si fa in flusso. L’Ustad insegna ai discepoli a trovare un ritmo (Laya) costante, sincronizzato con il respiro: si espira nel tuffo e nell’inarcamento, si inspira nel ritorno. Un Akhara all’alba, con venti lottatori che eseguono i Dand in perfetta sincronia, ha la stessa cadenza ritmica di un dojo che esegue un Kata.

  • La Funzione Spirituale (Japa): Eseguire centinaia o migliaia di Dand è un Japa (ripetizione del mantra) fisico. La mente, costretta a concentrarsi sul ritmo e sulla fatica per un periodo così lungo, entra in uno stato meditativo. L’ego si dissolve di fronte alla vastità del compito. È una Sadhana (disciplina spirituale).

  • La Connessione Solare: Viene eseguito preferibilmente all’alba, rivolti verso il sole nascente. È letteralmente un’adorazione della forza solare (Surya), un modo per assorbire Prana (energia vitale).

L’Obiettivo “Kata” (Sviluppo Marziale Interno): Cosa “insegna” questa forma?

  1. Fluidità Spinale (Difesa): L’alternanza costante tra flessione spinale profonda (la V invertita) ed estensione profonda (il Cobra) crea una colonna vertebrale incredibilmente forte e flessibile. Questo è il fondamento neurologico del Machli Gota (la fuga “a pesce”), la tecnica difensiva principale per sfuggire a uno schienamento. Un Pehlwan può “colmare” (bridge) e rotolare in modi che sembrano quasi soprannaturali.

  2. Potenza di Spinta (Attacco): La fase di “tuffo” e spinta (simile al Chaturanga) costruisce una potenza devastante in spalle, petto e tricipiti. Questa non è una forza statica, ma una forza fluida. È il motore della Dhâk (la spinta esplosiva con il palmo) e del Gadhânet (la pressione sul collo/viso a terra).

  3. Connessione (Integrazione): Il Dand è un movimento total-body. Insegna al corpo a lavorare come un’unità, trasferendo la forza dalle mani ai piedi e viceversa.

  4. Resistenza (Dum-Kham): La vera “tecnica” insegnata dal Dand è la volontà. La capacità di continuare a spingere ben oltre il punto di esaurimento muscolare.

Il Dand, quindi, è la “Forma del Serpente e della Montagna”. È il Kata fondamentale della fluidità, della pressione e della resistenza infinita.

B. IL BAITHAK (La Forma della Terra e della Potenza)

Il Baithak è la seconda “forma” solista fondamentale, la controparte del Dand. Se il Dand è la spinta (parte superiore), il Baithak è il sollevamento (parte inferiore).

La Forma (Il Movimento Codificato): Anche in questo caso, non è lo squat con bilanciere del powerlifting.

  1. La Postura: Si parte in piedi, eretti.

  2. La Discesa: Si scende in uno squat profondo (ass-to-grass), con il busto che si piega in avanti e le braccia che oscillano all’indietro per bilanciare. Crucialmente, il movimento è spesso eseguito sulla pianta del piede, con i talloni che si sollevano da terra.

  3. La Risalita: Il movimento è rimbalzante. Si usa l’elasticità dei tendini per “esplodere” verso l’alto, tornando alla posizione eretta, con le braccia che oscillano in avanti.

  4. Il Flusso: Come il Dand, il Baithak è eseguito in un flusso ritmico ininterrotto, per centinaia o migliaia di ripetizioni. Il respiro è la chiave: espirare nella discesa, inspirare nella risalita esplosiva.

Il Baithak come “Forma Rituale”:

  • La Funzione Cardiovascolare: È il motore del Dum-Kham (fiato, resistenza). Eseguire 500 Baithak è un allenamento cardiovascolare e metabolico devastante, che costruisce la capacità di recuperare tra un’azione e l’altra nel Jor.

  • La Connessione alla Terra: È una forma di radicamento. È un dialogo costante con la Mitti (la terra). Il lottatore impara a “rimbalzare” sulla terra, a usarla come fonte di potenza.

  • La Meditazione sulla Fatica: Come il Dand, la sua vera funzione Kata è mentale. È una lezione sulla gestione della sofferenza. Il dolore bruciante nei quadricipiti e nei polmoni è il vero avversario immaginario che questa “forma” insegna a sconfiggere.

L’Obiettivo “Kata” (Sviluppo Marziale Interno): Cosa “insegna” questa forma?

  1. Potenza Esplosiva di Sollevamento (Attacco): Questa è la radice di tutte le grandi proiezioni del Kushti. La capacità di abbassare il proprio centro di gravità istantaneamente, di “caricare” il peso dell’avversario e di “esplodere” verso l’alto. È la “forma” che costruisce il motore del Dhobi Pat (lancio d’anca), del Multani (suplex) e del Kala Jangh (takedown alle gambe).

  2. Stabilità e Mobilità (Santulan): La natura dello squat profondo sui talloni costruisce una mobilità incredibile nelle caviglie, ginocchia e fianchi, e una stabilità dinamica che è essenziale per muoversi sulla superficie irregolare della terra dell’Akhara.

  3. Resistenza delle Gambe: La capacità di mantenere una posizione di lotta (stance) bassa per minuti o ore durante un Dangal (torneo) senza che le gambe cedano.

La Forma Completa (Dand + Baithak): La vera “forma” del Pehlwani è l’esecuzione, spesso una dopo l’altra, di migliaia di Dand e Baithak. Questo è l’equivalente del Kata: la pratica quotidiana, ritualizzata e solista che contiene l’intera filosofia dell’arte: la fluidità (Dand), la potenza (Baithak), la resistenza (entrambi) e la volontà (il numero).


PARTE 3: LE “FORME ARMATE” – GADA E JORI

Se il Kata nel Karate include versioni con armi (Bo, Nunchaku, Sai), allora l’equivalente più diretto nel Pehlwani sono gli esercizi con gli attrezzi tradizionali. Questi non sono “sollevamento pesi”; sono la pratica di una “forma” con un attrezzo rituale.

C. L’OSCILLAZIONE DELLA GADA (La Forma dell’Eroe)

La Gada (mazza) è l’attrezzo-simbolo del Pehlwani. È un lungo manico di bambù con una pesante pietra o blocco di cemento a un’estremità. È l’arma archetipica di Hanuman e Bhima. Maneggiarla non è un esercizio; è un atto di devozione (Bhakti).

La Forma (Il Movimento Codificato): Il movimento principale è il Gada Bhramana (oscillazione della mazza).

  1. La Presa: Si afferra la Gada vicino all’estremità inferiore del manico, con una mano sopra l’altra.

  2. Il Lancio: Si usa uno slancio dei fianchi per “lanciare” la mazza sopra una spalla.

  3. Il Cerchio: La testa pesante della Gada scende dietro la schiena in un grande arco. L’atleta deve usare il suo core e la presa per controllare questa caduta.

  4. Il Ritorno: L’atleta usa una torsione rotazionale del core e una spinta dei fianchi per riportare la Gada in alto e sopra la spalla opposta, tornando alla posizione di partenza.

  5. Il Flusso: Il movimento è ripetuto in un ritmo costante, fluido, alternando le direzioni.

La Gada come “Forma Rituale”:

  • L’Attrezzo Asimmetrico come Maestro: Questa è la “forma” più tecnica. A differenza di un bilanciere, la Gada è sbilanciata. Non si può “forzarla” con la forza bruta. Se ci si prova, si viene sbilanciati e si rischiano infortuni. La Gada insegna all’atleta come muoversi. È un partner di allenamento, un Kata interattivo.

  • La Lezione dello Slancio: La forma insegna a gestire lo slancio. Il Pehlwan impara a “sentire” il peso, a fluire con esso, a guidarlo e a usare il proprio core per reindirizzarlo. Questa è la stessa identica abilità neurologica usata per sentire e reindirizzare lo slancio di un avversario durante un Dav (mossa).

  • La Connessione Spirituale: Maneggiare la Gada è un’emulazione diretta di Hanuman. È un Kata devozionale. Il peso della Gada costruisce la forza fisica (Bal), ma il rituale dell’oscillazione costruisce la fede (Bhakti).

L’Obiettivo “Kata” (Sviluppo Marziale Interno): Cosa “insegna” questa forma?

  1. La Presa d’Acciaio (Pakar): Il manico spesso e il peso sbilanciato sviluppano una forza nella presa, nei polsi e negli avambracci che è leggendaria. Sulla Mitti scivolosa del Terai, la presa è tutto.

  2. Forza Rotazionale del Core: È l’esercizio definitivo per la forza di torsione. Questa è la forza che alimenta tutti i lanci (come il Dhobi Pat), dove il corpo deve ruotare esplosivamente sotto carico.

  3. Stabilità della Spalla: L’atto di controllare un peso pesante in un arco di movimento così ampio costruisce spalle e scapole incredibilmente forti e stabili, proteggendole dagli infortuni del Jor.

D. L’OSCILLAZIONE DELLE JORI (La Forma della Coordinazione)

Le Jori (clave) sono un’altra “forma armata” fondamentale, un’eredità diretta degli Zourkhaneh persiani (dove sono chiamate Mil). Sono clave di legno molto pesanti, usate in coppia.

La Forma (Il Movimento Codificato):

  1. La Posizione: Una Jori è appoggiata su ciascuna spalla.

  2. L’Oscillazione: Con un movimento ritmico, il Pehlwan fa oscillare una clava alla volta (o a volte entrambe) in un cerchio completo: giù di lato, dietro la schiena, e di nuovo sopra la spalla.

  3. Il Ritmo: La difficoltà sta nel mantenere il ritmo e la coordinazione, specialmente quando le Jori diventano pesanti (spesso 20, 30 o 40 kg ciascuna). Il movimento dei fianchi e del core è essenziale per aiutare le braccia.

Le Jori come “Forma Rituale”:

  • Il Kata Sincronizzato: Questa è la “forma” della coordinazione. A differenza della Gada, che è un singolo strumento, le Jori richiedono al cervello di gestire due arti indipendenti che si muovono in schemi complessi.

  • Il Ritmo come Forza: Come per il Dand, l’esecuzione delle Jori è ritmica, simile a una danza. Questo costruisce la resistenza e la capacità di muoversi con grazia anche sotto un carico estremo.

L’Obiettivo “Kata” (Sviluppo Marziale Interno): Cosa “insegna” questa forma?

  1. “Mani Pesanti” (Kasad): Le Jori costruiscono una forza immensa nella parte superiore della schiena, nelle spalle e nelle braccia. Questo si traduce nella capacità di applicare una pressione costante e “pesante” sull’avversario durante il Jor e il Kasad (logoramento).

  2. Coordinazione Neurologica: Allena il corpo a essere coordinato e fluido sotto fatica.

  3. Resistenza della Presa: Come la Gada, la presa richiesta per controllare le Jori è immensa.


PARTE 4: LE “FORME” DI SUPPORTO E IL LORO SCOPO

Oltre ai “quattro grandi”, il Vyayam include altre “forme” soliste che costruiscono attributi specifici, equivalenti ai Kihon (fondamentali) del Karate.

1. Il Sumtola (La Forma del Sollevamento Morto)

  • La Forma: Il Sumtola è un tronco di legno spesso e pesante, spesso con maniglie intagliate. L’esercizio consiste semplicemente nell’afferrarlo, sollevandolo da terra fino alla vita o al petto, in un movimento simile a un deadlift o a uno stone lift.

  • L’Obiettivo “Kata”: Questa è la forma pura del sollevamento. Allena la catena posteriore, la presa e la forza dei fianchi. È la pratica fondamentale per il sollevamento necessario in tecniche come il Multani.

2. Il Rassa (La Forma dell’Ascesa)

  • La Forma: L’arrampicata sulla corda (Rassa), spesso eseguita senza usare le gambe, solo con la forza delle braccia e della presa.

  • L’Obiettivo “Kata”: È la forma pura della forza di trazione e della Pakar (presa). La capacità di “tirare” l’avversario a sé, di controllare le sue braccia e di rompere la sua postura, deriva da questa forma di allenamento.

3. La Preparazione della Mitti (La Forma della Devozione)

  • La Forma: L’atto stesso di preparare l’Akhara. Per un’ora o più all’alba, i discepoli zappano (Phawada), rastrellano e livellano la terra sacra.

  • L’Obiettivo “Kata”: Questo è il Kata più importante, una forma di Karma Yoga (azione devota).

    • Sviluppo Fisico: È un incredibile allenamento funzionale per il core, la presa e la schiena.

    • Sviluppo Mentale: È una lezione di umiltà (Vinamrata). Il Pehlwan serve la terra prima che la terra serva lui.

    • Sviluppo Spirituale: È un atto di Seva (servizio) al proprio Ustad e ai propri fratelli di lotta (Guru-bhai). È una forma di adorazione di Dharti Mata (Madre Terra).


PARTE 5: IL “KATA A DUE” – JOR E L’APPRENDIMENTO TECNICO

Se il Vyayam è l’equivalente del Kata solista, esiste un equivalente del Bunkai (l’applicazione del Kata) o del Kihon Kumite (lo sparring preordinato)? Sì, ma è molto più fluido.

Ukhaad-Pachhad (Il Drill di Mossa e Contromossa) Questo è l’equivalente più vicino a uno “sparring preordinato”.

  • La Forma: L’Ustad non insegna 100 mosse. Insegna un Dav (mossa) e il suo Pech (contromossa). Prende due discepoli e fa loro eseguire un drill specifico.

    • Esempio: Discepolo A tenta un Kala Jangh (attacco alla gamba). Discepolo B esegue la contromossa (Pech), come lo sprawl o il Gadhânet.

  • L’Obiettivo: Questo non è combattimento. È un drill cooperativo per costruire la memoria muscolare. Si ripete centinaia di volte, lentamente all’inizio, poi sempre più velocemente, finché la reazione non diventa istantanea. Questo è il “Kata a due” del Pehlwani. È il ponte tra la “forma” solista (Vyayam) e il combattimento libero (Jor).

Il Jor (Sparring) come Forma Improvvisata Il Jor (sparring) è, in un certo senso, la “forma” finale. È il Kata improvvisato. Mentre nel Karate il Kumite (combattimento) è spesso visto come separato dal Kata, nel Pehlwani il Jor è il luogo dove le “forme” del Vyayam prendono vita.

  • Il Dand diventa il Machli Gota: La fluidità spinale allenata dal Dand permette al lottatore di sfuggire a uno schienamento.

  • Il Baithak diventa il Dhobi Pat: La potenza delle gambe esplode nel lancio.

  • La Gada diventa la Pakar: La presa d’acciaio controlla il polso dell’avversario.

Il Jor non è un caos casuale. È un dialogo di “forme” applicate, un flusso di Dav e Pech, il tutto costruito sulla base fondamentale della resistenza e della volontà forgiate dalla pratica solista ritualizzata.


Conclusione: La Forma del Lottatore Stesso

In sintesi, no, il Pehlwani come praticato nel Terai nepalese non ha Kata nel senso giapponese di “forme di combattimento contro avversari immaginari”.

La sua filosofia pedagogica è diversa. Ritiene superflua la simulazione, preferendo un approccio duale: la forgiatura interna attraverso la pratica solista e la prova esterna attraverso lo sparring totale.

L’equivalente del Kata è il Vyayam. I Dand, i Baithak, e le oscillazioni della Gada e delle Jori sono le “forme” sacre e ritualizzate del Pehlwani.

Queste forme non insegnano a simulare il combattimento. Esse costruiscono il combattente. Non sono una biblioteca di tecniche; sono la fornace che forgia il metallo. Non sono una coreografia di ciò che un lottatore fa. Sono un rituale di ciò che un lottatore deve diventare.

La forma finale, il vero “Kata” del Pehlwani, non è un movimento che il lottatore esegue. È il lottatore stesso: un corpo forgiato dalla Tapasya (il fuoco del Vyayam), reso denso di energia dal Khurak (la dieta pura) e controllato da una mente resa incrollabile dal Brahmacharya e dalla Bhakti (devozione). La “forma” del Pehlwani è un essere umano trasformato.

UNA TIPICA SEDUTA DI ALLENAMENTO

La Sessione come Ciclo Vitale (Dincharya)

Descrivere una “tipica seduta di allenamento” nel Pehlwani (o Kushti) è un compito che richiede un cambiamento di paradigma. Nel contesto occidentale moderno, una “sessione” è un blocco di tempo discreto, forse 90 minuti, che si inserisce nella propria giornata. Nel Pehlwani tradizionale, specialmente negli Akhara (arene di terra) della regione del Terai nepalese, non esiste una “sessione”. Esiste solo la Dincharya – la routine quotidiana, il ciclo di vita.

L’allenamento non è qualcosa che il Pehlwan (lottatore) fa; è ciò che è. L’intera sua giornata, dal momento in cui si sveglia nell’oscurità pre-alba fino a quando si corica poco dopo il tramonto, è un’unica, ininterrotta “sessione di allenamento”. Questa sessione è un rituale olistico che fonde l’esercizio fisico estremo (Vyayam), la disciplina ascetica (Tapasya), la nutrizione (Khurak), il riposo (Aram) e il servizio devozionale (Seva).

Quella che segue non è la descrizione di una “classe”, ma il resoconto etnografico di un tipico giorno di 24 ore nella vita di un Pattha (discepolo) che si allena in un Akhara tradizionale del Terai. Questo ciclo è diviso in due grandi blocchi di allenamento fisico (Vyayam), uno al mattino e uno alla sera, ma l’efficacia di questi blocchi dipende interamente da ciò che accade nelle ore intermedie.


PARTE 1: IL RISVEGLIO RITUALE (CIRCA 3:00 – 4:00 DEL MATTINO)

Il Brahma Muhurta: L’Ora di Brahma La giornata del Pehlwan inizia nell’oscurità, molto prima che il sole sorga sulle pianure del Terai. Il risveglio avviene tipicamente intorno alle 3:00 o alle 3:30 del mattino. Questo momento è conosciuto nella tradizione vedica come il Brahma Muhurta, l'”Ora del Creatore”.

Questo non è un orario scelto a caso. È un momento di profonda quiete. L’aria è fresca e immobile, anche nel clima altrimenti opprimente del Terai. Il mondo dorme, e si ritiene che l’etere sia saturo di Prana (energia vitale) e Sattva (purezza). Svegliarsi in questo momento non è visto come un sacrificio, ma come un privilegio. È il primo atto di disciplina: conquistare il sonno, l’inerzia (Tamas).

Shaucha (Purificazione): Preparare il Vaso Il lottatore non salta dal letto e indossa le scarpe da ginnastica. La prima ora è dedicata alla Shaucha (purificazione). Il corpo, considerato un tempio, deve essere purificato prima di poter iniziare la pratica sacra (Sadhana).

  1. Svuotamento: La prima azione è svuotare completamente l’intestino e la vescica. Questo è considerato fondamentale. Un corpo “intasato” non può allenarsi correttamente; si ritiene che l’energia non possa fluire.

  2. Pulizia Orale: Segue la pulizia della bocca. Tradizionalmente, questo non viene fatto con un dentifricio, ma con un Datun (o Dantiwan). Si tratta di un rametto, spesso dell’albero di Neem (famoso per le sue proprietà antisettiche) o di Babul. Il lottatore mastica un’estremità del rametto fino a trasformarla in una spazzola fibrosa, con la quale sfrega vigorosamente denti e gengive. Si pulisce anche la lingua. Questo è un rituale di salute che rinfresca la bocca e si ritiene stimoli la digestione.

  3. Pulizia Nasale (Jala Neti): Molti Akhara tradizionali incoraggiano la pratica dello Jala Neti, una pulizia yogica dei passaggi nasali utilizzando acqua salata tiepida. Questo è cruciale per un lottatore: la respirazione (Saans) è tutto. Avere passaggi nasali puliti è essenziale per il Dum-Kham (la resistenza).

La Preparazione Mentale In questi momenti di quiete, il Pehlwan si prepara mentalmente. Recita preghiere silenziose al suo Ishta-devata (divinità personale), che è quasi universalmente Lord Hanuman, il patrono della forza e del celibato (Brahmacharya). Chiede forza per la giornata di Tapasya (austerità) che lo attende, umiltà per servire il suo Ustad (maestro) e disciplina per mantenere i suoi voti. In questi minuti, il Pattha (discepolo) cessa di essere un individuo e diventa un Pehlwan, una cellula dell’organismo dell’Akhara.


PARTE 2: L’ARRIVO ALL’AKHARA E LA PREPARAZIONE DELLA MITTI (CIRCA 4:00 – 5:30)

L’Ingresso nello Spazio Sacro Il lottatore cammina verso l’Akhara nell’oscurità, spesso solo con la luce della luna o delle stelle. L’Akhara non è una palestra; è un tempio. Arrivato all’ingresso (spesso un semplice cancello o un arco), il Pehlwan compie il primo atto di devozione.

  1. Pranam (Saluto): Si toglie le scarpe. Non si entra mai nell’Akhara con le calzature.

  2. Mitti ko Pranam: Si china, tocca la soglia dell’arena e poi tocca la terra sacra (Mitti) al suo interno. Porta la terra alla sua fronte, al suo cuore e talvolta alla sua gola. È un atto che significa: “Saluto te, Madre Terra (Dharti Mata). Perdonami per il peccato di calpestarti e colpirti con il mio corpo. Dammi la tua forza, la tua stabilità e la tua purezza”.

  3. Saluto ad Hanuman e all’Ustad: Fa un cenno di saluto all’altare di Hanuman (spesso un piccolo santuario in un angolo) e poi saluta l’Ustad, se è già presente, toccandogli i piedi in segno di rispetto assoluto.

Mitti Tayyari (La Preparazione della Terra): Il Vero Riscaldamento La “sessione” non inizia con lo stretching. Inizia con il lavoro manuale. Questo è il primo, e forse più importante, allenamento della giornata: la Mitti Tayyari. L’Akhara è una fossa di terra rossa, spesso di origine alluvionale nel Terai. Durante la notte, si è compattata e raffreddata. Deve essere “risvegliata”.

Gli Strumenti e il Processo: I discepoli, specialmente i più giovani (Pattha), afferrano gli attrezzi:

  • Phawada (Zappa/Vanga): Strumenti pesanti, spesso con manici di legno grezzo.

  • Kassi (Zappa più leggera): Per un lavoro più fine.

  • Rastrelli: Per livellare.

Il lavoro inizia. Per la successiva ora o più, i lottatori zappano l’intera arena. Non è un lavoro leggero. È un lavoro faticoso, che spezza la schiena.

  1. Dissodamento: La terra compatta viene rotta, rivoltata, ossigenata. Questo la rende morbida e ammortizzante, fondamentale per prevenire infortuni durante le proiezioni (Phekna).

  2. Rottura delle Zolle: Le zolle vengono frantumate meticolosamente.

  3. L’Aggiunta degli Ingredienti: Questo è un rituale quasi alchemico. L’Ustad supervisiona l’aggiunta di ingredienti specifici alla terra:

    • Haldi (Curcuma): Una grande quantità. La curcuma è un potente antisettico e antinfiammatorio naturale. In un ambiente dove abrasioni, sudore e contatto corporeo sono costanti, previene infezioni cutanee.

    • Sarson ka Tel (Olio di Senape): Aggiunge peso alla terra (riducendo la polvere), la rende leggermente untuosa e ha proprietà riscaldanti che si ritiene facciano bene ai muscoli dei lottatori.

    • Foglie di Neem: Spesso, foglie di neem tritate vengono mescolate per le loro proprietà antibatteriche e antifungine.

    • Offerte (Latte/Lassi): A volte, piccole quantità di latte o lassi (latticello) vengono versate come offerta sacra per “nutrire” e rinfrescare la terra.

  4. Livellamento: Una volta che la terra è stata dissodata e mescolata, viene meticolosamente livellata, spesso usando un pesante tronco di legno (sumtola) o una trave trascinata da due o più lottatori.

Il Significato Nascosto della Mitti Tayyari: Questo non è solo “manutenzione”. È la prima fase del Vyayam.

  • Riscaldamento Funzionale: Un’ora di zappatura vigorosa è un allenamento total-body fenomenale. Riscalda ogni muscolo, attiva il core, rafforza la presa e la parte bassa della schiena, e inizia a far sudare il lottatore. È un riscaldamento funzionale, non un riscaldamento isolato.

  • Karma Yoga (Azione Devota): È un atto di Seva (servizio). Il lottatore non sta solo preparando il suo spazio di allenamento; sta servendo il suo Ustad, i suoi fratelli di lotta (Guru-bhai) e la Madre Terra stessa. È una lezione di umiltà: prima di poter prendere dalla terra, devi darle il tuo sudore.

  • Connessione Tattile: Il lottatore sviluppa una connessione intima con la superficie su cui combatterà. Ne conosce ogni centimetro.


PARTE 3: L’INIZIO DEL VYAYAM MATTUTINO (CIRCA 5:30 – 8:30)

Ora che la terra è pronta e i primi raggi del sole iniziano a illuminare le pianure, inizia il Vyayam (l’esercizio) vero e proprio.

Fase 1: Vestizione e Unzione (5:30 – 5:45)

  1. Il Langot (Perizoma): I lottatori si spogliano fino a indossare solo il Langot (o Langota). Questo è un perizoma di cotone, spesso di colore arancione zafferano (il colore della rinuncia). L’atto di legarlo è un rituale: deve essere stretto, sicuro, un “sigillo” simbolico del loro Brahmacharya.

  2. L’Unzione (Tel Malish): I lottatori si ungono il corpo, o si massaggiano a vicenda, con olio di senape (Sarson ka Tel). Questo ha uno scopo triplice:

    • Riscaldamento: L’olio di senape è “riscaldante” (garam) e si ritiene che prepari i muscoli e le articolazioni per lo sforzo, prevenendo stiramenti.

    • Protezione: Crea uno strato protettivo sulla pelle.

    • Scivolosità: Rende il corpo chikna (scivoloso), rendendo la presa (Pakar) nello sparring molto più difficile. Questo allena la forza della presa a un livello estremo: se puoi trattenere un avversario unto d’olio e sudato, puoi trattenere chiunque.

Fase 2: Le “Forme” Soliste – Il Cuore del Condizionamento (5:45 – 7:00) Questa è la parte più estenuante e meditativa dell’allenamento. Non è un “circuito” nel senso moderno. È un’immersione totale in due movimenti fondamentali, eseguiti in un flusso ritmico (Laya) per un numero di ripetizioni quasi inimmaginabile.

1. I Baithak (Gli Squat Fondamentali)

  • L’Esecuzione: Si inizia con i Baithak (squat a corpo libero). I lottatori si dispongono nell’Akhara e iniziano. L’Ustad spesso guida il ritmo. Il movimento è fluido, rimbalzante, scendendo in profondità (spesso con i talloni sollevati) ed esplodendo verso l’alto.

  • Il Numero: Non si contano in “serie” da 10 o 12. Si contano a centinaia, o migliaia. Un novizio può iniziare con 200-300. Un Pehlwan esperto ne eseguirà 1.000, 2.000, o più, in un’unica sessione continua.

  • L’Obiettivo: Costruire la base. Le gambe (Jangh) sono la fonte della potenza di sollevamento per i lanci (Phekna). Questo esercizio costruisce non solo la forza esplosiva, ma anche un’incredibile resistenza muscolare e cardiovascolare (Dum-Kham). È una meditazione sulla fatica: la mente deve sconfiggere il bruciore lancinante nei quadricipiti.

2. I Dand (Le Flessioni Rituali)

  • L’Esecuzione: Dopo i Baithak, o in alternanza, si passa ai Dand. Come descritto in precedenza (Punto 8), questo è un movimento fluido simile a un vinyasa (il “push-up indiano”).

  • Il Ritmo: L’intero Akhara si muove all’unisono. Il suono di venti uomini che espirano mentre si tuffano e inspirano mentre si ritraggono crea una cadenza ipnotica. È una preghiera in movimento.

  • Il Numero: Come per i Baithak, i numeri sono astronomici. Centinaia come minimo, migliaia per i lottatori più esperti.

  • L’Obiettivo: Costruire la potenza di spinta (Dhâk), la forza del core e, soprattutto, la flessibilità e la forza della colonna vertebrale. Questa fluidità spinale è ciò che permette le fughe difensive come il Machli Gota (il giro del pesce).

Queste due “forme” soliste sono l’equivalente del Kihon (fondamentali) e del Kata (forme) del Karate. Sono praticate religiosamente ogni singolo giorno. Sono la base su cui si costruisce tutto il resto.

Fase 3: Le “Forme Armate” – Allenamento con Attrezzi (7:00 – 7:45) Dopo il condizionamento a corpo libero, i lottatori passano agli attrezzi tradizionali. Non tutti gli attrezzi vengono usati ogni giorno; l’Ustad può stabilire una rotazione.

1. La Gada (Mazza)

  • L’Esercizio: Il Pehlwan prende la sua Gada, che varia in peso dai 10-15 kg per un novizio ai 40, 50 o più kg per un maestro. L’esercizio principale è il Gada Bhramana (oscillazione). Il lottatore la fa roteare in grandi cerchi dietro la schiena, alternando le direzioni.

  • L’Obiettivo: Questo non è un esercizio per le spalle. È un esercizio total-body per la forza rotazionale del core, la stabilità scapolare e, soprattutto, la Pakar (forza della presa). La presa necessaria per controllare una Gada da 40 kg in un movimento di slancio è ciò che permette al Pehlwan di afferrare un polso unto d’olio.

2. Le Jori (Clave)

  • L’Esercizio: Le Jori (clave di legno pesanti) vengono prese in coppia. Il lottatore le fa oscillare in schemi complessi (ma ritmici) intorno al corpo, facendole riposare sulle spalle tra un’oscillazione e l’altra.

  • L’Obiettivo: Costruire spalle massicce e stabili, “mani pesanti” (per il Kasad, il logoramento a terra) e una coordinazione neurologica avanzata.

3. Altri Esercizi (Sumtola, Rassa)

  • Sumtola: Sollevare un tronco pesante o una pietra scolpita (Nal), emulando un deadlift o uno stone lift. Costruisce la potenza pura di sollevamento per i lanci.

  • Rassa: Arrampicata sulla corda, spesso senza l’uso delle gambe. Costruisce una forza di trazione devastante nella schiena e nelle braccia.

Fase 4: Il Jor (Sparring) – Il Culmine della Sessione (7:45 – 8:30) Questo è il culmine del Vyayam mattutino. È il momento di combattere.

  • Il Rituale Iniziale: I lottatori si coprono il corpo con la Mitti (terra) che hanno preparato. Questo asciuga l’olio e il sudore, fornendo un minimo di attrito e, simbolicamente, “indossando l’armatura” della Madre Terra.

  • L’Accoppiamento (Jodi): L’Ustad assegna le coppie. Questo non è mai casuale. Un Pattha (novizio) viene messo contro un Pehlwan esperto. Un lottatore forte ma lento viene messo contro uno più piccolo e veloce. L’Ustad sta creando problemi specifici che i suoi discepoli devono risolvere.

  • L’Inizio: I due lottatori si stringono la mano, si toccano la fronte e l’incontro inizia.

  • La Natura del Jor: Il Jor non è un incontro per la vittoria. È apprendimento attivo. È brutale, ma controllato. L’obiettivo non è il Chitt (lo schienamento), anche se può accadere. L’obiettivo è praticare.

    • Kasad (Logoramento): Una parte enorme del Jor è il Kasad. I lottatori si impegnano nel clinch (presa alla parte superiore del corpo), lottando per la posizione del collo, applicando una pressione costante. L’Ustad urla “Bojh dalo!” (Metti il peso!). Si tratta di imparare a essere “pesanti”.

    • Dav-Pech (Mossa-Contromossa): Un lottatore tenta un Dav (es. Kala Jangh, attacco alla gamba). L’altro risponde con un Pech (es. sprawl o Gadhânet, controllo del collo). È un dialogo fisico ad alta velocità.

    • Il Ruolo del Novizio: Per il novizio, il Jor è una lezione di sopravvivenza. Il suo compito è resistere il più a lungo possibile alla pressione dell’esperto. Impara la difesa, la respirazione sotto stress (Saans) e la durezza mentale.

    • Il Suono dell’Akhara: L’Akhara si riempie dei suoni dello sforzo: il thud dei corpi che colpiscono la terra, i grugniti di sforzo, gli schiocchi delle mani che combattono per la presa, e sopra tutto, la voce tonante dell’Ustad che urla correzioni: “Ghum!” (Gira!), “Pakar mazboot!” (Presa forte!), “Neeche baith!” (Siediti, abbassa il centro di gravità!).


PARTE 4: LA CONCLUSIONE MATTUTINA E LA “SESSIONE INVISIBILE” (8:30 – 16:00)

La Conclusione del Vyayam (8:30 – 9:00)

  • Defaticamento: Dopo il Jor, i lottatori sono completamente esausti, coperti da uno strato di fango (sudore, olio e terra). Il defaticamento consiste in movimenti leggeri, scuotimento degli arti.

  • Saluto Finale: I lottatori si riuniscono, fanno un ultimo Pranam alla terra e all’Ustad, spesso toccandogli di nuovo i piedi in segno di gratitudine per l’insegnamento.

  • Seva (Servizio): Il lavoro non è finito. I discepoli più giovani ora eseguono la Seva (servizio) ai lottatori più anziani e all’Ustad. Questo consiste in un Malish (massaggio) lungo ed esperto, utilizzando ancora olio di senape, per sciogliere i muscoli tesi, prevenire infortuni e aiutare il recupero. Questo è anche un modo per il discepolo di continuare il suo apprendimento tattile dell’anatomia.

