L’ARTE SEGRETA DELLA NOBILTA’
Dopo aver invaso il paese, nel secolo XVII, i signori giapponesi di Sat- suma mantennero l’interdizione delle armi istituita dal re di Ryùkyù un secolo e mezzo prima e giunsero a stabilire saldamente il loro dominio sull’isola. Integrato nel regime feudale giapponese, il sistema gerarchico di Ryukyù diventò più rigido. Venne stabilita una gerarchia interna che si diversificherà ancora in seguito: nobiltà in tre gradi, vassalli in due gradi, contadini in due gradi. L’arte del combattimento a mano nuda praticata dalla nobiltà sembra aver avuto più che altro il senso di una manifestazione simbolica del suo rango.
Tuttavia, nel corso dei secoli XVII e XVIII, i vassalli si impoverirono e una parte di questi si orientò poco a poco verso l’artigianato o il commercio, e infine verso l’agricoltura, per sopravvivere. Si manifestò una mobilità sociale tra la classe dei vassalli e quella dei contadini, malgrado la gerarchia complessa e rigida esistente a Ryukyù. Possiamo pensare che, con
questa mobilità sociale, l’arte dei nobili a poco a poco abbia penetrato gli altri strati sociali; lo testimonierebbe la comparsa di termini come «mano (te) dei vassalli», «mano degli artigiani», «mano dei contadini», avendo il termine «mano» (te) il significato di arte o di tecnica.
In giapponese il termine bushi designava colui che apparteneva all’ordine dei guerrieri (samurai). A Okinawa, dove la struttura sociale era diversa questo termine assunse il significato di adepto di te, qualunque fosse la propria appartenenza di classe; di qui un certo numero di significati erronei nell’interpretazione dello status Asociale degli adepti. Il termine shizoku designa in giapponese l’ordine dei guerrieri. Quando però si dice che maestri di Karate come G. Funakoshi, A. Itosu, S.B. Matsumura ecc… appartenevano allo shizoku, il senso è differente. In effetti a Okinawa, dove non esisteva un equivalente dell’ordine dei guerrieri giapponese, la cultura dell’ordine più alto, la nobiltà, era diversa; e il termine shizoku, introdotto dopo il secolo XVII, designava l’ordine dei vassalli intermedi tra i nobili e i contadini.
Poco per volta si formarono nei vari strati sociali delle reti di trasmissione esoterica dell’arte marziale. Questo dipendeva da una parte dal fatto che, da lunga data, quest’arte marziale veniva praticata segretamente nella cerchia ristretta dei nobili, dove era concepita come il segno di un privilegio, e dall’altra dal fatto che la dominazione di Satsuma controllava l’armamento della popolazione.
Diverse testimonianze ci fanno capire che, sebbene l’arte del combattimento, il te, fosse penetrata in vari strati sociali prima del secolo XIX, questa pratica era ben poco conosciuta dall’insieme della popolazione e, anche tra chi la praticava, il segreto era gelosamente custodito. D’altra parte, queste testimonianze ci lasciano supporre che le radici conosciute dello Shuri-te, abitualmente considerato come la corrente più antica, risalirebbero al secolo XVII o al XVIII. Ma, come abbiamo visto fin qui, il terreno era stato preparato attraverso le ramificazioni nascoste dell’arte del combattimento, sulle quali si innestavano le nuove talee create più apertamente dagli adepti, i cui contributi, benché qualche volta offuscati, sono più visibili per noi.
Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile, senza favoleggiare, essere molto precisi per ciò che concerne personaggi antecedenti al secolo XIX come Wanshu, Kushanku (o Kòshankin), Sakugawa, Yara ecc… Può darsi che i lavori attualmente in corso in Giappone sulla storia e i costumi dell’arcipelago di Ryùkyù ci permetteranno un giorno di andare oltre.
La storia del Karate è costellata di maestri, è innanzitutto quella di una tradizione culturale, ed è la logica sociale della formazione del Karate stesso.
segue a
IL CONTRIBUTO DELL’ARTE CINESE DEL COMBATTIMENTO
a cura di Francesco Dore
Fonte Kenji Tokitsu – Storia del Karate , La via della mano vuota – Luni Editrice
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