La filosofia
Il Kyudo è considerato un’Arte Marziale e viene praticato anche da persone che mirino al raggiungimento di un particolare stato d’animo, al dominio del corpo, a una disciplina… del comportamento che poi pervadano il quotidiano per rifletterne la benefica influenza su tutta la vita. Il progresso nel tiro e nella sua tecnica è frutto del miglioramento ottenuto con l’esercizio in quanto tale, insieme con l’irrobustimento dello spirito ottenuto con la pratica. Il fine del kyudo consiste nel raggiungere la conoscenza dello “spirito dell’arco” (yumi no kokoro), uno stato che spesso viene indicato usando il termine tipicamente zen di satori. Un tiratore potrà raggiungere lo stato di “massimo livello di comprensione dell’essenza delle cose” di mente libera, serena e vuota da futili pensieri, quando sarà in grado di eseguire il giusto NOBIAI.
NOBIAI è una voce di difficile spiegazione per coloro che non hanno una sufficiente pratica: oltre all’estrema tensione dell’arco significa anche massima estensione orizzontale e verticale del corpo, estrema espansione della persona, decisa intensificazione delle tecniche da applicare nel momento, in uno con intensità dello spirito ed assenza d’intenzione crescenti.
Scopo di chi si esercita nel vero Kyudo è raggiungere gradualmente uno stato d’animo limpido, esercitando tenacemente proprio quella giusta tecnica che coltiva il tirare per colpire forte, con piena energia. La comprensione è intesa principalmente come mentale, l’apprendimento come fisicocorporale, insieme costituiscono il “capire per averlo fatto”, per esperienza. Le qualità proprie del Bushido (quale morale eroica del guerriero giapponese) come la determinazione, l’assiduità nello sforzo, l’intelligenza (l’intuizione), la rettitudine, la serenità, l’equilibrio, la sincerità e la generosità nell’azione possono essere coltivate solo con il perfezionamento della tecnica, seguendo con fedeltà le regole della tradizione. Il detto “kan chu kyu”, colpire con potenza il centro sempre, riassume nel modo più sintetico possibile lo spirito della scuola.
Il Maestro Inagaki sosteneva a tale proposito che “visione serena dei doveri” nel suo insegnamento significa accogliere l’esercizio dei propri doveri come occasione di miglioramento, naturalmente non solo nella giusta pratica del Kyudo, ma anche nel quotidiano.
“Affinare spirito e volontà” è dovuto in ogni occasione per contribuire allo spessore e alla maturità della persona. La pratica di tiro è soltanto una parte dell’allenamento complessivo dell’individuo: disciplina, sacrificio e generosità non si esercitano solo tirando quando la mano duole, quando gela o andando a recuperare le frecce proprie e altrui. In breve, le regole del kyudo e la disciplina del Dojo hanno ragione d’essere per esemplificare ed influenzare il quotidiano.
La tecnica di tiro comprende forme e azioni proprie; essa può assumere taluni lineamenti delle tecniche Zen, ma il Kyudo non è solo questo perché soltanto l’unione dei tre elementi, forma, azione e spirito fusi insieme, può considerarsi vera e completa Arte nella sua forma migliore. Innanzi al bersaglio il kyudoka fa i suoi passi e si dispone in posizione di tiro senza che la mente se ne occupi, i suoi gesti incoccano la freccia poi eseguono TORIKAKE: si sviluppa la massima energia possibile del corpo e della mente, l’arco viene teso fino allo stremo, infine la freccia è scoccata. Ecco che hanno agito assieme, con la massima intensità, l’energia di tutto il corpo e lo spirito, dal profondo del cuore.
Diffusione in Italia e organizzazione
In Italia esiste un’Associazione per il tiro con l’arco tradizionale giapponese (A.I.K.) che a sua volta é affiliata alla federazione europea (E.K.F.) e alla federazione giapponese (ZNKR). All’interno dell’A.I.K. vi sono gruppi facenti capo ai due stili principali:
• la scuola Heki Toryu (la scuola Heki scelta dalla famiglia dello Shogun), chiamata dalle altre scuole Heki Ryu Insai Ha (scuola Heki di stile Insai);
• lo stile SHOMEN. La Heki To-ryu, la più diffusa in Italia, può vantare una discendenza diretta da maestro a maestro per 19 generazioni ed ha mantenuto sostanzialmente inalterati i fondamenti della tecnica. Lo stile Shomen è frutto di una sintesi, operata nel 1900 in Giappone, atta a codificare e uniformare in un unico nuovo stile le altre scuole conosciute. Il carattere è più cerimoniale e non ha come fine “colpire” il bersaglio, mentre lo stile della scuola Heki, di tradizione militare, considera il fatto di centrare il bersaglio come determinante, in quanto originalmente questo significava “vita o morte”. La scuola Heki prevede gare e tornei, come in una disciplina sportiva, anche se il fine della competizione non è propriamente l’agonismo, bensì una strategia per l’apprendimento e la crescita dell’arciere.
A cura di Carlo Giordano
fonte: www.benessere.it