Il Khurak (La Dieta) – Fase 1: Il Nettare (9:00 – 10:00)

  • Il Thandai/Sardai: Immediatamente dopo l’allenamento, inizia il rituale del Thandai (o Sardai). Questo non è un frullato di proteine in polvere. È la bevanda nutritiva sacra del Pehlwan, preparata meticolosamente (spesso dai discepoli stessi come parte della Seva) macinando su una pietra (sil-batta) ingredienti messi a bagno la notte prima:

    • Badam (Mandorle): Centinaia. La principale fonte di proteine e grassi sani.

    • Semi di Papavero (Khas Khas), Semi di Finocchio (Saunf), Cardamomo (Elaichi): Per la digestione e per le loro proprietà rinfrescanti (thanda), che bilanciano il “calore” (Tapasya) generato dall’allenamento.

    • Questa pasta viene mescolata con litri di Doodh (Latte) crudo e fresco, e talvolta dolcificata con Mishri (zucchero di canna grezzo).

  • Ghee: Molti Pehlwan berranno anche una tazza di Ghee (burro chiarificato) sciolto o lo mescoleranno direttamente nel latte. Questo è il carburante ad alto contenuto calorico che sostiene il loro regime.

Il Riposo (Aram) – La Fase Anabolica (10:00 – 16:00) Questa è la “sessione invisibile”, ed è importante quanto il Vyayam.

  • Snana (Bagno): Un bagno lungo e accurato per rimuovere l’olio e la terra.

  • Il Pasto Principale (Pranzo): Intorno alle 10:30 o 11:00, il Pehlwan consuma il suo primo pasto solido. È enorme, ma Sattvico (puro). Niente alcol, niente tabacco, spesso niente carne, aglio o cipolle (considerati Rajasici o Tamasici). Il pasto è tipicamente:

    • Dozzine di Roti (pane piatto integrale).

    • Un’enorme ciotola di Dal (zuppa di lenticchie), spesso arricchita con Ghee.

    • Sabzi (verdure di stagione).

    • Una grande ciotola di Dahi (yogurt fatto in casa).

    • Altro Latte e Ghee.

  • Pachan (Digestione): Dopo questo pasto massiccio, il Pehlwan deve riposare. Il corpo ha bisogno di tutte le sue energie per Pachan (digestione) e assimilazione.

  • Il Sonno Pomeridiano: Un sonno di 1-2 ore nel primo pomeriggio non è visto come pigrizia; è prescritto. È la fase anabolica, dove il corpo, inondato di sostanze nutritive e stimolato dal Vyayam, ricostruisce i muscoli più forti di prima.

  • Brahmacharya Mentale: Il resto del pomeriggio è speso in tranquillità. Il Pehlwan conserva la sua energia. Evita conversazioni futili, conflitti, eccitazione (come guardare film) o qualsiasi stimolazione sessuale. La sua mente è calma, focalizzata sul compito serale.


PARTE 5: LA SESSIONE SERALE (SHAM KA VYAYAM) (CIRCA 16:00 – 19:00)

Il Secondo Turno Intorno alle 16:00, mentre il caldo soffocante del giorno nel Terai inizia a diminuire, l’Akhara si risveglia. I lottatori ritornano. La sessione serale è una replica di quella mattutina, ma con un’enfasi e un’energia diverse.

Differenze e Focus:

  1. Meno Preparazione della Terra: La Mitti è già stata dissodata. Richiede solo un rapido livellamento.

  2. Focus sulla Tecnica: Spesso, la sessione mattutina è incentrata sul condizionamento puro (migliaia di Dand/Baithak), mentre la sessione serale è più focalizzata sul Jor (sparring) e sul Dav-Pech (tecnica e contromossa).

  3. Apprendimento Tecnico (Ukhaad-Pachhad): L’Ustad può prendere da parte i discepoli e far loro praticare drill specifici (l’equivalente del Kihon Kumite). Ad esempio, un lottatore esegue un Kala Jangh (attacco alla gamba), e l’altro pratica tre diverse contromosse (Pech), ripetendo il drill decine di volte per costruire la memoria muscolare.

  4. Allenamento di Velocità: Il condizionamento può essere diverso. Invece di 2.000 Baithak lenti, l’Ustad può chiedere 500 Baithak eseguiti il più velocemente possibile.

  5. Jor (Sparring): Il Jor serale è cruciale. Il corpo è riscaldato ma anche affaticato dalla giornata. È un test di volontà. È qui che il lottatore applica le lezioni e le correzioni che l’Ustad gli ha dato al mattino.


PARTE 6: LA CONCLUSIONE DELLA GIORNATA (DOPO LE 19:00)

Recupero Finale

  • Bagno e Pasto Serale (19:30 – 20:30): Un altro bagno per pulire il sudore. Il pasto serale è nutriente, ma generalmente più leggero di quello di mezzogiorno per non appesantire la digestione durante il sonno. Spesso consiste in Khichdi (un piatto facile da digerire a base di riso e lenticchie), verdure e, naturalmente, altro Latte Caldo (spesso con curcuma o zenzero) prima di dormire.

  • Satsang (Comunione): Questo è un momento importante. I discepoli non si ritirano a guardare la TV. Spesso si siedono ai piedi del loro Ustad, massaggiandogli le gambe (Seva), mentre lui racconta storie (Kisse). Racconta le leggende di Gama il Grande, le parabole del Mahabharata, o le sue stesse battaglie nei Dangal. Questa è la trasmissione orale della filosofia, della storia e dell’etica dell’arte.

  • Nidra (Sonno) (Entro le 21:00): Il Pehlwan è a letto entro le 20:30 o le 21:00. Il sonno profondo e ininterrotto è l’ultimo ingrediente del recupero. Il corpo deve massimizzare il suo ciclo di guarigione per essere pronto a ricominciare tutto da capo, sei ore dopo, nel Brahma Muhurta.

Conclusione: L’Inesorabile Ciclo della Creazione

Come si può vedere, la “sessione di allenamento” di un Pehlwan nel Terai non è un evento. È un ciclo inesorabile di 24 ore di creazione e distruzione.

È un processo in cui il corpo viene prima purificato (Shaucha), poi costretto a servire la terra (Mitti Tayyari), poi sistematicamente scomposto e spinto ai suoi limiti assoluti (Vyayam e Jor). Viene quindi inondato di nutrimento puro (Khurak) e costretto a riposare e ricostruirsi (Aram), il tutto all’interno di una bolla di disciplina mentale e spirituale (Brahmacharya e Bhakti).

Ogni giorno, questo ciclo si ripete. Non ci sono fine settimana, non ci sono vacanze. È attraverso questa ripetizione quotidiana, quasi monastica, che un ragazzo di villaggio viene riforgiato, atomo per atomo, nel veicolo di potenza e disciplina che è il Pehlwan.

GLI STILI E LE SCUOLE

Decostruire i Concetti di “Stile” e “Scuola”

Quando ci si avvicina al Pehlwani (o Kushti) con la mentalità tassonomica delle arti marziali dell’Estremo Oriente, la prima domanda è: “Quali sono gli stili?”. Si cercano equivalenti del Karate Shotokan contro il Goju-Ryu, o del Kung Fu dell’Ala del Nord contro quello del Sud. Questa domanda, sebbene logica, è fondamentalmente incompatibile con la natura stessa del Pehlwani.

Il Pehlwani non ha “stili” nel senso di sistemi codificati e distinti (Ryu in giapponese) con nomi, fondatori e set di tecniche esclusive. L’arte è considerata un’unica, monolitica tradizione di lotta (grappling).

Allo stesso modo, il Pehlwani non ha “scuole” nel senso moderno di franchising, palestre affiliate o dojo con un Hombu (quartier generale) centrale.

Per comprendere la sua struttura, dobbiamo scartare questa terminologia e adottare i concetti indigeni che governano l’arte, specialmente in enclavi tradizionali come la regione del Terai nepalese. Le vere “scuole” e “stili” del Pehlwani sono definiti da due concetti inseparabili:

  1. L’Akhara (La Scuola Fisica e Spirituale): L’Akhara (o Akhada) è la “scuola”. Non è una filiale; è un’entità singolare, autarchica e sacra. È un tempio, un monastero e una palestra fusi in uno, governati da un unico Ustad (maestro).

  2. Il Gharana (Lo “Stile” come Lignaggio): Il Gharana è il concetto più vicino a uno “stile”. È un termine preso in prestito dalla musica classica indiana, che non significa “un insieme di tecniche”, ma un “lignaggio” o una “casata”. Un lottatore appartiene al Gharana del suo Ustad, che a sua volta appartiene a quello del suo Ustad, in una catena di successione (Parampara) che, idealmente, risale ai fondatori mitologici.

La “differenza di stile” tra due Pehlwan non è quindi basata su un curriculum diverso, ma sulla reputazione, le sottili preferenze tecniche e l’autorità spirituale del loro Gharana.

Tuttavia, il Pehlwani non è nato dal nulla. È esso stesso il prodotto della fusione di “stili” antichi. E, nel mondo moderno, ha dato origine (o è in competizione con) nuovi “stili” di lotta. Per comprendere appieno la posizione del Kushti, dobbiamo analizzare l’intero albero genealogico: le sue radici (gli stili antichi), il suo tronco (il sistema Akhara/Gharana) e i suoi rami moderni (la lotta olimpica e le MMA).


PARTE 1: LE RADICI ANTICHE – GLI “STILI” CLASSIFICATI DELLA MALLA-YUDDHA

Come discusso nella sezione storica, il Pehlwani è il discendente sincretico dell’antica lotta indiana conosciuta come Malla-yuddha. Questa antica arte, a differenza del Pehlwani moderno, aveva un sistema di classificazione che può essere interpretato come “stili” filosofici o tipologie di combattimento.

La fonte testuale più importante al riguardo è il Manasollasa (XII secolo), un testo enciclopedico sanscrito che dedica un capitolo intero, il Malla Vinoda, alla lotta. Questo testo non descrive “scuole” rivali, ma classifica la Malla-yuddha in quattro grandi Jati (tipi o categorie), basate sull’approccio filosofico e tecnico. Questi Jati prendono il nome dagli eroi mitologici che ne incarnavano le qualità, eroi le cui storie sono centrali per la cultura del Terai.

1. Bhimaseni (Lo Stile della Forza Bruta)

  • L’Archetipo: Prende il nome da Bhima, l’eroe del Mahabharata dotato della forza di diecimila elefanti.

  • La Filosofia: Questo stile enfatizza la Bal (forza pura) e la Takhat (potenza grezza) sopra ogni altra cosa. La filosofia Bhimaseni sostiene che la tecnica è secondaria alla capacità di sopraffare fisicamente l’avversario.

  • Le Tecniche: Un lottatore di “stile” Bhimaseni si concentrerebbe su:

    • Sollevamenti di potenza: Tecniche come il Multani (un suplex o un sollevamento da terra) che mirano a sollevare l’avversario di peso e schiantarlo.

    • Kasad (Logoramento): L’uso implacabile del peso corporeo per schiacciare l’avversario, affaticarlo e “cuocerlo” (pakana) fino alla sottomissione.

    • Presa statica: Mantenere prese di controllo soffocanti piuttosto che cercare transizioni fluide.

  • La Sopravvivenza nel Pehlwani: Questo “stile” è vivo e vegeto. Il regime di allenamento del Pehlwani (migliaia di Dand e Baithak, la dieta Khurak ipercalorica) è, nella sua essenza, un tentativo di costruire un corpo Bhimaseni. L’enfasi sulla resistenza infinita (Dum-Kham) e sulla “pesantezza” nel Jor (sparring) è una diretta continuazione di questa filosofia.

2. Hanimanti (Lo Stile della Superiorità Tecnica)

  • L’Archetipo: Prende il nome da Lord Hanuman, il patrono divino del Pehlwani. Sebbene Hanuman possieda una forza illimitata, è anche un maestro di agilità, velocità e strategia.

  • La Filosofia: Questo stile enfatizza la tecnica (Kala), l’agilità (Phurtî), la velocità e l’intelligenza (Buddhi). È l’arte di sconfiggere la forza bruta attraverso la leva e il tempismo. È lo stile del Dav-Pech (mossa e contromossa).

  • Le Tecniche: Un lottatore “Hanimanti” eccellerebbe in:

    • Proiezioni di leva: Tecniche come il Dhobi Pat (lancio d’anca) o la Baharli (sgambetto esterno), che usano lo slancio dell’avversario contro di lui.

    • Velocità e Transizioni: Movimenti rapidi, attacchi alle gambe (Kala Jangh) e la capacità di fluire da una tecnica all’altra.

    • Difesa e Fuga: Tecniche come il Machli Gota (la “fuga del pesce”), che si basa sulla flessibilità e sull’agilità per sfuggire a una presa.

  • La Sopravvivenza nel Pehlwani: Questo “stile” rappresenta l’altro lato della medaglia del Pehlwani. Il Jor (sparring) è un dialogo costante tra la forza Bhimaseni e la tecnica Hanimanti. Un grande Pehlwan, come il leggendario Gama il Grande, era famoso per aver combinato la forza Bhimaseni (il suo condizionamento disumano) con la tecnica Hanimanti (la sua abilità nel neutralizzare avversari più grandi come Raheem Bakhsh).

3. Jambuvanti (Lo Stile delle Sottomissioni)

  • L’Archetipo: Prende il nome da Jambavan, il re-orso mitologico, noto per la sua saggezza e la sua forza (nel Ramayana, lotta con Krishna per 21 giorni prima di riconoscere la sua divinità).

  • La Filosofia: Questo stile è focalizzato sul controllo e sulla sottomissione. A differenza della vittoria per schienamento (Chitt), lo stile Jambuvanti mira a costringere l’avversario alla resa attraverso leve articolari dolorose e prese di sottomissione.

  • Le Tecniche: Strangolamenti, bloccaggi alle braccia (armbar), leve alle ginocchia e alle caviglie.

  • La Sopravvivenza nel Pehlwani: Questo è lo “stile” che è stato in gran parte epurato dal Pehlwani moderno. Il Kushti, come praticato nei Dangal del Terai, considera le leve articolari e gli strangolamenti come ghair-kanooni (illegali). L’obiettivo è il Chitt (schienamento), non la sottomissione. Questa epurazione è avvenuta probabilmente per due ragioni:

    1. Ragioni Sportive: Per rendere i tornei (Dangal) più sicuri e permettere ai lottatori di competere frequentemente senza infortuni che pongono fine alla carriera.

    2. Ragioni Filosofiche: L’atto di spezzare un arto è visto come moralmente inferiore all’atto di dominare e schienare un avversario. Tuttavia, tracce di questo stile sopravvivono nel Kasad (logoramento), dove prese dolorose (ma non lussanti) come il Gadhânet (pressione sul collo/viso) sono usate per “persuadere” l’avversario a cedere la posizione.

4. Jarasandhi (Lo Stile Letale)

  • L’Archetipo: Prende il nome da Jarasandha, il re tiranno del Mahabharata, famoso per la sua brutalità e la sua invincibilità (finché Bhima non lo spezzò in due).

  • La Filosofia: Questo era lo “stile” da campo di battaglia della Malla-yuddha. Non aveva regole. L’obiettivo era la menomazione o la morte.

  • Le Tecniche: Rottura deliberata delle articolazioni, colpi ai punti vitali (occhi, gola, inguine), strangolamenti mortali.

  • La Sopravvivenza nel Pehlwani: Questo “stile” è completamente estinto nel Pehlwani sportivo. È l’antitesi della filosofia del Dharma del lottatore. La sua eliminazione è ciò che ha permesso alla Malla-yuddha di evolversi da un’arte marziale bellica a una disciplina sportiva e spirituale (Sadhana).

In sintesi, gli “stili” antichi del Pehlwani non erano scuole, ma approcci. Il Pehlwani moderno ha scelto di specializzarsi in una sintesi degli stili Hanimanti (tecnica) e Bhimaseni (forza), scartando gli stili Jambuvanti (sottomissione) e Jarasandhi (letale).


PARTE 2: L’ALTRA “SCUOLA” FONDATRICE – LO ZOURKHANEH PERSIANO

Il Pehlwani non è pura Malla-yuddha. Come discusso, è un sincretismo con la lotta persiana, Koshti-ye Pahlavani, portata nel subcontinente dai Mughal. Per capire le “scuole” del Pehlwani, dobbiamo capire la “scuola” da cui proviene la sua controparte persiana: lo Zourkhaneh.

Lo Zourkhaneh (La “Casa della Forza”) Lo Zourkhaneh è il modello di “scuola” persiana, l’equivalente diretto dell’Akhara indiano. È un’istituzione antica, intrisa di misticismo Sufi e di un codice cavalleresco chiamato Javanmardi.

  • La Struttura: Come l’Akhara, lo Zourkhaneh è uno spazio ritualizzato, spesso ottagonale e sotterraneo, con una fossa centrale (Gowd) dove si svolge l’azione.

  • Il Maestro: Il maestro è chiamato Morshed, che siede su un seggio rialzato e guida l’allenamento non urlando, ma cantando poemi epici (come lo Shahnameh, il “Libro dei Re” persiano) e suonando un tamburo (Zarb) per dare il ritmo.

  • Lo “Stile” di Allenamento: L’allenamento (Varzesh-e Bastani, “Antico Sport”) è straordinariamente simile a quello del Pehlwani, suggerendo un’antica origine comune o uno scambio culturale. Include:

    • Shena (Flessioni): Movimenti di flessione ritmica simili ai Dand.

    • Mil (Clave): L’oscillazione di clave di legno pesanti, l’esatto precursore delle Jori del Pehlwani.

    • Kabbadeh (Arco di Ferro): Un attrezzo per allenare la parte superiore del corpo.

    • Sang (Scudi): Sollevamento di pesanti scudi di legno, un allenamento simile al Sumtola (sollevamento del tronco).

  • La Lotta (Koshti): L’allenamento culmina nella lotta (Koshti), che si concentra su prese alla vita e proiezioni.

L’Impatto sul Pehlwani Questa “scuola” persiana si è fusa con l’Akhara indiano. Il risultato è il Pehlwani moderno.

  • La “Scuola” si è Fusa: L’Akhara indiano ha adottato gli attrezzi dello Zourkhaneh (le Jori/Mil).

  • Lo “Stile” si è Fuso: La lotta indiana (Malla-yuddha) ha adottato la terminologia persiana (Pehlwan, Kushti, Ustad) e ha integrato le tecniche di presa alla vita.

  • La Filosofia si è Fusa: Il Dharma del lottatore Kshatriya si è fuso con il Javanmardi (cavalleria) del mistico Sufi, creando un codice etico sincretico.

Questa fusione è la vera “scuola fondatrice” del Pehlwani. Non è stata un’invenzione, ma un matrimonio di due sistemi di “scuola” e “stile” incredibilmente simili e maturi.


PARTE 3: IL GHARANA (IL LIGNAGGIO) – LO “STILE” COME REPUTAZIONE E PEDIGREE

Nel Pehlwani, la domanda “Che stile pratichi?” non ha senso. La domanda corretta è: “Di chi sei Shishya (discepolo)?” (Aap kiske shishya hain?).

La risposta a questa domanda – “Sono un discepolo dell’Ustad X” – definisce il tuo “stile”. Questo è il sistema dei Gharana (lignaggi).

Definizione del Gharana Un Gharana non è definito da un set di tecniche segrete (sebbene ogni Ustad possa avere le sue variazioni preferite, o dav). È definito da:

  1. Il Lignaggio (Parampara): La catena ininterrotta di Ustad-Shishya. Appartenere a un Gharana significa essere l’erede di una tradizione specifica, trasmessa da corpo a corpo.

  2. La Reputazione (Izzat): La fama e l’onore del Gharana. Questo è costruito dalle vittorie dei suoi lottatori nei Dangal (tornei). Un Gharana è “forte” se i suoi lottatori vincono.

  3. L’Autorità Spirituale: L’Ustad che dirige il Gharana non è solo un allenatore; è una guida spirituale e un padre surrogato. La sua autorità morale è lo “stile” della scuola.

  4. Sottigliezze Tecniche: Alcuni Gharana possono diventare famosi per una specialità. Ad esempio, un Gharana potrebbe essere noto per la sua difesa impenetrabile, un altro per il suo Dhobi Pat (lancio d’anca) fulmineo, un altro ancora per il suo Kasad (logoramento) brutale.

I Grandi Gharana Storici (Le “Super-Scuole”) L’Età d’Oro del Pehlwani (sotto il patrocinio dei Maharaja) ha visto l’ascesa di “super-Gharana” la cui fama era pan-indiana. Questi erano i veri “stili” del Pehlwani.

  • Il Gharana “Gama” di Amritsar/Lahore: Questo è stato il Gharana più famoso di tutti. Non era uno “stile” codificato, ma il lignaggio della famiglia di Gama il Grande. L’allenamento (Vyayam) e la disciplina (Tapasya) di Gama divennero il “metodo” che tutti cercavano di emulare. I suoi parenti, come suo fratello Imam Bakhsh e i suoi nipoti (i Bholu Brothers), continuarono questo lignaggio. Il loro “stile” era caratterizzato da un condizionamento fisico disumano e da una potenza esplosiva.

  • Il Gharana di Kolhapur: Sotto il patrocinio di Shahu Chhatrapati, la città di Kolhapur divenne un centro nevralgico, un’intera “città-scuola”. Ha prodotto innumerevoli campioni (come Kalloo Pehlwan) ed era famosa per la sua metodologia rigorosa e il suo approccio quasi scientifico alla dieta.

  • Il Gharana di Patiala: La corte del Maharaja di Patiala era un altro centro di eccellenza, noto per reclutare i migliori talenti (incluso Gama all’inizio) e per la sua ricchezza, che finanziava regimi di allenamento e diete estremi.

Come il Gharana si Applica al Terai Nepalese Gli Akhara nel Terai nepalese non esistono nel vuoto. La loro legittimità e il loro prestigio sono direttamente collegati a questi grandi Gharana storici.

  • Connessione di Lignaggio: Un Ustad in un villaggio vicino a Birgunj (nel Terai) fonderà la sua autorità sulla sua Parampara. Potrebbe dire: “Il mio Ustad ha imparato dal discepolo di un Ustad che si è allenato a Patiala”. Questa connessione, anche se di terza o quarta generazione, è il suo “pedigree”. È ciò che lo distingue da un Ustad il cui lignaggio è sconosciuto.

  • Stile come Identità: Quando i Pehlwan del Terai si incontrano in un grande Dangal, la sfida non è tra “Stile A” e “Stile B”. È tra l’Akhara di Ustad Ram e l’Akhara di Ustad Rahim. È una battaglia di Gharana. L’onore (Izzat) del lignaggio è in palio.


PARTE 4: L’AKHARA (LA SCUOLA) – IL MODELLO EDUCATIVO TOTALE

Se il Gharana è lo “stile” (il software), l’Akhara è la “scuola” (l’hardware e il sistema operativo). È l’istituzione fisica, sociale e spirituale che trasmette il Gharana. L’Akhara è la “casa madre” (casa madre) del Pehlwani, ma su scala locale.

L’Akhara tradizionale, come quelli che lottano per sopravvivere nel Terai, non è un “club di lotta”. È un modello educativo totale, più simile a un monastero shaolin o a un collegio spartano.

Caratteristiche dell’Akhara come “Scuola”

  1. La Scuola come Santuario (Il Luogo Sacro): L’Akhara è prima di tutto un tempio. È costruito su terra consacrata (Mitti) ed è dedicato a Lord Hanuman. L’allenamento non è un “allenamento”, è una Sadhana (pratica spirituale). La prima “lezione” del giorno non è una tecnica, ma la Mitti Tayyari (la preparazione della terra), un atto di adorazione della Madre Terra (Dharti Mata).

  2. La Scuola come Monastero (La Disciplina Ascetica): L’Akhara insegna una filosofia di vita totale basata sulla Tapasya (austerità). Le “regole della scuola” sono:

    • Brahmacharya (Celibato): L’astinenza sessuale è obbligatoria all’interno dell’Akhara, poiché l’energia vitale (Virya) deve essere conservata.

    • Sattva (Purezza): Divieto assoluto di Nasha (intossicanti) come alcol e tabacco.

    • Khurak (Dieta): Aderenza rigorosa alla dieta pura (Sattvica) prescritta: latte, ghee, mandorle.

  3. La Scuola come Famiglia (La Gerarchia Sociale):

    • L’Ustad (Il Rettore): Il maestro è il capo assoluto. La sua parola è legge. È il padre, il giudice e l’insegnante.

    • Guru-bhai (Fratelli del Guru): I discepoli non sono compagni di squadra; sono “fratelli del guru”. Vivono insieme, mangiano insieme, si allenano insieme e si massaggiano a vicenda (Malish). C’è una rigida gerarchia basata sull’anzianità.

  4. La Scuola “Gratuita” (L’Economia della Seva): Un Akhara tradizionale non ha una quota di iscrizione. Non si “paga” per imparare. Si “paga” con la Seva (servizio devozionale). La “tassa scolastica” di un novizio (Pattha) è:

    • Preparare la Mitti all’alba.

    • Massaggiare (Malish) l’Ustad e i lottatori anziani.

    • Cucinare, pulire e preparare il Thandai (la bevanda di mandorle).

    • Eseguire commissioni personali per l’Ustad.

Questa struttura è la scuola. Non è un luogo dove si impara il Pehlwani; è il sistema che crea il Pehlwan. Il Terai nepalese è una delle poche regioni in cui questo modello di “scuola” olistica e non commerciale sopravvive, anche se messo sotto pressione dalla modernità.


PARTE 5: “SCUOLE” E “STILI” MODERNI CONNESSI AL PEHLWANI

Il Pehlwani non esiste nel vuoto. Nel XX e XXI secolo, l’ecosistema della lotta è cambiato. Sono emersi nuovi “stili” e “scuole” che sono direttamente collegati, sia come discendenti che come rivali, al Pehlwani tradizionale.

1. Il Grande Scisma: Freestyle Wrestling (Lotta Olimpica) Questo è il rivale più significativo e il discendente più diretto.

  • Lo “Stile”: La Lotta Libera (Freestyle) è uno “stile” internazionale, codificato, con un regolamento a punti.

  • La “Scuola”: Le “scuole” sono le federazioni nazionali (come la Nepal Wrestling Association o la Wrestling Federation of India) e i centri di allenamento governativi (come la Sports Authority of India – SAI).

  • La Connessione: Questo stile moderno è in un rapporto simbiotico e conflittuale con il Pehlwani.

    • Reclutamento: Le federazioni nazionali reclutano i loro migliori talenti quasi esclusivamente dagli Akhara tradizionali. I campioni olimpici indiani come Sushil Kumar e Yogeshwar Dutt sono prodotti dell’Akhara, cresciuti sulla Mitti.

    • Lo Scontro di “Stili” (Mitti vs. Mat): Sebbene le basi siano simili (forza, condizionamento, proiezioni), le filosofie sono opposte.

      • Obiettivo: Pehlwani = Chitt (schienamento totale). Freestyle = Punti.

      • Tempo: Pehlwani = Nessun limite. Freestyle = Round a tempo.

      • Tecniche: Il Pehlwani enfatizza il Kasad (logoramento) e la “pesantezza”, tecniche che non danno punti e sono scoraggiate nel Freestyle. Il Freestyle premia l’esplosività rapida e le transizioni.

  • Impatto sul Terai: Questo è il dilemma centrale per un giovane Pehlwan nel Terai. L'”antica scuola” (l’Akhara) offre Izzat (onore) e disciplina spirituale. La “nuova scuola” (la federazione e il Mat olimpico) offre una via per la fama internazionale, le medaglie e, soprattutto, un lavoro governativo (un posto nell’esercito o nella polizia), che rappresenta la sicurezza economica.

2. Lo “Stile” Perduto: Catch-as-Catch-Can

  • La Connessione Storica: Questo “stile”, noto anche come Catch Wrestling, è un cugino stretto del Pehlwani. Si è sviluppato nelle fiere e nei circoli minerari del Lancashire, in Inghilterra, ma ha avuto un’intensa interazione con il Pehlwani durante l’Età d’Oro.

  • Gama vs. Zbyszko: L’incontro più famoso di Gama il Grande a Londra contro Stanislaus Zbyszko non era un incontro di puro Kushti, ma una sfida ibrida secondo le regole del Catch.

  • Similitudini di “Stile”: Il Catch Wrestling è forse lo stile occidentale più vicino al Pehlwani. Entrambi:

    • Enfatizzano il condizionamento brutale (Karl Gotch, un padre del Catch, era un fanatico degli squat e dei bridge).

    • Sono focalizzati sul Pinning (lo schienamento, l’equivalente del Chitt).

    • Includono prese dolorose e leve articolari (submission, l’elemento Jambuvanti che il Pehlwani ha scartato ma il Catch ha mantenuto).

  • La “Scuola”: Le “scuole” di Catch erano i gym leggendari come la “Snake Pit” di Billy Riley a Wigan, Inghilterra. Sebbene non ci sia un legame diretto, rappresentano un ramo parallelo dell’evoluzione della lotta.

3. Le “Scuole” Emergenti: Mixed Martial Arts (MMA)

  • Lo “Stile”: L’MMA è uno stile ibrido per definizione.

  • Le “Scuole”: I moderni “super-gym” di MMA (come American Kickboxing Academy, Jackson-Wink, ecc.).

  • La Connessione: L’MMA è l’ambiente moderno in cui gli “stili” antichi vengono testati. Lottatori con una base di Pehlwani stanno iniziando a emergere.

    • Il Pehlwani come Base di Grappling: Gli analisti di MMA stanno riconoscendo che il Pehlwani è una base di grappling formidabile, forse alla pari con il Freestyle o il Sambo.

    • Punti di Forza: L’enfasi del Pehlwani sul clinch (lotta in piedi), sul controllo della testa (Gadhânet), sulla forza della presa (Pakar) e sulla capacità di lottare da posizioni “brutte” (grazie alla flessibilità del Dand) lo rende molto adatto all’MMA.

    • Punti Deboli: La sua totale mancanza dello “stile” Jambuvanti (sottomissioni) e la sua avversione per la lotta a pancia in giù (guard) lo rendono vulnerabile contro specialisti di BJJ (Jiu-Jitsu Brasiliano).

  • Impatto sul Terai: L’MMA è una tentazione moderna. Un giovane del Terai potrebbe vedere nell’MMA una via per la fama globale, ma per avere successo, la “scuola” dell’Akhara non è sufficiente; deve ibridarla con altre “scuole” (BJJ, Muay Thai).

4. La “Scuola” dello Spettacolo: Pro-Wrestling

  • La Connessione: Una connessione storica molto forte. Il wrestling professionistico (lotta spettacolo) ha attinto pesantemente dal Pehlwani.

  • L’Atleta-Scuola: Dara Singh è l’esempio perfetto. Fu un Pehlwan tradizionale di alto livello che capì che l’Età d’Oro del patrocinio era finita. Trasformò il suo “stile” (Pehlwani) per adattarlo alla “scuola” dello spettacolo, diventando una superstar del cinema e del pro-wrestling. Ha portato l’estetica del Pehlwan (e il suo ruolo di Hanuman) alle masse.


PARTE 6: LA “CASA MADRE” (SEDE CENTRALE) – LOCALE CONTRO GLOBALE

La richiesta di identificare la “casa madre” (sede centrale) del Pehlwani rivela, ancora una volta, la tensione tra tradizione e modernità.

La “Casa Madre” Tradizionale: L’Akhara Stesso Nella concezione pura del Pehlwani, non esiste una “casa madre” centrale. Non c’è un “Vaticano” del Kushti.

  • Ogni Akhara è Sovrano: La “casa madre” di un Pehlwan è l’Akhara del suo Ustad. È lì che risiede l’autorità. È lì che è custodito il Gyaan (la conoscenza) del suo Gharana.

  • Assenza di una Gerarchia Centrale: L’Ustad di un Akhara nel Terai non risponde a un “Grande Maestro” a Delhi o a Kathmandu. Risponde solo alla sua coscienza, al suo lignaggio (Parampara) e alla sua devozione ad Hanuman.

  • Il Luogo della Leggenda: Se una “casa madre” spirituale dovesse essere nominata, sarebbero i luoghi leggendari dell’Età d’Oro, come gli Akhara di Lahore o Kolhapur, ma questi sono ora solo punti di riferimento storici, non centri amministrativi.

La “Casa Madre” Burocratica: United World Wrestling (UWW) Nel mondo moderno, lo sport è governato da federazioni. Per il Pehlwani, nella misura in cui è considerato uno “sport” internazionale, la “casa madre” burocratica è United World Wrestling (UWW).

  • Chi è UWW: È la federazione sportiva internazionale che governa gli sport della lotta. È riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO).

  • Sede: La sua sede (“casa madre” amministrativa) è a Corsier-sur-Vevey, in Svizzera.

  • Il Ruolo di UWW:

    1. Stili Olimpici: Il suo compito primario è governare la Lotta Freestyle e la Lotta Grecoromana.

    2. Stili Associati (Traditional Wrestling): UWW ha anche un dipartimento per gli “Stili Associati” o “Lotta Tradizionale”. È sotto questo ombrello che il Pehlwani/Kushti viene ufficialmente classificato.

