La sintesi di Kano Jigoro (pt.1)
In un primo momento, preoccupato di sviluppare un sistema sportivo educativo senza alcun pericolo per i praticanti… Kano aveva soppresso tutti i colpi a impatto mantenendo, nella sua sintesi, soltanto proiezioni e controlli. Imponendo ai suoi judoka il metodo di afferrarsi per il collo e la manica del Judogi (Kumi-kata), egli si allontanava ancor di più dal modo di operare dell’antico Ju-jutsu, nel quale il combattimento aveva luogo anche prima della presa, perdendo in questo modo di realismo. Questo non faceva che confermare la scelta fatta da Kano. Tuttavia, agli inizi degli anni ’20 del XX secolo, mentre egli cercava di integrare nel suo Judo anche tecniche antiche di combattimento classico, per collegare la disciplina a una più antica tradizione, egli reintrodusse, attraverso alcuni Kata, delle tecniche a impatto (Atemi), tuttavia esclusivamente per un uso controllato in sequenze codificate. Nel 1922, Kano invitò Funakoshi Gichin, che era appena arrivato in Giappone, a dare una dimostrazione di Karaté presso il Kodokan e i due uomini entrarono immediatamente in simpatia. Nel 1926 Kano stesso fece un viaggio con il suo allievo Nagaoka a Okinawa (dove un ramo del Butokukai insegnava anche il Judo) e vi incontrò Miyagi Chojun. Si era anche interessato molto da vicino all’Aikido, nel quale diceva di vedere un «Budo ideale» e aveva inviato, all’inizio degli anni 30 del XX secolo, numerosi suoi allievi (i migliori, come Mochizuki Minoru, Shioda Gozo, Tomiki Kenji, Sugino Yoshio) a studiarlo presso il fondatore Ueshiba Morihei. Nel 1928 Kano aveva anche fondato un’associazione per la ricerca e lo studio delle antiche arti marziali del suo Paese (Kobudo- kenkyu-kai), un fatto che indicava chiaramente la sua volontà di non dimenticare alcuna fonte della sua riflessione.
A cura di Carlo Giordano