IL Sumo
Letteralmente la parola Sumo significa strattonarsi l’uno con l’altro: il fine non è quindi quello di colpire, come in altre arti marziali, ma quello di riuscire a sbilanciare l’equilibrio di un avversario a dir poco “mastodontico”… In Giappone, i metodi di combattimento senza armi, ideati ed applicati nel loro lungo periodo feudale (iniziarono ad apparire nella dottrina marziale dal sedicesimo secolo in poi), avevano in comune fra loro certe caratteristiche strumentali e funzionali intrinseche. Ad esempio l’uso del corpo umano, debitamente addestrato, condizionato e rafforzato.
Le origini
Antica forma di lotta, il Sumo ha conservato elementi della sua lunghissima tradizione. Prima del periodo tra il 1570 e il 1600, sembra fosse una forma di combattimento molto ampia che, sebbene modificata per quanto riguardava i colpi e i calci mortali (proibiti da un decreto imperiale durante il regno Shomu perché giudicati ineleganti), non differisse sostanzialmente dalla lotta mongola o persino da certi stili europei. Nel 1570 venne introdotto il ring, dohyo e le regole di base che fissavano i ranghi, gli scopi e le tecniche fondamentali. Ancora oggi l’organizzazione del Sumo mantiene l’antica divisione in tre gruppi dei suoi seguaci: i lottatori, gli arbitri e i giudici.
Il Sumo ha attraversato i secoli trasformandosi da intrattenimento per gli imperatori a forma d’arte e spettacolo nazional popolare, alla ricerca di un equilibrio costante tra tradizione e innovazione.
I lottatori, sumotori
Si tratta di uomini insolitamente alti e poderosi, scelti per la loro incredibile grandezza e condizionati per mezzo dell’allenamento e di diete appropriate in modo da raggiungere proporzioni colossali. Più pesante è il sumotori, più basso sarà il suo centro di gravità e quindi più difficile diventerà espellerlo dal ring. I lottatori di Sumo mantengono il loro peso attraverso una speciale dieta chiamata “chanko nabe”, lo stufato tradizionale a base di riso, maiale, uova e vegetali. Nonostante le apparenze, i sumotori non sono esclusivamente grassi anzi, oltre a compiere regolarmente esercizi di sollevamento pesi per aumentare la loro resistenza, sono sorprendentemente agili! A causa dei campioni minimi di peso e altezza (5’7″e 165 libbre), alcuni si riempiono di acqua per fare fronte alle richieste minime. Ogni lottatore porta una tradizionale acconciatura dei capelli, chiamata ichomage. Risale al periodo Edo del Giappone (1603-1867) e non ha una funzione meramente decorativa, assicura infatti protezione alla testa durante le cadute.
Tutti i sumotori portano la classica cintura di seta che la tradizione fa risalire alle imprese di Hajikami od Omi, un lottatore di tale forza e abilità che in un torneo tenuto a Osaka mille e cento anni fa non fece toccare a nessuno degli avversari nemmeno la corda, shimenewa, legata intorno alla sua cintola! Prima o dopo l’incontro, i grandi campioni sono autorizzati a portare la cintura cerimoniale, di seta riccamente ricamata e decorata, il kesho-mawashi, la cui tradizione risale ad un altro lottatore, il possente Akashi, che nel 1600, imbarazzato dalla propria nudità al cospetto dell’imperatore, si avvolse in un enorme stendardo appeso in un’asta vicina, stabilendo così inconsapevolmente una moda che viene seguita ancora oggi.
Storicamente, queste cinture ricamate, rappresentavano il signore feudale a cui apparteneva il lottatore, ma oggi denotano il suo luogo di nascita, la casata, il grado e lo sponsor.
Formato da seta pesante, il mawashi è piegato in sei ed è avvolto intorno all’inguine ed alla vita da quattro a sette volte, e rappresenta una parte importante della tecnica del lottatore: ci sono quasi 70 modi differenti per manovrare l’avversario attraverso prese sul mawashi.
Ogni campione è, infine, scortato da un attendente tsuyuharai, come per i capi militari feudali, e da un portatore di spada, tachimochi.
A cura di Carlo Giordano
fonte: www.benessere.it