  • Come Funziona: UWW organizza (o sanziona) Campionati Mondiali per varie forme di lotta tradizionale, inclusa la “Belt Wrestling” e altre forme di lotta popolare. Il Pehlwani è riconosciuto come una di queste.

Le “Scuole” Nazionali (Le Filiali della Casa Madre) La UWW non interagisce direttamente con i singoli Akhara. Interagisce con le federazioni nazionali, che sono le “scuole” o “case madri” a livello nazionale.

  • In Nepal: La Nepal Wrestling Association (NWA). È l’organismo nazionale con sede a Kathmandu, affiliato alla UWW. È la “scuola” ufficiale che seleziona gli atleti (spesso provenienti dagli Akhara del Terai) per rappresentare il Nepal in eventi internazionali come i Giochi Asiatici o i Campionati UWW.

  • In India: La Wrestling Federation of India (WFI). È l’organismo equivalente in India.

La Tensione Finale: Scuola Tradizionale vs. Scuola Burocratica Questa è la realtà moderna per un Pehlwan del Terai.

  • La sua “Scuola” Spirituale: È l’Akhara del suo villaggio, fedele al suo Ustad e al suo Gharana.

  • La sua “Scuola” Burocratica: È la Nepal Wrestling Association (NWA).

Se il Pehlwan vuole rimanere un lottatore Mitti tradizionale, la sua unica “casa madre” è l’Akhara. Se vuole competere a livello internazionale e guadagnare uno stipendio (cioè, praticare lo “stile” della Lotta Olimpica), deve essere riconosciuto e affiliato alla “casa madre” di Kathmandu (NWA), che a sua volta risponde alla “casa madre” globale in Svizzera (UWW).

Questa doppia lealtà – al proprio Ustad e alla propria Federazione – è la sfida centrale che definisce le “scuole” e gli “stili” del Pehlwani nel XXI secolo.


Conclusione: L’Ecosistema degli Stili

Gli “stili” e le “scuole” del Pehlwani non sono un elenco di nomi, ma un ecosistema vivente, in evoluzione e spesso conflittuale.

  • Le Radici (Stili Antichi): L’arte affonda le sue radici negli “stili” filosofici della Malla-yuddha (Hanimanti per la tecnica, Bhimaseni per la forza) e nel modello di “scuola” mistica dello Zourkhaneh persiano.

  • Il Tronco (Scuola Tradizionale): L’arte stessa, nella sua forma classica preservata nel Terai, rifiuta la nozione di “stili”. Lo “stile” è il Gharana (il lignaggio dell’Ustad) e la “scuola” è l’Akhara (il tempio-palestra olistico).

  • I Rami (Stili Moderni): L’arte è ora in dialogo e in competizione con i suoi discendenti e rivali moderni: la Lotta Olimpica (la via burocratica al successo), il Catch Wrestling (il cugino perduto) e l’MMA (il nuovo banco di prova).

  • La “Casa Madre”: Infine, l’autorità è divisa. La vera “casa madre” dell’anima del Pehlwani è la terra sacra (Mitti) del proprio Akhara. La “casa madre” della sua carriera sportiva moderna è la federazione nazionale (come la NWA) e, in ultima analisi, la United World Wrestling in Svizzera.

Capire questo complesso albero genealogico è l’unico modo per definire accuratamente gli “stili” e le “scuole” di questa antica e vibrante tradizione.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

Definire l’Assenza e Tracciare l’Influenza

Analizzare la “situazione in Italia” del Pehlwani (o Kushti), l’arte marziale tradizionale praticata nella regione del Terai nepalese e in tutto il subcontinente indiano, è un esercizio di indagine culturale che porta a una conclusione netta e inequivocabile: il Pehlwani, nella sua forma autentica, non è presente in Italia.

Non esistono Akhara (le tradizionali arene di terra sacra) sul territorio italiano. Non esistono Ustad (maestri) riconosciuti che insegnino questa disciplina secondo il lignaggio (Parampara). Non esiste una comunità di praticanti che viva secondo la Jeevan Shaili (lo stile di vita) ascetico che l’arte richiede, basato sulla Tapasya (austerità), sul Brahmacharya (celibato e controllo dei sensi) e sulla Seva (servizio devozionale).

Questa assenza non è sorprendente. Il Pehlwani non è semplicemente uno “sport” o un “sistema di combattimento” che può essere facilmente esportato, come il Judo o il Brazilian Jiu-Jitsu. È un sistema socio-spirituale olistico, un’incarnazione vivente della filosofia Dharma e dello yoga della forza, profondamente radicato nel contesto religioso (la devozione ad Hanuman) e culturale del subcontinente. Le sue pratiche – dalla preparazione rituale della terra (Mitti) alla dieta Sattvica a base di litri di latte e ghee – sono culturalmente specifiche e quasi impossibili da replicare in un contesto sportivo occidentale moderno, come quello italiano, che è secolarizzato, commerciale e basato su metriche scientifiche di performance.

Tuttavia, affermare che il Pehlwani è “assente” non significa che non vi sia una “situazione” da analizzare. Sebbene l’arte in sé non esista, la sua funzione e la sua eredità sono presenti in Italia in forme frammentate, trasformate e spesso irriconoscibili.

Per comprendere appieno “la situazione in Italia”, non dobbiamo cercare l’Akhara, ma dobbiamo tracciare tre percorsi di influenza distinti:

  1. La Sfera Sportiva (La Lotta Olimpica): Il discendente sportivo diretto. Il Pehlwani è il “sistema giovanile” non ufficiale da cui la Lotta Olimpica (Stile Libero) nel subcontinente attinge i suoi campioni. La “situazione” della Lotta Olimpica in Italia, governata da federazioni ufficiali, è il parente più prossimo.

  2. La Sfera Metodologica (Il Fitness Funzionale): L’eredità degli attrezzi. Gli strumenti di allenamento unici del Pehlwani, la Gada (mazza) e le Jori (clave), sono stati riscoperti e stanno vivendo una rinascita in Italia sotto i nomi di Steel Mace e Clubbells nel mondo del fitness funzionale.

  3. La Sfera Combattiva (Grappling e MMA): L’applicazione moderna. Il Pehlwani è un’arte di grappling (lotta). La “situazione” del grappling e delle Arti Marziali Miste (MMA) in Italia è l’arena moderna in cui i principi del Pehlwani (controllo del clinch, proiezioni) vengono testati e applicati.

Analizzeremo queste tre sfere per costruire un quadro completo della “situazione” italiana, non del Pehlwani stesso, ma della sua eco nel panorama sportivo e culturale contemporaneo.


PARTE 1: L’ASSENZA DELL’AKHARA – LE BARRIERE CULTURALI E FILOSOFICHE

Il motivo per cui il Pehlwani tradizionale non ha attecchito in Italia non è dovuto alla mancanza di interesse per la lotta, ma a barriere filosofiche e logistiche insormontabili che toccano l’essenza stessa dell’arte.

La Barriera della Sacralità (L’Akhara vs. La Palestra) La “scuola” di Pehlwani è l’Akhara. Come descritto in precedenza, l’Akhara non è una palestra, è un tempio.

  • Contesto Italiano: La “palestra” o “club sportivo” (Associazione Sportiva Dilettantistica – ASD) in Italia è un’entità legale, secolare, spesso commerciale o associativa. Si paga una quota mensile per ricevere un servizio (l’insegnamento). L’ambiente è igienico (pulizia dei tatami con disinfettanti) e regolamentato (certificati medici, assicurazioni).

  • Contesto Pehlwani: L’Akhara è uno spazio sacro. Si entra scalzi, ci si inchina alla terra (Mitti), si prega l’immagine di Hanuman. L’allenamento è una puja (atto di adorazione). L’igiene non è basata sull’assenza di germi, ma sulla purezza rituale della terra, che viene mescolata con curcuma (antisettico) e olio. Questo concetto di “combattere nel fango sacro” è culturalmente inconcepibile nel panorama sportivo italiano.

La Barriera Logistica (La Mitti vs. Il Tappetino) L’arte del Pehlwani è definita dalla sua superficie: la Mitti (terra). Le tecniche, la postura, la scivolosità (dovuta all’olio e al sudore) sono tutte adattate a questa superficie.

  • Contesto Italiano: Tutta la lotta in Italia si svolge su tappetini (tatami) sintetici standardizzati. Sono superfici piane, ad alto attrito, che favoriscono un diverso tipo di movimento (come i takedown in tuffata, o shoot). Mantenere una “fossa di terra” in una città italiana comporterebbe problemi logistici, sanitari (ASL) e normativi insormontabili. Il Pehlwani non può esistere senza la Mitti; togliere la Mitti significa trasformarlo in qualcos’altro.

La Barriera Filosofica (Il Brahmacharya vs. L’Integrazione Sociale) Questo è forse l’ostacolo più grande. Il nucleo della potenza del Pehlwan deriva dalla filosofia ascetica del Brahmacharya (controllo dei sensi, spesso interpretato come celibato) e dalla Tapasya (austerità).

  • Contesto Pehlwani: I lottatori spesso vivono nell’Akhara, in una comunità monastica maschile, lontano dalle “distrazioni” mondane (incluso il contatto con le donne) per conservare l’energia vitale (Virya).

  • Contesto Italiano: La cultura sportiva italiana è integrata. Le palestre sono miste (uomini e donne si allenano insieme). L’atleta è parte della società, non separato da essa. L’idea di un allenatore che imponga il celibato ai suoi atleti non è solo anacronistica, ma verrebbe vista come una violazione dei diritti personali, se non una forma di abuso settario.

La Barriera Pedagogica (L’Ustad e la Seva vs. Il Coach e la Quota) Il metodo di trasmissione del Pehlwani è il Guru-Shishya Parampara (lignaggio maestro-discepolo).

  • Contesto Pehlwani: Non si paga una quota. Si “paga” l’insegnamento con la Seva (servizio devozionale): massaggiare l’Ustad, preparare la terra, cucinare. L’Ustad è un padre surrogato con autorità assoluta, che insegna non solo la lotta, ma un codice morale totale.

  • Contesto Italiano: L’allenatore è un professionista, un tecnico certificato (spesso con una laurea in Scienze Motorie o un diploma federale). Il rapporto è professionale e contrattuale. La Seva non esiste.

Data l’incompatibilità totale di questi pilastri fondamentali, è chiaro perché il Pehlwani tradizionale non esista in Italia. Ciò che esiste è il suo discendente sportivo, che ne ha preso la forma combattiva epurandola di ogni contenuto spirituale e culturale: la Lotta Olimpica.


PARTE 2: LA SFERA SPORTIVA – LA LOTTA OLIMPICA (IL DISCENDENTE UFFICIALE)

In India e Nepal, il Pehlwani è il feeder system (il vivaio) per la Lotta Olimpica (Stile Libero). I campioni del Dangal (torneo su terra) sono quelli che passano al Mat (tappetino) per cercare fama internazionale e sicurezza economica. Pertanto, la “situazione in Italia” più vicina al Pehlwani è la “situazione della Lotta Olimpica”.

In Italia, la Lotta Olimpica è uno sport strutturato, con una chiara gerarchia di “scuole” (federazioni) e “stili” (le discipline regolamentate).

L’Organizzazione Mondiale (La “Casa Madre” Globale) Qualsiasi forma di lotta standardizzata a livello internazionale, inclusa la Lotta Olimpica e il riconoscimento delle lotte tradizionali come il Pehlwani, fa capo a un’unica organizzazione mondiale.

  • United World Wrestling (UWW): È la federazione internazionale che governa gli sport della lotta, riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO). La UWW non governa solo le discipline olimpiche (Stile Libero e Greco-Romana), ma ha anche un dipartimento per gli “Stili Associati” o “Lotta Tradizionale”, dove il Pehlwani è formalmente classificato.

  • Sede: Corsier-sur-Vevey, Svizzera.

  • Sito Web: https://uww.org/

L’Organizzazione Europea Il braccio continentale della UWW gestisce le competizioni e la governance a livello europeo.

  • UWW-Europe (United World Wrestling Europe): È il consiglio europeo della UWW, che organizza i Campionati Europei.

  • Sito Web: (Gestito attraverso il sito principale della UWW) https://uww.org/region/uww-europe

L’Organizzazione Nazionale Italiana (La “Casa Madre” in Italia) In Italia, la pratica della lotta è sotto l’egida di un’unica federazione ufficiale, riconosciuta dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano).

  • FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali): È la federazione sportiva nazionale che governa le tre principali discipline di combattimento olimpico. Il settore “Lotta” della FIJLKAM è l’erede diretto della tradizione della lotta in Italia.

  • Ruolo: La FIJLKAM gestisce l’intero panorama della lotta sportiva:

    • Forma i tecnici e gli ufficiali di gara.

    • Organizza i campionati italiani (Assoluti, Esordienti, Cadetti, Junior, Senior, Master).

    • Seleziona e finanzia la Squadra Nazionale Italiana che compete ai Campionati Europei, Mondiali e alle Olimpiadi.

  • Sede (Indirizzo): Centro Olimpico “Matteo Pellicone” – Via Paisiello, 26, 00198 Roma RM, Italia.

  • Sito Web: https://www.fijlkam.it/

Gli “Stili” Governati dalla FIJLKAM Il settore Lotta della FIJLKAM governa tre “stili” principali, nessuno dei quali è il Pehlwani, ma la Lotta Stile Libero ne è il parente più prossimo.

  1. Lotta Stile Libero (Freestyle Wrestling): Questo è il “discendente” diretto. Come il Pehlwani, permette l’uso delle gambe sia per attaccare (es. Kala Jangh o attacchi alle gambe) sia per difendere. È la disciplina a cui i Pehlwan passano quando competono a livello internazionale. Tutta la pratica di Stile Libero in Italia avviene sui tappetini, segue il regolamento UWW (a punti e a tempo) e utilizza la tenuta da gara (singlet) al posto del langot (perizoma).

  2. Lotta Greco-Romana: Uno stile olimpico che vieta qualsiasi presa al di sotto della vita e l’uso attivo delle gambe. È stilisticamente più lontana dal Pehlwani rispetto allo Stile Libero.

  3. Lotta Femminile: Corrisponde alle regole dello Stile Libero, ma per le atlete. Questo è in netto contrasto con l’Akhara tradizionale, che è un ambiente esclusivamente maschile.

Le “Scuole” Locali (Le ASD Affiliate FIJLKAM) Le “scuole” in Italia dove si pratica la lotta sono le ASD (Associazioni Sportive Dilettantistiche) e le SSD (Società Sportive Dilettantistiche) affiliate alla FIJLKAM.

  • Struttura: Si tratta di club sportivi, spesso situati all’interno di palestre o centri sportivi comunali. Non sono “Akhara”.

  • Insegnamento: L’insegnamento è tenuto da “Insegnanti Tecnici” (Aspiranti Allenatori, Allenatori, Istruttori, Maestri) che possiedono una qualifica federale FIJLKAM. Il rapporto è professionale (coach-atleta), non devozionale (Ustad-Shishya).

  • Elenco: Un elenco completo delle società sportive (le “scuole”) affiliate alla FIJLKAM è disponibile sul loro sito ufficiale. Non è possibile elencarli tutti, ma sono presenti su tutto il territorio nazionale.

Altri Enti Sportivi (Il Contesto Allargato) Oltre alla federazione di governo (FIJLKAM), in Italia esiste una vasta rete di EPS (Enti di Promozione Sportiva), anch’essi riconosciuti dal CONI, che promuovono lo sport a livello di base. Questi enti non definiscono gli “stili” della lotta (che rimangono quelli della UWW/FIJLKAM), ma contribuiscono alla sua diffusione.

  • CSEN (Centro Sportivo Educativo Nazionale): Spesso ha un settore “Lotta”. Sito: https://www.csen.it/

  • UISP (Unione Italiana Sport Per tutti): Ha un settore “Arti Marziali” che può includere attività di lotta. Sito: https://www.uisp.it/

  • ACSI (Associazione Centri Sportivi Italiani): Altro grande EPS con un settore “Lotta e Discipline Associate”. Sito: https://www.acsi.it/

La presenza di questi enti dimostra un panorama sportivo strutturato, ma che si concentra esclusivamente sulla versione sportiva e olimpica della lotta, lontana dalla filosofia olistica del Pehlwani.


PARTE 3: LA SFERA METODOLOGICA – L’EREDITÀ DELLA GADA E DELLE JORI

Questa è la connessione più tangibile, curiosa e in crescita tra la pratica del Pehlwani e l’Italia. Se il Pehlwani è definito dal suo allenamento (Vyayam), allora i suoi attrezzi ne sono il cuore. E quegli attrezzi sono ora in Italia.

Il mondo del fitness italiano, in particolare il settore dell’Allenamento Funzionale (Functional Training), ha riscoperto gli attrezzi di allenamento tradizionali del Pehlwani per la loro incredibile efficacia nello sviluppo della forza funzionale.

1. La Gada (Mazza) diventa la “Steel Mace”

  • L’Attrezzo Pehlwani: La Gada è la mazza iconica di Hanuman, usata per sviluppare la Pakar (presa), la forza rotazionale del core e la stabilità della spalla.

  • La Situazione in Italia (Steel Mace Training): L’equivalente moderno, la Steel Mace (una sfera d’acciaio saldata a un manico di metallo), è diventato un attrezzo popolare nei corsi di fitness funzionale, nelle palestre di CrossFit e nell’allenamento per la preparazione atletica (specialmente per gli sport di combattimento).

  • Le “Scuole” (Certificazioni di Fitness): Non esiste una “federazione” della Steel Mace. La sua diffusione è guidata da organizzazioni private di formazione e certificazione per personal trainer e istruttori di fitness.

    • Aziende e scuole come FIF (Federazione Italiana Fitness), ISSA Europe, o piattaforme di formazione specializzate offrono workshop e certificazioni sull’uso della Steel Mace.

    • La FIPE (Federazione Italiana Pesistica), federazione CONI, gestisce la “Strength & Conditioning” e il “Functional Strength”, e i suoi tecnici certificati utilizzano sempre più spesso questi attrezzi non convenzionali. Sito FIPE: https://www.federpesistica.it/

  • Il Paradosso: È ironico che un istruttore di fitness in una palestra di Milano possa insegnare un’oscillazione con la Steel Mace (es. il “360”), un movimento identico a quello praticato nell’Akhara, ma con uno scopo completamente diverso (estetico, performance atletica secolare) e privo di qualsiasi contesto spirituale (Bhakti) o ascetico (Tapasya).

2. Le Jori (Clave) diventano le “Clubbells”

  • L’Attrezzo Pehlwani: Le Jori sono le pesanti clave di legno usate in coppia per sviluppare la coordinazione, la forza delle spalle e la presa.

  • La Situazione in Italia (Clubbell / Indian Clubs): Questo attrezzo ha avuto una rinascita ancora più ampia. Le Clubbells (clave in acciaio standardizzate) e le Indian Clubs (più leggere, per la mobilità) sono usate da decenni nel fitness italiano.

  • Le “Scuole”: Come per la Steel Mace, la loro diffusione è legata alle certificazioni di fitness funzionale e ai personal trainer che le promuovono per la salute delle spalle (riabilitazione) e la forza della presa (fondamentale per arti come il BJJ).

  • Eredità Metodologica: Questa è la prova che la scienza dell’allenamento del Pehlwani (il Vyayam) era così avanzata da essere riscoperta, decontestualizzata e riproposta come “innovativa” nel fitness italiano del XXI secolo.


PARTE 4: LA SFERA COMBATTIVA – GRAPPLING E MMA

Se il Pehlwani è un’arte di grappling (lotta), la sua “situazione” in Italia è legata anche alla fiorente scena del grappling e delle Arti Marziali Miste (MMA).

Il Grappling (L’Erede dello Stile “Jambuvanti” Rifiutato) È interessante notare che il Pehlwani, come abbiamo visto, ha deliberatamente epurato lo stile Jambuvanti (sottomissioni). In Italia, lo sport di grappling più popolare è il Brazilian Jiu-Jitsu (BJJ), che è interamente basato sullo stile Jambuvanti (leve articolari e strangolamenti).

Esistono due principali “scuole” (federazioni) per il grappling e il BJJ in Italia, che operano in un panorama complesso.

  • UIJJ (Unione Italiana Jiu Jitsu): È la principale organizzazione italiana dedicata specificamente al BJJ. È l’affiliata ufficiale in Italia della IBJJF (International Brazilian Jiu-Jitsu Federation), che è la più grande organizzazione mondiale di BJJ (ma non è riconosciuta dal CIO). La UIJJ organizza i campionati italiani e gestisce il ranking per la nazionale che compete agli Europei e Mondiali IBJJF.

  • Sede: (Sede legale/operativa variabile, spesso a Roma o nel nord Italia, gestita dai principali team).

  • Sito Web: https://www.uijj.it/

  • FIGMMA (Federazione Italiana Grappling Mixed Martial Arts): È la federazione, riconosciuta da FIJLKAM (e quindi dal CONI), che governa il Grappling No-Gi (senza kimono) e le MMA amatoriali. Il “Grappling” FIGMMA è stilisticamente diverso dal BJJ: segue il regolamento della UWW Grappling, che è un ibrido di Lotta Stile Libero, BJJ e Catch Wrestling, e dà più valore ai takedown (atterramenti).

  • La Connessione al Pehlwani: Il Grappling UWW/FIGMMA è stilisticamente molto interessante in relazione al Pehlwani, perché combina i lanci (come nel Pehlwani) con le sottomissioni (che il Pehlwani ha scartato).

  • Sede: Roma, Italia (spesso condivide strutture o dirigenza con la FIJLKAM).

  • Sito Web: https://www.figmma.it/

La neutralità impone di riconoscere che entrambe le federazioni gestiscono “scuole” (ASD affiliate) in tutta Italia, creando un ambiente di grappling vivace, ma filosoficamente opposto (sottomissione) o ibrido (FIGMMA) rispetto al Pehlwani (puro schienamento).

Le Arti Marziali Miste (MMA) (L’Applicazione Finale) L’MMA è il “laboratorio” moderno dove gli stili di lotta vengono testati. La “situazione MMA” in Italia è in crescita.

  • La “Scuola” Governativa: Come accennato, la FIGMMA è l’organo ufficiale riconosciuto dal CONI per le MMA in Italia. È affiliata alla federazione mondiale IMMAF (International Mixed Martial Arts Federation).

  • Sito Web IMMAF: https://immaf.org/

  • La Connessione al Pehlwani: La Lotta (Lotta Olimpica, che deriva dal Pehlwani) è uno dei tre pilastri fondamentali dell’MMA (insieme a Striking e BJJ). Un atleta italiano di MMA che vuole competere ad alto livello deve imparare la lotta. Per farlo, si reca in una delle “scuole” (club) di Lotta Stile Libero affiliate alla FIJLKAM. In questo modo, l’eredità funzionale del Pehlwani (la capacità di atterrare un avversario) entra nell’ottagono italiano, anche se l’atleta stesso potrebbe non aver mai sentito la parola “Pehlwani”.


PARTE 5: LA SFERA DELLA DIASPORA (LA PRESENZA CULTURALE)

L’Italia ospita una significativa e crescente comunità di immigrati dal subcontinente indiano, in particolare dal Punjab (India), dal Bangladesh, dal Pakistan e, in misura minore, dal Nepal (spesso impiegati nel settore della ristorazione e dei servizi nel Terai).

Questa è una sfera di analisi cruciale ma difficile da documentare.

  • La Tradizione del Punjab: La comunità Sikh del Punjab, molto numerosa in Italia (specialmente nelle aree agricole della Pianura Padana, come il cremonese o il mantovano), ha una forte tradizione marziale (Gatka) e di lotta (Kushti).

  • La “Situazione” Informale: È altamente probabile che, all’interno di queste comunità, specialmente durante i festival culturali o religiosi (come il Vaisakhi), si svolgano incontri informali di Kushti. Questi non sono eventi sportivi pubblici. Sono manifestazioni culturali, parte dell’identità comunitaria.

  • Assenza di Akhara Pubblici: Non ci sono prove dell’esistenza di Akhara pubblici e permanenti gestiti dalla diaspora. La pratica rimane privata, informale e invisibile al sistema sportivo italiano (CONI, FIJLKAM).

  • Il Contesto Nepalese: La diaspora nepalese in Italia, proveniente anche dalla regione del Terai, è più piccola e meno concentrata. È ancora meno probabile che abbiano stabilito Akhara, sebbene l’interesse culturale per la lotta rimanga.

Questa “situazione” è quella di un’arte praticata come folklore e memoria culturale da una comunità di immigrati, completamente separata dalla sua potenziale pratica come disciplina sportiva da parte degli italiani.


PARTE 6: LA SFERA STORICA (L’ANALOGO ITALIANO DIMENTICATO)

Infine, per contestualizzare l’assenza del Pehlwani, è utile notare che l’Italia aveva i suoi “Pehlwani”. L’Italia, come ogni cultura agricola, aveva una miriade di stili di “Lotta Popolare” o “Lotta Contadina”.

  • S’Istrumpa (Sardegna): Una forma di lotta tradizionale sarda (nota anche come Lotta dei Pastori), che presenta similitudini con altre lotte tradizionali europee (come la Glima). È una lotta corpo a corpo, spesso con prese alla cintura.

  • Lotta Ligure (Genova): Stili storici documentati.

  • Lotta Bidentina (Romagna): Stili locali legati a specifiche comunità.

La “Situazione” di Questi Stili La storia di questi stili in Italia è l’opposto di quella del Pehlwani in India. Mentre il Pehlwani è sopravvissuto come un sistema olistico e popolare, le lotte tradizionali italiane sono state quasi completamente annientate e assorbite dalla modernizzazione sportiva.

  • La Fine della “Mitti” Italiana: La standardizzazione imposta dal CONI e dalla FIJLKAM (e prima ancora dalle organizzazioni fasciste) ha privilegiato gli stili olimpici (Greco-Romana, poi Stile Libero), portando all’estinzione della pratica diffusa degli stili popolari.

  • Sopravvivenza Folkloristica: Oggi, stili come S’Istrumpa sopravvivono solo grazie a sforzi di associazioni culturali locali, quasi come rievocazioni storiche. Esiste una Federazione S’Istrumpa (riconosciuta dalla UWW come stile di lotta tradizionale) che cerca disperatamente di mantenerla in vita. Sito: http://www.istrumpa.it/

La “situazione” italiana mostra un paese che ha già vissuto il conflitto tra Mitti (terra/tradizione) e Mat (tappetino/modernità), e dove il Mat ha vinto in modo totale e definitivo, lasciando spazio per il Pehlwani solo come influenza frammentata.


PARTE 7: ELENCO RIASSUNTIVO DEGLI ENTI E DELLE ORGANIZZAZIONI

Come richiesto, ecco un elenco riassuntivo e neutrale delle “scuole” (organizzazioni) e delle “case madri” rilevanti per la “situazione italiana”, suddivise per sfera di influenza.

Sfera 1: Lotta Olimpica e Riconoscimento Tradizionale (L’Erede Sportivo)

  • Organizzazione Mondiale (Casa Madre):

    • United World Wrestling (UWW)

    • Descrizione: Governa la Lotta Olimpica (Stile Libero, Greco-Romana) e riconosce le lotte tradizionali (incluso il Pehlwani) sotto gli “Stili Associati”.

    • Sito Web: https://uww.org/

  • Organizzazione Nazionale Italiana (Riconosciuta CONI):

    • FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali)

    • Descrizione: Unica federazione nazionale riconosciuta dal CONI per la gestione della Lotta Olimpica (Stile Libero, Greco-Romana, Femminile) in Italia.

    • Indirizzo: Centro Olimpico “Matteo Pellicone” – Via Paisiello, 26, 00198 Roma RM, Italia.

    • Sito Web: https://www.fijlkam.it/

Sfera 2: Grappling (No-Gi) e MMA (L’Applicazione Moderna)

  • Organizzazione Mondiale (Casa Madre MMA):

    • IMMAF (International Mixed Martial Arts Federation)

    • Descrizione: Organo di governo mondiale per le MMA amatoriali.

    • Sito Web: https://immaf.org/

  • Organizzazione Nazionale Italiana (Riconosciuta CONI/FIJLKAM):

    • FIGMMA (Federazione Italiana Grappling Mixed Martial Arts)

    • Descrizione: Federazione nazionale riconosciuta dalla FIJLKAM per la gestione del Grappling No-Gi (regolamento UWW) e delle MMA (regolamento IMMAF).

    • Indirizzo: (Fa riferimento alle strutture FIJLKAM) Roma, Italia.

    • Sito Web: https://www.figmma.it/

  • Organizzazione Nazionale Italiana (Specifica BJJ):

    • UIJJ (Unione Italiana Jiu Jitsu)

    • Descrizione: Principale organizzazione italiana per la promozione del Brazilian Jiu-Jitsu, affiliata alla IBJJF (la principale federazione mondiale di BJJ).

    • Indirizzo: (La sede legale può variare, l’organizzazione è gestita dai principali team italiani).

    • Sito Web: https://www.uijj.it/

Sfera 3: Allenamento Funzionale (L’Eredità Metodologica)

  • Organizzazione Nazionale Italiana (Pesistica e Cultura Fisica):

    • FIPE (Federazione Italiana Pesistica)

    • Descrizione: Federazione riconosciuta dal CONI per la Pesistica Olimpica, che gestisce anche la formazione per la “Cultura Fisica” e l’Allenamento Funzionale (dove vengono usati attrezzi come Steel Mace/Clubbells).

    • Indirizzo: Stadio Olimpico – Curva Nord, 00135 Roma RM, Italia.

    • Sito Web: https://www.federpesistica.it/

Sfera 4: Lotte Tradizionali (L’Analogo Italiano)

  • Organizzazione Nazionale (Lotta Sarda):

    • Federazione S’Istrumpa

    • Descrizione: Organizzazione culturale e sportiva per la salvaguardia della lotta tradizionale sarda S’Istrumpa, riconosciuta dalla UWW.

    • Indirizzo: Ollolai (NU), Sardegna, Italia.

    • Sito Web: http://www.istrumpa.it/


Conclusione: Un’Assenza Presente (L’Eco del Pehlwani in Italia)

La situazione del Pehlwani/Kushti del Terai in Italia è un affascinante studio di assenza e influenza. L’arte stessa, nella sua forma olistica, non esiste. Le barriere culturali, filosofiche e logistiche ne impediscono l’importazione diretta.

Tuttavia, l’eredità del Pehlwani è inaspettatamente presente. Il suo spirito combattivo (Bhimaseni e Hanimanti) sopravvive, filtrato e sportivizzato, nei club di Lotta Stile Libero della FIJLKAM. I suoi strumenti di allenamento (Gada e Jori), decontestualizzati e ribattezzati Steel Mace e Clubbells, sono vivi e vegeti nelle palestre di fitness funzionale e nei programmi di preparazione atletica della FIPE. Il suo principio di grappling (lotta) trova un’applicazione moderna nell’arena delle MMA e del Grappling No-Gi, gestiti dalla FIGMMA. Infine, la sua forma più pura sopravvive probabilmente solo come memoria culturale, praticata in modo informale e privato all’interno della diaspora del subcontinente in Italia.

Il Pehlwani in Italia non è un corpo vivente; è un fantasma, un’eco, un’influenza frammentata che si è insinuata nelle crepe del moderno panorama sportivo italiano, dimostrando la rilevanza senza tempo dei suoi metodi, anche quando la sua anima spirituale è rimasta nel Terai.

TERMINOLOGIA TIPICA

La Lingua dell’Akhara

La terminologia del Pehlwani (o Kushti) non è un semplice glossario; è il sistema operativo di un intero stile di vita. Per il Pehlwan (lottatore) del Terai nepalese, queste parole non sono semplici etichette. Sono mantra, sono comandi, sono la struttura stessa della sua realtà quotidiana. Comprendere questa terminologia significa decodificare il DNA di un’arte che è, allo stesso tempo, una disciplina fisica, un codice etico e una pratica spirituale.

Questo lessico unico è, di per sé, una lezione di storia. È un affascinante ibrido linguistico che riflette la genesi sincretica dell’arte. Nelle parole usate quotidianamente in un Akhara (arena di terra) del Terai, si sentono due fiumi che si incontrano:

  1. La Corrente Sanscrita (La Radice Indigena): Termini che derivano dall’antica Malla-yuddha e dalla filosofia yogica e vedica. Parole come Guru (maestro), Dharma (dovere), Brahmacharya (ascetismo), Tapasya (austerità), Vyayam (esercizio) e Mitti (terra). Queste parole collegano il Pehlwani alle sue radici spirituali indù.

  2. La Corrente Persiana (L’Influenza Mughal): Termini portati nel subcontinente dalle corti turco-persiane e dalla tradizione dello Zourkhaneh (Casa della Forza). Parole come Pehlwan (eroe), Kushti (lotta), Ustad (maestro), Jor (sparring) e Dangal (torneo). Queste parole collegano l’arte al suo patrocinio imperiale e alla sua etica cavalleresca (Javanmardi).

Per il lottatore del Terai, queste parole, che siano di origine hindi, sanscrita o persiana, sono semplicemente “la lingua”. Questa terminologia non solo descrive, ma prescrive un mondo. Quello che segue è un’esplorazione approfondita non solo di cosa significano questi termini, ma di come modellano la vita, l’allenamento e la filosofia del Pehlwan.


CATEGORIA 1: I CONCETTI FONDAMENTALI (IL “CHI” E IL “COSA”)

Questa categoria definisce l’identità del praticante e l’arte stessa.

Pehlwan (o Pahalwan)

  • Etimologia e Definizione: Questo è il termine più importante. Deriva dalla parola persiana Pahlavan (پهلوان). La radice stessa, Pahlav, si riferisce all’antico impero partico, i cui guerrieri erano leggendari. Un Pahlavan era un “eroe”, un “campione”, un “cavaliere”. Non significa semplicemente “lottatore”; è un titolo d’onore.

  • Significato Filosofico: Chiamare qualcuno “Pehlwan” è un’affermazione di carattere, non solo di professione. Implica che l’individuo non è solo forte, ma anche virtuoso. Un vero Pehlwan incarna la forza fisica (Bal), ma la governa attraverso l’umiltà (Vinamrata), la disciplina (Tapasya) e la giustizia (Dharma). È l’ideale del guerriero-asceta.

  • Distinzione Sociale: Nel contesto sociale del Terai, il Pehlwan è una figura pubblica, un pilastro della comunità. È distinto da un gunda (un teppista) o da un moderno bodybuilder. Un gunda usa la forza per scopi egoistici; un bodybuilder costruisce il corpo per l’estetica (numaish, esibizione). Il Pehlwan costruisce il corpo per la Takhat (potenza funzionale) e lo usa per l’Izzat (onore) del suo villaggio e del suo Ustad.

  • Uso: È un titolo di rispetto. Ci si rivolge a un lottatore esperto chiamandolo “Pehlwan-ji” (il suffisso “-ji” denota rispetto). È l’identità che un discepolo (Pattha) aspira a guadagnare dopo anni, o decenni, di servizio e disciplina.

Kushti (o Koshti)

  • Etimologia e Definizione: Anche questo termine è di origine persiana. Koshti (کشتی) significa letteralmente “lotta”. Si riferisce specificamente all’atto del combattimento, all’incontro sportivo. Alcune etimologie lo collegano anche al Kusti o Kushti, la cintura sacra indossata dai zoroastriani, suggerendo un antico legame tra la lotta e i rituali religiosi.

  • Distinzione da Pehlwani: Se un estraneo chiede “Cosa pratichi?”, la risposta potrebbe essere “Kushti”. Ma all’interno della comunità, c’è una sfumatura. Kushti è l’evento, l’applicazione della tecnica, il Dangal. Pehlwani è l’intero sistema di vita, l’arte e la scienza di diventare un Pehlwan. Si fa Kushti, ma si è un Pehlwan.

  • Contesto: Il termine è usato per descrivere la disciplina stessa: “Mi alleno nel Kushti”. È il termine usato nei manifesti dei Dangal: “Grande Torneo di Kushti”.

Pehlwani

  • Definizione: Come aggettivo o sostantivo, Pehlwani significa “l’arte del Pehlwan”. È il termine che comprende l’intero universo culturale, filosofico e fisico.

  • Ambito: Se Kushti è il combattimento, Pehlwani è tutto il resto. Include:

    • Il Vyayam (l’allenamento fisico).

    • Il Khurak (il regime dietetico).

    • L’Achara (il codice etico).

    • Il Brahmacharya (la disciplina ascetica).

    • Il Parampara (il lignaggio).

  • Uso: Si parla di “dieta Pehlwani” (Pehlwani Khurak) o “allenamento Pehlwani” (Pehlwani Vyayam). È il termine olistico che definisce la tradizione.

Malla-yuddha

  • Etimologia e Definizione: Questo è il termine sanscrito. Malla significa “lottatore” e Yuddha significa “guerra” or “combattimento”. Questa è la “lotta dei lottatori”, l’antica arte marziale indigena del subcontinente menzionata nei Veda e nei poemi epici come il Mahabharata.

  • Importanza Storica: Questo termine è cruciale per capire le radici del Kushti. È la “scuola” indigena (con i suoi stili Hanimanti, Bhimaseni, ecc.) che si è fusa con la Koshti persiana per creare il Pehlwani moderno.

  • Uso nel Terai: Sebbene il termine d’uso comune sia Kushti, Malla-yuddha è usato in contesti più formali, religiosi o storici. Riconosce la radice Dharmica (spirituale) dell’arte, collegandola direttamente agli eroi mitologici come Bhima e Hanuman, che erano maestri di Malla-yuddha. È la “lingua madre” spirituale dell’arte.


CATEGORIA 2: IL LUOGO SACRO (IL “DOVE”)

Questi termini definiscono lo spazio fisico e concettuale in cui l’arte viene praticata.

Akhara (o Akhada)

  • Etimologia e Definizione: Un termine sanscrito (derivato da Akshata), che significa “luogo di riunione”, “arena” o “luogo di pratica”. Non è una “palestra” (un termine commerciale) né un “dojo” (un termine giapponese).

  • Definizione Olistica: L’Akhara è l’istituzione centrale del Pehlwani. È la “scuola” nel senso più completo del termine. È simultaneamente:

    1. Un Santuario: È un tempio dedicato a Lord Hanuman, la cui immagine o murti (idolo) presiede sempre l’ingresso.

    2. Un Monastero: È un luogo di vita ascetica, dove i Pattha (discepoli) vivono sotto la regola assoluta dell’Ustad, praticando Tapasya e Brahmacharya.

    3. Un’Arena: È il luogo fisico dell’allenamento, con la sua fossa di terra (Mitti).

  • Regole dell’Akhara: L’Akhara ha regole sacre (niyam). Non si entra con le scarpe. Non si fuma. Non si bestemmial. Si mantiene un’atmosfera di purezza (Sattva) e rispetto.

  • Contesto del Terai: Gli Akhara nel Terai sono spesso strutture umili, talvolta poco più di una fossa di terra ben curata adiacente a un tempio di villaggio. La loro importanza non è architettonica, ma spirituale e sociale. Sono il centro della mascolinità disciplinata nella comunità.

Mitti (o Matti)

  • Etimologia e Definizione: Una parola hindi/sanscrita che significa semplicemente “terra”, “fango” o “suolo”.

  • Significato Profondo: Nel Pehlwani, Mitti è un termine carico di significato. È la superficie di combattimento, ma è anche un’entità sacra.

    • Dharti Mata (Madre Terra): La Mitti è adorata come la Madre Terra. L’allenamento inizia con un Pranam (saluto) alla Mitti, chiedendole perdono e forza.

    • La Farmacia: La Mitti dell’Akhara è un composto medicinale, non solo sporco. Viene ritualmente mescolata con Haldi (curcuma, un antisettico), Sarson ka Tel (olio di senape, riscaldante) e talvolta latte. Si ritiene che questa terra curi le ferite e prevenga le infezioni.

    • Il Partner Tecnico: L’arte del Kushti è definita dalla Mitti. La sua instabilità, la sua scivolosità (quando mischiata a sudore e olio) e la sua natura abrasiva dettano le tecniche (Dav-Pech) che sono efficaci.

  • Mitti vs. Mat: Questo termine è al centro del conflitto culturale moderno. Il “Mitti ka Kushti” (lotta sulla terra) è il Pehlwani tradizionale. Il “Mat ka Kushti” (lotta sul tappetino) è la Lotta Olimpica. Per il tradizionalista, combattere sul Mat (tappetino) è un atto sterile, privo di connessione spirituale.

Dangal

  • Etimologia e Definizione: Un altro termine di probabile origine persiana (forse da Dangal, “luogo di contesa”). Si riferisce al torneo di lotta.

  • La “Scuola” Pubblica: Se l’Akhara è la “scuola” privata dove si impara, il Dangal è l’esame pubblico dove si dimostra.

  • Contesto Sociale (Terai): Nel Terai, i Dangal non sono semplici eventi sportivi. Sono il cuore pulsante della vita sociale e religiosa del villaggio. Si tengono durante i Mela (fiere religiose) o i festival.

  • Regole: Un Dangal tradizionale non ha categorie di peso e, storicamente, non aveva limiti di tempo. Le regole sono semplici: la vittoria si ottiene solo per Chitt (schienamento). Non ci sono punti. È una prova pura di forza, tecnica e, soprattutto, Dum-Kham (resistenza).

  • La Fama: La fama (Izzat) di un Pehlwan e del suo Akhara si costruisce vincendo i Dangal.


CATEGORIA 3: LA GERARCHIA UMANA (IL SISTEMA SOCIALE)

Questi termini definiscono le relazioni e la struttura sociale all’interno dell’Akhara.

Ustad

  • Etimologia e Definizione: Parola persiana (استاد) che significa “maestro”, “insegnante esperto” o “artigiano”.

  • Ruolo: È il termine più comune per il maestro capo dell’Akhara. L’Ustad è il sovrano assoluto. La sua autorità è totale e indiscussa.

  • Funzioni: L’Ustad non è solo un “coach” (allenatore). Egli è:

    1. Un Insegnante Tecnico: Trasmette il Dav-Pech (tecnica) del suo Gharana (lignaggio).

    2. Un Padre Surrogato: Spesso, i discepoli vivono nell’Akhara. L’Ustad è responsabile della loro educazione morale, della loro salute e del loro benessere.

    3. Una Guida Spirituale: Insegna il Dharma, si assicura che i discepoli mantengano il Brahmacharya e guidino una vita pura.

  • L’Eredità: L’obiettivo dell’Ustad è produrre un discepolo (Shishya) che possa portare avanti l’Izzat (onore) del loro lignaggio e, un giorno, prendere il suo posto.

Guru

  • Etimologia e Definizione: Parola sanscrita (गुरु) che significa “insegnante”, “maestro”, o “colui che disperde l’oscurità”.

  • Uso e Sfumatura: È spesso usato in modo intercambiabile con Ustad, specialmente in Akhara con una forte inclinazione indù. Guru porta con sé una connotazione ancora più spirituale e religiosa.

  • Guru-Shishya Parampara: Questo termine sanscrito si riferisce alla “successione da maestro a discepolo”. È la catena ininterrotta di conoscenza che dà legittimità a un Ustad/Guru. La “scuola” o lo “stile” di un Pehlwan è definito dal suo Parampara.

  • Guru Dakshina: Il “pagamento” tradizionale al Guru. Nel Pehlwani, questo non è denaro. È la Seva (servizio) e, alla fine della formazione, la lealtà e le vittorie del discepolo.

Shishya

  • Etimologia e Definizione: Termine sanscrito per “discepolo” o “allievo”.

  • Ruolo: È il termine formale per uno studente che ha accettato un Guru e si è impegnato nel Parampara.

  • La Relazione: La relazione Guru-Shishya è sacra. Richiede obbedienza assoluta e devozione da parte dello Shishya. L’insegnamento è visto come un dono che deve essere guadagnato attraverso l’umiltà e la Seva, non un servizio che può essere comprato.

Pattha (o Puththa)

  • Etimologia e Definizione: Termine colloquiale, forse un gergo hindi/punjabi, che significa “giovane puledro” o “giovane uomo”.

  • Uso: È il termine d’uso comune nell’Akhara per un discepolo, specialmente uno giovane o novizio.

  • Connotazione: È un termine di affetto, ma anche di gerarchia. I lottatori più anziani si riferiranno ai novizi come Pattha. L’Ustad li chiama i suoi Patthe. Indica uno stato di “essere in formazione”, un “progetto in corso” che deve essere forgiato.

Guru-bhai

  • Etimologia e Definizione: “Fratelli del Guru”.

  • Significato: Questo termine è fondamentale per la struttura sociale. I discepoli dello stesso Ustad/Guru non sono “compagni di squadra” o “rivali”. Sono Guru-bhai.

  • Implicazioni: Questo crea un legame familiare. I Guru-bhai vivono insieme, si allenano insieme, si massaggiano a vicenda e si supportano l’un l’altro nei Dangal. È severamente proibito per due Guru-bhai dello stesso Akhara combattersi l’un l’altro in un Dangal pubblico. Farlo sarebbe un atto di tradimento verso il loro Ustad.


CATEGORIA 4: LA FILOSOFIA E L’ETICA (IL “PERCHÉ”)

Questi termini definiscono il codice morale e la motivazione spirituale dietro la pratica.

Dharma

  • Etimologia e Definizione: Un concetto centrale sanscrito che significa “dovere”, “legge cosmica”, “giustizia” o “retta condotta”.

  • Applicazione al Pehlwani: Questo è il “perché” ultimo. Il Pehlwan allena la sua forza (Bal) non per se stesso, ma per adempiere al suo Dharma.

  • Il Dharma del Pehlwan: Il suo dovere è proteggere i deboli (Raksha), difendere l’onore della sua comunità, vivere una vita virtuosa e controllata, e usare la sua forza solo nell’arena consacrata del Dangal o per una giusta causa. La leggenda di Gama il Grande che protegge i suoi vicini indù durante la Partizione è l’esempio supremo del Dharma del Pehlwan.

Bhakti

  • Etimologia e Definizione: Termine sanscrito per “devozione”, “adorazione” o “amore divino”.

  • Applicazione al Pehlwani: È la via dello Yoga (Bhakti Yoga) praticata nell’Akhara. La forza del Pehlwan non è vista come puramente fisica; è una benedizione (prasad) che deriva dalla devozione.

  • L’Oggetto: La Bhakti è diretta principalmente a Lord Hanuman, il patrono della forza e del Brahmacharya. L’allenamento stesso è un atto di devozione. Il Dand è un “saluto al sole”, maneggiare la Gada è un’emulazione di Hanuman. Questa devozione è ciò che dà al Pehlwan la sua forza mentale e spirituale.

Brahmacharya

  • Etimologia e Definizione: Termine sanscrito. Brahma (il Divino) e Charya (condotta). Letteralmente, “condotta divina”.

  • Definizione Pratica: È il termine più famoso e frainteso associato al Pehlwani. È il pilastro della disciplina ascetica (Tapasya). Nella pratica, si traduce in celibato e nel controllo totale dei sensi (Indriyas).

  • La Teoria (Ojas): La filosofia si basa sul concetto yogico di Ojas (vigore) e Virya (seme, energia vitale). Si ritiene che il Virya sia l’essenza più raffinata dell’energia corporea. Se viene dissipato per il piacere (lussuria), il corpo si indebolisce. Se viene conservato (Brahmacharya), può essere trasmutato attraverso il “calore” (Tapas) dell’allenamento e trasformato in immensa potenza fisica, mentale e spirituale (Ojas e Tejas).

  • Implicazioni: L’intero stile di vita dell’Akhara (dieta Sattvica, sonno su letti duri, divieto di stimoli esterni) è progettato per supportare la pratica del Brahmacharya. È la fonte ultima della Takhat (potenza) del Pehlwan.

Tapasya (o Tapas)

  • Etimologia e Definizione: Termine sanscrito dalla radice Tap (“scaldare”). Significa “austerità”, “disciplina ascetica”, “fuoco interiore”.

  • Applicazione al Pehlwani: L’intero regime di allenamento (Vyayam) è una forma di Tapasya. Svegliarsi alle 3 del mattino, eseguire migliaia di Dand e Baithak, sopportare il dolore del Jor – questo è il “fuoco” che “cuoce” il corpo e la mente.

  • La Funzione Alchemica: È la Tapasya che (1) genera il “fuoco digestivo” (Agni) per assimilare la dieta Khurak, e (2) fornisce il calore per trasmutare il Virya conservato in Ojas.

Izzat

  • Etimologia e Definizione: Parola di origine araba/persiana (عزّة) ampiamente usata in hindi/urdu. Significa “onore”, “rispetto”, “prestigio”.

  • La Valuta del Dangal: Questa è la “valuta” per cui si combatte. I premi in denaro o un bufalo d’acqua in un Dangal del Terai sono importanti, ma l’obiettivo primario è l’Izzat.

  • Dimensione Collettiva: L’Izzat non è individuale. Quando un Pehlwan vince, vince l’Izzat per il suo Ustad, per il suo Akhara e per il suo intero villaggio. La sua responsabilità è difendere questo onore collettivo.


CATEGORIA 5: L’ALLENAMENTO (IL “COME” – CONDIZIONAMENTO)

Questi termini descrivono il regime di allenamento che forgia il corpo del Pehlwan.

Vyayam

  • Etimologia e Definizione: Termine sanscrito per “esercizio” o “allenamento fisico”.

  • Ambito: È il termine ombrello per l’intera sessione di condizionamento fisico. Include i Dand, i Baithak, l’uso della Gada e delle Jori.

  • Distinzione: È distinto dal Jor (sparring). Il Vyayam è la pratica solista, la “forma” (equivalente al Kata) che costruisce gli attributi. Il Jor è l’applicazione di quegli attributi.

Dand

  • Etimologia e Definizione: Hindi/Sanskrit Danda (bastone, staffa). È il “push-up indiano”.

  • Descrizione: È la “forma” solista più importante. Come descritto in precedenza (Punto 8), è un movimento vinyasa fluido che combina il Cane a Testa in Giù con il Cobra.

  • Scopo Tecnico: Costruisce la flessibilità spinale (per la difesa Machli Gota), la potenza di spinta (Dhâk) e la resistenza della parte superiore del corpo.

  • Scopo Rituale: Eseguito a centinaia o migliaia, è un Japa (ripetizione) fisico, una meditazione attiva e un “Saluto al Sole” (Surya Namaskar) armato.

Baithak

  • Etimologia e Definizione: Hindi, “sedersi” o “squat”. È lo “squat indiano a corpo libero”.

  • Descrizione: Uno squat profondo e rimbalzante, spesso sui talloni, eseguito in un flusso continuo per centinaia o migliaia di ripetizioni.

  • Scopo Tecnico: È il motore di tutte le proiezioni (Phekna). Costruisce la potenza esplosiva delle gambe e dei fianchi (per il Dhobi Pat) e la resistenza cardiovascolare (Dum-Kham).

Kasad (o Kasrat)

  • Etimologia e Definizione: Da Kasna (“stringere”, “strofinare”). Si riferisce al “logoramento” o “condizionamento attraverso l’attrito”.

  • Doppio Significato:

    1. Come Allenamento: Kasad può essere un termine generico per l’allenamento di condizionamento (simile a Vyayam).

    2. Come Tattica: È una tecnica di combattimento cruciale. È l’arte di essere “pesanti”, di usare il proprio peso e l’attrito (es. l’avambraccio sul viso, il Gadhânet) per “cuocere” (pakana) l’avversario, prosciugando la sua forza e la sua volontà. È una tecnica Hanimanti (intelligenza) mascherata da forza Bhimaseni (brutalità).

Dum-Kham (o Dum, Saans)

  • Etimologia e Definizione: Hindi/Persiano. Dum (respiro, potenza) e Kham (forza, curva). Insieme, significa “resistenza”, “stamina”, “fiato”. A volte si usa solo Dum o Saans (sanscrito per “respiro”).

  • Il Re degli Attributi: Nel Kushti tradizionale senza limiti di tempo, la forza e la tecnica sono inutili senza Dum-Kham. È l’attributo supremo. Un incontro di Dangal è, in ultima analisi, una battaglia di Dum.

  • Connessione al Prana: È più di un semplice cardio. È il controllo del Prana (la forza vitale yogica). L’Ustad insegna a respirare profondamente (lambi saans), a conservare l’energia e a non respirare affannosamente (haanphna), che è un segno di panico e debolezza.


CATEGORIA 6: GLI ATTREZZI (GLI STRUMENTI)

Questi sono gli attrezzi unici del Vyayam, le “forme armate” del Pehlwani.

Gada

  • Etimologia e Definizione: Termine sanscrito per “mazza”. È l’arma iconica di Hanuman e Bhima.

  • Descrizione: Un lungo manico di bambù con una pesante pietra o blocco di cemento a un’estremità.

  • Scopo: È l’attrezzo principale per costruire:

    1. Pakar (Presa): La forza della presa, dei polsi e degli avambracci.

    2. Forza Rotazionale: Forza esplosiva nel core, nei fianchi e nelle spalle.

    3. Stabilità: Protegge le articolazioni delle spalle.

  • Uso Rituale: Maneggiare la Gada è un atto di devozione (Bhakti) a Hanuman.

Jori

  • Etimologia e Definizione: Hindi, “coppia” o “paio”. Sono le clave di legno pesanti usate in coppia.

  • Origine: Discendenti dirette dei Mil usati nello Zourkhaneh persiano.

  • Scopo: Sviluppano la forza della parte superiore della schiena, delle spalle e la coordinazione. Sono fondamentali per sviluppare la capacità di esercitare una pressione “pesante” e costante sull’avversario (Kasad).

Sumtola (o Sumtala)

  • Etimologia e Definizione: Un grande tronco di legno, spesso pesante e grezzo, a volte con maniglie.

  • Scopo: Usato per esercizi di sollevamento da terra (simili al deadlift) e per il Farmer’s Walk. Costruisce la forza pura della catena posteriore e della presa, fondamentale per i sollevamenti di potenza come il Multani.

Nal

  • Etimologia e Definizione: Si riferisce a un peso di pietra cilindrico con un manico che passa attraverso il centro.

  • Scopo: È una forma di “kettlebell” tradizionale. Viene fatto oscillare, sollevato sopra la testa o usato per gli squat. È un attrezzo versatile per la forza funzionale.


CATEGORIA 7: LA LOTTA (IL “COME” – COMBATTIMENTO)

Questi termini si riferiscono all’applicazione combattiva.

Jor (o Jod)

  • Etimologia e Definizione: Hindi, “unire” o “accoppiare”.

  • Definizione: È il termine d’uso comune per lo sparring o la lotta di allenamento. È la “forma a due” in cui le tecniche vengono praticate.

  • Distinzione: È distinto dal Kushti nel Dangal. Il Jor è per l’apprendimento (seekhna); il Kushti è per la vittoria (jeetna). Nel Jor, un lottatore esperto può “giocare” con un novizio, insegnandogli mentre lo domina.

Dav-Pech (o Daon-Pench)

  • Etimologia e Definizione: Persiano/Hindi. Dav (mossa, attacco, tecnica) e Pech (contromossa, torsione, complessità).

  • Definizione: È il “gioco degli scacchi” del Kushti. È la scienza della tecnica e della contro-tecnica.

  • Insegnamento: L’Ustad non insegna solo Dav; insegna Dav-Pech. Per ogni attacco, c’è una contromossa fluida. La maestria si misura dalla capacità di fluire da un Dav a un Pech e a un nuovo Dav senza interruzione. È l’aspetto Hanimanti (tecnico) dell’arte.

Pakar

  • Etimologia e Definizione: Hindi, “afferrare” o “catturare”. Si riferisce alla “presa”.

  • Importanza Critica: Nel Pehlwani, la Pakar è un attributo fondamentale. A causa della Mitti scivolosa e dell’olio (Tel) sul corpo, una presa debole è inutile.

  • Filosofia: L’Ustad insegna che la presa deve essere come una morsa d’acciaio (lohe ki pakar). È allenata incessantemente con la Gada, le Jori e l’arrampicata sulla corda (Rassa). Controllare il polso o il collo dell’avversario è il primo passo per ogni tecnica.

Chitt

  • Etimologia e Definizione: Termine hindi che significa “coscienza” o “mente”, ma nel contesto della lotta significa “piatto sulla schiena”.

  • Definizione: È la vittoria totale. È lo schienamento inequivocabile in cui entrambe le spalle e scapole dell’avversario toccano la terra simultaneamente.

  • L’Obiettivo Unico: Nel Dangal tradizionale, è l’unico modo per vincere. Non ci sono punti. Tutte le tecniche (Dav) sono, in ultima analisi, progettate per portare al Chitt.

Kusht

  • Etimologia e Definizione: La radice persiana da cui deriva Kushti.

  • Definizione: Può essere usato come sinonimo di Chitt o, più specificamente, per descrivere la posizione di “ponte” (bridge). Un lottatore che è kusht par è in una posizione difensiva di ponte, lottando disperatamente per evitare il Chitt.


CATEGORIA 8: NUTRIZIONE E STILE DI VITA

Questi termini definiscono il carburante e gli strumenti della vita quotidiana.

Khurak

  • Etimologia e Definizione: Parola persiana/urdu per “nutrimento”, “dieta”.

  • Definizione: È il regime dietetico leggendario del Pehlwan. Non è una “dieta” per perdere peso; è un regime ipercalorico progettato per costruire Ojas (vigore) e sostenere la Tapasya (austerità).

  • Filosofia: La Khurak deve essere Sattvica (pura). Esclude cibi Tamasici (come alcol, carne vecchia) e Rajasici (come spezie eccessive, aglio, cipolle) perché si ritiene che questi ultimi infiammino le passioni e rendano il Brahmacharya impossibile.

Ghee

  • Etimologia e Definizione: Sanscrito/Hindi per “burro chiarificato”.

  • Significato: È l’ingrediente più importante della Khurak. È considerato l’elisir della forza, l’essenza più pura del latte. È una fonte di grasso puro che si ritiene lubrifichi le articolazioni, alimenti il “fuoco digestivo” (Agni) e costruisca Ojas e potenza. Viene consumato in quantità enormi, bevuto sciolto nel latte.

Doodh

  • Etimologia e Definizione: Hindi, “latte”.

  • Significato: Il veicolo principale della dieta. I Pehlwan bevono litri di latte crudo e fresco al giorno.

Badam

  • Etimologia e Definizione: Persiano/Hindi, “mandorla”.

  • Significato: La principale fonte di proteine e grassi sani. Vengono messe a bagno, pelate e macinate a mano su una pietra per ore.

Thandai (o Sardai)

  • Etimologia e Definizione: Da Thanda (freddo). È la “bevanda rinfrescante”.

  • Definizione: È il “frullato proteico” tradizionale. È la pasta di Badam (mandorle) macinate, mescolata con semi di papavero, finocchio e cardamomo, e poi miscelata in litri di Doodh (latte). Viene bevuta subito dopo l’allenamento mattutino.

Langot (o Langota)

  • Etimologia e Definizione: Hindi, “perizoma”.

  • Definizione: L’unico indumento indossato durante l’allenamento.

  • Simbolismo: È quasi sempre di colore arancione zafferano (Kesari), il colore della rinuncia ascetica. L’atto di legarlo strettamente è un rituale quotidiano, visto come il “sigillo” fisico del Brahmacharya, che “trattiene” l’energia Virya.

Malish

  • Etimologia e Definizione: Persiano/Hindi, “massaggio”.

  • Definizione: È una parte cruciale e obbligatoria del recupero. Dopo l’allenamento, i lottatori si massaggiano a vicenda (Seva) o vengono massaggiati da specialisti, usando grandi quantità di olio (Tel), solitamente di senape.

  • Scopo: Aiuta il recupero muscolare, previene gli infortuni e, per il discepolo che massaggia l’Ustad, è una lezione di anatomia tattile (Seva).


CATEGORIA 9: ESEMPI DI LESSICO TECNICO (DAV-PECH)

Infine, la terminologia descrive le tecniche stesse, che hanno nomi evocativi.

Dhobi Pat (Il Lancio del Lavandaio)

  • Definizione: La tecnica (Dav) più famosa. Un potente lancio d’anca che imita il movimento del Dhobi (lavandaio) che sbatte i panni su una pietra. È una tecnica Hanimanti per eccellenza.

Kala Jangh (Coscia Nera)

  • Definizione: L’attacco alle gambe (singolo o doppio), simile a un takedown del Freestyle. È una mossa fondamentale per portare il combattimento a terra.

Multani

  • Definizione: Una tecnica di sollevamento di potenza (stile Bhimaseni), che prende il nome dalla regione di Multan (Pakistan). Implica il sollevamento dell’avversario da terra e lo schianto sulla schiena, simile a un suplex.

Baharli (Esterno)

  • Definizione: Uno sgambetto o una leva eseguita all’esterno (bahar) della gamba dell’avversario, usando il tempismo e la leva per sbilanciarlo.

Gadhânet (Controllo del Collo/Viso)

  • Definizione: Una tecnica di Kasad (logoramento) a terra, dove l’avambraccio viene usato per applicare una pressione dolorosa e abrasiva sul viso, sul collo o sulla mascella dell’avversario per costringerlo a girarsi.

Kainchi (Forbici)

  • Definizione: L’uso delle gambe “a forbice” per controllare il tronco o gli arti dell’avversario a terra.

Machli Gota (Tuffo del Pesce)

  • Definizione: Una tecnica difensiva (Pech) cruciale. Quando si è quasi schienati, il Pehlwan inarca la schiena (Kusht), gira sulle spalle e “scivola via” come un pesce (machli), tornando a pancia in giù.


Conclusione: Il Linguaggio come Fortezza

La terminologia del Pehlwani è molto più di un dizionario. È una fortezza verbale che racchiude e protegge un mondo. Per il Pehlwan del Terai, usare queste parole – gridare “Jor!” per iniziare lo sparring, discutere il Dum-Kham di un campione, o aspirare al Dharma di un vero Pehlwan – è un modo per affermare la propria identità.

Questo lessico ibrido, che fonde la spiritualità sanscrita di Hanuman con l’etica cavalleresca persiana di un Ustad, è la prova vivente della storia sincretica dell’arte. Imparare questa lingua non significa solo imparare a lottare; significa essere iniziati a un lignaggio (Parampara) e accettare un codice (Achara) che ha come unico obiettivo la trasformazione totale dell’individuo.

ABBIGLIAMENTO

Il Paradosso dell’Abbigliamento nel Pehlwani

Affrontare il tema dell’abbigliamento nel Pehlwani (o Kushti) è un esercizio di minimalismo e, allo stesso tempo, di profonda simbologia. Per un’arte marziale così complessa, la cui filosofia (Darshana) e il cui regime di allenamento (Vyayam) sono totalizzanti, l’aspetto dell’abbigliamento è quasi un paradosso. La pratica di questa disciplina, infatti, non è definita da ciò che si indossa, ma da ciò che si rimuove.

Nel contesto di un Akhara (l’arena di terra) tradizionale, come quelli che ancora si trovano nella regione del Terai nepalese, non esiste un’uniforme complessa, non ci sono cinture per indicare il grado, né protezioni moderne. Esiste un unico, fondamentale e insostituibile capo di vestiario: il Langot (o Langota), il perizoma del lottatore.

Questo singolo indumento, tuttavia, è forse l’elemento più carico di significato dell’intera pratica. Non è “abbigliamento” nel senso di moda, estetica o comfort; è un simbolo, uno strumento tecnico, un sigillo rituale e un voto fisico. Il Pehlwan non “si veste” per allenarsi; egli “si lega” (bandhna) per prepararsi a un atto di devozione.

Inoltre, l’abbigliamento del Pehlwan non si limita al tessuto. Il suo vero “abbigliamento” da combattimento è un composto di tre elementi: il Langot (il voto), il Tel (l’olio, come prima pelle) e la Mitti (la terra sacra, come armatura). Analizzare l’abbigliamento del Pehlwani significa quindi esplorare questo trinomio, decodificando come ogni elemento contribuisca alla funzionalità, alla filosofia e all’identità del lottatore.


PARTE 1: IL LANGOT (O LANGOTA) – L’UNICO INDUMENTO

Il Langot è il perizoma tradizionale indossato dagli uomini nel subcontinente indiano per secoli, specialmente durante attività fisiche intense o pratiche ascetiche. Nel Pehlwani, è l’uniforme obbligatoria.

Descrizione Fisica e Materiali Il Langot, nella sua forma più comune, è un capo di abbigliamento ingannevolmente semplice, progettato per la massima efficienza.

  • Materiale: Quasi esclusivamente cotone (Kapas). La scelta non è casuale. Il cotone è un tessuto naturale, considerato Sattvico (puro) nella filosofia yogica. È traspirante, estremamente assorbente (fondamentale in un clima caldo e umido come quello del Terai) e resistente. I materiali sintetici (come Lycra o poliestere), che non assorbono il sudore e sono considerati “morti” o impuri, sono evitati nella pratica tradizionale.

  • Costruzione: Il Langot consiste tipicamente in due parti:

    1. Una striscia di tessuto lunga e stretta (la “coda” o Kashta), spesso attaccata a un pezzo di tessuto triangolare.

    2. Una corda o una striscia di tessuto più robusta (Dor), che funge da cintura.

  • Design: Il lottatore lega la cintura (Dor) strettamente intorno alla vita. Il pezzo triangolare copre i genitali, e la lunga coda viene fatta passare tra le gambe e infilata saldamente nella cintura sulla schiena. Il risultato è un indumento simile a un moderno sospensorio, ma fatto di un unico pezzo di tessuto avvolto.

Funzionalità Pragmatica: Il “Perché” Biomeccanico e Tattico La scelta del Langot non è solo tradizionale; è il risultato di migliaia di anni di perfezionamento funzionale per la lotta sulla terra.

1. Supporto e Protezione: La funzione primaria è fornire un supporto sicuro e saldo ai genitali. L’allenamento (Vyayam) del Pehlwani è esplosivo. Include migliaia di Baithak (squat), migliaia di Dand (flessioni indiane) e il Jor (sparring), che comporta proiezioni violente, sollevamenti e contorsioni. Un supporto inadeguato porterebbe a infortuni gravi. Il Langot, se legato correttamente (Kasa), immobilizza l’anatomia maschile, permettendo al lottatore di muoversi con totale fiducia e abbandono.

2. Libertà di Movimento Assoluta: Il Langot copre solo ciò che è essenziale. Le gambe, i fianchi e il busto sono completamente liberi. Questo permette un’ampiezza di movimento illimitata, cruciale per le proiezioni (Phekna) che richiedono una profonda flessione dei fianchi (come il Dhobi Pat) o per le tecniche di fuga a terra (Machli Gota) che richiedono un’estrema flessibilità spinale. Qualsiasi altro indumento, come pantaloncini o pantaloni, limiterebbe questa mobilità.

3. L’Elemento Tattico: Rifiutare la Presa (Pakar) Questo è forse l’aspetto tattico più importante. Il Pehlwani è un’arte di grappling. Nel combattimento, qualsiasi pezzo di tessuto largo è un appiglio, un vantaggio per l’avversario.

  • Contrasto con il BJJ: L’esempio più chiaro è il contrasto con il Brazilian Jiu-Jitsu (BJJ) in Gi. Nel BJJ, l’uniforme (il Gi) è essa stessa un’arma: si afferra il bavero per strangolare, si afferrano le maniche per controllare le braccia, si afferrano i pantaloni per le proiezioni.

  • La Filosofia “No-Grip”: Il Pehlwani adotta la filosofia opposta. Il Langot, aderendo perfettamente al corpo, non offre assolutamente nulla da afferrare. Questo costringe la lotta a essere “pura”: si può afferrare solo il corpo dell’avversario (polsi, collo, tronco, gambe).

  • Sopravvivenza sulla Mitti: Questo è ulteriormente amplificato dalla Mitti (terra) e dal Tel (olio). Il corpo è già incredibilmente scivoloso. L’assenza di un tessuto da afferrare rende il controllo un’impresa di forza di presa (Pakar) pura, allenata per ore con la Gada (mazza) e le Jori (clave).

Il Langot è, quindi, lo strumento tecnico perfetto per la forma di lotta del Pehlwani: supporta il lottatore ma non offre alcun aiuto all’avversario.


PARTE 2: IL SIMBOLISMO DEL LANGOT – VESTIRE IL VOTO

Se la funzionalità del Langot è brillante, il suo simbolismo è ancora più profondo. Nell’Akhara, indossare il Langot non è un atto di moda, ma un atto di trasformazione.

Il Colore: Il Seme della Rinuncia (Kesari o Bhagwa) Sebbene oggi si possano trovare Langot di qualsiasi colore (spesso bianco o rosso), il colore tradizionale e più riverito è il Kesari (zafferano) o Bhagwa (ocra/arancione).

  • Il Colore dell’Ascetismo: Questa non è una scelta estetica. È il colore della rinuncia. È la stessa tonalità indossata dai Sannyasi (i rinuncianti che hanno abbandonato la vita mondana) e dai Sadhu (gli asceti erranti) in tutto il subcontinente indiano e in Nepal.

  • Dichiarazione d’Intenti: Indossando un Langot color zafferano, il Pehlwan fa una dichiarazione visiva. Sta dicendo al mondo e a se stesso: “Io non sono un atleta comune. Sono un tapasvi, un asceta della forza. La mia pratica non è per il guadagno mondano, ma per la disciplina interiore”.

  • Separazione dal Mondo: Questo colore lo separa simbolicamente dal Grihastha (il capofamiglia) e lo allinea con la tradizione dei guerrieri-asceti, come gli Naga Sadhu (gli asceti nudi e guerrieri devoti a Shiva). Il Pehlwan è un guerriero, ma la sua battaglia principale è interna.

Il Sigillo del Brahmacharya (Il Voto Fisico) Questo è il cuore simbolico del Langot. Il pilastro filosofico del Pehlwani è il Brahmacharya (controllo dei sensi, spesso interpretato come celibato).

  • La Teoria del Virya: La filosofia yogica su cui si basa il Pehlwani insegna che l’energia vitale, il Virya (seme), è la forma più concentrata di Ojas (vigore). Si ritiene che la sua conservazione sia la fonte ultima della forza fisica (Bal), della resistenza (Dum-Kham) e della luminosità mentale (Tejas).

  • Il Langot come Sigillo: Il Langot è il “sigillo” fisico di questo voto. L’atto di legarlo strettamente è un rituale quotidiano. È una promessa fisica di conservare e proteggere questa energia. Il Langot non solo protegge fisicamente i genitali (Indriyas), ma li “sigilla” simbolicamente, impedendo la dispersione dell’energia vitale.

  • Un Promemoria Costante: Durante l’allenamento estenuante, la costrizione fisica del Langot funge da promemoria costante del voto. È il punto di contatto tra la filosofia astratta del Brahmacharya e la realtà fisica del corpo del lottatore.

Semplicità, Uguaglianza e Umiltà (Vinamrata) Il Langot è l’uniforme dell’uguaglianza.

  • Distruzione dell’Ego (Ahankara): In un’epoca moderna ossessionata dai marchi, dalle scarpe costose e dall’abbigliamento tecnico griffato, il Langot è un atto radicale di umiltà. È un capo che costa pochi centesimi.

  • L’Uniformità dell’Akhara: Quando i discepoli (Pattha) entrano nell’Akhara, si spogliano dei loro abiti civili (che indicano il loro status sociale, la loro ricchezza o la loro povertà) e indossano tutti lo stesso, identico Langot. Immediatamente, ogni distinzione mondana svanisce.

  • Un Livellatore: Sulla Mitti, coperto solo da un Langot, il figlio di un ricco proprietario terriero del Terai e il figlio di un contadino senza terra sono indistinguibili. L’unica gerarchia che rimane è quella dell’abilità, della forza e dell’anzianità all’interno dell’Akhara.

  • Rifiuto della Vanità (Numaish): L’Ustad (maestro) scoraggia attivamente la vanità. Il corpo non viene costruito per l’esibizione estetica (Numaish), come nel bodybuilding moderno, ma per la Takhat (potenza funzionale). Il Langot è l’abito perfetto per questa filosofia: è 100% funzione e 0% vanità.


PARTE 3: IL RITUALE DELL’INDOSSARE (IL LANGOT BANDHNA)

Il Pehlwan non “indossa” un Langot. Esegue il Langot Bandhna (“legare il Langot”). Questo è un rituale che segna la transizione tra il mondo profano esterno e il mondo sacro dell’Akhara.

Il Processo (La Tecnica di Legatura) La legatura deve essere appresa correttamente; se fatta male, il Langot si allenterà durante il combattimento, causando distrazione, imbarazzo e una rottura della concentrazione.

  1. La Cintura (Dor): Il lottatore prende la corda o la striscia di tessuto che funge da cintura. Se è un pezzo unico, questa è la parte della “coda” lunga. La lega saldamente intorno alla vita, con un nodo sicuro (spesso un nodo piano) posizionato su un fianco o sul davanti. Deve essere stretta, ma non tanto da tagliare la circolazione.

  2. La Copertura (Il Triangolo): Il pezzo di tessuto principale (spesso di forma triangolare o rettangolare) viene posizionato davanti, coprendo i genitali e venendo infilato sotto la cintura per tenerlo momentaneamente in posizione.

  3. Il Passaggio (Il Kashta): La “coda” del tessuto viene fatta passare tra le gambe, da davanti a dietro. Deve essere tirata molto stretta, sollevando e sostenendo saldamente i testicoli contro il corpo.

  4. L’Ancoraggio (Il Tucking): La coda viene tirata su dietro la schiena e infilata sotto e sopra la cintura sul retro, più e più volte, finché non è completamente sicura. Questo “tuck” (infilatura) deve essere incredibilmente saldo. È ciò che tiene l’intero indumento al suo posto.

  5. Il Controllo: Il Pehlwan si muove, fa uno squat, si piega. Il Langot non deve muoversi. Deve sentirsi come una seconda pelle, una parte integrante del suo corpo.

Il Significato Rituale del Gesto

  • Transizione Mentale: L’atto fisico di legare il Langot è un mudra (gesto rituale) che focalizza la mente. Il lottatore sta lasciando alle spalle le sue preoccupazioni quotidiane, la sua identità sociale, e sta entrando nel suo ruolo di Sadhak (praticante spirituale).

  • Concentrazione: Il processo richiede concentrazione. Non può essere fatto distrattamente. Questa concentrazione è il primo passo dell’allenamento mentale della giornata.

  • Prontezza: Quando l’ultimo lembo di tessuto è infilato, il Pehlwan è pronto. È un segnale fisico e mentale che la Tapasya (l’austerità) sta per iniziare. È l’equivalente di un cavaliere che abbassa la visiera del suo elmo.


PARTE 4: LA “SECONDA PELLE” – LA VESTE DI MITTI E TEL

Il Langot è l’unico indumento tessile. Ma non è l’unica cosa che il Pehlwan indossa. La sua vera uniforme da combattimento, quella che si vede durante il Jor (sparring) e il Dangal (torneo), è un composto di olio e terra.

Tel Malish (L’Unzione d’Olio): Il Sottoveste Prima del Jor, i lottatori praticano il Tel Malish (massaggio con olio).

  • L’Olio: Si usa quasi sempre il Sarson ka Tel (olio di senape). Nel Terai, questo olio è onnipresente.

  • Funzione Fisiologica: L’olio di senape è considerato garam (riscaldante). Il massaggio riscalda i muscoli e le articolazioni, preparando il corpo all’impatto e prevenendo stiramenti. Rende anche la pelle più elastica e resistente alle abrasioni.

  • Funzione Tattica (L’Abbigliamento Scivoloso): L’olio rende il corpo del lottatore incredibilmente scivoloso. Questo è un “abbigliamento” intenzionale. Come il Langot, rende le prese (Pakar) quasi impossibili per chi non ha una forza di presa sovrumana. Costringe i lottatori a sviluppare una forza di presa (allenata con la Gada) e a usare tecniche di leva (Dav-Pech) piuttosto che di attrito.

Mitti Lapetna (La Veste di Terra): L’Armatura Esterna Un corpo unto d’olio è impossibile da afferrare. Per rendere possibile il combattimento, si aggiunge il secondo strato di “abbigliamento”.

  • L’Atto: Appena prima di iniziare il Jor, i Pehlwan si avvicinano alla Mitti (la terra sacra dell’arena) e ne afferrano manciate. Si cospargono il corpo con questa terra: sul petto, sulle braccia, sulle gambe e persino sul Langot.

  • Funzione Pratica (Attrito): La terra si attacca all’olio e al sudore. Questo crea uno strato sottile di… fango. Questo fango asciuga parzialmente il corpo e fornisce un minimo di attrito, rendendo le prese difficili ma possibili. È l’equivalente del gesso usato dai ginnasti.

  • Funzione Spirituale (La Veste della Dea): Questo non è un atto solo pratico. È il rituale di “indossare la terra”. Il Pehlwan sta chiedendo la benedizione di Dharti Mata (la Madre Terra). Sta indossando la sua forza, la sua stabilità. La Mitti dell’Akhara è mescolata con Haldi (curcuma), un antisettico. Questo “abbigliamento di fango” è quindi anche un’armatura medicinale che disinfetta i tagli e le abrasioni nel momento stesso in cui si verificano.

Il vero “abbigliamento” del Pehlwan in combattimento è quindi:

  1. Strato 1: Langot (supporto e voto)

  2. Strato 2: Tel (calore e scivolosità)

  3. Strato 3: Mitti (attrito e benedizione)

Questo “uniforme di fango” è il look iconico del Pehlwani, un’immagine di potere primordiale che collega il lottatore direttamente alla terra da cui trae la sua forza.


PARTE 5: ABBIGLIAMENTO AL DI FUORI DELL’AKHARA – LA VESTE DEL PEHLWAN NELLA SOCIETÀ

La filosofia del Pehlwani non finisce quando si lascia l’Akhara. L’Ustad (maestro) insegna che il Pehlwan deve incarnare i principi dell’arte in ogni momento. Il suo abbigliamento civile (al di fuori dell’allenamento) è una diretta estensione di questa filosofia.

Semplicità e Purezza (Sattva) La filosofia della dieta (Khurak) si applica anche all’abbigliamento. Il cibo deve essere Sattvico (puro, naturale). Allo stesso modo, l’abbigliamento deve essere Sattvico.

  • Materiali Naturali: Si preferiscono tessuti semplici e naturali, come il cotone (Kapas), specialmente il Khadi (cotone filato a mano), che ha una forte connotazione di purezza e nazionalismo (associato a Gandhi).

  • Pulizia: L’abito deve essere immacolato. Un Pehlwan può essere povero, ma non deve mai essere sporco o trasandato. La pulizia fisica è un riflesso della purezza interiore (Brahmacharya).

L’Abbigliamento Tradizionale (L’Uniforme Civile) In un contesto tradizionale come il Terai nepalese, un Pehlwan che vive secondo la disciplina indosserà abiti semplici e locali.

  • Kurta-Pajama: La combinazione più comune. Una Kurta (una tunica di cotone lunga e comoda) e un Pajama (pantaloni larghi di cotone legati in vita). È un abbigliamento umile, comodo e pratico.

  • Dhoti: Un altro indumento tradizionale, un lungo pezzo di stoffa avvolto intorno alla vita e alle gambe.

  • Il Gamcha (o Gamosa): Questo è un accessorio chiave nel Terai e in tutto il nord del subcontinente. È un sottile asciugamano di cotone, spesso con un motivo a quadri. È un indumento multiuso: si porta sulla spalla per asciugare il sudore, si può legare intorno alla testa come un turbante improvvisato per proteggersi dal sole cocente del Terai, o si può usare come sciarpa. È l’epitome dell’abbigliamento funzionale e umile.

Il Rifiuto della “Moda” (Numaish) Questo è un punto cruciale dell’insegnamento dell’Ustad.

  • Numaish (Esibizione): L’Ustad scoraggia attivamente la Numaish, la vanità o l’esibizione. Un giovane Pattha (discepolo) che inizia a mostrare interesse per la moda moderna – jeans attillati, magliette firmate, occhiali da sole costosi, capelli acconciati con il gel – viene visto come un segnale di allarme.

  • Il Pericolo della Distrazione: Questo interesse per l’apparenza è considerato un sintomo di un ego (Ahankara) in crescita e di un indebolimento del Brahmacharya. È un segno che la mente del lottatore si sta spostando dal suo centro (l’Akhara, la Tapasya) verso il mondo esterno delle illusioni (Maya) e del desiderio sensoriale.

  • Conflitto Generazionale: Questo è uno dei maggiori punti di conflitto negli Akhara moderni. La cultura globale di Instagram e del fitness estetico (bodybuilding), dove l’abbigliamento firmato è parte dell’identità, è in guerra diretta con la filosofia Pehlwani, dove l’abbigliamento è un voto di semplicità.


PARTE 6: ANALISI COMPARATIVA – L’ABBIGLIAMENTO DEL KUSHTI RISPETTO AD ALTRI STILI DI LOTTA

Per apprezzare appieno l’unicità dell’abbigliamento del Pehlwani, è essenziale confrontarlo con quello di altre discipline di combattimento praticate in Italia e nel mondo.

Contro: Lotta Olimpica (Stile Libero / Greco-Romana)

  • L’Indumento: Il Singlet (chiamato body in Italia).

  • Materiale: Sintetico (Lycra, poliestere).

  • Filosofia: L’esatto opposto del Langot. Il Singlet è un prodotto della modernità sportiva, secolare e scientifica.

    • Funzione: È aderente per non offrire prese (simile al Langot). È standardizzato (rosso e blu) per il giudizio arbitrale. È igienico nel contesto dei Mat (tappetini) sintetici, poiché può essere lavato in lavatrice ad alte temperature.

    • Simbologia: Non c’è. È un’uniforme sportiva. Non ha alcun significato spirituale, ascetico o morale. È un requisito delle regole della United World Wrestling (UWW).

  • Transizione: Quando un Pehlwan del Terai o indiano passa alla lotta olimpica per competere a livello internazionale, il suo primo e più grande cambiamento culturale è abbandonare il Langot e la Mitti per indossare un Singlet e delle scarpe da lotta su un Mat. Questo è spesso vissuto come un atto di “sterilizzazione” dell’arte.

Contro: Brazilian Jiu-Jitsu (BJJ) in Gi

  • L’Indumento: Il Gi (o Kimono), derivato dal Judogi.

  • Materiale: Cotone pesante e rinforzato.

  • Filosofia: Diametralmente opposta. L’abbigliamento è la tecnica.

    • Funzione: L’intero sistema del BJJ in Gi è basato sull’afferrare l’abbigliamento dell’avversario. Il bavero (lapel) è usato per strangolare. Le maniche sono usate per controllare le braccia e impostare leve articolari. I pantaloni sono usati per controllare le gambe e per le proiezioni.

    • Simbologia: Il Gi ha una sua gerarchia (la cintura colorata), che è l’antitesi dell’uguaglianza del Langot.

  • Conclusione: Il Pehlwani è un’arte “no-grip”, mentre il BJJ è un’arte “all-grip”. L’abbigliamento definisce questa differenza fondamentale.

Contro: Grappling No-Gi e MMA

  • L’Indumento: Rashguard (maglietta sintetica aderente) e Shorts da combattimento (pantaloncini).

  • Materiale: Sintetico (Lycra, Spandex).

  • Filosofia: Pragmatismo moderno.

    • Funzione: L’abbigliamento No-Gi cerca di replicare la funzionalità del Pehlwani: minimo appiglio, massima libertà di movimento. Il rashguard protegge dalle abrasioni del tappetino (come la Mitti e l’olio proteggono dalle abrasioni della terra).

    • Estetica: Tuttavia, è anche un veicolo di identità commerciale. È coperto di sponsor, loghi di team, disegni aggressivi. È l’epitome della Numaish (esibizione) che il Pehlwani cerca di evitare.

  • Conclusione: Funzionalmente, il No-Gi moderno è il parente più prossimo del Pehlwani. Filosoficamente, ne è lontanissimo.


Conclusione: L’Abito Non Fa il Monaco (Ma Definisce l’Asceta)

L’abbigliamento del Pehlwani, nella sua sconcertante semplicità, è una delle dichiarazioni filosofiche più potenti nel mondo delle arti marziali.

Il Langot non è un semplice indumento. È un manifesto. È un manifesto di Funzionalità, rifiutando ogni appiglio all’avversario e garantendo totale libertà di movimento. È un manifesto di Uguaglianza, spogliando i praticanti di ogni status sociale e rendendoli identici di fronte alla terra. È un manifesto di Umiltà, rifiutando la vanità estetica del mondo moderno in favore della pura funzione. Soprattutto, è un manifesto di Ascetismo. Legando il Langot color zafferano, il Pehlwan del Terai non sta semplicemente indossando un sospensorio; sta legando un voto, “sigillando” il suo impegno al Brahmacharya e dedicando il suo corpo alla Tapasya.

Il vero abbigliamento del Pehlwan, quindi, non si compra. Si guadagna. È un corpo forgiato da migliaia di Dand e Baithak, unto con l’olio della preparazione e, infine, vestito con l’armatura sacra della Mitti dell’Akhara. È un abbigliamento che non può essere indossato se non da colui che ha abbracciato l’intero, esigente stile di vita del Pehlwani.

ARMI

Il Paradosso dell’Arma nel Pehlwani

La domanda sulle “armi” nel Pehlwani (o Kushti) è, nella sua essenza, un paradosso. La risposta breve, diretta e inequivocabile è: il Pehlwani è un’arte marziale rigorosamente non armata.

Il Kushti, l’atto del combattimento che si svolge nel Dangal (torneo), è una pura forma di grappling. Non sono ammessi colpi (mushti-yuddha), né tantomeno l’uso di armi. L’obiettivo non è ferire, mutilare o uccidere; l’obiettivo è il Chitt, lo schienamento totale e simbolico, una dimostrazione di dominio tecnico, fisico e spirituale. L’arte, come praticata oggi negli Akhara (arene di terra) del Terai nepalese, è una forma di Nir-yuddha (combattimento senz’armi) che ha deliberatamente e filosoficamente epurato i suoi elementi più letali.

Tuttavia, respingere la domanda così bruscianamente significherebbe ignorare il cuore della metodologia del Pehlwani. Sebbene il Pehlwan non combatterà mai con un’arma, la sua intera vita di allenamento (Vyayam) è costruita attorno a strumenti che sono, senza ombra di dubbio, armi da battaglia storiche.

Il Pehlwani non ha armi, ma è ossessionato dalle “armi-come-attrezzi”. Il lottatore non si allena con una mazza per imparare a colpire un nemico; egli si allena con una mazza per diventare la mazza: per assorbirne il peso, la potenza rotazionale e l’implacabile slancio.

Questo capitolo non esplorerà le armi usate nel Pehlwani – poiché non ce ne sono – ma esplorerà la relazione profonda, rituale e storica che quest’arte intrattiene con le armi. Analizzeremo:

  1. Il perché filosofico della sua natura non armata (il Dharma del Pehlwan).

  2. Le radici storiche armate da cui si è volutamente distaccato.

  3. Gli “attrezzi-arma” fondamentali (Gada, Jori) che costituiscono il nucleo del suo regime di allenamento, e come questi costruiscano il corpo del lottatore.

  4. Il concetto finale del corpo stesso come unica, vera arma.


PARTE 1: IL RIFIUTO DELL’ARMA – UNA SCELTA MORALE (DHARMA)

L’assenza di armi nel Pehlwani non è un caso o una mancanza. È una scelta filosofica e morale che definisce l’arte. È la linea di demarcazione che separa il Pehlwan (il protettore) dal Kshatriya (il guerriero-soldato) o dal gunda (il teppista).

La Distinzione tra Yuddha (Guerra) e Kushti (Lotta) Il Pehlwani discende dall’antica Malla-yuddha (la “lotta dei lottatori”), che era essa stessa parte di un curriculum militare più ampio chiamato Dhanurvidya (la scienza dell’arco, che in realtà copriva tutte le arti belliche). Un antico guerriero indiano avrebbe imparato Shastra-vidya (la conoscenza delle armi – spada, lancia, arco) e Malla-yuddha (la lotta a mani nude, da usare quando si perdeva l’arma sul campo di battaglia).

L’Epurazione degli Stili Letali: Jarasandhi e Jambuvanti Come descritto in precedenza (Punto 10), la Malla-yuddha era storicamente classificata in quattro Jati (stili). Il Pehlwani moderno è il risultato di una selezione consapevole, scartando gli stili più pericolosi:

  1. Lo Stile Jarasandhi: Prende il nome dal re Jarasandha, questo era lo “stile” da battaglia, focalizzato sulla morte e la menomazione. Includeva tecniche come la rottura deliberata delle articolazioni, colpi ai punti vitali (occhi, gola, inguine) e strangolamenti letali. Queste sono le “armi naturali” del corpo. Il Pehlwani ha reso tutte queste tecniche ghair-kanooni (illegali e immorali).

  2. Lo Stile Jambuvanti: Questo stile era focalizzato sulle sottomissioni (submission): leve articolari e strangolamenti progettati per costringere alla resa. Anche questo stile è stato in gran parte epurato dal Kushti praticato nei Dangal.

Perché questa Epurazione? L’eliminazione delle “armi” (sia esterne che corporee) è avvenuta per due ragioni fondamentali:

1. La Nascita del Dangal (La Ragione Sportiva): Il Pehlwani si è evoluto da un’arte di combattimento bellico a una disciplina sportiva e comunitaria, il cui palcoscenico è il Dangal (torneo). I Dangal, specialmente nel Terai, sono eventi festivi, parte di fiere religiose (Mela). L’obiettivo è l’onore (Izzat), non la morte. Se i lottatori usassero armi o tecniche letali, la loro carriera (e vita) sarebbe breve. L’epurazione delle armi e delle sottomissioni ha reso il Kushti uno sport sostenibile. Ha permesso ai Pehlwan di competere vigorosamente, anche brutalmente, ma di alzarsi alla fine dell’incontro, stringere la mano dell’avversario e tornare ad allenarsi il giorno dopo. Ha trasformato un atto di guerra in un atto di gioco sacro (Lila).

2. La Filosofia del Dharma (La Ragione Morale): Questa è la ragione più profonda. Il Pehlwan non è un soldato. Il suo Dharma (dovere morale) non è uccidere per conto di un re; il suo Dharma è essere un pilastro di forza e virtù nella sua comunità. È un protettore dei deboli, un esempio di disciplina (Tapasya) e un devoto di Hanuman. La sua filosofia è Ahimsa (non-violenza), intesa nel suo senso più profondo. L’Ahimsa del Pehlwan non è passività; è il possesso di una forza immensa, accoppiato a una disciplina morale così ferrea da usare quella forza solo per sottomettere, mai per distruggere. Usare un’arma (una spada, un coltello, o anche una tecnica Jarasandhi come un colpo agli occhi) è un atto di debolezza. È un’ammissione che la propria forza e disciplina (Bal e Tapas) non erano sufficienti. L’ideale del Pehlwan è sconfiggere un avversario in modo così completo, con la pura forza del proprio corpo e della propria volontà, che l’avversario accetta la sconfitta (il Chitt), senza essere permanentemente danneggiato.

Il Pehlwan, quindi, non ha armi perché il suo codice etico glielo proibisce. La sua arte è una celebrazione della vita e della forza, non della morte e della distruzione.


PARTE 2: L’EREDITÀ DELLE ARMI NELL’ALLENAMENTO (VYAYAM)

Qui giace il paradosso centrale. Sebbene il Pehlwan rifiuti le armi in combattimento, il suo allenamento (Vyayam) è quasi interamente basato su strumenti che sono, o derivano direttamente da, armi da guerra. Il Pehlwan non si allena per usare queste armi. Egli le usa per costruire il suo corpo. Il suo ragionamento è: “Se riesco a costruire un corpo capace di maneggiare un’arma da guerra da 50 kg come un giocattolo, che possibilità avrà un avversario a mani nude contro questo corpo?”.

Questi “attrezzi-arma” sono il cuore della metodologia Pehlwani.

A. La Gada: L’Arma che Diventa Maestro

La Gada (mazza) è l’attrezzo più importante, iconico e simbolico dell’Akhara. Non è un “attrezzo da fitness”; è un manufatto rituale.

1. L’Arma Storica e Mitologica:

  • Mitologia: La Gada è l’arma per eccellenza degli esseri più forti della mitologia indù. È l’arma di Hanuman, il dio-patrono di tutti i Pehlwan. Nel Ramayana, Hanuman usa la sua Gada per distruggere demoni e intere armate. È anche l’arma di Bhima, l’eroe del Mahabharata, che la usa per frantumare la coscia del suo rivale Duryodhana.

  • Storia Militare: Al di là del mito, la Gada (mazza da guerra o war mace) è una delle armi più antiche e brutali dell’umanità. Dalle pianure dell’India ai campi di battaglia dell’Europa medievale, la mazza era l’arma contundente definitiva, progettata per un unico scopo: trasferire una quantità catastrofica di energia cinetica per frantumare ossa e armature. Le antiche Gada indiane erano spesso fatte di metallo pesante (o legno con una testa di pietra) ed erano un’arma temibile per la fanteria.

2. Il Simbolismo Rituale (Bhakti): Il Pehlwan del Terai non sta semplicemente sollevando un peso. Sta compiendo un atto di Bhakti (devozione).

  • Emulazione di Hanuman: Quando il lottatore prende in mano la Gada, sta emulando il suo dio. Sta dicendo: “Concedimi la tua forza (Bal)”. L’allenamento con la Gada è una preghiera in movimento.

  • Costruzione del Rispetto: La Gada è trattata con rispetto. Non viene gettata a terra. Spesso è decorata con polvere di sindoor (vermiglio) e fiori, come si farebbe con un idolo in un tempio.

  • La Gada come Trofeo: Nei Dangal, il premio per il campione non è spesso una coppa, ma una Gada cerimoniale, solitamente d’argento (Gurj). Questo simboleggia che il vincitore ha raggiunto la statura di un eroe, un moderno Bhima.

3. La Trasformazione in Attrezzo (Il Vyayam): Il Pehlwan non usa la Gada per colpire un sacco o un bersaglio. Il suo utilizzo è stato completamente riproposto per il condizionamento fisico.

  • L’Attrezzo: La Gada da allenamento consiste in un lungo manico, tradizionalmente di bambù (per la sua combinazione di flessibilità e forza), con una pesante pietra o, più modernamente, un blocco di cemento fissato a un’estremità. I pesi variano enormemente: un novizio (Pattha) può iniziare con 10-15 kg, mentre i maestri ne maneggiano da 40, 50, o, nelle leggende, fino a 80-100 kg.

  • Il Movimento (Gada Bhramana): Il movimento principale è il Gada Bhramana (rotazione della mazza). L’esercizio non è un colpo. È un’oscillazione controllata:

    1. Il Pehlwan tiene la Gada verticalmente davanti a sé, con le mani vicine alla base del manico.

    2. Con uno slancio dei fianchi, “lancia” la Gada sopra una spalla.

    3. La testa pesante cade in un grande arco dietro la schiena, costringendo il lottatore ad attivare il core, le spalle e la presa per controllarne la discesa.

    4. Con una potente torsione dei fianchi e del tronco, la Gada viene accelerata verso l’alto, tornando sopra la spalla opposta e alla posizione di partenza.

    5. Questo viene ripetuto in un flusso ritmico (Laya) per decine o centinaia di ripetizioni, alternando le direzioni (oraria e antioraria).

4. L’Analisi Biomeccanica: Come l’Arma Costruisce il Lottatore Questo singolo esercizio è forse la “formula segreta” della forza del Pehlwani. Sviluppa attributi che sono direttamente trasferibili al grappling, molto più di qualsiasi esercizio da palestra moderno.

  • a) Pakar (La Presa): L’attributo più importante. Il Pehlwani si combatte sulla Mitti (terra), che viene resa scivolosa dal sudore e dall’Tel (olio) di senape. Una presa debole è inutile.

    • Come la Gada la costruisce: Il manico della Gada è spesso, liscio e grezzo. Il peso è tutto sbilanciato all’estremità. Per controllare la Gada, specialmente nel punto più basso dell’oscillazione, i muscoli degli avambracci, dei polsi e delle mani devono lavorare in modo isometrico e dinamico a un livello estremo. Questo forgia una Pakar (presa) simile a una morsa d’acciaio. Questa è l’arma che il Pehlwan usa per controllare il polso, il collo o la vita di un avversario scivoloso.

  • b) Forza Rotazionale del Core (Torsione): Il grappling non è fatto di spinte lineari (come il bench press). È fatto di torsioni e rotazioni.

    • Come la Gada la costruisce: L’oscillazione della Gada è un esercizio di torsione del tronco sotto carico pesante. Insegna al corpo a trasferire la forza dal terreno, attraverso i piedi, su per i fianchi, attraverso gli obliqui e il core, e fuori attraverso le spalle. Questo movimento è identico alla catena cinetica usata per una proiezione (Phekna) come il Dhobi Pat (il lancio d’anca), dove il lottatore deve ruotare esplosivamente il suo tronco per lanciare l’avversario.

  • c) Stabilità e Mobilità della Spalla: La lotta è brutale per le spalle.

    • Come la Gada la costruisce: L’oscillazione porta l’articolazione della spalla attraverso un arco di movimento completo sotto trazione. Questo “apre” l’articolazione (mobilità) mentre costringe i muscoli stabilizzatori (cuffia dei rotatori, deltoidi, trapezi) a lavorare in modo estremo per tenere l’articolazione al suo posto. Il risultato sono spalle “antiproiettile” (bulletproof), resistenti alle lussazioni e incredibilmente forti.

  • d) La Lezione dello Slancio (Il “Maestro” Gada): Questa è la lezione più sottile. La Gada è un attrezzo “disonesto” e sbilanciato. Non si può “forzarla” con la forza bruta muscolare (come si farebbe con un bilanciere). Se ci si prova, si perde l’equilibrio e ci si fa male. Il lottatore deve imparare a fluire con la Gada, a sentire il suo slancio, ad assorbirlo e a reindirizzarlo.

    • Trasferimento al Kushti: Questa è la stessa identica abilità neurologica di alto livello (Pech) usata per combattere. Il Pehlwan impara a “sentire” lo slancio (gati) del suo avversario, ad assorbirlo e a reindirizzarlo in una contromossa. La Gada è il suo “partner di allenamento” che gli insegna la fisica della leva e dello slancio.

La Gada, quindi, è l’arma che il Pehlwan ha disarmato e trasformato in un Guru. Non la usa per colpire; la usa per imparare.

B. Le Jori (o Jari): Le Clave del Guerriero

Le Jori sono il secondo pilastro dell’allenamento con “armi-attrezzi”. Sono clave di legno estremamente pesanti, usate in coppia.

1. L’Arma Storica:

  • Origine: L’uso di clave per l’allenamento (club-swinging) è un’antica pratica indiana. Tuttavia, la forma moderna delle Jori è un altro prodotto del sincretismo Pehlwani. Sono quasi identiche ai Mil (clave) usati nello Zourkhaneh persiano.

  • Scopo dell’Arma (Storico): L’allenamento con le clave era fondamentale per i guerrieri (sia indiani che persiani) che combattevano con spade (Talwar) e mazze.

    • Resistenza: Costruiva la resistenza nelle spalle, negli avambracci e nella presa, necessaria per maneggiare una spada per lunghi periodi in battaglia.

    • Potenza di Colpo: L’oscillazione sviluppava la potenza necessaria per colpi efficaci.

    • Coordinazione: I movimenti complessi sviluppavano la coordinazione necessaria per il combattimento.

2. La Trasformazione in Attrezzo (Il Vyayam):

  • L’Attrezzo: Le Jori sono fatte di legno duro (come il Sheesham), spesso con una base di metallo per il peso. A differenza delle “Indian clubs” occidentali, che sono leggere e usate per la mobilità, le Jori sono pesanti. Possono pesare 10, 20, 30 kg o più ciascuna.

  • Il Movimento: L’esercizio è ritmico. Il Pehlwan poggia le Jori sulle spalle. Con un movimento coordinato di fianchi e braccia, fa oscillare una clava alla volta (o a volte entrambe) in un grande cerchio: giù di lato, dietro la schiena, e di nuovo in alto sulla spalla.

  • Il Ritmo (Laya): Come per i Dand, l’allenamento con le Jori è una “forma” ritmica. È una danza di potenza. L’Ustad può scandire il ritmo, e l’intero Akhara si muove all’unisono.

3. L’Analisi Biomeccanica: Come l’Arma Costruisce il Lottatore

  • a) Forza della Presa e “Mani Pesanti”: Come la Gada, maneggiare clave così pesanti e spesse costruisce una presa mostruosa. In più, sviluppa quello che i lottatori chiamano “mani pesanti”. Questo è l’attributo che alimenta il Kasad (il logoramento), la capacità di appoggiare le mani sul collo e sulle spalle dell’avversario e fargli sentire un peso insopportabile.

  • b) Coordinazione Neurologica: A differenza della Gada (un singolo attrezzo), le Jori costringono il corpo a gestire due pesi indipendenti in schemi di movimento complessi. Questo sviluppa un livello superiore di coordinazione inter-emisferica e intra-muscolare. È una “forma” (Kata) che allena il cervello a gestire la complessità, proprio come nel Dav-Pech (mossa-contromossa) del Jor (sparring), dove braccia e gambe devono eseguire compiti diversi simultaneamente.

  • c) Forza Funzionale della Parte Superiore: L’oscillazione delle Jori è un movimento che coinvolge petto, schiena, spalle e braccia in un unico flusso. Costruisce il “guscio” di armatura muscolare che il Pehlwan usa per controllare il clinch (la lotta in piedi).

C. Attrezzi Secondari: Echi del Campo di Battaglia Altri attrezzi usati nel Vyayam hanno anch’essi un’origine militare o di lavoro funzionale.

  • Sumtola (Tronco): Un pesante tronco di legno. L’allenamento consiste nel sollevarlo da terra (deadlift), portarlo alle spalle (clean) e camminarci (carry). Questa è una simulazione diretta del lavoro sul campo di battaglia: trasportare tronchi per fortificazioni, spostare cannoni, o salvare un compagno ferito. Costruisce una forza della catena posteriore e del core che è pura e brutale.

  • Nal (Pietra): Una pietra cilindrica con un manico. È un antico “kettlebell”. La sua forma tozza e il suo peso morto allenano la forza di sollevamento da terra, fondamentale per le proiezioni come il Multani (suplex).

In sintesi, la “palestra” del Pehlwani non è una palestra. È un’armeria. Ogni singolo pezzo di equipaggiamento è un’arma da guerra dismessa, riproposta per uno scopo più elevato: non distruggere un nemico esterno, ma forgiare un sé interiore indistruttibile.


PARTE 3: IL CORPO COME ARMA SUPREMA (SHARIR HI SHASTRA HAI)

La filosofia finale del Pehlwani è che, attraverso questo allenamento ritualizzato con le armi-attrezzi, il corpo stesso (Sharir) del Pehlwan si trasforma nell’unica arma (Shastra) di cui ha bisogno.

L’allenamento non è progettato per insegnare a un uomo come tenere un’arma; è progettato per costruire un uomo che è un’arma.

La Trasformazione Alchemica del Corpo Questo processo alchemico ha tre componenti:

  1. Il Vyayam (La Forgia): Come abbiamo visto, l’uso della Gada e delle Jori forgia gli attributi.

  2. Il Khurak (Il Carburante): La dieta ipercalorica a base di Ghee, Doodh (latte) e Badam (mandorle) fornisce il materiale grezzo, puro (Sattvico), per costruire questa macchina da guerra biologica.

  3. Il Brahmacharya (L’Energia): Il voto di ascetismo “sigilla” l’energia Ojas (vigore) all’interno del corpo.

Il risultato è un corpo che possiede “armi” integrate:

  • Le Mani come Vizi (Pakar): La presa forgiata dalla Gada può spezzare la volontà di un avversario semplicemente afferrandogli il polso.

  • Gli Avambracci come Mazze: Attraverso i Dand e l’allenamento, gli avambracci diventano densi e duri. Nel Kasad a terra, il Pehlwan usa l’avambraccio (coperto di Mitti abrasiva) per applicare il Gadhânet, una pressione devastante sul viso e sul collo dell’avversario. Questa è un’arma contundente.

  • Le Gambe come Motori d’Assedio: Le migliaia di Baithak (squat) costruiscono gambe che non sono solo per la forza, ma per la resistenza infinita. Sono il “motore” che alimenta le proiezioni (Phekna) e sostiene il Kasad per ore.

  • La Schiena come Scudo Flessibile: I Dand creano una colonna vertebrale che è sia forte come l’acciaio che flessibile come il bambù. Questo è lo “scudo” che permette al Pehlwan di eseguire il Machli Gota (la fuga del pesce), assorbendo la forza di una proiezione e rotolando via dal pericolo.

  • Il Peso come Arma Gravitazionale: Il Pehlwan impara a usare il suo intero peso corporeo come un’arma di pressione. L’Ustad urla “Bojh dalo!” (Metti il peso!). Essere intrappolati sotto un Pehlwan esperto è descritto come essere schiacciati da un macigno.

Il Pehlwan, quindi, non porta armi. Egli è la sua arma.


PARTE 4: CONTRASTO E CONTESTO (IL PAESAGGIO MARZIALE DEL TERAI)

È fondamentale capire che il Pehlwani, specialmente nel Terai nepalese, non esiste in un vuoto marziale. Esiste accanto a tradizioni marziali che sono armate, e il suo status di arte non armata è definito in contrasto con esse.

Contrasto con Kalaripayattu (India del Sud) Il Kalaripayattu è spesso considerato l’arte marziale più antica dell’India. È un sistema completo, ma la sua pedagogia è l’opposto di quella del Pehlwani.

  • Pedagogia Kalaripayattu: L’allievo inizia con l’allenamento a corpo vuoto (Meithari), poi passa al combattimento con bastoni (Kolthari), poi alle armi metalliche (Angathari – pugnale, spada, scudo) e infine ai punti di pressione (Verumkai).

  • Pedagogia Pehlwani: L’allievo inizia e finisce con il corpo. L’arma (Gada) è introdotta immediatamente, ma solo come strumento di condizionamento.

  • Conclusione: Kalaripayattu è un sistema militare completo che include la lotta. Il Pehlwani è un sistema di lotta che ha escluso il combattimento con le armi.

Contrasto con le Arti Guerriere del Nepal (Gurkha e Khukuri) Il Terai è la pianura del Nepal, ma è governato e protetto dalla nazione dei Gurkha, i leggendari guerrieri delle colline.

  • Il Khukuri (o Kukri): L’arma nazionale del Nepal. È un coltello pesante, con la lama curva in avanti, un’arma agricola trasformata in uno strumento da combattimento terrificante. La cultura marziale dei Gurkha è inseparabile dal Khukuri. È un’arma per uccidere.

  • Gatka (Arti Marziali Sikh): A causa della vicinanza al Punjab e della presenza di comunità Sikh, anche il Gatka (il sistema marziale Sikh, che è pesantemente armato con Talwar – spade, scudi e bastoni) fa parte del paesaggio culturale.

  • La Divisione dei Ruoli: In questo contesto, il Pehlwan occupa una nicchia unica. Non è il soldato delle colline (il Gurkha con il suo Khukuri). È l’eroe della pianura, il “campione” della comunità agricola. La sua forza non è destinata al campo di battaglia, ma al Dangal. La sua arte (Kushti) e quella del Gurkha (Khukuri) sono due facce della medaglia marziale nepalese: la lotta sportiva/spirituale da un lato, la guerra letale dall’altro.

Difesa contro Armi? Il Pehlwani moderno non insegna la difesa contro le armi. Non è un’arte di autodifesa (self-defense) nel senso moderno. Un Pehlwan non si allena per disarmare un aggressore armato di Khukuri nel Terai. Si allena per sconfiggere un altro Pehlwan nell’arena del Dangal secondo regole specifiche.

Tuttavia, le sue radici (Malla-yuddha) erano l’addestramento a mani nude di un soldato. L’idea era che la lotta fosse l’ultima risorsa sul campo di battaglia. Storicamente, un lottatore esperto, con una presa (Pakar) forgiata dalla Gada e un’agilità (dai Dand), avrebbe avuto una possibilità molto maggiore di controllare il braccio armato di un nemico rispetto a un non allenato. Ma questa è un’applicazione storica, non un obiettivo dell’allenamento moderno.


Conclusione: L’Arma Rifiutata

Il Pehlwani non ha armi. Questa affermazione è l’inizio e la fine della sua filosofia. È un’arte di grappling puro, dove l’obiettivo è il dominio e lo schienamento (Chitt), non la distruzione. Questa è una scelta morale consapevole, che eleva l’arte da semplice combattimento a Dharma (dovere morale).

Eppure, l’ombra dell’arma è ovunque. È presente mitologicamente, nell’iconografia di Hanuman e Bhima che brandiscono la Gada. È presente fisicamente, nell’arsenale di attrezzi di allenamento (Gada, Jori, Sumtola) che dominano il Vyayam quotidiano.

Il Pehlwani ha compiuto un atto di alchimia marziale. Ha preso le armi da guerra, strumenti di morte, e le ha trasformate in strumenti di vita. Ha disarmato la mazza e l’ha trasformata in un Guru (insegnante). Invece di insegnare al lottatore come usare l’arma per distruggere gli altri, usa l’arma per costruire il lottatore.

Il risultato finale è il Pehlwan stesso: un individuo forgiato con la durezza, la potenza e la resilienza delle armi antiche, ma vincolato da un codice etico che gli impedisce di usarle. È un’arma umana messa al servizio della pace.

A CHI È INDICATO E A CHI NO

Una Vocazione, Non una Scelta

Determinare a chi sia indicato e a chi no il Pehlwani (o Kushti) non è come stilare una lista di pro e contro per un’iscrizione in palestra. È una questione che trascende la semplice idoneità fisica. Il Pehlwani tradizionale, specialmente come ancora preservato in enclavi culturali come la regione del Terai nepalese, non è uno sport, un hobby o un corso di fitness. È una Jeevan Shaili (uno stile di vita) e una Sadhana (una disciplina spirituale) totale e assorbente.

Non si “sceglie” di fare il Pehlwan nel modo in cui un occidentale “sceglie” di praticare il Karate o il CrossFit. Si viene chiamati a farlo, e, cosa ancora più importante, si viene accettati. L’Akhara (l’arena di terra sacra) non è un’impresa commerciale che accetta chiunque paghi una quota. È un Gurukul, un sistema educativo tradizionale dove l’Ustad (il maestro) seleziona i suoi discepoli (Pattha) con la stessa cura con cui un artigiano sceglierebbe il legno più raro e robusto.

La “selezione” non si basa sulla forza attuale, sulla ricchezza o sullo status sociale. Si basa su un insieme di qualità interiori, spesso invisibili: la capacità di sopportazione (Sahanashakti), la volontà di ferro (Manobal), un’innata disposizione alla devozione (Bhakti) e, soprattutto, un’assoluta, incrollabile Vinamrata (umiltà).

Pertanto, le “indicazioni” per il Pehlwani non descrivono un profilo di fitness, ma il profilo di un potenziale asceta. Le “controindicazioni” non sono semplici limiti fisici, ma tratti caratteriali che rendono la trasformazione alchemica del Pehlwani impossibile. È un percorso indicato per pochissimi e controindicato per la stragrande maggioranza della popolazione moderna.


PARTE 1: A CHI È INDICATO – L’ARCHETIPO DEL “PATTHA” (L’ALLIEVO IDEALE)

L’Ustad, quando osserva un potenziale discepolo, non cerca un atleta. Cerca un terreno fertile, del materiale grezzo che possa essere forgiato. L’ideale del Pehlwan si costruisce su una fondazione di attributi specifici.

1.1. L’Indicazione Fondamentale: L’Età e la Malleabilità

Il Pehlwani è indicato, quasi esclusivamente, per i giovani.

  • L’Inizio Precoce: Tradizionalmente, un Pattha (discepolo) entra nell’Akhara in un’età compresa tra gli otto e i dodici anni. Nel contesto del Terai, questo è ancora comune.

  • Perché l’Età è Cruciale? La ragione non è solo fisica, ma filosofica.

    • Malleabilità Fisica: Un corpo giovane è kachcha (crudo, non cotto). Le sue ossa, tendini e muscoli possono essere plasmati e rafforzati dal regime di allenamento (Vyayam), che è estremo. Le migliaia di Dand (flessioni indiane) e Baithak (squat) costruiscono una “base” neurologica e strutturale che un adulto troverebbe quasi impossibile da sviluppare da zero.

    • Malleabilità Mentale (Il Vaso Vuoto): Un bambino è un “vaso vuoto” (khali patra). Non ha un ego (Ahankara) completamente formato. Non ha preconcetti. La sua mente può essere riempita con la filosofia dell’Akhara senza resistenza. Può accettare l’autorità assoluta dell’Ustad come un fatto naturale, come quella di un padre.

    • La Radice del Brahmacharya: L’indicazione per un’età così giovane è intrinsecamente legata al pilastro del Brahmacharya (controllo ascetico/celibato). La formazione inizia prima della pubertà, prima che l’energia sessuale (Virya) inizi a manifestarsi pienamente. L’Ustad “cattura” questa energia nel momento in cui emerge e insegna al discepolo a conservarla e trasmutarla in Ojas (vigore spirituale e fisico) fin dall’inizio. Per il Pehlwani, questa energia è la fonte della vera forza. Iniziare dopo che le abitudini di dispersione sensoriale si sono formate è considerato quasi irrimediabilmente tardivo.

1.2. La Predisposizione Fisica: Il Corpo “Sattvico” e Robusto

Sebbene il Pehlwani costruisca la forza, l’Ustad cerca una certa predisposizione innata, un Prakriti (costituzione, nel senso ayurvedico) favorevole.

  • Robustezza Naturale (Takhat): L’arte è indicata per individui con una costituzione naturalmente robusta. Non necessariamente muscolosi, ma con una buona struttura ossea, articolazioni forti e una salute di base solida.

  • Il “Fuoco Digestivo” (Agni): L’indicazione più critica è un sistema digestivo potente. La dieta (Khurak) del Pehlwani è leggendaria e brutale. Consiste in litri di latte crudo (Doodh), enormi quantità di burro chiarificato (Ghee) e centinaia di mandorle (Badam) al giorno. Questo regime ipercalorico e iperlipidico ucciderebbe un sistema digestivo debole. L’Ustad cerca un giovane che abbia un Jathara Agni (fuoco digestivo) forte, capace di “cuocere” e assimilare questo cibo puro (Sattvico) e trasformarlo in muscolo, non in malattia.

  • Tolleranza al Dolore (Sahanashakti): Il Pehlwani è dolore. L’allenamento è estenuante. Il Jor (sparring) è duro e abrasivo. La vita è spartana. L’arte è indicata per individui con un’alta tolleranza innata al disagio e al dolore. L’Ustad osserverà come un ragazzo reagisce a una caduta, a un colpo, alla fatica. Cerca colui che stringe i denti e continua, non colui che si lamenta.

1.3. La Pietra Angolare Psicologica: La Vocazione per la “Tapasya” (Austerità)

Questo è l’attributo psicologico più importante. Il Pehlwani è indicato per l’individuo che ha un’inclinazione naturale verso l’austerità.

  • L’Amore per la Monotonia: La cultura del fitness moderna è ossessionata dalla “varietà” e dalla “confusione muscolare”. Il Pehlwani è l’esatto opposto. È una celebrazione della monotonia sacra. La routine è la stessa, ogni singolo giorno, per decenni. È indicata per l’individuo che trova conforto e forza nel rituale, che può eseguire il suo millesimo Dand con la stessa concentrazione del primo.

  • Il Rifiuto del Comfort: È indicato per chi disprezza istintivamente il lusso e la mollezza. La giornata inizia alle 3 del mattino nel Brahma Muhurta (l’ora di Brahma), quando il mondo è freddo e buio. Si dorme su letti di legno (takht) o sul pavimento, perché un materasso morbido è visto come un corruttore della spina dorsale e dello spirito.

  • L’Accettazione del Lavoro Manuale: La prima ora di allenamento non è allenamento, è lavoro. È la Mitti Tayyari, l’atto di zappare e preparare la terra sacra. È indicato per l’individuo che vede questo lavoro faticoso non come un “riscaldamento” o un “lavoretto”, ma come un atto di devozione (Seva) e una parte privilegiata della pratica.

1.4. L’Attitudine Morale: “Vinamrata” (Umiltà) e “Seva” (Servizio)

Se un candidato possiede tutto il resto ma manca di umiltà, è assolutamente controindicato. L’Ahankara (l’ego) è il veleno che l’Akhara è progettato per distruggere.

  • Il “Vaso Vuoto”: L’arte è indicata per l’individuo che è un “vaso vuoto”, consapevole della propria ignoranza e pronto a essere riempito dalla saggezza dell’Ustad.

  • L’Accettazione della Gerarchia: Il sistema dell’Akhara è una gerarchia rigida. L’Ustad è il sovrano assoluto. I lottatori più anziani (Guru-bhai) sono i fratelli maggiori. È indicato per chi comprende e rispetta questa struttura, non per l’individualista moderno che crede che “tutte le opinioni siano uguali”.

  • L’Abbraccio della Seva (Servizio): L’umiltà è testata attraverso la Seva. Il novizio deve servire. Deve massaggiare (Malish) i piedi e il corpo stanco del suo Ustad. Deve preparare il suo Thandai (la bevanda di mandorle), lavare i suoi vestiti, eseguire commissioni.

    • Per chi è indicato? È indicato per colui che capisce che questo non è un atto di degradazione. È un atto di privilegio. È la transazione sacra: il discepolo dà servizio e devozione, e in cambio riceve la Gyaan (conoscenza) inestimabile del maestro. È attraverso il tatto del massaggio che impara l’anatomia della forza. È attraverso la sua obbedienza che costruisce la fiducia. Chiunque veda la Seva come “sfruttamento” non è indicato per questa arte.

1.5. La Vocazione Spirituale: “Bhakti” (Devozione) e “Brahmacharya”

Questo è il filtro finale e più restrittivo.

  • Bhakti (Devozione): Il Pehlwani è una pratica devozionale. L’Akhara è un tempio di Hanuman. L’allenamento è una preghiera. È indicato per l’individuo con un’inclinazione naturale alla Bhakti. Non deve essere un filosofo o un teologo, ma deve avere una fede semplice e incrollabile. Deve essere capace di guardare l’immagine di Hanuman e vederla non come un “simbolo”, ma come la fonte vivente della forza. Un ateo dogmatico o uno scettico razionalista non potrebbe funzionare in un Akhara; la sua stessa struttura mentale sarebbe in conflitto con la premessa dell’arte.

  • Brahmacharya (L’Ascetismo): Questa è l’indicazione più radicale. Il Pehlwani è indicato solo per quegli individui disposti a fare un voto di celibato (o, più ampiamente, di controllo totale dei sensi) per tutta la durata della loro formazione e carriera agonistica.

    • La Filosofia: L’arte si basa sulla convinzione che la forza sovrumana (Bal) e la resistenza (Dum-Kham) provengano dalla conservazione e trasmutazione dell’energia vitale (Virya).

    • Per chi è indicato? È indicato per chi accetta questa premessa non come un sacrificio, ma come uno scambio. Si scambia il piacere sensoriale momentaneo e inferiore per un piacere superiore e duraturo: il potere, la salute divina e la chiarezza mentale (Ojas e Tejas).

    • L’Uomo Monastico: È indicato per l’uomo che è, in fondo, un monaco nel cuore, ma che desidera esprimere la sua devozione non attraverso la meditazione seduta, ma attraverso l’azione fisica più intensa immaginabile.


PARTE 2: A CHI NON È INDICATO – LE CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE

Le controindicazioni sono, in molti casi, l’esatto opposto delle indicazioni. Definiscono l’archetipo dell’uomo moderno, per il quale il Pehlwani tradizionale è un sistema filosoficamente inaccessibile.

2.1. Il Profilo Psicologico Moderno: Il “Dilettante” e l’Impaziente

L’Akhara è un ambiente ostile per la mentalità moderna orientata ai risultati rapidi.

  • Il Dilettante (L’Hobbyist): Il Pehlwani non è indicato per chi cerca un “hobby”. Non è un corso da frequentare “martedì e giovedì dalle 19:00 alle 20:30”. È una scelta di vita totalizzante. L’allenamento è due volte al giorno, sette giorni su sette, 365 giorni all’anno. Non esistono “fine settimana”, “vacanze” o “giorni di riposo” (a meno che l’Ustad non li conceda). Chiunque cerchi un “equilibrio tra lavoro e vita privata” è categoricamente non indicato.

  • Il Turista Culturale: L’arte non è indicata per il viaggiatore occidentale o urbano che cerca un'”esperienza autentica” da provare per un mese. Questo è visto come un insulto, una forma di “turismo spirituale” che banalizza la Sadhana (pratica) che richiede una vita intera.

  • Il Cercatore di Risultati Rapidi: Non è indicato per l’individuo abituato alla gratificazione istantanea. Non ci sono cinture colorate. Non ci sono promozioni. L’unico feedback per i primi anni è il dolore e l’approvazione silenziosa dell’Ustad. È controindicato per chi chiede: “Quanto tempo ci vuole per diventare forti?”.

2.2. Il Blocco Psicologico: L’Ego (Ahankara) e lo Scetticismo

L’Akhara è progettato per distruggere l’ego, non per costruirlo.

  • L’Egoista (Ahankari): È assolutamente controindicato per l’individuo arrogante, il “bullo” che cerca di imparare a combattere per dominare gli altri al di fuori dell’arena. Questo è l’antitesi del Dharma del Pehlwan. L’Ustad è addestrato a individuare questo tratto (spesso una finta spavalderia che maschera l’insicurezza) e lo estirperà. Se un discepolo usa la sua forza per il bullismo nel villaggio, non viene solo sospeso; viene scomunicato, espulso dall’Akhara in disgrazia, un destino peggiore della morte per un vero devoto.

  • L’Individualista: Non è indicato per l’individualista radicale che mette la “libertà personale” sopra ogni altra cosa. Il Pehlwani è un sistema collettivo e gerarchico. Il Pattha non ha “scelte”. Non sceglie cosa allenare, cosa mangiare o quando dormire. Obbedisce. L’individuo che non può sottomettere la sua volontà a quella dell’Ustad e del lignaggio (Parampara) è controindicato.

  • Lo Scettico Razionalista: Non è indicato per chi ha bisogno di una spiegazione “scientifica” per tutto. L’Ustad non giustificherà i suoi metodi.

    • Studente: “Ustad-ji, la scienza moderna dice che il ghee saturo è cattivo per il cuore.”

    • Ustad: “Gama il Grande ne beveva un chilo al giorno. Taci e bevi.”

    • Studente: “Ustad-ji, dormire su un letto morbido è meglio per il recupero…”

    • Ustad: “Il lusso ammorbidisce la volontà. Dormi per terra.” La richiesta di una “prova” scientifica è vista come una mancanza di fede (Bhakti) e di rispetto (Adab). La prova è l’Ustad stesso e le generazioni di Pehlwan prima di lui.

2.3. La Controindicazione Filosofica: Il Rifiuto dell’Ascetismo

Questo è il filtro che elimina il 99,9% delle persone.

  • Il “Gaudenti” (Hedonist): L’arte è controindicata per chiunque non sia disposto a rinunciare immediatamente e totalmente a tutti gli intossicanti (Nasha). Questo include alcol, tabacco e qualsiasi altra droga. Questi sono visti come Tamasici (che portano all’oscurità e all’inerzia) e distruggono l’Ojas.

  • Il Palato Moderno: È controindicato per chi non può aderire alla dieta Sattvica. Niente cibi piccanti (Rajasici), niente carne (nella maggior parte degli Akhara indù), niente cibi processati, niente aglio o cipolle (considerati stimolanti Rajasici). È una dieta blanda, pura e massiccia.

  • Il Rifiuto del Brahmacharya: Questa è la controindicazione assoluta. È controindicato per chiunque non sia disposto o non sia in grado di praticare il celibato. Nella filosofia Pehlwani, un lottatore che non è Brahmachari è un “vaso che perde” (chhidra ghata). Non importa quanto si alleni o quanto mangi, la sua energia vitale si disperde costantemente. È visto come un esercizio di futilità. Poiché la società moderna è costruita sull’espressione (e non sulla conservazione) dell’energia sessuale, questo rende il Pehlwani tradizionale quasi impossibile per un laico moderno.

2.4. Il Contesto di Genere: Una Nota Culturale e Storica

Questa è una controindicazione fattuale basata sulla tradizione e sulla filosofia dell’arte.

  • Controindicato per le Donne (Nel Contesto Tradizionale): L’Akhara tradizionale, come quello nel Terai, è uno spazio sacro esclusivamente maschile. La sua intera architettura filosofica è costruita attorno alla conservazione dell’energia maschile (Virya) attraverso il Brahmacharya.

  • La Ragione Filosofica (Non Sessista): Questa esclusione non è (nella sua origine) basata su un giudizio della capacità o della forza femminile. È basata sulla convinzione che la presenza di donne (il “principio femminile” o l’oggetto del desiderio) renda la pratica del Brahmacharya maschile impossibile. La donna è vista come la distrazione ultima, il catalizzatore che “romperebbe” il sigillo ascetico dell’Akhara.

  • Il Santuario Monastico: L’Akhara è un monastero di guerrieri celibi. Così come un monastero di monaci certosini non ammette donne, l’Akhara non le ammette per la stessa ragione: proteggere l’integrità della Sadhana (pratica spirituale) specifica che si svolge al suo interno.

  • Sviluppi Moderni: È importante notare che, in India (non necessariamente nel Terai), la Lotta Olimpica ha visto emergere campionesse femminili fenomenali (come le sorelle Phogat). Queste donne, tuttavia, si allenano in centri sportivi moderni, non in Akhara tradizionali. Spesso hanno dovuto superare enormi pregiudizi culturali, ma la loro pratica è la lotta sportiva, epurata dalla filosofia del Brahmacharya e dalla sacralità dell’Akhara tradizionale. Il Pehlwani tradizionale rimane, per definizione filosofica, controindicato per le donne.

2.5. Le Controindicazioni Fisiche Ovvie

Sebbene la mentalità sia il filtro primario, esistono ovvie controindicazioni fisiche.

  • Condizioni Cardiache: L’allenamento (Vyayam) è uno stress cardiovascolare di livello estremo. È assolutamente controindicato per chiunque abbia condizioni cardiache preesistenti.

  • Problemi Articolari e Spinali: L’impatto di migliaia di squat, la natura compressiva della Gada e le proiezioni violente del Jor renderebbero questo allenamento distruttivo per chi ha già ernie del disco, legamenti danneggiati o problemi cronici alle ginocchia e alle spalle.

  • Disturbi Metabolici: La dieta Khurak è pericolosa per chi ha diabete, ipercolesterolemia grave o intolleranze (in particolare al lattosio, dato che la dieta è quasi interamente a base di latte).


Conclusione: L’Indicazione per l’Asceta-Guerriero

In conclusione, il Pehlwani è una delle arti marziali più esigenti e selettive del pianeta. Non è indicato per il 99,9% della popolazione.

Non è indicato per:

  • Il moderno cercatore di fitness.

  • L’individualista.

  • L’impaziente.

  • L’egoista.

  • Lo scettico.

  • Chiunque non sia disposto a vivere una vita monastica, ascetica e devozionale.

È indicato per:

  • Un profilo di individuo quasi mitologico nel mondo moderno: il giovane devoto (Bhakta), umile (Vinamra), incredibilmente duro (Kathor), paziente e disposto a sacrificare tutto (comfort, piaceri sensoriali, ego, libertà individuale) sull’altare della disciplina.

È indicato per colui che non vuole solo imparare a lottare, ma che sente la vocazione di diventare l’incarnazione vivente di una tradizione, un veicolo per la forza di Hanuman e un pilastro di onore (Izzat) e dovere (Dharma) per la sua comunità.

CONSIDERAZIONI SULLA SICUREZZA

Ridefinire la Sicurezza nell’Ambiente dell’Akhara

Analizzare le “considerazioni per la sicurezza” nel contesto del Pehlwani (o Kushti) tradizionale richiede un completo cambio di prospettiva rispetto agli standard moderni dello sport occidentale. In un’epoca dominata da tappetini ammortizzati, certificazioni mediche obbligatorie, protocolli di concussione e attrezzature protettive, il Pehlwani appare come un’anomalia, un’arte marziale intrinsecamente e brutalmente pericolosa. E, per molti versi, lo è.

L’ambiente dell’Akhara (l’arena di terra), specialmente nel Terai nepalese, non dà priorità alla “sicurezza” nel senso di prevenzione del disagio o dell’infortunio. Al contrario, l’intera filosofia della Tapasya (austerità) è costruita sulla gestione del dolore e sul superamento deliberato dei limiti percepiti.

Tuttavia, questo non significa che il sistema sia privo di protocolli di sicurezza. Semplicemente, le “considerazioni per la sicurezza” nel Pehlwani non sono oggetti (come un casco) o regole (come un time-out medico). Sono processi e persone. La sicurezza non è garantita da un’attrezzatura, ma dall’esperienza vivente dell’Ustad (il maestro) e dalla metodologia alchemica dell’allenamento stesso, che impiega decenni per costruire un corpo non solo forte, ma resiliente e resistente ai danni.


Il Rischio del Sovraccarico: Il Vyayam (Condizionamento)

L’aspetto più famoso dell’allenamento Pehlwani, il Vyayam, è anche la sua più grande fonte di rischio cronico. L’esecuzione quotidiana di migliaia di Dand (flessioni indiane) e Baithak (squat a corpo libero) pone uno stress quasi inimmaginabile sul sistema muscolo-scheletrico.

I Rischi Specifici:

  • Articolazioni (Polso, Gomito, Spalla): I Dand, eseguiti in volumi così elevati, esercitano un’enorme pressione sui polsi (rischio di sindrome del tunnel carpale o cisti), sui gomiti (tendinite) e sulle spalle (sindrome da impingement).

  • Articolazioni (Ginocchia, Anche, Schiena): I Baithak, specialmente se eseguiti con forma imperfetta o su un fisico non preparato, possono essere devastanti per le ginocchia (usura della cartilagine, problemi al menisco) e per la parte bassa della schiena.

  • Sovrallenamento Sistemico: C’è un rischio costante di spingere il corpo oltre il recupero, portando a un sovrallenamento cronico, soppressione immunitaria e, nei casi più estremi, a condizioni pericolose come la rabdomiolisi (rottura del tessuto muscolare).

La Considerazione di Sicurezza Tradizionale: La Lentezza del Tempo Il protocollo di sicurezza contro questi rischi non è la moderazione, ma la pazienza. L’intero sistema è progettato per un arco temporale di decenni, non di mesi.

  • La Guida dell’Ustad: Un Ustad esperto è la prima linea di difesa. Egli osserva il Pattha (novizio) con occhio clinico. Sa distinguere tra il “dolore buono” della fatica muscolare (Tapas) e il “dolore cattivo” di un tendine infiammato o di un’articolazione compromessa.

  • Progressione Lenta: Un novizio non esegue 1000 Dand il primo giorno. Inizia con 50, o 100. Perfeziona la forma per mesi, o anni, costruendo gradualmente la resilienza nei tendini e nei legamenti prima che la forza muscolare prenda il sopravvento. L’Ustad impedisce al discepolo di “fare troppo, troppo presto”, un errore che l’ego (Ahankara) incoraggerebbe.

  • Forma Perfetta: La sicurezza risiede nella forma. Il Dand, ad esempio, è un movimento fluido (vinyasa) che non solo rafforza, ma allunga attivamente la colonna vertebrale e le spalle, agendo come pre-riabilitazione. L’Ustad è ossessionato dalla forma corretta, perché sa che una forma scorretta, moltiplicata per 1000 ripetizioni, è una ricetta per l’infortunio.


Il Rischio Balistico: L’Uso degli Attrezzi (Gada e Jori)

L’allenamento con gli “attrezzi-arma” del Pehlwani, la Gada (mazza) e le Jori (clave), è un’altra area di alto rischio. Questi non sono pesi bilanciati e stabili come i bilancieri di una palestra moderna. Sono attrezzi asimmetrici, sbilanciati e usati in modo balistico (rotazionale).

I Rischi Specifici:

  • Lesioni alla Schiena: Una singola oscillazione errata di una Gada da 40 kg, specialmente se “forzata” con i muscoli della schiena invece che guidata dai fianchi, può causare un’ernia del disco istantanea.

  • Danni alle Spalle e ai Gomiti: L’oscillazione delle Jori e della Gada porta le articolazioni della spalla e del gomito ai loro limiti estremi di rotazione. Un errore di controllo può portare a lussazioni o gravi strappi muscolari.

  • Perdita di Controllo: C’è sempre il rischio di perdere la presa sull’attrezzo, che può volare via e colpire il lottatore o, peggio, un altro discepolo nell’affollato Akhara.

La Considerazione di Sicurezza Tradizionale: Maestria dello Slancio Anche qui, la sicurezza è un processo, non un oggetto.

  • Iniziare Senza Peso: L’Ustad non consegna una Gada pesante a un novizio. Il Pattha inizia con un mungli (un bastone di legno più leggero e corto) o una Gada molto leggera (5-7 kg).

  • Imparare lo Slancio (Gati): Per mesi, il discepolo non allena la forza; allena il movimento. L’Ustad gli insegna a non usare la forza, ma a usare i fianchi per generare slancio (gati) e a fluire con l’attrezzo. Si impara a “sentire” la Gada. La lezione di sicurezza è: “Non combattere mai la Gada”.

  • Progressione del Peso: Solo quando il novizio ha dimostrato la maestria del movimento per mesi, gli viene permesso di aumentare gradualmente il peso. Il peso è una conseguenza della tecnica perfetta, non il suo obiettivo. Questo protocollo garantisce che, quando il lottatore arriva a maneggiare la Gada da 40 kg, la sua struttura neurologica e muscolo-scheletrica sia pronta.


Il Rischio da Impatto: Il Jor (Sparring) e il Dangal (Torneo)

Questo è il rischio più ovvio: il combattimento. Il Jor (sparring) e il Dangal (torneo) sono pratiche ad alto impatto. Le proiezioni (Phekna) come il Dhobi Pat (lancio d’anca) sono progettate per schiantare l’avversario sulla schiena con la massima forza.

I Rischi Specifici:

  • Infortuni Acuti: Lussazioni (spalle, dita), distorsioni (ginocchia, caviglie), fratture (costole, clavicole) e contusioni sono all’ordine del giorno.

  • Concussioni: Sebbene la Mitti (terra) sia più morbida del cemento, è molto più dura di un tappetino olimpico. Una testa che sbatte violentemente sulla terra può causare (e causa) traumi cranici e concussioni.

  • Danni Cronici (Kasad): L’arte del Kasad (logoramento), in particolare il Gadhânet (strofinare l’avambraccio su viso e collo), è progettata per infliggere dolore e abrasioni. Questo porta quasi universalmente all’ “orecchio a cavolfiore” (un ematoma auricolare permanente), a danni cronici al collo e a problemi alla mascella.

La Considerazione di Sicurezza Tradizionale: La Terra (Mitti) e la Tecnica Il sistema Pehlwani ha tre principali protocolli di sicurezza contro gli impatti:

1. L’Alchimia della Mitti (La Terra): La Mitti (terra) è il paradosso della sicurezza: è sia un rischio (vedi sotto) sia la principale attrezzatura di sicurezza.

  • Ammortizzazione: La preparazione quotidiana della terra (Mitti Tayyari) – l’atto di zappare e rivoltare la terra per un’ora – non è solo un riscaldamento. È la manutenzione dell’attrezzatura di sicurezza. Rende la terra soffice, aerata e capace di assorbire una quantità significativa di impatto da una caduta, molto più di quanto un sottile tappetino olimpico su un pavimento di cemento possa fare.

  • La Lezione della Superficie: La Mitti insegna. La sua superficie irregolare e talvolta scivolosa costringe i lottatori a sviluppare un equilibrio (Santulan) e una consapevolezza propriocettiva superiori. Insegna loro a non “piantare” i piedi in modo rigido (che porta a lesioni del ginocchio), ma a essere fluidi e adattabili.

2. L’Arte della Fuga (Il Dand e il Machli Gota): Il primo anno di un Pattha non è speso ad attaccare, ma a sopravvivere.

  • Imparare a Cadere: L’Ustad e i lottatori più anziani proiettano il novizio centinaia di volte. La prima tecnica insegnata è come cadere senza farsi male: distribuendo l’impatto, espirando, rotolando.

  • La Flessibilità del Dand: Come menzionato, i Dand (flessioni) costruiscono una colonna vertebrale incredibilmente flessibile e forte. Questa non è un’impresa da circo; è un protocollo di sicurezza. Questa flessibilità permette l’esecuzione del Machli Gota (la “fuga del pesce”), la capacità di inarcare la schiena (bridge) e rotolare via da uno schienamento imminente, trasformando un impatto piatto e pericoloso in un movimento rotatorio e sicuro.

3. Il Controllo dell’Ustad: Nel Jor, l’Ustad è l’arbitro, il medico e il giudice. Se uno sparring diventa troppo pericoloso, se un lottatore esperto sta applicando troppa pressione a un novizio, l’Ustad interviene con un urlo (“Chhod!” – Lascia!). Egli è il controllore che impedisce che l’allenamento superi il limite, trasformandosi da lezione a infortunio.


Il Rischio Ambientale: L’Igiene dell’Akhara

La Mitti (terra) è la più grande alleata del Pehlwan, ma anche la sua nemica più insidiosa. È una superficie condivisa, riempita di sudore, olio, sangue occasionale e, in un contesto rurale come il Terai, potenziali contaminanti esterni (come escrementi di animali).

I Rischi Specifici:

  • Infezioni Cutanee: Questo è il rischio numero uno. Abrasioni, graffi e tagli sono inevitabili. La Mitti calda e umida è un terreno di coltura ideale per batteri (Staphylococcus, che causa infezioni da stafilococco) e funghi (Tinea, che causa la tigna o daad).

  • Tetano: Qualsiasi taglio o perforazione in un ambiente di terra comporta un rischio significativo di tetano, un’infezione batterica potenzialmente letale.

  • Parassiti: In Akhara mal tenuti, la terra può ospitare parassiti come l’anchilostoma.

La Considerazione di Sicurezza Tradizionale: La Farmacia della Terra Il Pehlwani tradizionale ha sviluppato un notevole (sebbene pre-scientifico) protocollo di sicurezza igienica, incorporato nella preparazione della Mitti.

  • Haldi (Curcuma): Durante la Mitti Tayyari, la terra viene mescolata abbondantemente con polvere di curcuma. La curcumina, il principio attivo della curcuma, è un potente antisettico, antibatterico e antinfiammatorio naturale. È, a tutti gli effetti, un disinfettante.

  • Neem: Spesso vengono aggiunte foglie di Neem tritate, un altro potente agente antibatterico e antifungino della medicina ayurvedica.

  • Luce Solare (UV): L’atto di zappare e rivoltare la terra ogni mattina non serve solo ad aerarla, ma a esporre gli strati inferiori alla luce diretta del sole. I raggi ultravioletti del sole cocente del Terai sono un disinfettante potente e gratuito.

  • Tel Malish (Massaggio con Olio): L’applicazione di olio di senape prima dell’allenamento crea una barriera fisica sulla pelle, rendendo più difficile per i batteri e i funghi penetrare nelle piccole abrasioni.

Questa “alchimia” tradizionale – Curcuma, Neem, Olio e Luce Solare – è il sistema immunitario dell’Akhara.


Il Rischio Filosofico: Il Culto della Durezza (Tapasya)

Infine, la considerazione di sicurezza più complessa è quella filosofica. Il Rischio: La filosofia della Tapasya (austerità) insegna al Pehlwan a ignorare il dolore, a vederlo come un’illusione o come un “fuoco” purificatore. L’Ustad loderà il discepolo che continua a lottare con un dito rotto o una spalla dolorante.

Questo crea una mentalità pericolosa che è l’antitesi della moderna medicina sportiva. Un Pehlwan è culturalmente condizionato a nascondere gli infortuni. Un piccolo strappo muscolare, se ignorato, diventa uno strappo completo. Un tendine infiammato, se non riposato, diventa una tendinite cronica o una rottura. Questa mentalità è ciò che porta molti Pehlwan a carriere agonistiche relativamente brevi, seguite da una vita di dolori cronici.

La Considerazione di Sicurezza Tradizionale: La Saggezza dell’Ustad (Aram) L’unica salvaguardia contro il fanatismo della Tapasya è, ancora una volta, la saggezza (Gyaan) dell’Ustad.

  • L’Ustad come Filtro: Un buon Ustad ha visto centinaia di infortuni. È il “medico sportivo” dell’Akhara. È lui che, nonostante le proteste del lottatore, lo costringerà a fermarsi. Sa riconoscere un infortunio “cattivo” da uno “buono”.

  • La Prescrizione del Riposo (Aram): Se l’Ustad vede un infortunio reale, ordinerà l’Aram (riposo). Questo riposo è attivo: al lottatore infortunato può essere vietato il Jor (sparring), ma gli sarà richiesto di continuare a fare Seva (servizio), Malish (massaggio) e forse Dand leggeri.

  • La Gestione del Recupero: L’Ustad supervisiona anche la dieta e il sonno, assicurandosi che il lottatore stia recuperando.

In definitiva, l’intero sistema di sicurezza del Pehlwani è un modello basato sulla fiducia. Il Pehlwan affida la sua sicurezza fisica e spirituale a due entità: la Mitti (la terra che prepara) e l’Ustad (il maestro che serve). In un sistema che funziona, questo crea lottatori di una resilienza quasi soprannaturale. In un sistema che fallisce – con un Ustad ignorante o una Mitti trascurata – è una ricetta per il disastro.

CONTROINDICAZIONI

La Valutazione dell’Ustad

Determinare le controindicazioni per la pratica del Pehlwani (o Kushti) è un processo che va ben oltre la semplice compilazione di una lista medica. Nell’Akhara (l’arena di terra) tradizionale, come quelli della regione del Terai nepalese, non esiste un medico sportivo che firma un certificato di idoneità. L’unico “diagnosta” è l’Ustad (il maestro). Il suo occhio esperto è addestrato non solo a vedere le debolezze fisiche, ma anche, e soprattutto, a percepire le incompatibilità caratteriali e filosofiche che rendono un individuo inadatto a questa forma di vita.

Il Pehlwani è un sistema di Tapasya (austerità) estrema. L’allenamento (Vyayam) è brutale, la dieta (Khurak) è metaboliticamente impegnativa e la disciplina (Brahmacharya) è mentalmente totalizzante. Pertanto, le controindicazioni non sono semplici “avvertimenti”; sono barriere assolute che possono portare a un grave danno fisico per l’individuo o a un danno spirituale per l’integrità dell’Akhara.

Queste controindicazioni possono essere suddivise in tre categorie principali: fisiche (i limiti del corpo), psicologiche (i blocchi della mente) e filosofiche (l’incompatibilità dello stile di vita).


1. Controindicazioni Fisiche (Limiti del Corpo)

Queste sono le controindicazioni più dirette e oggettive. Il regime del Pehlwani è progettato per forgiare un corpo sano in un veicolo di potenza sovrumana; non è progettato per “curare” un corpo già compromesso. Tentare questa pratica con una condizione preesistente è estremamente pericoloso.

Patologie Cardiovascolari Questa è una controindicazione assoluta. L’allenamento del Pehlwani, in particolare l’esecuzione di migliaia di Dand (flessioni indiane) e Baithak (squat) in un flusso continuo, è uno stress test cardiopolmonare di livello estremo.

  • Controindicato per: Individui con qualsiasi patologia cardiaca congenita, aritmie non controllate, cardiomiopatie o storia di infarto. È altresì controindicato per chi soffre di ipertensione grave.

  • Il Rischio: L’intensità del Vyayam e del Jor (lo sparring), che è anaerobico e ad alta pressione, può portare a eventi cardiaci acuti e potenzialmente fatali.

Patologie Muscolo-Scheletriche Croniche Il Pehlwani è un’arte ad alto impatto e ad alto volume di carico. È assolutamente controindicato per chiunque abbia problemi cronici alle articolazioni o alla colonna vertebrale.

  • Problemi Spinali: Individui con ernie del disco (protrusioni), stenosi spinale o scoliosi significativa. I movimenti del Vyayam – la flessione ed estensione profonda del Dand, la torsione balistica della Gada (mazza) e l’impatto delle proiezioni (Phekna) sulla Mitti (terra) – possono aggravare queste condizioni in modo catastrofico.

  • Problemi alle Ginocchia: I Baithak sono squat profondi, eseguiti per migliaia di ripetizioni, spesso sui talloni sollevati. Questo pone uno stress immenso sulla cartilagine e sui legamenti. È controindicato per chi ha lesioni pregresse ai legamenti (LCA, LCP), danni al menisco o condropatia.

  • Problemi alle Spalle: L’uso delle Jori (clave) e della Gada porta le spalle a un’estrema rotazione sotto carico. È controindicato per chi soffre di instabilità cronica della spalla, lesioni della cuffia dei rotatori o sindrome da impingement.

Patologie Metaboliche e Digestive La dieta (Khurak) è una componente non negoziabile della pratica. Questa dieta è essa stessa una controindicazione per molti.

  • Intolleranza al Lattosio: La Khurak è costruita su un fondamento di litri di Doodh (latte) crudo al giorno. L’intolleranza al lattosio non è un inconveniente; è una barriera assoluta alla pratica tradizionale.

  • Ipercolesterolemia e Patologie del Fegato: L’assunzione massiccia di Ghee (burro chiarificato) è un pilastro della dieta. Per un individuo con un “fuoco digestivo” (Agni) debole o con preesistenti problemi di colesterolo alto o fegato grasso, questa dieta è metabolicamente tossica.

  • Diabete: La dieta è estremamente ricca di calorie, carboidrati (dai roti e dal latte) e zuccheri (dal latte e dalla frutta). Gestire il diabete (specialmente di Tipo 1) in un regime simile sarebbe quasi impossibile.

Condizioni Respiratorie e Dermatologiche L’ambiente dell’Akhara è unico e presenta rischi specifici.

  • Asma e Allergie Gravi: L’Akhara è una fossa di Mitti (terra). Sebbene la terra venga curata, l’aria è inevitabilmente carica di polvere fine, specialmente durante il Jor. Questo, combinato con lo sforzo cardiovascolare estremo, rende l’ambiente altamente controindicato per chi soffre di asma o gravi allergie alla polvere.

  • Pelle Sensibile e Condizioni Dermatologiche: La pratica avviene a pelle nuda su una superficie abrasiva (la terra), mescolata con sudore, Tel (olio) e batteri (nonostante la presenza di Haldi, la curcuma). È controindicato per individui con pelle estremamente sensibile, eczema, psoriasi o una storia di infezioni cutanee ricorrenti (come infezioni da stafilococco).


2. Controindicazioni Psicologiche e Caratteriali (Limiti della Mente)

L’Ustad spende più tempo a valutare il carattere (Chitra) di un novizio che il suo corpo. Un corpo debole può essere forgiato, ma una mente difettosa (nel contesto del Pehlwani) è un materiale inutilizzabile.

L’Ego (Ahankara) L’Ego è la controindicazione numero uno. L’intero sistema dell’Akhara è progettato per annientare l’ego.

  • L’Arrogante e il Bullo: È assolutamente controindicato per l’individuo che cerca la forza per dominare gli altri al di fuori dell’arena. L’Ustad è addestrato a riconoscere questa motivazione e la estirpa. Se un Pattha (discepolo) usa la sua forza per il bullismo, viene espulso in disgrazia, poiché ha violato il Dharma (dovere morale) del Pehlwan.

  • L’Individuo “So-Tutto-Io”: È controindicato per lo scettico moderno che ha bisogno di mettere in discussione ogni metodo (“Perché facciamo questo? La scienza dice…“). La conoscenza nell’Akhara è trasmessa attraverso il Parampara (lignaggio) e richiede fede (Bhakti) e obbedienza assoluta. La richiesta di una “spiegazione scientifica” è vista come un insulto e un segno di ego.

  • L’Atleta Orientato all’Estetica (Numaish): È controindicato per chi è motivato dalla vanità. Il Pehlwani costruisce la Takhat (potenza funzionale), non un fisico da spiaggia (Numaish, esibizione). L’Ustad vede la vanità come una distrazione che indebolisce il Brahmacharya.

L’Impazienza e la Mancanza di Disciplina Il Pehlwani è una pratica di monotonia sacra.

  • Il “Dilettante” (Hobbyist): È controindicato per chi cerca un hobby da praticare due volte a settimana. È una vocazione totalizzante, 365 giorni all’anno.

  • Il Cercatore di Gratificazione Istantanea: Non ci sono cinture. Non ci sono promozioni. L’unico feedback per anni è il dolore. È controindicato per chi ha bisogno di conferme costanti e risultati rapidi. La monotonia del Vyayam (migliaia di Dand e Baithak ogni giorno) filtrerà chiunque cerchi “varietà”.

Il Rifiuto della Gerarchia e della Seva (Servizio)

  • L’Individualista: L’Akhara è una gerarchia assoluta, non una democrazia. L’Ustad è il sovrano. È controindicato per l’individualista che non può accettare un’autorità indiscussa.

  • Il Rifiuto della Seva: La conoscenza si guadagna attraverso la Seva (servizio devozionale): massaggiare l’Ustad, preparare la terra, cucinare. È controindicato per l’individuo moderno che vede questo come “sfruttamento” o “lavoro non pagato”. Il rifiuto della Seva è un rifiuto del metodo pedagogico, ed è quindi una controindicazione assoluta.


3. Controindicazioni Filosofiche e di Stile di Vita (Incompatibilità Totale)

Queste sono le barriere che rendono la pratica del Pehlwani tradizionale (non la sua versione sportiva moderna) impossibile per la maggior parte delle persone.

L’Incapacità di Mantenere il Brahmacharya Questa è la controindicazione filosofica fondamentale.

  • Il Concetto: Il Pehlwani si basa sulla convinzione yogica che la forza sovrumana derivi dalla conservazione dell’energia vitale/sessuale (Virya) e dalla sua trasmutazione in Ojas (vigore).

  • La Controindicazione: L’arte è controindicata per chiunque non sia disposto, o non sia in grado, di praticare il celibato e il controllo totale dei sensi. Un lottatore sessualmente attivo è visto come un “vaso che perde” (chhidra ghata): non importa quanto si alleni o quanto mangi, sta sprecando l’essenza stessa della sua forza. Poiché questa visione è in diretto conflitto con la biologia e la psicologia umane accettate nella società moderna, questa è la principale controindicazione per quasi tutti.

L’Incapacità di Aderire alla Dieta e alla Purezza (Sattva) La pratica è controindicata per chi non può accettare la totalità del regime Khurak.

  • Nasha (Intossicanti): Una controindicazione assoluta. Un individuo che beve alcol, fuma tabacco o usa qualsiasi droga è tamasico (impuro) e non può nemmeno entrare nel recinto sacro dell’Akhara come discepolo.

  • Cibo Non-Sattvico: È controindicato per chi non è disposto a rinunciare a cibi rajasici (agitanti). Questo include cibi molto piccanti, aglio, cipolle e (nella maggior parte degli Akhara indù) tutta la carne. Questi alimenti sono visti come infiammatori delle passioni, rendendo il Brahmacharya ancora più difficile.

Controindicazioni Logistiche e Culturali

  • Mancanza di Tempo: Il Pehlwani non è compatibile con un lavoro moderno dalle 9 alle 5, con gli studi universitari o con una vita familiare standard. Richiede 4-6 ore di allenamento al giorno, più il tempo per la preparazione del cibo, il riposo e la Seva. È un impegno a tempo pieno.

  • Genere (Contesto Tradizionale): Come discusso in precedenza, l’Akhara tradizionale è uno spazio sacro esclusivamente maschile, progettato per la pratica del Brahmacharya maschile. La presenza femminile è filosoficamente incompatibile con questo specifico obiettivo ascetico. Pertanto, il Pehlwani tradizionale (distinto dalla lotta olimpica moderna) è controindicato per le donne.

CONCLUSIONI

Sintesi di un Mondo Olistico

Giungere a una conclusione sul Pehlwani (o Kushti) è un’impresa complessa quanto l’arte stessa. Dopo aver navigato attraverso la sua storia millenaria, la sua filosofia ascetica, le sue tecniche brutali e il suo rigoroso regime di allenamento, emerge un quadro chiaro: il Pehlwani non è semplicemente uno “sport” da classificare, né una “arte marziale” da confrontare. È un sistema completo e olistico per la forgiatura dell’essere umano. È, nella sua essenza più pura, un Darshana (una visione del mondo), una Sadhana (una disciplina spirituale) e una Jeevan Shaili (uno stile di vita) totale.

Questa pagina informativa ha cercato di esplorare, con un approccio culturale e imparziale, i molteplici strati di questa tradizione, con un focus particolare sulla sua preservazione nella regione del Terai nepalese. L’obiettivo non è mai stato quello di promuovere la pratica, ma di documentare e comprendere un “fossile vivente”, un’arte che sfida quasi ogni precetto della modernità.

La conclusione di questo viaggio non può essere un semplice riassunto. Deve essere una sintesi, un tentativo di riunire i fili sparsi – il Vyayam (l’allenamento), il Brahmacharya (l’ascetismo), la Bhakti (la devozione) e la Mitti (la terra) – per vedere l’arazzo completo. Il Pehlwani è un’architettura per la creazione di un individuo ideale, un’impresa che, nel XXI secolo, appare allo stesso tempo anacronistica e, forse, più necessaria che mai.


La Trinità Inseparabile: Corpo, Mente e Spirito

La scoperta fondamentale di questa indagine è l’assoluta inseparabilità di corpo, mente e spirito. Il Pehlwani rifiuta la dicotomia occidentale che separa l’atleta (il corpo), l’accademico (la mente) e il monaco (lo spirito). Nell’Akhara (l’arena sacra), questi tre elementi sono una sostanza unica, forgiata dallo stesso fuoco.

Il Corpo (Sharir) come Fornace della Tapasya L’allenamento fisico, il Vyayam, è emerso non come un “programma di fitness”, ma come una forma di Tapasya (austerità ascetica). I migliaia di Dand (flessioni) e Baithak (squat) non sono “serie e ripetizioni”; sono un Japa (un mantra) fisico. La Gada (mazza) e le Jori (clave) non sono “pesi liberi”; sono “attrezzi-arma” rituali che insegnano lo slancio, la forza rotazionale e la devozione a Hanuman.

Il corpo del Pehlwan non è un fine, ma un veicolo. Non è costruito per l’estetica (Numaish o esibizione), ma per la Takhat (potenza grezza e resilienza). È un corpo reso denso dal Khurak (la dieta) a base di Ghee (burro chiarificato) e Doodh (latte), un carburante puro (Sattvico) che richiede un “fuoco digestivo” (Agni) acceso solo da un allenamento quasi disumano. Il corpo, quindi, non è un tempio che si ammira, ma un crogiolo in cui si compie un’alchimia.

La Mente (Manas) come Sigillo del Brahmacharya Questa indagine ha rivelato che la vera fonte di questa alchimia non è il muscolo, ma la mente. La filosofia del Brahmacharya (controllo dei sensi, spesso interpretato come celibato) è il pilastro centrale e la controindicazione più significativa dell’arte. La forza del Pehlwan non è costruita, ma conservata.

La disciplina mentale richiesta per mantenere il Brahmacharya è la vera “forza”. Il lottatore impara a controllare i suoi sensi (Indriyas) prima ancora di imparare a controllare il suo avversario. Il suo stile di vita – la veglia all’alba (Brahma Muhurta), il sonno su letti duri, l’evitamento di cibi Rajasici (stimolanti) e Tamasici (inerti) – è un’architettura progettata per un unico scopo: sigillare l’energia vitale (Virya) all’interno del corpo. Questa energia conservata, trasmutata dal “calore” della Tapasya, diventa Ojas (vigore spirituale) e Tejas (luminosità mentale), la vera fonte della sua resistenza sovrumana (Dum-Kham).

Lo Spirito (Atma) come Motore della Bhakti Infine, il sistema è tenuto insieme dalla Bhakti (devozione). Il Pehlwani non è uno sport secolare; è una pratica religiosa. L’Akhara è un tempio di Hanuman. La forza del Pehlwan non è sua; è un dono, una benedizione guadagnata attraverso la devozione.

Questa Bhakti assolve a due funzioni:

  1. Come Motivazione: Fornisce al lottatore la forza mentale per sopportare la Tapasya. Non si allena per se stesso, ma per onorare il suo dio.

  2. Come Etica: È il fondamento del Dharma (dovere morale). Poiché la forza è un dono divino, non può essere usata per scopi egoistici (bullismo, crimine). Può essere usata solo per difendere l’onore (Izzat) e proteggere i deboli.

La trinità è quindi completa: il Vyayam forgia il corpo, il Brahmacharya sigilla la mente e la Bhakti alimenta lo spirito. Rimuovere uno solo di questi elementi – come tentano di fare le palestre moderne che copiano la Gada – significa distruggere l’essenza dell’arte.


L’Architettura della Conoscenza: L’Akhara e l’Ustad

La nostra analisi ha rivelato che il Pehlwani è un sistema educativo completo, un Gurukul che ha un metodo di trasmissione della conoscenza antitetico a quello moderno.

L’Akhara: La Scuola della Terra La “scuola” non è un edificio, ma la Mitti (la terra) stessa. Abbiamo visto come questa terra sia un’entità viva: un partner di allenamento (che insegna equilibrio e durezza), una farmacia (mescolata con Haldi-curcuma per l’igiene) e una divinità (la Dharti Mata o Madre Terra). L’atto quotidiano della Mitti Tayyari (la preparazione della terra) è la prima lezione di umiltà (Vinamrata) e la prima forma di allenamento.

L’Ustad e la Seva: La Conoscenza Guadagnata, Non Comprata La figura centrale di questa scuola è l’Ustad (il maestro). Egli non è un “coach” o un “allenatore”. È un’autorità assoluta, un padre surrogato, il custode di un Gharana (lignaggio). La scoperta più significativa è il metodo di pagamento: la Seva (il servizio devozionale). La conoscenza (Gyaan) non si compra con una quota mensile; si guadagna attraverso anni di umiltà. Il discepolo (Pattha) che massaggia i piedi del suo Ustad (Malish), che prepara la sua terra e che esegue i suoi ordini senza discutere, non sta compiendo un atto di servilismo. Sta dimostrando di aver sottomesso il suo Ahankara (ego). Solo quando l’ego è svanito, il discepolo è considerato un “vaso vuoto” (khali patra), sicuro e pronto a ricevere le tecniche (Dav-Pech) e la filosofia del lignaggio.

Questo sistema pedagogico basato sulla gerarchia, la lealtà e il servizio è forse la più grande barriera all’esportazione del Pehlwani, rendendo la sua situazione in luoghi come l’Italia (come abbiamo visto) quasi inesistente in forma autentica.


Il Terai Nepalese: Un Conservatorio Culturale

Questa indagine ha evidenziato il ruolo unico della regione del Terai nepalese. Non è necessariamente un luogo di origine, ma è un conservatorio di un’autenticità rara. Trovandosi al confine culturale e geografico con il cuore pulsante del Pehlwani (l’Uttar Pradesh e il Bihar in India), ma protetto da un contesto nazionale diverso, il Terai ha mantenuto viva la tradizione in un modo che le metropoli modernizzate hanno perso.

L’elemento chiave qui è il Dangal (il torneo). Mentre nei centri urbani la lotta è diventata uno sport olimpico burocratizzato, nel Terai il Dangal rimane ciò che era secoli fa: un evento profondamente rurale, religioso e comunitario. Si svolge durante la Mela (la fiera religiosa). La vittoria non porta a una selezione per le Olimpiadi, ma all’Izzat (l’onore) per il proprio villaggio e il proprio Ustad. Il premio è spesso un bufalo d’acqua, una motocicletta o denaro raccolto tra gli spettatori.

Questo contesto ha permesso alla Mitti ka Kushti (la lotta sulla terra) di sopravvivere, preservando la filosofia, le regole (nessun punto, solo Chitt) e lo spirito dell’arte, lontano dalle pressioni omologanti dello sport globale.


La Crisi Esistenziale: Mitti contro Mat

Tuttavia, nessuna conclusione sul Pehlwani oggi può ignorare la crisi che sta affrontando. Questa tradizione, così robusta per millenni, è ora minacciata dalla sua stessa progenie: la Lotta Olimpica. Questa è la battaglia esistenziale del “Mitti contro Mat” (la terra contro il tappetino).

Il Dilemma del Pehlwan Moderno Un giovane lottatore di talento nel Terai si trova di fronte a un bivio esistenziale:

  1. La Via della Mitti (La Vocazione): Può rimanere nell’Akhara tradizionale. Può dedicare la sua vita alla Tapasya, al Brahmacharya, al suo Ustad. Può cercare di diventare un campione di Dangal. La sua ricompensa sarà l’onore locale (Izzat), il rispetto della sua comunità e lo sviluppo spirituale. È un percorso di purezza, ma quasi certamente un percorso di povertà e oscurità al di fuori del suo mondo.

  2. La Via del Mat (La Carriera): Può usare la sua base di Pehlwani per passare al Mat (il tappetino olimpico). Può unirsi a un centro di allenamento governativo. Deve abbandonare le tecniche del Kasad (logoramento) per imparare le regole dei “punti”. Deve abbandonare la filosofia del Brahmacharya per concentrarsi sulla scienza dello sport. Deve scambiare il suo Ustad con un “coach” federale. La sua ricompensa potenziale è immensa: medaglie internazionali, fama nazionale e, cosa più importante, un lavoro governativo (nell’esercito, nella polizia), che significa sicurezza economica a vita per lui e la sua famiglia.

Una Conclusione Sospesa Questa non è una scelta semplice. È un conflitto tra l’anima e lo stomaco. La diffusione della Lotta Olimpica, sebbene porti gloria al Nepal e all’India, sta attivamente prosciugando gli Akhara tradizionali dei loro migliori talenti. La “casa madre” globale (United World Wrestling) e le sue filiali nazionali (come la Nepal Wrestling Association), sebbene riconoscano il Pehlwani come “lotta tradizionale”, danno priorità assoluta al formato olimpico.

Di conseguenza, il Pehlwani come sistema olistico (spiritualità, stile di vita, combattimento) sta morendo. Sopravvive come un “vivaio” de-spiritualizzato per uno sport globale che ne utilizza il motore fisico, scartandone l’anima.


Riflessione Finale: Un’Architettura dell’Anima

Il Pehlwani/Kushti, nella sua forma più vera, è un’arte anacronistica e non esportabile. La sua essenza non risiede nelle tecniche di lotta – che sono brillanti – ma nella sua filosofia intransigente. Non è possibile “fare Pehlwani” nel tempo libero. O si è un Pehlwan, 24 ore al giorno, o non lo si è.

Abbiamo visto che è un sistema che richiede il sacrificio totale dell’ego, l’accettazione dell’autorità assoluta, la devozione a un ideale divino e la sottomissione a un regime fisico e dietetico che la mente moderna etichetta come estremo o addirittura pericoloso.

La sua assenza in luoghi come l’Italia non è una lacuna; è una conseguenza logica. È impossibile estrarre il Vyayam (come si fa con la Gada nel fitness moderno) senza la Bhakti e il Brahmacharya che gli danno significato.

Forse, quindi, la conclusione più appropriata è che il Pehlwani tradizionale del Terai nepalese è un monumento vivente. È un promemoria di un’epoca in cui la forza fisica non era un obiettivo estetico o sportivo, ma la manifestazione esteriore di una disciplina interiore impeccabile. Non è un sistema per sconfiggere gli altri, ma un’architettura completa per sconfiggere il proprio sé inferiore e forgiare, dal fango e dal sudore, un essere umano ideale.

FONTI

Le informazioni contenute in questa pagina informativa sul Pehlwani (Kushti) nella regione del Terai nepalese provengono da un processo di ricerca composito e approfondito, volto a triangolare dati provenienti da diverse tipologie di fonti per garantire un quadro il più possibile accurato, sfumato e culturalmente sensibile di una tradizione che è, per sua natura, prevalentemente orale e localizzata. Data la specificità dell’argomento – non solo il Pehlwani, ma la sua manifestazione in una regione culturalmente distinta come il Terai – la ricerca ha richiesto un approccio multi-livello, integrando fonti accademiche fondamentali sulla lotta nel subcontinente, documentazione etnografica, analisi storiche, risorse web specializzate e, ove possibile, riferimenti contestuali alla cultura e alla società nepalese e Madhesi.

La sfida principale risiede nella scarsità di materiale scritto specificamente dedicato al Pehlwani nel Terai. Gran parte della letteratura accademica e popolare si concentra sui centri più noti dell’India settentrionale (come il Punjab, l’Haryana, Delhi o Kolhapur). Pertanto, un aspetto cruciale della metodologia di ricerca è stato quello di utilizzare queste fonti fondamentali come base, valutando criticamente la loro applicabilità al contesto del Terai, data la profonda continuità culturale, linguistica e storica tra le pianure del Gange indiano e la striscia meridionale del Nepal. Si è proceduto con cautela, cercando conferme incrociate e riconoscendo le potenziali specificità locali.

Il lavoro di ricerca si è articolato attraverso diverse fasi e tipologie di fonti:

  1. Ricerca Accademica Fondamentale: Identificazione e studio approfondito dei testi accademici considerati seminali nel campo dell’antropologia del corpo, della storia dello sport nel subcontinente e degli studi sulle arti marziali indiane. L’obiettivo era comprendere le strutture filosofiche, sociali e pratiche del Pehlwani nel suo contesto più ampio.

  2. Ricerca Storica: Esame di fonti storiche primarie (come traduzioni di testi classici) e secondarie (analisi storiche moderne) per tracciare l’evoluzione della Malla-yuddha, l’influenza Mughal e persiana, il ruolo del patrocinio reale (sia in India che in Nepal) e l’impatto di eventi come la Partizione.

  3. Analisi Etnografica: Studio di lavori etnografici (descrizioni culturali basate sull’osservazione partecipante) che descrivono la vita quotidiana all’interno dell’Akhara, i rituali, le relazioni sociali e il significato culturale della lotta.

  4. Ricerca Contestuale sul Terai: Consultazione di risorse specifiche sul Nepal, sulla regione del Terai e sulla cultura Madhesi, incluse testate giornalistiche locali, pubblicazioni accademiche sull’antropologia nepalese e database culturali, per cercare menzioni specifiche di Dangal locali, Akhara o figure di lottatori della regione.

  5. Esame di Risorse Web Specializzate: Valutazione critica di siti web, blog e forum dedicati al Pehlwani, alle arti marziali indiane o al fitness tradizionale, cercando informazioni tecniche, terminologiche o storiche, ma sempre verificandole rispetto a fonti più accademiche.

  6. Analisi di Materiale Visivo: Considerazione di documentari, reportage fotografici o video (sebbene spesso focalizzati sull’India) che forniscono una comprensione visiva della pratica, dell’ambiente dell’Akhara e dell’intensità del Vyayam.

  7. Strutturazione Federale e Sportiva: Ricerca sulle organizzazioni sportive nazionali e internazionali (UWW, FIJLKAM, NWA) per delineare il contesto sportivo moderno in cui il Pehlwani si trova (o da cui è escluso), specialmente in relazione alla Lotta Olimpica e alla situazione in Italia.

Questo approccio composito ha permesso di costruire la pagina informativa bilanciando la profondità delle fonti accademiche con la specificità (seppur limitata) delle informazioni contestuali sul Terai, riconoscendo sempre i limiti intrinseci della documentazione disponibile per una tradizione così profondamente radicata nell’oralità e nella pratica vissuta.


FONTI ACCADEMICHE PRIMARIE (LIBRI)

La spina dorsale della comprensione antropologica e sociale del Pehlwani moderno proviene da un numero limitato ma fondamentale di lavori accademici. Questi libri, basati su ricerche etnografiche approfondite (spesso vivendo all’interno degli Akhara per lunghi periodi), forniscono l’analisi più dettagliata e affidabile della filosofia, dello stile di vita, dell’allenamento e del significato culturale dell’arte. Sebbene si concentrino principalmente sull’India settentrionale, i principi e le pratiche descritte sono considerati largamente applicabili al contesto culturalmente affine del Terai.

1. Alter, Joseph S. The Wrestler’s Body: Identity and Ideology in North India. University of California Press, 1992. * Descrizione: Questo è universalmente riconosciuto come il testo fondamentale per chiunque voglia comprendere il Pehlwani non solo come sport, ma come sistema culturale. Joseph Alter, un antropologo medico, ha trascorso un periodo significativo conducendo ricerche sul campo in diversi Akhara dell’India settentrionale (principalmente a Varanasi) negli anni ’80. * Metodologia: Il libro è un capolavoro di etnografia. Alter non si è limitato a osservare; ha partecipato agli allenamenti, ha intervistato Ustad e Pehlwan, ha studiato i testi vernacolari sull’allenamento e la salute, e ha analizzato la pratica nel suo contesto sociale e religioso. * Contenuto Chiave e Rilevanza: L’opera di Alter è stata la fonte primaria per comprendere: * La Filosofia del Brahmacharya: Fornisce l’analisi più dettagliata e sfumata del concetto di conservazione del Virya (seme) e della sua trasmutazione in Ojas (vigore), spiegando la logica interna di questa pratica ascetica e il suo ruolo centrale nell’identità del Pehlwan. * Il Regime Dietetico (Khurak): Documenta in dettaglio la dieta a base di Ghee, latte e mandorle, analizzandola non solo dal punto di vista nutrizionale (per quanto estremo), ma anche simbolico (la purezza Sattvica degli alimenti). * L’Allenamento (Vyayam): Descrive in profondità gli esercizi fondamentali (Dand, Baithak), l’uso degli attrezzi (Gada, Jori) e la filosofia della Tapasya (austerità) che li anima. * La Vita Sociale dell’Akhara: Analizza la relazione Guru-Shishya (maestro-discepolo), l’importanza della Seva (servizio), la gerarchia interna e il ruolo dell’Akhara come istituzione morale nella comunità. * Il Corpo Simbolico: Esplora come il corpo del Pehlwan sia un costrutto culturale, un simbolo di mascolinità, nazionalismo (nel contesto indiano) e purezza morale. * Utilizzo per questa Pagina: Le sezioni su Filosofia, Caratteristiche, Terminologia, Allenamento, Dieta, A Chi è Indicato/Controindicazioni e Sicurezza si basano pesantemente sulle intuizioni e sulle descrizioni fornite da Alter, adattandole e contestualizzandole per il Terai.

2. Alter, Joseph S. Gandhi’s Body: Sex, Diet, and the Politics of Nationalism. University of Pennsylvania Press, 2000. * Descrizione: Sebbene non focalizzato direttamente sul Pehlwani, questo libro esplora le idee sul corpo, la dieta, il celibato e la salute nel contesto del nazionalismo indiano, con particolare riferimento a Mahatma Gandhi. * Rilevanza: È fondamentale per contestualizzare la filosofia del Brahmacharya. Gandhi stesso era ossessionato dal controllo dei sensi e dalla conservazione del Virya come fonte di potere spirituale e politico. Alter mostra come queste idee non fossero esclusive degli Akhara, ma parte di un discorso culturale più ampio nel subcontinente sulla purezza, la forza e l’identità nazionale. Questo aiuta a capire perché il Brahmacharya sia un concetto così potente e radicato. * Utilizzo: Ha fornito un contesto filosofico più ampio per le sezioni sulla filosofia e sul significato del Brahmacharya.

3. Kumar, Ritu. Costumes and Textiles of Royal India. Antique Collectors’ Club, 1999. * Descrizione: Un’opera sontuosamente illustrata che documenta l’abbigliamento e i tessuti delle corti reali indiane nel corso dei secoli. * Rilevanza: Sebbene non specificamente sul Pehlwani, contiene sezioni e riferimenti visivi al patrocinio dei Maharaja per la lotta durante l’Età d’Oro. Fornisce un contesto visivo per comprendere lo status dei lottatori di corte e l’opulenza del sistema di patrocinio che ha permesso all’arte di raggiungere il suo apice. Contiene anche informazioni sui tessuti tradizionali (come il cotone Khadi) che sono rilevanti per la filosofia Sattvica dell’abbigliamento. * Utilizzo: Utile per contestualizzare la sezione sulla Storia (l’Età d’Oro) e sull’Abbigliamento (la filosofia della semplicità in contrasto con l’opulenza storica del patrocinio).

4. Freitag, Sandria B. Collective Action and Community: Public Arenas and the Emergence of Communalism in North India. University of California Press, 1989. * Descrizione: Un lavoro di storia sociale che analizza il ruolo degli spazi pubblici (come i festival, le processioni e, implicitamente, i Dangal) nella formazione dell’identità comunitaria e, talvolta, del conflitto settario nell’India settentrionale coloniale. * Rilevanza: Fornisce un quadro cruciale per comprendere il significato sociale del Dangal (il torneo). Il Dangal non è solo uno sport; è un’arena pubblica dove si negoziano l’onore (Izzat), lo status e l’identità comunitaria. Aiuta a spiegare perché il Pehlwani sia così profondamente radicato nella vita sociale del Terai, dove i Dangal sono ancora legati ai Mela (festival religiosi). * Utilizzo: Ha informato la comprensione del ruolo sociale del Pehlwan e l’importanza culturale del Dangal, discussa in varie sezioni.

Questi testi accademici, in particolare il lavoro pionieristico di Joseph Alter, costituiscono la base scientifica su cui poggia gran parte della comprensione moderna del Pehlwani come fenomeno culturale complesso.


FONTI ACCADEMICHE SECONDARIE (ARTICOLI DI RICERCA E CAPITOLI DI LIBRI)

Oltre ai libri monografici, la ricerca ha attinto a una varietà di articoli pubblicati su riviste accademiche peer-reviewed e capitoli all’interno di volumi collettanei. Queste fonti spesso si concentrano su aspetti più specifici o forniscono analisi comparative.

1. Articoli sull’Antropologia dello Sport e del Corpo nel Subcontinente: * Descrizione: Esistono numerose riviste accademiche (come Body & Society, Journal of Sport and Social Issues, South Asia: Journal of South Asian Studies, Contributions to Indian Sociology) che pubblicano ricerche sull’intersezione tra corpo, cultura, società e sport nel subcontinente. * Rilevanza: Articoli specifici possono analizzare temi come la costruzione della mascolinità negli Akhara, il rapporto tra Pehlwani e nazionalismo, la medicalizzazione del corpo del lottatore, o il confronto tra Pehlwani tradizionale e Lotta Olimpica. Anche se non direttamente sul Terai, forniscono quadri analitici preziosi. Ad esempio, studi sulla “performance” del corpo nel Dangal, o sull’economia politica del patrocinio sportivo rurale. * Utilizzo: Questi articoli hanno contribuito a raffinare la comprensione dei concetti filosofici, del ruolo sociale del Pehlwan e della crisi moderna tra Mitti e Mat. Hanno fornito lenti teoriche (es. teorie sulla mascolinità, studi post-coloniali) per interpretare i dati etnografici.

2. Ricerche sulla Storia delle Arti Marziali Indiane: * Descrizione: Studiosi come Phillip Zarrilli (principalmente sul Kalaripayattu, ma con riferimenti comparativi) e altri hanno esplorato la storia più ampia delle arti marziali indiane, incluse le radici della Malla-yuddha e le connessioni tra le diverse tradizioni regionali. * Rilevanza: Questi lavori aiutano a contestualizzare il Pehlwani all’interno di un panorama marziale più vasto e antico. Forniscono informazioni sull’evoluzione storica, sulle possibili influenze reciproche tra stili e sul contesto militare da cui la lotta sportiva si è evoluta. * Utilizzo: Fondamentali per la sezione sulla Storia, in particolare per comprendere le radici nella Malla-yuddha e il processo di epurazione degli elementi letali.

3. Studi sull’Ayurveda e sullo Yoga in Relazione al Corpo e alla Dieta: * Descrizione: La filosofia del Pehlwani (Brahmacharya, Ojas, dieta Sattvica, Agni) è incomprensibile senza una conoscenza di base dei principi dell’Ayurveda (la medicina tradizionale indiana) e dello Hatha Yoga. Esistono innumerevoli articoli e capitoli di libri che analizzano questi concetti da prospettive mediche, filosofiche e antropologiche. * Rilevanza: Forniscono la chiave per decodificare la logica interna del Khurak (la dieta) e del Brahmacharya. Spiegano i concetti di Virya, Ojas, Tejas, i tre Guna (Sattva, Rajas, Tamas) e il ruolo del “fuoco digestivo” (Agni). * Utilizzo: Essenziali per le sezioni sulla Filosofia, la Dieta, le Indicazioni/Controindicazioni e la Terminologia. Hanno permesso di spiegare questi concetti non come superstizioni, ma come parte di un sistema coerente di medicina e fisiologia olistica.

4. Ricerche sull’Antropologia e la Sociologia del Nepal e del Terai: * Descrizione: Lavori accademici che si concentrano specificamente sulla società, la cultura, la politica e la religione del Nepal, con un focus sulla regione del Terai e sulla popolazione Madhesi. Questi possono essere trovati in riviste come Himalaya: The Journal of the Association for Nepal and Himalayan Studies o European Bulletin of Himalayan Research. * Rilevanza: Sebbene raramente focalizzati sul Pehlwani, questi studi forniscono il contesto essenziale. Aiutano a comprendere la struttura sociale dei villaggi del Terai, l’importanza dei festival religiosi (Mela), il sistema delle caste, le dinamiche politiche tra il Terai e Kathmandu, e l’identità culturale Madhesi. Questo contesto è cruciale per capire perché il Pehlwani sia sopravvissuto in questa regione e quale sia il suo significato locale. * Utilizzo: Hanno permesso di aggiungere sfumature specifiche sul Terai in tutte le sezioni, in particolare sulla Storia (il ruolo dei Rana), sul Contesto Attuale e sul significato sociale del Dangal.

La consultazione di questi articoli, spesso accessibili tramite database accademici come JSTOR, Academia.edu, Google Scholar o biblioteche universitarie, ha permesso di approfondire temi specifici e di integrare la visione olistica dei libri fondamentali con analisi più mirate.


FONTI STORICHE E TESTI CLASSICI

Per comprendere le radici profonde del Pehlwani, è stato necessario fare riferimento (attraverso traduzioni e analisi accademiche) ad alcuni testi classici del subcontinente che menzionano o descrivono la lotta.

1. Mahabharata e Ramayana * Descrizione: I due grandi poemi epici sanscriti dell’India, fondamentali per la cultura indù e quindi anche per il Terai nepalese. * Rilevanza: Come discusso nelle sezioni sulla Storia e sulle Leggende, questi testi contengono le “storie fondative” dell’arte. Forniscono gli archetipi divini e eroici: Hanuman (il fondatore spirituale), Bhima (il fondatore combattivo), Krishna (il fondatore strategico). Descrivono incontri di Malla-yuddha (l’antica lotta) in dettaglio (come Bhima vs. Jarasandha), stabilendo i principi etici e tecnici. * Utilizzo: Fondamentali per le sezioni sulla Storia, il Fondatore, le Leggende e la Filosofia. Sono la “Bibbia” del Pehlwani. Si è fatto riferimento a traduzioni accademiche standard (come quelle di Bibek Debroy per il Mahabharata o R.K. Narayan per una versione accessibile del Ramayana).

2. Manasollasa (o Abhilashitartha Chintamani) * Descrizione: Un trattato enciclopedico sanscrito del XII secolo, commissionato dal re Someshvara III della dinastia Chalukya. * Rilevanza: Contiene il capitolo Malla Vinoda (“Il divertimento della lotta”), che è la fonte testuale più dettagliata sulla Malla-yuddha pre-Mughal. Descrive la classificazione dei lottatori, la dieta, l’allenamento e, soprattutto, i quattro Jati (stili): Bhimaseni, Hanimanti, Jambuvanti e Jarasandhi. * Utilizzo: Cruciale per le sezioni sulla Storia e sugli Stili/Scuole. Dimostra la sofisticazione e la codificazione dell’arte già in epoca medievale. Si è fatto riferimento ad analisi accademiche che discutono questo testo, data la difficoltà di accesso a traduzioni complete.

3. Testi Ayurvedici (es. Charaka Samhita, Sushruta Samhita) * Descrizione: Antichi trattati medici e chirurgici sanscriti che formano la base dell’Ayurveda. * Rilevanza: Contengono discussioni sull’importanza del Vyayam (esercizio) per la salute, descrivono principi di fisiologia (come i Dhatu o tessuti corporei, la teoria dei Guna), e forniscono la base teorica per la dieta (Khurak) e il concetto di Ojas e Virya. Il Sushruta Samhita menziona specificamente esercizi e massaggi (Malish) per rafforzare il corpo. * Utilizzo: Essenziali per comprendere la base “scientifica” (all’interno del paradigma ayurvedico) della filosofia del corpo, della dieta e del Brahmacharya nel Pehlwani. Si è fatto riferimento a traduzioni e commentari accademici.

Questi testi classici forniscono la profondità storica e la legittimità culturale all’arte, dimostrando che il Pehlwani non è una semplice “lotta popolare”, ma l’erede di una tradizione intellettuale e marziale millenaria.


RISORSE WEB SPECIALIZZATE E GIORNALISTICHE

Il web offre una vasta gamma di risorse sul Pehlwani, ma la loro qualità è estremamente variabile. La ricerca ha comportato un attento processo di vaglio per distinguere le informazioni affidabili da quelle aneddotiche o imprecise.

1. Siti Web di Organizzazioni Sportive Internazionali e Nazionali: * United World Wrestling (UWW): https://uww.org/ * Descrizione: Organo di governo mondiale per la lotta. * Rilevanza: Fornisce il contesto sportivo globale. La sezione “Traditional Wrestling” riconosce formalmente il Kushti/Pehlwani. Il sito è la fonte ufficiale per le regole della Lotta Olimpica (Stile Libero, Greco-Romana), utile per il confronto Mitti vs. Mat. * Utilizzo: Cruciale per le sezioni sulla Situazione in Italia, Stili/Scuole e per definire la “casa madre” burocratica. * FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali): https://www.fijlkam.it/ * Descrizione: Federazione nazionale italiana. * Rilevanza: Definisce la situazione della Lotta Olimpica in Italia. Il sito contiene l’elenco delle società affiliate (“scuole”), i regolamenti nazionali e le informazioni sulla formazione dei tecnici. * Utilizzo: Fonte primaria per la sezione sulla Situazione in Italia. * Nepal Wrestling Association (NWA): (Nota: Trovare un sito web ufficiale stabile e aggiornato per la NWA può essere difficile. Le informazioni sono spesso reperite tramite il sito della UWW o articoli di stampa nepalese). * Descrizione: Organo di governo nazionale per la lotta in Nepal. * Rilevanza: È l’ente che gestisce la transizione dei lottatori dal Mitti al Mat nel contesto nepalese. * Utilizzo: Rilevante per contestualizzare la crisi Mitti vs. Mat nel Terai. * FIGMMA (Federazione Italiana Grappling Mixed Martial Arts): https://www.figmma.it/ * Descrizione: Federazione italiana per Grappling No-Gi e MMA. * Rilevanza: Utile per la sezione sulla Situazione in Italia, per descrivere il panorama del grappling moderno. * UIJJ (Unione Italiana Jiu Jitsu): https://www.uijj.it/ * Descrizione: Principale organizzazione italiana per il BJJ. * Rilevanza: Utile per il confronto stilistico con il Pehlwani nella sezione sulla Situazione in Italia.

2. Siti Web Dedicati al Pehlwani e alla Cultura Fisica Tradizionale Indiana: * Descrizione: Esistono alcuni siti web e blog, spesso gestiti da appassionati o praticanti (anche al di fuori dell’India), che cercano di documentare il Pehlwani. Questi includono spesso descrizioni di esercizi (Vyayam), discussioni sulla dieta (Khurak) e profili di lottatori famosi. * Esempi (da valutare con cautela): Siti come pahalwan.com (se attivo), canali YouTube dedicati, blog di fitness funzionale che esplorano l’uso della Gada e delle Jori. * Rilevanza: Possono fornire dettagli pratici, terminologia colloquiale e resoconti di prima mano che mancano nelle fonti accademiche. Le descrizioni degli esercizi e l’uso degli attrezzi sono spesso utili. * Criticità: Queste fonti mancano spesso di rigore accademico. Le informazioni possono essere aneddotiche, imprecise o romanticizzate. Devono essere sempre incrociate con fonti più affidabili (come il lavoro di Alter). Non esistono siti web di “scuole autorevoli” nel senso di Akhara tradizionali, poiché questi operano al di fuori del mondo digitale. * Utilizzo: Utilizzati con estrema cautela per integrare dettagli sulla terminologia, sull’esecuzione degli esercizi del Vyayam e sugli aneddoti popolari, sempre specificando la natura meno formale della fonte.

3. Archivi di Notizie e Giornalismo: * Descrizione: Consultazione degli archivi online di importanti testate giornalistiche del subcontinente (es. The Hindu, Times of India, Dawn in Pakistan) e del Nepal (The Kathmandu Post, The Himalayan Times, Himal Southasian). * Rilevanza: Fondamentali per trovare informazioni specifiche sul contesto moderno, specialmente nel Terai. Articoli su Dangal locali, profili di lottatori nepalesi che passano al Mat, discussioni sulle sfide economiche degli Akhara tradizionali, reportage su eventi culturali nel Terai. * Utilizzo: Hanno fornito dettagli cruciali per contestualizzare la situazione attuale nel Terai, la crisi Mitti vs. Mat, e per cercare (seppur con difficoltà) nomi di figure locali rilevanti.

4. Risorse Online su Fitness Funzionale (Steel Mace / Clubbells): * Descrizione: Siti web e piattaforme di formazione dedicate all’uso della Steel Mace (Gada) e delle Clubbells (Jori) nel fitness moderno. * Esempi: Siti di produttori di attrezzature, canali YouTube di istruttori certificati, articoli su riviste di fitness online. * Rilevanza: Documentano la rinascita e la decontestualizzazione degli attrezzi del Pehlwani in Occidente e in Italia. * Utilizzo: Fonte primaria per la sezione sulla Situazione in Italia, parte relativa all’influenza metodologica.

L’uso di risorse web ha richiesto un costante processo di verifica e triangolazione per separare le informazioni affidabili dal rumore di fondo.


MATERIALE VISIVO (DOCUMENTARI E FOTOGIORNALISMO)

Sebbene non siano “fonti scritte”, i documentari e i reportage fotografici giocano un ruolo cruciale nel comprendere una pratica così fisica e rituale come il Pehlwani. Forniscono una dimensione visiva ed emotiva che il testo da solo non può trasmettere.

1. Documentari: * Descrizione: Esistono diversi documentari, di varia qualità, che esplorano il mondo degli Akhara, la vita dei Pehlwan e l’allenamento. Molti si concentrano su figure leggendarie come Gama il Grande o su Akhara famosi in India. * Esempi: Film come “The World of Pehlwani” o segmenti all’interno di documentari più ampi sullo sport o sulla cultura indiana (la disponibilità e i titoli specifici possono variare nel tempo). Ricerche su piattaforme come YouTube possono rivelare materiale girato da appassionati o giornalisti. * Rilevanza: Forniscono un’immagine vivida dell’intensità del Vyayam (vedere l’esecuzione dei Dand e dei Baithak in massa), della sacralità dell’Akhara, della durezza del Jor, e permettono di “vedere” l’ambiente fisico e sociale. * Criticità: I documentari possono essere soggetti a drammatizzazione o a una narrazione selettiva. Devono essere visti come complementari, non sostitutivi, delle fonti accademiche. * Utilizzo: Hanno contribuito a formare una comprensione visiva della pratica, che ha informato le descrizioni dell’allenamento, dell’ambiente dell’Akhara e delle tecniche.

2. Fotogiornalismo: * Descrizione: Numerosi fotografi hanno documentato la vita negli Akhara, catturando la bellezza cruda, la fatica e la devozione dei Pehlwan. Le loro opere sono spesso pubblicate su riviste, libri fotografici o gallerie online. * Rilevanza: Le immagini possono trasmettere l’atmosfera, la fisicità e i dettagli rituali (come la preparazione della Mitti, il Tel Malish, il legame del Langot) con un’immediatezza che le parole faticano a raggiungere. Le fotografie degli Akhara del Terai, sebbene rare, sarebbero particolarmente preziose. * Utilizzo: Hanno aiutato a visualizzare e descrivere con maggiore precisione gli aspetti materiali e rituali dell’arte.

Il materiale visivo, pur non essendo una “fonte” nel senso bibliografico tradizionale, è stato una componente essenziale della ricerca per “sentire” e comprendere una pratica che è, in definitiva, incarnata.


SINTESI DELLA METODOLOGIA E LIMITAZIONI

La costruzione di questa pagina informativa si è basata su un approccio di sintesi critica. Le informazioni provenienti dalle fonti accademiche fondamentali (principalmente Alter) sono state utilizzate come struttura portante per la filosofia, la sociologia e la pratica di base. Questa struttura è stata poi arricchita, contestualizzata e, ove possibile, specificata per il Terai attraverso l’integrazione di fonti storiche, articoli accademici secondari, giornalismo locale e analisi comparative con altre arti marziali e discipline sportive. Le risorse web e visive sono state utilizzate come complemento, con un costante processo di verifica.

Limitazioni Riconosciute:

  • Focus Geografico delle Fonti Primarie: La principale limitazione è che le fonti etnografiche più approfondite (Alter) si concentrano sull’India settentrionale. L’applicazione al Terai si basa sull’ipotesi (ben fondata, ma pur sempre un’ipotesi) di una forte continuità culturale.

  • Natura Orale della Tradizione: Molta della conoscenza specifica (specialmente i Dav-Pech o le storie locali) risiede negli Ustad e non è documentata per iscritto. Questa pagina non può catturare quella conoscenza vivente.

  • Difficoltà di Accesso alle Fonti Locali: L’accesso a fonti primarie specifiche sul Pehlwani nel Terai (interviste con Ustad locali, archivi di giornali regionali in lingua nepalese o Maithili) è limitato per un ricercatore esterno.

Nonostante queste limitazioni, si è cercato di presentare un quadro il più possibile completo e accurato, basato sulle migliori fonti disponibili e su un approccio critico e comparativo, per offrire al lettore una comprensione profonda e sfumata del Pehlwani nel suo contesto specifico.

DISCLAIMER - AVVERTENZE

Natura Puramente Informativa del Contenuto

Si prega di leggere attentamente questo disclaimer prima di procedere con l’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina dedicata al Pehlwani (o Kushti) nella regione del Terai nepalese. Questo documento è stato compilato esclusivamente a scopo informativo, culturale ed educativo. L’intento primario è fornire una panoramica il più possibile accurata e contestualizzata di una complessa tradizione marziale, filosofica e di stile di vita, basata sulla ricerca di fonti accademiche, storiche ed etnografiche disponibili.

Le descrizioni relative alla storia, alla filosofia, alle figure leggendarie, alla terminologia, all’abbigliamento, agli stili, alle scuole e, in particolare, alle metodologie di allenamento (Vyayam), alle tecniche di combattimento (Dav-Pech), al regime dietetico (Khurak) e alle pratiche ascetiche (Brahmacharya, Tapasya) sono presentate unicamente per illustrare le caratteristiche intrinseche di questa disciplina nel suo contesto tradizionale.

In nessun caso le informazioni qui contenute devono essere interpretate come:

  • Un manuale di istruzioni per la pratica del Pehlwani.

  • Consigli medici, nutrizionali o dietetici.

  • Raccomandazioni per l’allenamento fisico o la preparazione atletica.

  • Indicazioni terapeutiche o di riabilitazione.

  • Approvazione o promozione della pratica del Pehlwani al di fuori del suo contesto culturale e tradizionale specifico.

La lettura di questo documento non sostituisce in alcun modo la guida, la supervisione e l’insegnamento diretto da parte di un maestro qualificato ed esperto (Ustad o Guru) all’interno della struttura tradizionale dell’Akhara (l’arena di pratica).


Rischi Intrinseci Associati alla Pratica del Pehlwani

È fondamentale comprendere che il Pehlwani tradizionale è una disciplina estremamente esigente e potenzialmente pericolosa se intrapresa senza un’adeguata preparazione, supervisione e comprensione del contesto. I metodi descritti in questa pagina, sebbene efficaci all’interno del sistema olistico dell’Akhara, comportano rischi significativi se estrapolati o tentati in modo isolato o scorretto.

Rischi Associati all’Allenamento Fisico (Vyayam):

  • Intensità Estrema: Il regime di Vyayam descritto, che include l’esecuzione quotidiana di centinaia o migliaia di Dand (flessioni indiane) e Baithak (squat), l’uso di attrezzi pesanti e sbilanciati come la Gada (mazza) e le Jori (clave), sottopone il sistema muscolo-scheletrico, cardiovascolare e neurologico a uno stress di livello estremo.

  • Rischio di Sovraccarico: Tentare di replicare questi volumi di allenamento senza la progressione graduale (che dura anni, se non decenni) e la supervisione di un Ustad esperto può portare quasi certamente a gravi infortuni da sovraccarico, tra cui tendiniti croniche, borsiti, sindromi da impingement, lesioni articolari degenerative (specialmente a ginocchia, polsi, spalle e schiena), fratture da stress e condizioni potenzialmente pericolose come la rabdomiolisi.

  • Rischio Cardiovascolare: L’intensità dell’allenamento può rappresentare un rischio significativo per individui con condizioni cardiovascolari non diagnosticate o preesistenti.

Rischi Associati al Regime Dietetico (Khurak):

  • Natura Estrema: La dieta tradizionale Khurak, basata su enormi quantità di Doodh (latte), Ghee (burro chiarificato), Badam (mandorle) e altri alimenti specifici, è progettata per sostenere un dispendio calorico quasi inimmaginabile e per costruire un tipo specifico di fisico all’interno del contesto della pratica ascetica.

  • Controindicazioni Metaboliche: Questa dieta è assolutamente controindicata per la popolazione generale e per chiunque non sia sottoposto al regime di allenamento Pehlwani sotto supervisione. Il suo altissimo contenuto di grassi saturi, calorie e latticini può portare a gravi problemi di salute in un individuo normale, tra cui ipercolesterolemia, malattie cardiovascolari, disturbi digestivi, aumento di peso non salutare e potenziali complicazioni per chi soffre di diabete o intolleranze alimentari. Non deve essere considerata una “dieta salutare” o un “piano nutrizionale” da emulare.

Rischi Associati alle Tecniche di Combattimento (Dav-Pech) e allo Sparring (Jor):

  • Natura ad Alto Impatto: Il Jor (sparring) e il combattimento nel Dangal (torneo) sono attività ad alto contatto e ad alto impatto. Le tecniche di proiezione (Phekna) come il Dhobi Pat sono progettate per atterrare l’avversario con forza sulla schiena.

  • Rischio di Infortuni Acuti: La pratica comporta un rischio intrinseco e significativo di infortuni acuti, quali distorsioni articolari (caviglie, ginocchia), lussazioni (spalle, dita), fratture ossee (costole, clavicole), contusioni e lesioni spinali.

  • Rischio di Trauma Cranico: Cadute violente sulla Mitti (terra), anche se preparata, possono causare commozioni cerebrali e altri traumi cranici.

  • Rischio di Danni Cronici: Tecniche di logoramento (Kasad) come il Gadhânet possono causare danni cronici, tra cui l’orecchio a cavolfiore, problemi al collo e all’articolazione temporo-mandibolare.

Rischi Associati all’Ambiente dell’Akhara:

  • Igiene: La pratica sulla Mitti (terra), nonostante i metodi tradizionali di preparazione con Haldi (curcuma), comporta un rischio intrinseco di infezioni cutanee (batteriche e fungine), tetano e altre malattie se le condizioni igieniche non sono mantenute secondo standard rigorosi (che possono variare da Akhara ad Akhara).


Necessità Imperativa di Supervisione Qualificata

Data la natura estrema e i rischi intrinseci della pratica, si ribadisce con la massima enfasi che è assolutamente sconsigliato tentare di apprendere o praticare il Pehlwani basandosi unicamente sulle informazioni contenute in questa pagina o su qualsiasi altra fonte scritta o multimediale.

Il Pehlwani è una tradizione orale e cinetica. La conoscenza (Gyaan) e la tecnica (Dav-Pech) possono essere trasmesse in modo sicuro ed efficace solo attraverso:

  • L’Insegnamento Diretto: La guida personale e costante di un Ustad o Guru legittimo, che appartenga a un lignaggio riconosciuto (Parampara).

  • L’Ambiente dell’Akhara: La pratica all’interno della struttura sociale, fisica e spirituale dell’Akhara tradizionale, che fornisce il contesto necessario per la progressione, la correzione e la sicurezza relativa.

  • La Progressione Graduale: Un processo di apprendimento che dura molti anni, iniziando da un’età giovane, con una progressione estremamente lenta e controllata del carico di allenamento e dell’intensità dello sparring.

Tentare di eseguire un Dand, un Baithak, un’oscillazione della Gada o una tecnica di Jor senza questa supervisione diretta non è solo inefficace, ma espone l’individuo a un rischio elevato e inaccettabile di gravi infortuni.


Esclusione di Responsabilità

Gli autori e i curatori di questa pagina informativa hanno compiuto ogni sforzo ragionevole per garantire che le informazioni presentate siano accurate e basate su fonti affidabili, per quanto disponibili. Tuttavia, data la natura complessa e spesso orale della tradizione Pehlwani, non si fornisce alcuna garanzia esplicita o implicita riguardo la completezza, l’accuratezza o l’attualità di tutte le informazioni.

In nessun caso gli autori, i curatori o qualsiasi entità associata alla creazione o distribuzione di questo contenuto potranno essere ritenuti responsabili per:

  • Qualsiasi infortunio fisico o danno alla salute che possa derivare dal tentativo di praticare esercizi, tecniche, diete o stili di vita descritti in questa pagina.

  • Qualsiasi interpretazione errata o uso improprio delle informazioni culturali, filosofiche o storiche presentate.

  • Qualsiasi conseguenza negativa derivante dalla decisione di intraprendere la pratica del Pehlwani o di discipline correlate senza l’adeguata supervisione qualificata.

L’utilizzo delle informazioni contenute in questa pagina avviene a totale rischio e discrezione del lettore. Si consiglia vivamente a chiunque sia interessato alla pratica di arti marziali o discipline fisiche intense di consultare preventivamente un medico qualificato per valutare la propria idoneità fisica e di cercare sempre l’insegnamento presso istruttori certificati e riconosciuti nelle rispettive discipline.

Questa pagina ha il solo scopo di contribuire alla conoscenza e alla comprensione culturale di una tradizione marziale storica, non di fornire istruzioni pratiche.

a cura di F. Dore – 2025

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